Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbagliati

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Il cappello del prete

663092
De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Si tenevano vicini e abbracciati, in mezzo a una montagna di valigette, di canestrini, di scialli, di ombrelli, colla spalla appoggiata alla spalla, le mani in mano, gli occhi perduti nell'infinito splendore del mare, abbagliati da quella luce che si rinforzava nel crepuscolo, mormorando paroline in cui si sentiva tutta la dolcezza del germanico "Liebe". Essa era bionda, colle guancie soffuse di rosa, gli occhi azzurri, pieni d'innocenza e di verginità. L'anima di quella romantica creatura non aveva una macchia, e Dio vi si specchiava come in un cristallo. "U barone" buttando un mozzicone dallo sportello, volse le spalle alla coppia felice e sputò sulla terra. Si attaccò colle due mani alla finestrella del vagone, vi appoggiò la faccia, sorreggendosi come un uomo stracco stracco, mentre gli occhi vuoti e gonfi guardavano di fuori senza vedere altro che un grande bagliore di colori fuggenti. Finché il treno in ritardo sforzò la sua corsa, il rombo, le scosse, il fischio, la fuga delle cose, l'affanno stesso della corsa fatta per arrivare a tempo, il battimento dei polsi, il palpito precipitoso del cuore già affetto d'ipertrofia, non gli lasciarono il tempo di riflettere. Anzi per un quarto d'ora si obliò perfettamente, quasi assorbito dalle sue stesse emozioni fisiche. Man mano che il treno rallentava, egli cominciò a ricuperarsi, e trovò tutto sé stesso, entrando in stazione. E si meravigliò di sentirsi cosí sicuro e quieto. Scese e s'incamminò verso la città col passo di un uomo "convinto". Man mano che rivedeva le case, le botteghe, la gente, i soliti amici, andava ricuperando anche il senso della sua vita solita. Prima di andare a casa, abbottonato bene l'abito fino al collo, volle fermarsi da Compariello, il liquorista frequentato dagli eleganti buontemponi di via Toledo, a bere un vermutte col seltz in ghiaccio. Rimase un pezzo ad ascoltare le allegre cicalate del marchesino d'Usilli, direttore del veloceclub, grande maestro di barzellette. L'Usilli, sapendo che il club della Fenice aveva pubblicato il nome del barone, lo trasse in disparte e gli disse sottovoce: - Mi rincresce, Santa, che siano venuti a questo eccesso. Io ti ho difeso, ma hai avuto ventitré palle nere contro dodici bianche. - Vuoi un po' di denaro per ritentare la sorte? fino a ventimila potrei trovartele e con poco interesse. - Ecco gli animali! tutti mi offrono denaro, quando non ne ho piú bisogno - gridò Santafusca. - Tu non avrai scoperta una miniera: so che ti trovi in seri imbarazzi, Santa. Abbi confidenza con un amico. È vero quel che si dice di te? - Che cosa? - domandò "u barone" con voce alterata. - Che non puoi restituire quindicimila lire al Sacro Monte delle Orfanelle? - Spero di ottenere una dilazione... - mormorò il barone, chinando gli occhi. - Ma parliamo di Marinella. Che fa questa scellerata? dopo che la fortuna mi ha voltate le spalle, dice ch'io sono un brutto peloso. E Lellina è ancora fedele a di Spiano? O di Spiano paga e tu... - Che cosa dici, Santa? Non farei un peccato di desiderio per Lellina... Bevi un assenzio? - Marinella mi vuol bene! - esclamò il barone, mentre ingoiava é'un fiato un bicchiere di assenzio verde come lo smeraldo, che riscaldò la sua voce. - Marinella non odia che la mia sfortuna. Ma voglio fare un patto col diavolo come il vecchio Faust. L'anima mia gliela cedo tutta per un buon asso di picche, su cui abbia puntato centomila per tre volte. Ti pare che faccia pagare troppo cara l'anima di un peccatore di spirito? Vuoi provare intanto chi di noi due deve pagare l'assenzio? Aspetta, lasciami invocare il mio diavolo protettore. I due signori si accostarono alla piccola roletta posta sul banco. Il marchesino d'Usilli mosse la roletta e fece tre. "U barone" fece diecimila. - Vedi se non ho il diavolo con me? - È un caso, si sa. Ecco, vedrai ora che il mio angelo custode mi dà... Una grande risata tenne dietro a queste parole. Usilli fece uno. Santafusca toccò col mignolo e fece centomila! - Ciò avviene sempre quando si giuoca per baia. Ma se tu avessi cento lire in tasca, Santafusca, vedresti che il tuo diavolo te le ruba tosto. - Chi mi dà cento lire sulle corna del mio diavolo? - chiese "u barone", guardandosi intorno. - Io te le do, Santa, giuoca, - disse il marchese di Spìano, che, entrato in quella aveva assistito al giuoco. - Bravo, Vico. Giuochiamo queste cento lire. Usilli fece tre. "U barone" fece cinquecentomila. Nuove risa e nuovi clamori. - Non voglio il tuo denaro adesso - disse il fortunato vincitore. - Ma promettimi di giocare almeno una volta per cento lire stasera, in una partita di picchetto o a scopa. Usilli si tenne obbligato per la sera. Santafusca bevve ancora una volta, e animato dalle ciarle, dal liquore, dalla fortuna, ritrovava al di sotto delle macerie le grazie del suo vecchio spirito di gentiluomo. E si stordí tanto bene che, uscendo e scendendo per Toledo in mezzo al via- vai delle carrozzelle e della gente, riuscí quasi a dimenticare il suo prete. Non fu che rientrando in casa che riprovo un senso di pena. Era quasi notte quando la Maddalena venne ad aprire. - O eccellenza, ben tornato. Quale fortuna? - Porta il lume nella mia stanza, - brontolò il padrone. E mentre la Maddalena correva ad accendere il lume, egli rimase un istante ad ascoltare le sue sensazioni, che si dibattevano coi fantasmi dell'alcool. - Bestia! - esclamò a fior di labbro, forse contro l'Usilli; ma non era certo. - Il lume è acceso. Maddalena dalla faccia del padrone arguí che anche questa volta egli aveva perduto, e andò a rannicchiarsi nella sua seggiola dì legno, dove per ore ed ore sedeva a ingannare il tempo e la fame, guardando le case e sonnecchiando a intervalli. "U barone" chiuse colle spalle le portine della sua stanza e girò anche la chiavetta. Era solo, al sicuro, e poteva finalmente mettere le mani sul tesoro. Ma ebbe bisogno di raccogliere ancora un poco di forza. Gli pareva di tornare da un lunghissimo viaggio, al di là dei mari, dopo tre o quattro anni di assenza, e non erano trascorse che ventiquattro o trenta ore dalla sua partenza. Lasciò che passassero anche queste sensazioni, e, acceso un sigaro, si abbandonò nelle braccia di una poltrona, dopo aver posto sulla scrivania il fascio delle sue carte. Era tempo - pensava - ch'egli si facesse una ragione. Se avesse creduto di ritrovare, tornando in casa, il fantasma del morto seduto su una sedia, non avrebbe accettato quella brutta speculazione. Ma era soltanto un uomo che il caso aveva trascinato ad una violenza. Gli rincresceva per il povero diavolo che ci aveva lasciata la vita: ma d'altra parte, pelle contro pelle, anche la sua valeva qualche cosa. Era naturale ch'egli provasse nei primi giorni qualche spavento. Non si ammazza un uomo senza che il sangue non dia un tuffo. La natura vuol la sua parte, ma non piú che una parte, cioè una certa nausea che il barone era pronto a sopportare, finché fosse passata a poco a poco da sé. Prete Cirillo era una carcassa già sacra alla morte. Il tempo avrebbe distrutto a poco a, poco ciò che la forza di un uomo distrusse subito. Era dunque questione di mesi e di giorni, che scompariscono in un numero grande di anni e sono un nulla nel tempo senza fine. - Se al di là vi fosse veramente un Dio, - pensava a suo dispetto il barone, - il quale dal suo trono di cartone d'oro giudicasse di queste faccende, capisco ch'io starei fresco il giorno del giudizio; e nonavrei gusto di veder risorgere il mio prete dalla sua cisterna. Ma poiché io sono convinto che al di là non c'è nulla e che il cielo non è che una soffitta dove collochiamo le idee che non usiamo piú, di chi, di che avrò paura? delle ombre? dei sogni? del diavolo? delle baie dei preti? Dunque, da questa parte possiamo vivere in pace. Prete Cirillo non ha fatto che pagare un poco prima del tempo il suo debito alla natura, e se lo meritava un poco, perché egli era avaro, una sanguisuga dei poveri e in fondo non cercava che di strozzar me, pigliandomi per la gola nelle strette del bisogno. "U barone" aveva bisogno di ripetere queste cose per inchiodarsele indosso. - Tra me e lui si è combattuta la grande lotta per la vita. La vittoria, come sempre, fu del piú forte, vedi Carlo Darwin. "U barone" voltava la testa e pensava ancora: - Il pericolo, la paura, lo spavento terribile, il castigo eterno è che la faccenda caschi nelle mani della Polizia. La società ha troppo interesse nel rispetto del diritto, perché nonperseguiti con accanimento coloro che lo violano. Nel rispetto dei diritti e delle leggi ogni debole trova la sua difesa e la sua protezione, e l'egoismo di ciascuno viene a creare questo grande egoismo sociale che si chiama la legge. Ed egli cercava di inchiodarsi addosso anche questo: - È un morto pericoloso. Ma tu, - pensava soffiando il fumo verso il soffitto - tu hai provveduto con tutti i riguardi, e il signor commissario, i signori giornalisti, i signori gendarmi e il signor pubblico non saranno disturbati da te. La società è come le donne tradite, "occhio non vede, cuore non duole". E mentre la sua mente girava in questo circolo, sentiva a poco a poco il sangue scorrere piú regolarmente, il cuore battere con maggior pace e le idee diventare sempre piú lucide e precise. Quante altre paure e superstizioni non meno vane e inutili avevano turbata la sua infanzia, quando la Maddalena gli contava le storie dei maghi, dei folletti e dei morti che ballano nel cimitero! Noi siamo sempre un po' bambini sulle ginocchia della superstizione. - Animo! Vediamo il nostro conto. Scosse la testa, scosse la persona, si fregò la fronte ed incominciò a sciogliere il pacco dei denari. Il prete aveva portato, oltre al denaro per il contratto (circa quarantamila lire), molti titoli di rendita, e una lunga lista di numeri e d'indicazioni d'altre cartelle al portatore rappresentate da una polizza. - "U barone" non aveva che a presentarsi allo sportello del Banco, gettare la polizza e ritirare i titoli. Trovò insieme ai valori anche la ricevuta lasciata dal presidente del Sacro Monte a don Cirillo per saldo delle quindicimila lire che Santafusca doveva all'istituto. Il prete gli aveva anche risparmiato l'incomodo dì recarsi egli stesso dagli amministratori, e piú che l'incomodo, il fastidio di dover giustificare l'origine del denaro. Trovò anche una lettera di Vico Spiano che diceva: "Il mio amministratore mi ha parlato ieri della S.V., la quale sarebbe pronta a rilevare una ipoteca di lire diecimila che vanto sulla villa di Santafusca. Per conto mio non ho difficoltà a concederlo, ma ne parli col signor barone e col ragioniere Omboni..." Il barone pensò che questa circostanza poteva dar luogo a qualche indagine. Il marchese di Spiano era un uomo troppo distratto per occuparsi di affari, ma non doveva essere contrario a pigliare dei denari pronti e sicuri contro una ipoteca che non rendeva nulla. Se il prete gli aveva parlato dell'ipoteca e del suo desiderio di comperare la villa, nulla di piú naturale e di piú semplice che il marchese cercasse un giorno o l'altro di questo don Cirillo. Non trovandolo in Napoli (sulla lettera c'era l'indirizzo dei prete) avrebbe potuto pensare che Santafusca ne sapesse egli qualche cosa, e quindi gliene parlasse alla prima occasione. Era un forellino che bisognava otturare per rendere l'edificio della sua coscienza piú solido e piú sicuro. Come doveva fare? Due colpi secchi, che risonarono nell'uscio, lo fecero tutto a un tratto trasalire. - Chi è? - gridò con voce strozzata, stendendo le mani istintivamente sulle carte. - Volevo dire, eccellenza, che mezz'ora fa è stato a cercare di vossignoria un prete. Cosí la voce flebile e tremante di Maddalena dietro l'uscio. - Che prete? io non conosco preti... - gridò esagerando la voce "u barone". - Ha detto che tornerà. Successe a queste parole un gran silenzio. Maddalena si allontanò, strascinando le pianelle. Il barone era rimasto irrigidito colle dieci dita aperte e curve sul denaro. Chiuse le cartelle e i denari in un cassetto della scrivania, tranne qualche centinaio di lire che prese con sé per tentare la fortuna. Si vestí con pazienza, come soleva fare nelle grandi occasioni, avendo la cura di chiudere gli abiti da viaggio in un cassettone, dal quale levò la chiave. Chiuse l'uscio della camera, e mettendosi la chiave in tasca, disse a Maddalena: - Stanotte non torno a casa. - Non sprechi la sua salute, eccellenza - disse la buona vecchietta colla sua voce piagnucolosa. - Lascia fare a me. Domani ti porterò del denaro. E soffermatosi sulla soglia, dopo un istante di silenzio, soggiunse: - Non ti ha detto che cosa voleva quel prete? - Nulla mi ha detto. Il barone uscii. Erano le sette quando egli si accorse ancora di aver fame. Non aveva toccato cibo tutto il giorno, e ora si sentiva quasi le vertigini, le gambe e le braccia stracche... le braccia specialmente. Pensò di pranzare al caffè dell'Europa. Dieci minuti dopo un cameriere, lindo e lucido come un lord, attendeva i suoi comandi in una bella sala piena di specchi e rilucente di oro. Molti stranieri e qualche diplomatico finivano di pranzare a una tavola comune. In un vicino salotto i due sposini tedeschi susurravano parole dolci a una melarancia che stavano sbucciando, toccandosi fronte a fronte. L'assassino entrò con passo risoluto, coll'occhio altiero dell'uomo abituato a vincere, e andò a sedersi a un tavolino, accolto con rispettosa premura dal cameriere, azzimato anche lui come uno sposino. Il barone era conosciuto anche all'Europa come un uomo sempre piú splendido coi camerieri, quanto piú era grosso il debito ch'egli aveva col padrone. Scorse la lista dei piatti, segnò tre o quattro cose colla punta dei coltello e disse solamente: - Vino! L'aria calda, pregna di succhi odoranti, la bellezza del luogo, il bagliore dei cristalli e i primi fumi di un eccellente Médoc, finirono col trasportare "u barone" lontano dal suo prete. I pensieri cominciavano a uscire dalla loro fissazione e la "faccenda" si annebbiava nella memoria, come un sogno confuso all'entrare del mattino chiaro nella stanza. Alle dieci, dopo aver data un'occhiata al San Carlo, dove si rappresentava una discreta "Aida", si ricordò che l'Usilli l'attendeva al club. Fu ricevuto freddamente e quasi sdegnosamente dai pochi che sedevano ai tavolini; ma l'Usilli, che l'aveva preso sotto la sua protezione, disse a voce alta: - Amici, Santafusca è uomo onesto ed è venuto per vincere cento lire a me e per tentare ancora una volta la fortuna. Dice che ha il diavolo dalla sua... - Un diavolino... l'ultimo - disse il barone ridendo con isforzo, e suscitando l'ilarità di chi vinceva. Alle undici egli vinceva già diecimila lire. L'Usilli stuzzicato, caldo di smania, puntava come un matto e perdeva sempre. Davvero, c'era da credere alla leggenda del vecchio Faust. A un'ora dopo mezzanotte "u barone" giocava ancora... e vinceva.

Cerca

Modifica ricerca