Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Le Fate d'Oro

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Perodi, Emma 1 occorrenze

Il Manovale, che non aveva mai visto una bellezza simile, rimase abbagliato, e, da seduto che era, si trovò in ginocchio. - Alzati, - gli ordinò la Fata, con una voce squillante come un campanello - alzati e seguimi: ho bisogno di te. - Il Manovale si alzò sbalordito e seguì la Fata, la quale, entrata nella stanza dove dormivano la moglie e il bambino, si avvicinò a questo e gli aprì l'occhio destro: - Avrai angustie per conto suo, - disse al padre; quindi gli aprì l'occhio sinistro. - Farà correre grave pericolo alla sua sorellina; - e sempre circondata di luce e portata dalle nuvole luminose, la- sciò la stanza e uscì dalla stamberga fa- cendo segno al Manovale di seguirla. Era una notte buia come la gola del lupo, e il Manovale, prima di passare la so- glia di casa, si fermò e si voltò addietro. Gli dispiaceva di lasciar sola la moglie e il bambino. La Fata se ne accòrse. - Non temere; non si desteranno fin- ché tu sarai con me. - Il Manovale, rinfrancato da quella voce così squillante, si avventurò nella buia cam- pagna, dietro alla Fata circonfusa di luce. - Conta bene quanti pioppi passiamo, perché dobbiamo fermarci al tredicesimo. - Il Manovale non c'era caso che s'affa- ticasse a contare: dei pioppi non ce n’era neppur uno. Entrarono in un bosco folto folto dove c'erano gli alberi fitti come se fossero capelli. Il Manovale stava attento e tremava come una foglia temendo che, fra tante specie di piante, gli sfuggisse un pioppo. Guardava a destra, guardava a sini- stra, e ogni tanto ne contava uno. Quando furono nel più folto del bosco, accennò alla Fata un tronco di pioppo scortecciato e vuoto come una canna secca. Era il tredicesimo. La Fata si fermò e gli dette una chia- vicina d'oro, dicendogli: - Entra nel tronco di quel pioppo: c'è una scala a chiocciola; scendi finché trovi scalini. Quando sarai in fondo vedrai una porta; cerca il buco della serratura, mettici la chiave, e girala piano piano, perché se svegli il Nano, che ora dorme, è finita. Io m'alzerò al disopra del pioppo e cercherò di far penetrare fin giù un raggio della mia luce. Una volta entrato, avvicinati al letto dove dorme il Nano e rubagli tre cose che tiene sotto il guan- ciale: il vasetto del balsamo che cura tutte le ferite; l'anello dell'invisibilità, e la tromba fatata. Il balsamo e l'anello sono per me; la tromba puoi tenerla e ti gio- verà. - Il Manovale non fece discorsi: scese nella cavità della terra al chiarore che tra- mandavano le nuvole lucenti della Fata, e fece come essa gli aveva detto. Il Nano dor- miva saporitamente. Il Manovale gli mise una mano sotto il guanciale, acchiappò i tre oggetti, e poi risalì su. La Fata lo aspettava ansiosa. - Senti, conserva questa tromba e nei momenti di grande angoscia soffiaci dentro. Io sono la Fata della notte e viag- gio per l'emisfero; ma in qualunque punto io sia, ti sentirò e accorrerò in tuo aiuto. Ma tienla ben nascosta, perché se altri che tu ci avvicina le labbra, perde tutto l'effetto. Potrei farti ricco.... ma ho viaggiato tanto che ho dovuto convincermi che anche i ricchi sono molto infelici. - E la Fata della notte si allontanò, sol- levata dalle nuvole lucenti. Il Manovale, rimasto solo nel bosco, si pentì di aver lasciato la moglie e il bam- bino, che avevano forse bisogno di lui, per andare dietro a quella Fata, che per tutta ricompensa gli regalava una tromba; e già stava per buttarla via, quando sentì una vocina, che veniva dall'alto, dirgli: - Serbala e riponila; ma riponila bene che nessuno la trovi; quella tromba è preziosa. - Il Manovale fece una spallata e si mise la tromba sotto il braccio. Arrivò a casa: la moglie e il bambino dormivano sempre. Dove doveva riporla quella tromba, lui che in casa non ci aveva neppure un mobile? Gli venne daccapo voglia di but- tarla via; ma anche allora sentì una vo- cina che gli diceva: - Serbala! serbala! serbala, testardo, disprezzante che non sei altro! - Il Manovale era stanco morto, ma sen- tendosi dire e ripetere che la serbasse, scavò una buca fonda nell'impiantito della cucina, ce la nascose e poi la ricoprì; ma fede nella tromba non ne aveva davvero. L'anno dopo, nello stesso giorno, al Manovale nacque un altro figliuolo ma- schio, e la sera gli comparve la stessa Fata dalla cappa del camino; costei guardò e riguardò il neonato, e se ne andò senza aprir bocca. Il Manovale rimase di sasso. Era più povero che mai e aveva sperato grandi aiuti nella visita della Fata. Il fuoco era spento, il lume pure era spento e pane non ce n'era nella madia; ma alla tromba non ci volle ricorrere. Non sperava in nulla, al- tro che nel lavoro delle sue braccia. L'anno dopo, nello stesso giorno, gli nacque un terzo figliuolo, ma quella volta era una femmina e il Manovale, sgomento, vedendosi crescere la famiglia, la chiamò Miseria. Alla tromba non ci pensò neppure, ma si mise in cucina al buio ad aspettare la Fata: la Fata quella volta non venne. Il Manovale andò in cerca del bosco, dove c'erano i tredici pioppi. Il bosco non c'era più. Passò le notti a ciel sereno per vedere se scorgeva la Fata nei suoi viaggi nel firmamento. La Fata non passò mai. Intanto la famiglia cresceva e le tribola- zioni aumentavano. La sera della Befana i tre bambini lo avevano pregato e ripregato che desse loro un balocco. - Tutti i bambini stasera sono felici e a noi non tocca nulla! —piagnuco- lavano. Il Manovale si ricordò della tromba. Se la Fata aveva voglia di aiutarlo, egli pensava, non aveva bisogno che la chiamasse. Doveva essere un inganno: era meglio che con la tromba contentasse i bambini. Difatti li mandò a letto, quindi scavò nel luogo dove aveva nascosta la tromba e la trasse fuori lucida come uno specchio. La guardò, la rigirò, ebbe per un momento la tentazione di mettersela alla bocca; ma. si vinse, e posò la tromba sul letto dei suoi bambini che dormivano. In quella notte però ebbe un sogno. Vide la Fata che lo guardava in atto mi- naccioso, e si allontanava lasciando sulla sua casa una striscia di fuoco. La mattina dipoi dormì a lungo, e quando si alzò era pentito; voleva provare la virtù della tromba. La Fata aveva ragione d'essere in col- lera. Perchè l'accusava d'inganno prima di sincerarsi? Allora egli andò nella stam- berga che gli serviva di cucina, ma non trovò altro che i suoi due maschi, che piangevano. Che cos'era stato, che cosa non era stato? Lo voleva saper subito. Il maggiore aveva soffiato nella tromba avvicinandola all'orecchio di Miseria, e su- bito era comparso un turco nano, brutto quanto mai, e aveva portato via la bimba insieme con la tromba. Il Manovale si mise a piangere, la mo- glie si mise a piangere, i ragazzi piange- vano: Miseria era il cucco di tutti, l'alle- gria di casa; ma i pianti non servivano a nulla. Il povero padre specialmente faceva pietà. Senza quella creatura non aveva più forza di lavorare, non aveva più forza di lottare, non aveva più energia: nulla. Si mise in cammino per cercarla, e cammina cammina arrivò sulla sponda di un gran fiume largo, sterminato, che pa- reva il mare. Il povero uomo si lagnava. Come avrebbe fatto a passarlo? Non c'era nè una barca nè un ponte; nulla. Quando annotò, era sempre lì che ge- meva da far pietà ai sassi. Ad un tratto vide sorgere dal fondo limpido del fiume un gran chiarore, ma un chiarore così forte che gli permetteva di vedere la ghiaia nel letto del fiume, e i pesci che guizzavano nell'acqua. Avvolta in quel chiarore c'era la Fata, non più bella e sorridente come l'aveva veduta le prime due volte, ma con lo sguardo severo come eragli comparsa in sogno. Lentamente la Fata s'innalzò sopra le acque. - Non mi hai creduto, - gli disse severamente - e vedi a che ti trovi! - Il pover'uomo si raccomandava. Giurava che ora la credeva; che sa- rebbe andato chissà dove per ritrovare la sua Miseria. La Fata, vedendolo piangere e suppli- care a quel modo, si rabbonì, e gli disse che bisognava che penetrasse nella fortezza, dove si era barricato il Nano dopo che gli aveva rubato il balsamo, l'anello e la tromba; lì dentro c'era la sua Miseria, ma l'unico ingresso a quella fortezza era di- feso da una porta tutta di ferro, per aprir la quale occorreva una chiave d'oro, e la forza di dieci giganti per farla girare sui cardini. Egli le rispose che se gli dava la chiave d'oro, la forza di dieci giganti l'a- vrebbe avuta, pur di riportarsi a casa la sua Miseria. La Fata si trasse dalla cintura la chia- vicina d'oro e ordinò alle nuvole di trasportare il Manovale dalla parte opposta del fiume. Poscia lo informò che sulla sponda avrebbe trovato una grotta; dentro la grotta ci era un vestiario da turco; doveva in- dossarlo per non essere riconosciuto dal Nano, che vegliava sempre da un finestrino. Per la strada avrebbe incontrato un altro turco: dovevano camminare in compagnia e aspettare che battesse la mezzanotte per girare la chiave. Il Manovale ringraziò la Fata e fece come gli aveva detto. Alla porta della fortezza, si avvicinò insieme col turco. Questi aveva una scimitarra ter- ribile nascosta sotto il mantello. Quando suonò la mezzanotte, il Manovale mise la chiave nella serratura, ma appena andò per girarla, cento cani incominciarono ad abbaiare, e gli si scatenarono addosso. Il turco, con la scimitarra, tagliò la testa a tutti. Erano i cani del Nano. Dopo poco il Manovale, facendo uno sforzo terribile, spinse la porta, lasciando il compagno a guardia. Entrò dentro la fortezza. Camminava a tastoni per le stanze; c'era un buio come in gola al lupo, e il Manovale disperava di trovare la sua Miseria, quando dai larghi finestroni vide entrare un grande chiarore, che illuminò le sale ricchissime, tutte tap- pezzate di seta. In mezzo a una di quelle sale c'era un baldacchino d'oro, e sotto quel baldac- chino un letto. In quel letto dormiva Mi- seria. Sognava e chiamava la mamma, il babbo e i fratellini. Il Manovale se la prese in collo, l'av- volse nel suo lungo mantello bianco, e la portò via addormentata, uscendo con lei sano e salvo dal palazzo del Nano. Il suo compagno era sparito. Egli portò la bambina nella grotta dove si era vestito da turco, per riprendere i suoi panni, e ci trovò la Fata, alla quale espresse tutta la sua gratitudine, e restituì la chiave. La Fata fu commossa dall'affetto che aveva quel pover'uomo per la sua bam- bina. - Miseria non conoscerà la miseria - disse dandogli la chiave. - Questa ti servirà ad aprire una cassetta piena d'oro, che troverai sotto il sasso quadrato, che è nel tuo giardino; ma non te ne valere al- tro che quando ti manca il lavoro. - La Fata sparì dopo aver ordinato alle nuvole di trasportarlo al di là del fiume. Sparì nella luce dell'aurora, e il Ma- novale vide il Nano, che, montato sopra un cavallo, volendola inseguire, precipitò nel- l'acqua. Quel tenero padre tornò a casa con- tento come una pasqua con la sua cara Miseria, che si svegliò nel suo letto e credè d'aver sognato; e allora: Fecero un gran festino, Goderon proprio tutti; Io sol nel cantuccino Rimasi a denti asciutti.

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