Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbaglio

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Lo stralisco

208581
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Il caldo, avvertibile anche nella navata, il quieto abbaglio luminoso, e il lento canto ritmato a cui partecipava, le davano uno stordimento leggero. Sentiva le mani, unite davanti al seno, leggermente sudate. Desiderò asciugarle: ma non voleva, separandole, interrompere il gesto della preghiera. Le aprì solo di poco, avvicinate al viso, e una pausa del responsorio vi soffiò in mezzo, delicatamente, come cantando una nota segreta. Poi le abbassò, unite, godendosi l'asciuttezza delle palme come un piccolissimo dono segreto. Vagò con gli occhi sulla bassa volta colorata dell'abside, poi scese sulla croce dell'altare. Da un mese, ormai, aveva rinunciato al raccoglimento: si accontentava di compiere ogni gesto, di pronunciare ogni parola, di cantare ogni strofa, secondo quanto le avevano insegnato e la regola prevedeva. Più che pensare ad altro, seguire strade ed immagini della mente, sperimentava e si perdeva in un distacco torpido, piacevole al fondo: si riposava dal lavoro silenzioso di copista che, insieme a suor Anna, durante il giorno compiva. Piú ancora che le angolari passeggiate lungo il chiostro, o quelle appena piú ariose nel giardino del monastero, i ritmici e pacati momenti della preghiera la calmavano, la riavvolgevano nello spessore paziente e silenzioso in cui, fin dall'inizio di quella vita, si era rifugiata. Giunta al chiostro per vie e pressioni non dissimili, se pur meno bizantine e crudeli, a quelle che assai piú tardi avrebbero costretto la sventurata di Monza, e meno di quella covando passioni e ribellioni, Lucrezia Buti, sorella di quell'arrogante che stava per travolger frati sulla via di Firenze, riusciva talvolta persino ad essere e mostrarsi allegra. Il suo non era certo, tuttavia, uno stato di piena e forte tranquillità. Mescolando disciplina, obbedienza, fede e volontà a una discreta pigrizia, e all'istintivo orrore per le discordie che anche in lei stessa sarebbero sorte a voler discutere il suo stato, la giovane donna aveva accettato e accettava il destino, e lo viveva in condizione di remissiva e quotidiana, quasi elaborata pazienza. Forse, al passare del tempo, qualcosa sarebbe avvenuto, in una o altra direzione: o verso una stravolta e folle sofferenza, o verso un piú totale e stolido torpore. All'epoca di cui narriamo, stava ancora sospesa, come gonfia di un pianto, o un grido, che avrebbe potuto esplodere, o chiudersi in lei per sempre, rendendola, come molte altre infelici, grottesca e immobile, allocchita figura dolente. Un movimento leggero di stoffa, a sinistra dell'altare, attirò il disponibile sguardo della monaca: sembrava che qualcuno si preparasse ad uscire da dietro: ma nessuno apparve. I due lembi di tela grossa e bruna si scostarono appena, e qualcosa si travide di là, chissà cosa. Poi la stoffa rimase ferma, in quell'apertura innaturale, con solo ogni tanto piccolissimi spostamenti. Suor Marta corrugò la fronte, ma non volse il capo. Sapeva che la maggioranza delle consorelle cantavano e pregavano ad occhi chiusi, e altre fissavano il pavimento: nessuna, davanti a lei o al suo fianco, sembrava accorgersi di qualcosa. Pensò si trattasse di un ragazzino entrato nel giardino del monastero, passando un muro non invalicabile che lo chiudeva a Oriente, dalla parte del frutteto. Forse, incuriosito al canto delle monache... Lucrezia ricordava bene il gusto che, lei e le sorelle, avevano da piccole di quei nascondimenti: quando tutto si fa complicità, brivido d'attesa, eccitato e struggente complotto verso il mondo... Le accadde, come talvolta, sebbene piú spesso quando giaceva prima del sonno, di sentirsi sdoppiata. Rimase al suo posto, ma intanto si mosse verso l'altare, con un suo corpo pensato, leggero eppure reale: e si avvicinò alla tenda grezza, e con un movimento veloce la spostò. Nel capogiro della veggenza vide di là non un ragazzino del borgo, spaventato e malsicuro, ma un uomo di alta statura, vestito da frate, col volto fosco nell'opaco alone dell'abside. Suor Marta, esperta di simili visioni, che ormai da anni avevano cessato di spaventarla, e che a nessuno, nemmeno in confessione, aveva rivelato, chiuse gli occhi per meglio distinguere, in quel sogno di veglia, il volto dell'uomo: e immobile, come dipinto, le parve quello del frate incontrato due giorni prima, e brevemente guardato, sotto la tettoia dove s'era riparata con suor Anna e suor Maria da quel furioso temporale: il frate che aveva detto, burlescamente, qualcosa dell'Inferno, voce calda e strana, assai ridente, e l'aveva guardata... Suor Marta spalancò gli occhi, accorgendosi di aver mancato l'attacco della strofa. Sforzò fiato e voce, tornando con lo sguardo sulla tela a sinistra dell'altare. Niente si vedeva: la fessura era ferma, come cucita. Ma dallo stretto passaggio la monaca sentiva venirle addosso uno sguardo, un'attenzione densa, cocciuta, che le troncava di nuovo il fiato e il canto. Nella pausa seguente, respirò a fondo più volte. Si disse che doveva stare serena, contrastare anzi quelle strane visioni che, non occorreva un confessore per farglielo sospettare, eran certo meno estranee al Demonio che all'opera del Creatore: e nulla di buono può venire dal padre delle tenebre.

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