Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Se non ora quando

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Levi, Primo 1 occorrenze

L' uomo si guardava intorno stranito, confuso dagli scoppi e dalle voci concitate, abbagliato dalle lampade a carburo. Mottel gli chiese: _ Chi sei? di dove vieni? _ Al suono delle parole jiddisch trasalì sbalordito; non rispose, e chiese a sua volta: _ Ebrei? Ebrei qui? _ Sembrava una bestia presa in trappola. Cercava con gli occhi la porta, Mendel lo trattenne con un gesto, e lui si ritrasse in uno spasimo di difesa: _ Lasciatemi andare! Che cosa volete da me? _ Nella baracca ci si poteva oramai intendere solo urlando; ciò non ostante, Mendel finì col capire che l' uomo, che si chiamava Schmulek, era stato fermato dalla sentinella mentre passava di corsa accanto al posto di blocco: nel buio, era stato scambiato per un tedesco. Insieme, si rese conto che i polacchi stavano deliberando se aspettare sul posto l' Armata Rossa o disperdersi. Quando Schmulek ebbe capito che né gli ebrei erano prigionieri dei polacchi, né questi di quelli, e che nessuno voleva trattenerlo né fargli del male, scoppiò a parlare: che tutti lo seguissero, presto, subito. Lui era sfuggito a una bomba per miracolo, era rimasto sepolto dal terriccio smosso. Quasi a confermare le sue parole, ecco una esplosione assordante, vicinissima: la porta della baracca si sfondò, poi fu aspirata verso l' esterno dal risucchio. Le luci si spensero e il frastuono si fece assordante: adesso le bombe cadevano fitte, lontane e vicine, e le pareti della baracca scricchiolavano minacciando di schiantarsi. Non si capiva se venissero dagli aerei o dall' artiglieria. Tutti uscirono in disordine, nell' aria gelida illuminata dalle vampe: con l' autorità dell' uomo terrificato Schmulek gridava che gli venissero dietro, lui aveva un riparo, vicino, sicuro. Acchiappò a caso Bella per un braccio e la trascinò via a strattoni; Mendel ed altri li seguirono, forse più di una dozzina; gli altri si dispersero nel bosco. Schmulek correva curvo, di albero in albero, e gli altri venivano in fila indiana dietro di lui tenendosi per mano come ciechi. Alcuni alberi bruciavano. Mendel raggiunse Schmulek e gli gridò alle orecchie: _ Dove ci porti? _ ma quello continuò a correre. Li guidò a un bunker di tronchi, semiinterrato; accanto c' era un pozzo. Schmulek scavalcò il bordo, scese finché solo la testa emergeva, e disse: _ Venite, si passa di qui _. Nel bagliore rossastro degli incendi Mendel e gli altri scesero a loro volta; nell' interno del pozzo erano murati arpioni di ferro arrugginiti. A due o tre metri più in basso si apriva un foro, entrarono a tentoni e si trovarono in un cunicolo in leggera discesa; più oltre era una cavità scavata nella terra argillosa, con la volta puntellata da paletti. Qui li aspettava Schmulek, ansimante, con una torcia accesa in mano. _ Io vivo qui, _ disse a Mendel. Mendel si guardò intorno. C' erano Dov, Bella, Mottel, Line, Piotr; Gedale non c' era, c' erano invece sei o sette degli scampati di Ruzany e di Blizna, e quattro polacchi che non conosceva. Là sotto i rombi delle esplosioni arrivavano attutiti; l' aria era umida e odorava di terra. Nelle pareti erano scavate delle nicchie in cui si intravvedevano oggetti indistinti, coperte arrotolate, vasi, pentole. Lungo una parete correva una panca; sul pavimento di terra battuta c' erano frasche e paglia. _ Sedetevi, _ disse Schmulek. _ Da quanto tempo stai qui? _ chiese Dov. _ Da tre anni, _ rispose. Intervenne Line: _ Sei solo? _ Sono solo. Prima c' era mio nipote, un ragazzo. È uscito a cercare da mangiare e non è ritornato. Ma sei mesi fa eravamo dodici, l' anno scorso eravamo quaranta e due anni fa più di cento. _ Tutti qui dentro? _ chiese Line incredula e inorridita. _ Guardate laggiù, _ disse Schmulek alzando la torcia: _ il cunicolo prosegue, si dirama, ci sono altre tane. Ci sono anche altre due uscite, dentro due querce scavate dal fulmine. Vivevamo male, ma vivevamo. Se avessimo potuto rimanere sempre sotto terra, non ci avrebbero trovati, e sarebbero morti solo quelli che si sono presi il tifo. Ma dovevamo pure uscire, per trovare da mangiare, e allora ci sparavano. _ I tedeschi? _ Tutti. I tedeschi, gli ungheresi, gli ucraini. Qualche volta anche i polacchi: eppure noi eravamo tutti polacchi, eravamo fuggiti dai ghetti qui intorno. Non si poteva mai sapere: a volte ci lasciavano passare, a volte ci sparavano come alle lepri, altre volte invece ci davano da mangiare. Gli ultimi che sono venuti non erano partigiani, erano banditi, avevano solo dei coltelli. Sono venuti di sorpresa. Hanno scannato quelli che restavano e hanno portato via tutto quello che avevamo. _ Tu come ti sei salvato? _ chiese Mendel. _ Per caso, _ disse Schmulek. _ Nella vita civile io ero mercante di cavalli, giravo per i villaggi di questa zona, conoscevo tutte le vie dei boschi. Parecchie volte ho fatto da guida ai partigiani. In settembre ho fatto da guida a un gruppo di soldati russi che erano scappati da un Lager tedesco; volevano andare sui monti della Santa Croce, e io li ho condotti fuori della foresta. È stato allora che sono venuti i banditi e hanno fatto il massacro. Anche il ragazzo era fuori per caso. _ Li abbiamo trovati, quei soldati russi, _ disse Mendel. _ Sono stati accerchiati dai tedeschi; sono morti tutti. Ma adesso la guerra sta per finire. _ Non mi importa che finisca la guerra. Quando la guerra sarà finita, anche gli ebrei di Polonia saranno finiti. Non mi importa più di niente. Mi importa che voi avete avuto il coraggio di prendere il fucile, e io questo coraggio non l' ho avuto. _ Questo non vuole dire nulla, _ disse Mendel, _ ti sei reso utile diversamente. Combattere non è un mestiere per gente anziana. _ Quanti anni credete che io abbia? _ Cinquanta, _ tentò Dov: ma pensava settanta. _ Ne ho trentasei, _ disse Schmulek. Fuori, la battaglia continuava; nella tana di Schmulek non perveniva che un rombo sordo, interrotto a tratti da colpi più forti che facevano tremare la terra, e piuttosto che con le orecchie si percepivano col corpo intero. Ciò non di meno, a metà della notte dormivano tutti, benché sapessero che quelle ore erano decisive: l' ansia stessa e l' attesa li avevano estenuati. Mendel si trovò sveglio a tarda mattina, e si accorse che lo aveva svegliato il silenzio. La terra non tremava più; non c' era altro suono se non il respiro pesante dei dormienti. L' oscurità era assoluta. Tastò accanto a sé; riconobbe a sinistra il corpo sottile di Bella, a destra i panni ruvidi e il cinturone di un polacco. Poteva essere solo una tregua; o i russi potevano essersi ritirati, e il loro rifugio trovarsi nella terra di nessuno. Ma poi il suo orecchio, acuito dal silenzio, colse un suono improbabile, infantile, non sentito da anni. Campane: erano proprio campane, uno scampanio tenue, fragile, filtrato dalla terra che li seppelliva; un carillon giocattolo che suonava a festa, e voleva dire che la guerra era finita. Fu sul punto di svegliare i compagni, ma si trattenne: più tardi, c' era tempo, ora aveva altro da fare. Che cosa? Fare i conti, i suoi conti. Si sentiva come sfuggito a un mare in tempesta, e approdato solo su una terra deserta e sconosciuta. Non pronto, non preparato, vuoto; tranquillo e scarico, come è tranquillo un orologio scarico. Tranquillo e non felice, tranquillamente infelice. Gonfio di memorie: Leonid, l' usbeco, la banda di Venja, fiumi e boschi e paludi, la battaglia del monastero, Ulybin, il ritorno di Dov. La bambina di Valuets con le sue capre, Line, Sissl. Mendel il senza-donne. Rivide, al di là delle palpebre, il viso affilato di Rivke, con gli occhi suggellati, i capelli contorti come serpenti. Rivke sotto terra come noi. È lei che mi soffia via le altre donne d' intorno, come la crusca dal grano. Balebusteh ancora; chi ha detto che i morti non hanno più potere? Gremito di memorie, e insieme pieno di dimenticanza: le sue memorie, anche recenti, erano sbiadite, avevano contorni incerti, si accavallavano con sua fatica, come se qualcuno tracciasse disegni sulla lavagna e poi li cancellasse a mezzo e ne facesse dei nuovi sopra i vecchi. Forse ricorda così la sua vita chi ha cento anni, o i patriarchi che ne avevano novecento. Forse la memoria è come un secchio; se ci vuoi mettere più frutti di quanti ce ne stiano, i frutti si schiacciano. Le campane intanto continuavano a suonare, chissà dove: in un qualche villaggio i contadini dovevano fare festa, l' incubo nazista per loro era finito, il peggio era finito. Dovrei anch' io far festa e suonare le mie campane, pensava Mendel aggrappandosi al sonno perché non lo lasciasse. Anche la nostra guerra è finita, è finito il tempo di morire e di uccidere, eppure io non sono contento e vorrei che il sonno non finisse mai. La nostra guerra è finita, e siamo sigillati in una tana di terra e dobbiamo uscire e ricominciare a camminare. Questa è la casa di Schmulek che non ha casa, che ha perso tutto, anche se stesso. Dov' è la mia casa? È in nessun luogo. È nello zaino che mi porto dietro, è nel Heinkel abbattuto, è a Novoselki, è nel campo di Turov e in quello di Edek, è di là dal mare, nel paese delle fiabe, dove scorre il latte e il miele. Uno entra in una casa e appende gli abiti e i ricordi; dove appendi i tuoi ricordi, Mendel figlio di Nachman? Ad uno ad uno si svegliarono tutti, e tutti facevano domande ma nessuno sapeva rispondere. Il fronte era passato, non c' era dubbio; che fare adesso? Aspettare ancora, come raccomandava Schmulek? Uscire incontro ai russi? Uscire a cercare cibo? Mandare qualcuno in avanscoperta? Dov si offrì di andare ad esplorare la situazione: aveva le carte in regola, parlava russo, aveva addosso l' uniforme russa, un documento russo, era russo infine, più regolare di Piotr. Si avviò per il cunicolo ma subito tornò indietro: bisognava aspettare, qualcuno stava calando un secchio nel pozzo. Il secchio risalì pieno, Dov poté uscire, e si trovò in mezzo ad un plotone di soldati che, nudi fino alla cintura, si stavano lavando gioiosamente nell' acqua che avevano raccolta in un abbeveratoio. Sul terreno c' era un palmo di neve, scalpicciata e mezza sciolta dagli incendi della notte. Poco lontano altri soldati avevano acceso un fuoco e vi facevano asciugare gli abiti. Accolsero Dov con indifferenza bonaria: _ Ehi, zio! Da dove spunti? Di che reggimento sei? _ Per poco non ti tiravamo su dentro il secchio! _ Ve lo dico io, da dove viene: ha preso una sbornia e ci è caduto dentro. _ O ce lo hanno buttato. Di' , zio: sono stati i tedeschi a buttarti nel pozzo? o ci sei sceso tu per metterti al riparo? _ In questo paese si vedono delle cose strane, _ disse pensieroso un soldato mongolo. _ Ieri, in mezzo alla battaglia, ho visto una lepre: invece di scappare stava lì come incantata. E il giorno prima ho visto una bella ragazza in una botte .... _ Che cosa faceva nella botte? _ Niente. Stava lì nascosta. _ E tu che cosa hai fatto? _ Niente. Le ho detto "Buon mattino, panienka, mi scusi il disturbo", e ho richiuso il coperchio. _ O sei bugiardo o sei stupido, Afanasij; una lepre si fa arrosto, e con una ragazza si fa all' amore. _ Insomma, volevo solo dire che questo è un paese strano. Ieri la lepre, ieri l' altro la ragazza, e adesso salta fuori dal pozzo un soldato con i capelli bianchi. Vieni qui, soldato: se non sei un fantasma prendi un po' di vodka, e se sei un fantasma torna da dove sei venuto. Si avvicinò a Dov il caporale del plotone, lo palpò e disse: _ Ma tu non sei neppure bagnato! _ Nel pozzo c' è un' apertura, _ disse Dov; _ adesso ti spiego. Il caporale disse: _ Vieni con me al Comando: spiegherai tutto laggiù. Mezz' ora dopo Dov e il caporale ritornarono accompagnati da un tenente che portava al braccio la fascia dell' NKVD; al vederlo, i soldati interruppero le loro chiacchiere e ripresero a lavarsi. Il tenente disse a Dov di ridiscendere nel pozzo e di fare uscire tutti quelli che stavano nascosti. Vennero fuori uno per uno, nella luce bianca del cielo che minacciava altra neve, fra lo stupore silenzioso dei russi. Il tenente ordinò a due soldati di rivestirsi e prendere le armi, e fece scortare il drappello lungo il cammino inverso di quello che avevano percorso nella notte sotto la guida di Schmulek; li riportò cioè alle baracche del campo polacco. Qui trovarono Edek con Marian e quasi tutti i loro uomini; c' era anche Gedale con i gedalisti che non avevano seguito Schmulek. Sia i polacchi, sia gli ebrei erano stati disarmati, e la baracca dove essi erano rinchiusi era sorvegliata da due sentinelle russe. Per tutto il giorno non avvenne nulla. A mezzogiorno vennero due soldati e portarono pane e salsiccia per tutti; a sera arrivò una marmitta con zuppa calda di miglio e carne. I prigionieri erano più di cento, e nella baracca stavano stretti, protestarono con le sentinelle, venne il caporale e li divise in due gruppi, uno per baracca, per il che dovette raddoppiare la sorveglianza. Né il caporale né i soldati erano ostili; alcuni sembravano incuriositi, altri seccati, altri ancora avevano l' aria di volersi scusare. I polacchi erano inquieti, ed umiliati per aver dovuto consegnare le armi. _ Coraggio, Edek, _ disse Gedale. _ Il peggio è passato. Per male che vada, questi non ci tratteranno come facevano i tedeschi. Lo hai visto, con loro si ragiona _. Edek non rispose. Al mattino arrivò un bidone di surrogato di caffè, e poco dopo venne il tenente, accompagnato da uno scrivano. Sembrava di cattivo umore ed aveva fretta. Trascrisse i dati personali di tutti su un quadernetto da scolaro, e a tutti fece mostrare le mani, il palmo e il dorso, esaminandole con attenzione. Quando ebbe finito, ripartì i reclusi in tre gruppi. Il primo gruppo era costituito dalla maggior parte dei polacchi. _ Voi siete soldati, e continuerete ad essere soldati. Riceverete divise ed armi, e sarete inquadrati nell' Armata Rossa _. Ci furono commenti, mormorii, qualche protesta; le sentinelle abbassarono le canne dei mitra, e le proteste si spensero. _ Voi ci sarete utili in altro modo, _ disse rivolto al secondo gruppo. Questo era assai smilzo: ne faceva parte Edek con una mezza dozzina di ex studenti ed impiegati. _ Io sono il comandante di questo plotone, _ disse Edek pallido come la neve. _ Non c' è più plotone e non c' è più comandante, _ disse il tenente. _ L' Armia Krajowa è stata disciolta. _ Disciolta da chi? Disciolta da voi! _ No, no. Si è disciolta da sola, non aveva più ragione di esistere. La Polonia la stiamo liberando noi. Non avete sentito la radio? No, non la nostra, Radio Londra: sono tre giorni che trasmette un messaggio del vostro comandante. Vi saluta, vi ringrazia, e vi dice che la vostra guerra è finita. _ Dove ci manderete? _ chiese ancora Edek. _ Non lo so, e non mi riguarda. Io ho solo ordine di mandarvi al comando di zona; lì avrete tutte le informazioni che desiderate. Il terzo gruppo era costituito dai gedalisti più Schmulek, ossia da tutti gli ebrei più Piotr. Mendel non aveva notato prima, e notò allora, che Piotr aveva deposto la sua logora divisa di partigiano, quella che gli aveva vista indosso fin dal campo di Turov. Era alto e snello come Gedale, e indossava i panni borghesi che Gedale aveva sfoderati dopo il colpo di Sarny. _ Quanto a voi altri, _ disse il tenente, _ per ora non ci sono ordini. Civili non siete, militari neppure, non siete prigionieri di guerra, siete uomini e donne e non avete documenti. _ Compagno tenente, noi siamo partigiani, _ disse Gedale. _ I partigiani sono quelli che fanno parte dei reparti partigiani. Di partigiani ebrei nessuno ha mai sentito parlare, è una voce nuova. Voi non fate parte di nessuna categoria. Per adesso restate qui: ho chiesto istruzioni. Avrete il trattamento che spetta ai nostri soldati. Poi si vedrà. La banda di Gedale, ritornata dopo più di tre mesi allo stato puro originario, conobbe giorni d' inerzia e di sospetto. Verso la fine di gennaio, dalla finestrella della baracca videro partire i polacchi del secondo gruppo in mezzo alla neve che cadeva fitta. Per l' occasione, il tenente aveva fatto sbarrare le porte; dovettero accontentarsi di salutare Edek attraverso i vetri. Salito sull' autocarro, Edek agitò la mano verso di loro; l' autocarro partì con un sobbalzo, e Sissl scoppiò a piangere. A differenza dagli altri, Dov, Mendel, Arié e Piotr avevano appartenuto all' Armata Rossa, e non avrebbero avuto difficoltà a chiarire la loro posizione. Piotr non ebbe dubbi: _ Non hanno fatto distinzioni, e per me va bene così. È chiaro che all' NKVD in questo momento interessano solo i polacchi: Stalin non vuole partigiani polacchi fra i piedi. _ Ti hanno preso per un ebreo! _ disse Gedale divertito. _ Del resto, te lo sei meritato. _ Non lo so. Il tenente mi ha fatto due o tre domande, ha visto che rispondevo in russo e si è accontentato. _ Hm, _ disse Gedale, _ secondo me la tua faccenda non è ancora conclusa. _ Per me è conclusa, _ rispose Piotr. _ Io resto con voi. Neppure Dov ebbe dubbi, ma nel senso opposto. La sua decisione non era cambiata, anzi, era stata rafforzata dalle avventure più recenti; era stanco di combattere e di vagabondare, stanco di incertezze e di vita precaria, voleva tornare a casa, lui che una casa ce l' aveva. Una casa lontana, non toccata dalla guerra, in un paese che la distanza nel tempo e nello spazio aveva reso fiabesco: il paese delle tigri e degli orsi, dove tutti erano come lui, ostinati e semplici. In quel paese, che Dov non si saziava di descrivere, il cielo invernale era viola e verde: vi tremolavano le aurore boreali, e ne era scaturita quando lui era bambino la cometa terribile. Mutoraj, con i suoi quattromila abitanti confinati, nichilisti e samoiedi, era un paese unico al mondo. Dov se ne andò in silenzio, triste senza disperazione. Si mise a rapporto con l' intendenza russa, dichiarò la sua posizione militare e i suoi trascorsi, a loro richiesta stese in bella scrittura una relazione sulle circostanze in cui era stato prelevato da Turov, curato all' ospedale di Kiev e riportato in zona partigiana, ed attese. Dopo due settimane prese congedo da tutti, ed uscì decorosamente di scena. Quanto a Mendel ed Arié, sotto questo aspetto non si posero problemi, né alcun problema gli fu posto dai russi. Il fronte si era rapidamente allontanato verso ponente; il tenente dell' NKVD non si fece più vedere, e la sorveglianza intorno alle baracche si fece sempre più rilassata fino a sparire del tutto. La banda di Gedale, al completo, venne trasferita ai primi di febbraio in una scuola, nella cittadina di Wolbrom poco lontana, e qui abbandonata a se stessa: il presidio russo, che del resto era costituito soltanto da un vecchio capitano e da pochi soldati, non si curava di loro, se non per portare i rifornimenti prelevati dai magazzini militari: patate, rape, orzo, carne, sale. Il pane arrivava già pronto da un forno requisito, ma le operazioni di cucina dovevano essere svolte sul posto, e attrezzi nella scuola non ce n' erano né i russi ne avevano forniti. Gedale ne fece regolare richiesta, il capitano promise, e non arrivò niente. _ Andiamo in città e ce li procuriamo, _ disse Gedale. L' impresa si rivelò più facile del previsto. La cittadina era deserta e sinistra; doveva essere stata bombardata, e poi saccheggiata più volte, ma sempre con fretta. Nelle case smozzicate, nelle cantine, nei solai, nei rifugi antiaerei, si trovava di tutto. Non solo le marmitte, ma sedie, coperte imbottite, materassi, mobili di ogni tipo. Altri mobili arrivavano ogni giorno sul mercato che si era spontaneamente costituito sulla piazza principale. Cumuli di mobilio mezzo sfasciato venivano venduti come legna da ardere: l' offerta era grande e la quotazione bassa. In breve tempo la scuola venne trasformata in un ricovero abitabile, seppure poco accogliente; ma fornelli non ce n' erano, né nei locali né nelle vicinanze, e la zuppa doveva essere cotta su fuochi all' aperto, nel cortile, accanto alla pista di sabbia per il salto in lungo. In compenso, in una delle aule i gedalisti eressero un maestoso letto matrimoniale per Ròkhele Bianca e Isidor, sormontato da un baldacchino che avevano ricavato da coperte militari. Il capitano russo era un uomo malinconico e stanco. Gedale e Mendel andarono più volte a parlargli, per avere da lui qualche informazione sulle intenzioni delle autorità russe nei loro riguardi. Fu gentile, distratto ed elusivo; lui non sapeva nulla, nessuno sapeva nulla, la guerra non era finita, bisognava aspettare la fine della guerra. In guerra lui aveva perso due figli, e di sua moglie a Leningrado non aveva più notizie. Avevano da mangiare e da scaldarsi: aspettassero, come tutti aspettavano. Anche lui aspettava. Forse la guerra non sarebbe finita così presto; nessuno poteva saperlo, forse sarebbe continuata, chi sa? Contro il Giappone, contro l' America. Un permesso per andarsene? Lui non poteva dare permessi, era un' altra amministrazione; e del resto andarsene dove? Verso dove? C' erano in giro bande di ribelli polacchi e tedeschi, bande di briganti; su tutte le strade i sovietici avevano stabilito posti di blocco. Che non tentassero di uscire dalla città: non sarebbero andati molto lontano, i posti di blocco avevano ordine di sparare a vista. Lui stesso evitava di spostarsi, se non per obblighi di servizio; era già successo che i soldati sovietici si sparassero fra loro. Ma Gedale sopportava male la clausura. A lui, e non solo a lui, quel modo di vivere sembrava vuoto, umiliante e ridicolo. Uomini e donne svolgevano a turno le operazioni di cucina e di pulizia, e rimanevano valanghe di tempo libero; paradossalmente, con una città intorno, un tetto sul capo e una tavola attorno a cui mangiare, provavano un disagio indefinito, che era la nostalgia per la foresta e per la libera strada. Si sentivano inetti, stranieri: non più in guerra, non ancora in pace. A dispetto delle raccomandazioni del capitano, uscivano spesso, a piccoli gruppi. A Wolbrom la guerra era finita, ma continuava accanita non molto lontano. Attraverso la cittadina, e sulla strada di circonvallazione in terra battuta, passavano senza sosta, di giorno e di notte, i reparti militari sovietici diretti al fronte slesiano. Di giorno, piuttosto che un esercito moderno sembrava che passasse un' orda, una migrazione: uomini di tutte le razze, giganti vichinghi e lapponi atticciati, caucasici abbronzati e siberiani pallidi, a piedi, a cavallo, su autocarri, su trattori, su grandi carri trainati da buoi, alcuni perfino a dorso di cammello. C' erano militari e borghesi, donne vestite in tutti i modi possibili, vacche, pecore, cavalli e muli: a sera, le squadre si fermavano dove si trovavano, piantavano le tende, macellavano le bestie e arrostivano la carne su fuochi improvvisati. Questi bivacchi estemporanei brulicavano di bambini, infagottati in panni militari fuori misura; alcuni portavano pistole e coltelli alla cintura, tutti avevano la stella rossa appuntata sull' enorme berretto di pelliccia. Chi erano? Da dove venivano? Mendel e i suoi compagni si soffermarono a interrogarli: parlavano russo, ucraino, polacco, alcuni anche jiddisch, altri rifiutavano di parlare. Erano restii e selvaggi, erano orfani di guerra. L' Armata Rossa, nella sua avanzata attraverso paesi devastati, ne aveva rastrellati a migliaia, tra le macerie delle città, sperduti per i campi e i boschi, affamati e raminghi. I sovietici non avevano tempo di sistemarli nelle retrovie né mezzi per trasferirli più lontano: se li trascinavano dietro, figli di tutti, soldati anche loro, anche loro in cerca di preda. Si aggiravano intorno ai fuochi; alcuni militari davano loro pane, zuppa e carne, altri li cacciavano via infastiditi. Sorprendentemente diverse erano le truppe che attraversavano la città nelle ore buie. Mendel, che conservava il ricordo bruciante dei reparti accerchiati e fatti a pezzi nelle grandi battaglie di annientamento del '41 e del '42, stentava a credere ai suoi occhi. Ecco, era quella la nuova Armata Rossa che aveva spezzato la schiena della Germania; un' altra, irriconoscibile. Una macchina poderosa, ordinata, moderna, che sfilava quasi senza rumore per la via principale della città oscurata. Carri armati giganteschi montati su rimorchi dalle ruote gommate; cannoni semoventi mai visti né sognati prima; le Katijuse leggendarie, coperte da teli che ne nascondevano le fattezze. Frammiste alle artiglierie ed ai reparti corazzati marciavano anche squadre appiedate, in ordine chiuso, cantando. I loro non erano canti bellicosi, anzi melanconici e sommessi; non esprimevano sete di guerra, come quelli dei tedeschi, bensì il lutto accumulato in quattro anni di strage. Mendel, l' artigliere Mendel, assisteva al passaggio con l' animo scosso. Nonostante tutto, nonostante la sconfitta disastrosa e colpevole che lo aveva costretto alla macchia, nonostante il disprezzo e i torti che in altri tempi aveva subiti, nonostante Ulybin, era pure quello l' esercito di cui lui ancora portava addosso l' uniforme logora e stinta. Un "krasnoarmeetz": tale era ancora, anche se ebreo, anche se in cammino verso un altro paese. Quei soldati che passavano cantando, miti in pace e indomabili in guerra, quei soldati fatti come Piotr, erano i suoi compagni. Sentiva il suo petto sollevarsi per una piena di affetti che facevano lite: fierezza, rimorso, risentimento, reverenza, gratitudine. Ma un giorno udì gemiti uscire da una cantina; vi discese con Piotr, e vide dieci militi della Waffen-SS coricati sul ventre e seminudi: alcuni si trascinavano a forza di braccia, tutti avevano un taglio sanguinante a metà della schiena. _ I siberiani fanno così, _ disse Piotr, _ quando li trovano non li uccidono, ma gli tagliano il midollo _. Risalirono in strada, e Piotr aggiunse: _ Non vorrei essere un tedesco. Eh no, nei prossimi mesi non vorrei proprio essere un berlinese. Un mattino si svegliarono e trovarono, tracciata a catrame sulla facciata della scuola, una croce uncinata; sotto stava scritto: "NSZ _ Morte agli ebrei bolscevichi". Poco dopo, dalla finestra del primo piano, videro in strada tre o quattro giovani che parlavano fra loro e guardavano in su. La sera stessa, mentre erano seduti a mangiare, il vetro della finestra volò in schegge, e tra le gambe del tavolo piombò una bottiglia a cui era legata una miccia accesa. Il più pronto fu Piotr: in un lampo acchiappò la bottiglia, che non si era rotta, e la ributtò in strada. Ci fu un tonfo, e sul selciato si formò una pozza accesa che bruciò a lungo; la fiamma fumosa arrivava fino alla loro finestra. Gedale disse: _ Bisogna trovare armi e andare via. Anche trovare armi fu più facile di quanto si erano aspettato: vi provvidero, per vie diverse, Schmulek e Pavel. Nella sua tana c' erano armi, disse Schmulek: non molte ma ben conservate, sepolte sotto la terra battuta. Chiese a Gedale un accompagnatore, partì al tramonto e tornò all' alba con diverse pistole, bombe a mano, munizioni e un mitra. Dopo la morte di Jòzek, Pavel gli era subentrato nella funzione di furiere, e riferì che comperare armi al mercato era più facile che comperare il burro e il tabacco. Ne offrivano tutti, alla luce del sole; i russi stessi, sia i militari di passaggio, sia i civili che seguivano le truppe, vendevano armi leggere tedesche trovate nei depositi o sui campi di battaglia; altro materiale lo offrivano con disinvoltura i polacchi della milizia che i russi avevano frettolosamente messa in piedi. Molti di questi, appena arruolati, disertavano con le armi e raggiungevano bande che si preparavano alla guerriglia; altri vendevano o barattavano le armi al mercato. In pochi giorni i gedalisti si trovarono in possesso di parecchi coltelli e di una dozzina di bocche da fuoco scompagnate; non era molto, ma poteva bastare per tenere lontani i terroristi della destra polacca. A fine febbraio il capitano russo chiamò Gedale a rapporto, e lo tenne a parlare per più di un' ora. _ Mi ha offerto da fumare e da bere, _ riferì Gedale ai compagni. _ Non è così distratto come sembra, e secondo me ha ricevuto un' imbeccata. Ha saputo della bottiglia Molotov, dice che sono tempi difficili e che è preoccupato per noi. Che loro non sono in grado di garantire la nostra sicurezza, e che faremmo bene a proteggerci da soli: in altre parole, si è accorto delle armi e gli sta bene che noi le abbiamo. È naturale, l' NSZ gli deve piacere come a noi. Ha ripetuto che questo è un brutto posto; me lo aveva già detto l' altra volta, ma allora diceva che uscire di città era pericoloso, e invece oggi mi ha chiesto perché restiamo qui. "Potreste andare più avanti, ormai il fronte è lontano: più avanti, incontro agli alleati ...." Io gli ho detto che vorremmo andare in Italia, e di lì cercheremmo di passare in Palestina, e lui ha detto che facciamo bene, l' Inghilterra dalla Palestina se ne deve andare, e così pure dall' Egitto e dall' India: gli imperi coloniali hanno le ore contate. E in Palestina dobbiamo andarci noi, a costruire il nostro stato. Mi ha detto che lui ha molti amici ebrei, e che ha perfino letto il libro di Herzl: ma questo credo che non sia vero, oppure lo ha letto male, perché mi ha detto che in fondo anche Herzl era un russo, mentre invece era ungherese; io però non l' ho contraddetto. In breve: il capitano è uno che la sa lunga; ai russi fa comodo che noi andiamo a dare fastidi agli inglesi; e per noi è ora di partire. Ma niente permessi ufficiali: su questo argomento ha fatto subito macchina indietro. _ Ce ne andremo senza permessi, _ disse Line alzando le spalle. _ Quando mai abbiamo avuto permessi? Si udì la voce nasale di Bella: _ Quelli dell' NSZ sono dei fascisti e dei vigliacchi, ma c' è un punto su cui noi andiamo d' accordo con loro e con i russi: loro ci vogliono mandare via, e noi ce ne vogliamo andare. Pavel aveva preso l' abitudine di uscire dalla scuola di buon mattino e di non farsi più vedere fino a sera. Nel giro di pochi giorni l' atmosfera di Wolbrom era cambiata: adesso, sul flusso delle truppe dirette in Germania prevaleva il flusso inverso, di soldati che tornavano dal fronte. Alcuni andavano in licenza, ma per la maggior parte erano militari feriti o mutilati, appoggiati su stampelle di fortuna, seduti sui mucchi di calcinacci che fiancheggiavano le vie, con pallidi visi imberbi da adolescenti. Dai suoi giri di esplorazione Pavel non rientrava mai a mani vuote: sul mercato nero si trovava ormai di tutto. Portò caffè, latte in polvere, sapone e lamette da barba, polvere per budini, vitamine, tesori che i gedalisti non vedevano da sei anni o non avevano mai conosciuto prima. Un giorno si portò dietro uno spilungone dai capelli color sabbia, che non parlava né russo né polacco né tedesco, e solo qualche parola di jiddisch: lo aveva trovato sulle macerie della sinagoga di Wolbrom che recitava le preghiere del mattino, era un soldato ebreo di Chicago che i tedeschi avevano fatto prigioniero in Normandia e che l' Armata Rossa aveva liberato. Fecero festa insieme, ma l' americano non era bravo ad esprimersi ed ancora meno a bere; dopo il primo giro di vodka finì sotto il tavolo, dormì fino al mezzogiorno seguente, e poi se ne andò senza salutare nessuno. Per le strade vagabondavano ex prigionieri di tutti i paesi e di tutte le razze, e nugoli di prostitute. Il 25 di febbraio Pavel rincasò con cinque paia di calze di seta, e ne nacque un gran brusio eccitato: le donne si affrettarono a provarle, ma erano di misura tollerabilmente giusta solo per Sissl e per Ròkhele Nera; per l' altra Ròkhele, Line e Bella erano troppo grandi. Pavel fece tacere il brusio: _ Niente, non ha importanza, domani le cambio o ne porto delle altre. Ho altro da dirvi, ho trovato un camion! _ Lo hai comperato? _ chiese Isidor. No, non lo aveva comperato. Venne fuori che dietro alla stazione ferroviaria i russi avevano costituito un campo di rottami e di materiale smobilitato, e che qui si poteva trovare di tutto. Pavel non era pratico, bisognava che l' indomani stesso qualcuno andasse sul posto con lui. Chi era pratico di camion? Chi li sapeva guidare? La banda aveva fatto a piedi più di mille chilometri: non era forse ora di viaggiare in camion? _ Bisognerà pure pagarlo, _ disse Mottel. _ Non credo, _ disse Pavel. _ Il campo non è recintato, intorno non c' è che un fosso, e di sentinelle ce n' è una sola. L' importante è sbrigarsi: c' è già una quantità di gente che va e viene, proprio stamattina ho visto due ragazzi che si portavano via una motocicletta. Chi viene con me domani mattina? Avrebbero voluto andare tutti, se non altro per il diversivo. Line ed Arié fecero sapere che avevano guidato trattori; Piotr e Mendel avevano la patente militare, ed in più Mendel al suo paese aveva avuto occasione di riparare trattori ed autocarri. Gedale, con inconsueto abuso di autorità, disse che sarebbe andato lui perché era il capobanda, ma il più insistente era Isidor, che non poteva vantare alcun titolo. Voleva a tutti i costi andare con Pavel: per le macchine, per tutte le macchine, aveva una passione disinteressata ed infantile, e diceva che il camion avrebbe imparato a guidarlo in un momento. Andò Mendel, e vide che Pavel non aveva esagerato: nel campo rottami c' era veramente di tutto, non solo rottami. I russi, riforniti dagli Alleati di materiale militare di tutti i generi, non andavano per il sottile: non appena un' apparecchiatura o un veicolo davano qualche fastidio, lo scartavano e ne prelevavano uno nuovo. Altro materiale danneggiato arrivava giorno per giorno dalla zona di combattimento, su autocarri o per ferrovia; nessuno lo esaminava o controllava, veniva scaraventato nel campo e restava lì ad arrugginire. Nel lugubre cimitero metallico si aggiravano curiosi, esperti, e torme di ragazzini che giocavano a rimpiattino. I camion c' erano: di tutte le marche e in tutti gli stati di conservazione. L' attenzione di Mendel si appuntò su una fila di camion italiani; erano Lancia 3 Ro da trenta quintali, e sembravano nuovi: forse venivano da qualche deposito tedesco. Mentre Pavel cercava di distrarre la sentinella, offrendole tabacco e gomma da masticare, Mendel esaminò i veicoli più da vicino. Avevano addirittura ancora la chiave nel cruscotto e sembravano pronti a partire; Mendel provò a dare il contatto, ma non accadde nulla. Fu presto capito: i camion non avevano batteria, e non l' avevano mai avuta; i capicorda dell' impianto elettrico erano ancora coperti di grasso. Quando Pavel tornò, Mendel gli disse: _ Ritorna dal tuo uomo e tienilo occupato. Io vado a vedere se trovo in giro una batteria carica. _ Ma che cosa gli racconto? _ Arrangiati. Raccontagli di quando facevi l' attore. Mentre Pavel sforzava la sua memoria e la sua fantasia per intrattenere la sentinella senza insospettirla, Mendel prese ad esplorare metodicamente gli altri veicoli. Presto trovò quanto cercava, un autocarro russo della stessa portata dei Lancia, in condizioni relativamente buone: doveva essere arrivato da poco. Aprì il cofano e toccò i poli della batteria con la lama del coltello. Ci fu uno schiocco ed un lampo azzurro, la batteria era carica. Rientrò con Pavel alla scuola, le ore passavano lente, sembrava che la notte non venisse mai. Quando fu buio, presero le armi e tornarono al campo rottami. Della sentinella non c' era traccia, o dormiva nei pressi o era tranquillamente rientrata in caserma. Invece, fra le sagome buie dei veicoli e dei rottami si aggirava una popolazione furtiva: come termiti, smontavano e demolivano tutto quanto potesse dimostrarsi utile o commerciabile: sedili, cavetti, pneumatici, i motorini ausiliari. Alcuni sifonavano via il carburante dai serbatoi; Pavel si fece imprestare un tubo, fece altrettanto e versò un po' di nafta nel serbatoio del primo 3 Ro della fila. Poi Mendel smontò la batteria buona, ed aiutato da Pavel la trascinò all' autocarro. La rimontò, fece la connessione, salirono in cabina e Mendel girò la chiavetta. Cercò a tentoni la levetta dei fari, e i fari si accesero: "... e la luce fu", pensò tra sé. Li spense e fece l' avviamento: il motore partì subito, liscio e rotondo; rispondeva obbediente al pedale del gas. Perfetto. _ Siamo a posto! _ disse Pavel sottovoce. _ Vedremo, _ rispose Mendel. _ Bestioni come questo io ne ho riparati diversi, ma non ne ho mai guidato nessuno. _ Non hai detto che avevi la patente? _ Per averla, ce l' ho, _ disse Mendel fra i denti. _ A quel tempo la davano a tutti, c' erano i tedeschi a Borodinò e a Kaluga, sei mezze ore di lezione e via. Ma poi io ho solo guidato vetture e trattori; e di notte è un' altra faccenda. Adesso stai zitto, per favore. _ Solo ancora una cosa, _ disse Pavel, _ non uscire dalla porta. Lì c' è la garitta, ci potrebbe essere qualcuno. E adesso sto zitto. Con la fronte aggrottata, intento come un chirurgo, Mendel premette il pedale della frizione, ingranò la marcia e sollevò il piede: il camion si avviò con uno strappo selvaggio. Riaccese i fari, e col motore imballato si diresse lentissimo verso il fondo del campo, lungo una corsia sgombra. _ Non sperare che io cambi marcia. Cambio poi domani: per oggi andiamo avanti così. Il camion navigò fino al fossato, si inclinò in avanti e puntò maestosamente verso il cielo. _ Siamo fuori, _ disse Pavel aspirando l' aria piovosa: si accorse che da forse un minuto non aveva più respirato. Una voce gridò alle loro spalle: _ Stòj! Halt! _; Pavel si sporse dal finestrino e sparò una breve raffica verso l' alto, più per allegria anche per intimidazione. Arrivato sulla strada, Mendel raccolse tutto il suo coraggio ed ingranò la seconda ridotta: il ruggito del motore calò di un tono e la velocità aumentò leggermente. Nessuno li inseguì, e raggiunsero la scuola in pochi minuti. Gedale, armato anche lui, li aspettava in strada. Abbracciò Mendel ridendo e recitando la benedizione dei miracoli. Mendel, con la fronte imperlata di sudore a dispetto del freddo, gli rispose: _ Meglio l' altra, quella dello scampato pericolo. Non perdiamo tempo, partiamo subito. Svegliati di soprassalto, i gedalisti portarono giù i bagagli e le armi e si pigiarono nel cassone. Mendel riaccese il motore. _ Verso Zawiercie! _ gli gridò Gedale, che aveva preso posto accanto a lui nella cabina. Seguendo i cartelli indicatori che i russi avevano affissi alle cantonate, Mendel uscì di città e si trovò su una strada secondaria piena di buche e di pozzanghere. A grado a grado, e con parecchie grattate, imparò ad innestare le marce alte, e la velocità divenne discreta. Aumentarono anche gli scossoni, ma nessuno si lamentava. Superò una salita, imboccò la discesa: i freni rispondevano e si sentì rassicurato, ma la tensione della guida lo stravolgeva. _ Non resisto più per molto. Chi mi darà il cambio? _ Vedremo, _ urlò Gedale sul fracasso del motore e delle lamiere. _ Adesso pensa a uscire dall' abitato. A metà discesa incontrarono un posto di blocco: un tronco non sgrossato, appoggiato su due fusti ai lati della strada. _ Che cosa faccio? _ Non fermarti! Accelera! Il tronco volò via come una paglia e si udirono raffiche di mitra; dal cassone qualcuno rispose con colpi isolati. Il camion proseguì la sua corsa nella notte, e Gedale gridò ridendo: _ Se non così, come? E se non ora, quando?

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