Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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IL PAESE DI CUCCAGNA

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Serao, Matilde 1 occorrenze

Agli occhi esaltati delle fanciulle, delle madri, dei poveri, degli infelici, degli sventurati colpevoli, di tutti quei bisognosi di soccorso, di soccorso morale e materiale, quella apparizione di santi diventava fantastica: li vedean passare in una visione luminosa, dove l'argento dell'aureola, del volto, della persona, dava riflessi abbaglianti, dove il nome finiva per sparire e rimaneva tutta la lunga processione di quelle beate immagini. La folla, oramai, confusa, stordita, fremente di mistica impazienza, non riconosceva più il gruppo degli antichissimi santi del primo tempo di Napoli, sant'Aspreno, san Severo, sant'Eusebio, sant'Agrippino e sant'Attanasio, santi vecchissimi, un po'oscuri, un po'ignoti: rumoreggiò come tuono, quando apparvero le statue dei cinque Franceschi che vegliano intorno a san Gennaro, nel Succorpo: san Francesco di Assisi, di Paola, di Geronimo, Caracciolo, Borgia; urlò nuovamente quando apparve sant'Anna, la madre della Madonna, a cui, dice il popolo, nessuna grazia è negata, mai: nessuno si occupò molto di san Domenico, l'inventore del rosario, poiché nessuno nella confusione di quell'ora pomeridiana, riconobbe il fiero monaco spagnuolo, salvo il fosco impiegato dell'Intendenza, don Domenico Mayer, che era stato respinto contro una muraglia dalla folla, e che teneva il cappello a cilindro abbassato sugli occhi, le braccia conserte in atto fiero e tetro sul soprabitone nero, e una dolorosa smorfia di scetticismo gli piegava le labbra. I santi passavano, passavano, sboccando dalla gran volta nera del Duomo, avviandosi verso Forcella, un po' più presto, adesso, e la folla si agitava a destra e a sinistra, quasi volesse liberarsi dall'incubo di quella attesa. La processione dei santi era lì lì per finire, durando da quasi un ora per la lentezza dell'incesso, finiva con san Gaetano Thiene, con l'angelico san Filippo Neri, con i santi dottori Tommaso e Agostino, finiva con santa Irene, con santa Maria Maddalena de' Pazzi, con la grande santa Teresa, in estasi, tutta ardore, tutta passione, la magnifica santa di Avila, che morì in una combustione di amor divino. Quando i santi cessarono la loro sfilata e i primi canonici della cattedrale comparvero, vi fu un immenso movimento nella gente che aspettava. Tutti tendevano il capo per veder meglio, per non perdere una linea dello spettacolo religioso, e l'attenzione era anche indomabile commozione. Finirono anche i canonici, e finalmente, sotto il grande pallio di broccato gallonato, frangiato di oro, pallido, con il volto raggiante di una espressione profonda di pietà, con le labbra che mormoravano una preghiera, apparve il Pastore della chiesa napoletana. Otto gentiluomini tenevano alti i bastoni del pallio: otto chierichetti, intorno, agitavano i turiboli fumanti d'incenso: e l'arcivescovo, che era un principe della Chiesa, un cardinale, camminava solo sotto il baldacchino, lentamente, con gli occhi fissi sulle proprie mani congiunte: e da tutte le genti che affollavano le vie, i portici, i balconi, le finestre e le terrazze, da tutte le donne che pregavano, da tutti i bambini che balbettavano il nome di san Gennaro, non al pallio, non ai paramenti d'oro, non alla mitria gemmata, si guardava: ma si guardava alle ceree mani congiunte dell'arcivescovo, si guardava teneramente, entusiasticamente, piangendo, gridando, chiedendo grazia, chiedendo pietà, magnetizzando ciò che l'arcivescovo stringeva fra le mani, tremanti di sacro rispetto. Lì, lì, tutti gli sguardi, tutti i sospiri, tutte le invocazioni. Il cardinale arcivescovo di Napoli teneva fra le mani le ampolline, dove era conservato il Prezioso Sangue. Nella grande e bella chiesa di Santa Chiara, tutta bianca di stucco e carica di dorature, simile a un amplissimo salone regale, la folla aspettava il miracolo di san Gennaro. Non era ancora notte, ma migliaia di ceri, sull'altar maggiore, nelle cappelle, e specialmente agli altari della Madonna e dell'Eterno Padre, illuminavano la vasta chiesa, ricca ed elegante. Sull'altar maggiore, sopra la bianca finissima tovaglia, in un piatto d'oro, era esposta la testa di san Gennaro, con la mitria vescovile gemmata, con la faccia rivestita d'oro: e più in mezzo erano le due ampolline del Prezioso Sangue coagulato, esposto alla venerazione dei fedeli. Intorno intorno all'altar maggiore, dentro la balaustra di legno antico scolpito che separa l'altar maggiore e un grande spazio dal resto della chiesa, erano le quarantasei statue di argento, che fanno la guardia di onore alle reliquie di san Gennaro: e innanzi all'altar maggiore il cardinale arcivescovo, insieme coi canonici, officianti il santo patrono di Napoli perché volesse fare il miracolo: dentro la balaustra, accanto all'altar maggiore, un solitario, e favorito, e fortunato gruppo di vecchi e di vecchie, tutti vestiti di nero, con fazzoletti e cravatte bianche al collo, gli uomini a capo scoperto, le donne col velo nero sui capelli, il gruppo osservato, commentato, invidiato da tutti gli altri devoti, il gruppo dei parenti di san Gennaro, il gruppo che solo aveva il diritto di salire sull'altar maggiore, di vedere il miracolo a mezzo metro di distanza. Poi l'immensa folla: nella grande unica navata di Santa Chiara e in tutte le cappelle laterali, fin fuori le due grandi porte, fin sugli scalini, fin nel chiostro di Santa Chiara, donde gli ultimi arrivati si rizzavano sulla punta dei piedi, presi dal bagliore di quelle migliaia di cerei, cercando di vedere qualche cosa, tormentandosi invano per spingersi un passo innanzi, mentre non vi era posto più per nessuno. E tutti agitati, inquieti, dal cardinale arcivescovo che orava, inginocchiato innanzi all'altare, all'ultima, umile femminetta del volgo, tutti attendevano che il divo Gennaro compisse il miracolo. Fervorosamente, col capo abbassato sulla sedia che aveva dinanzi, con la ingenua pietà del suo cuore giovanile, Bianca Maria Cavalcanti pregava, in quell'appressamento del miracoloso istante: pregava san Gennaro nel nome del suo Prezioso Sangue, di dar la pace al cuor di suo padre, di dar la fede al cuore di Antonio Amati: e candidamente, nella grande, saggia, profonda bontà dell'anima sua, nulla chiedeva per sé, bastandole che il cuore turbato, ammalato, straziato di suo padre avesse la tranquillità, bastandole che nel forte e fermo cuore di Antonio Amati, accanto all'amore umano, entrasse la più alta tenerezza dell'amore divino. Ecco, fra poco si sarebbe compito uno dei più grandi miracoli della religione: non poteva san Gennaro fare il miracolo in quei cuori, che essa adorava con tutte le sue forze? Bianca Maria, con le guance insolitamente accese di un sottil foco, di un sottil rossore, pregava con una forza contenuta di mistico entusiasmo, con una passione nova che era entrata a far divampare la sua gelida vita. Sull'altar maggiore, con la faccia volta al cielo, e traspirante una immensa fede, con la voce tremante di una commozione invincibile, il cardinale arcivescovo aveva detto le preghiere latine, dedicate al divo protettore di Napoli: e tutta la folla aveva risposto un lungo e tonante amen; amen vevano risposto le monache patrizie di Santa Chiara, nascoste dietro le inaccessibili graticciate del grande coro e dei coretti. Dopo gli oremus, i furono due o tre minuti di profondo silenzio, e il soffio precursore delle grandi cose parve fosse passato su quel popolo orante. Il gruppo dei parenti di san Gennaro, sull'altar maggiore, intuonò il Credo, n italiano, con grande impeto, e tutta la chiesa continuò il Credo; finito il Credo, ue minuti di aspettativa, molto inquieti, per vedere se cominciava il miracolo. Ma fu ripreso subito un secondo, un terzo Credo, on tale vigorìa d'intonazione, come se tutto il popolo proclamasse di credere, giurasse di credere sulla propria coscienza, dandosi alla fede, nello spirito e nelle fibre, con un grande fragore; inginocchiato, col volto fra le mani, il cardinale arcivescovo orava ancora, in silenzio. Dietro a lui, impetuosamente, a brevissimi intervalli, intuonati dai parenti di san Gennaro, ripetuti da tutta la folla, i Credo ontinuavano, e qua e là, fra il rombo generale, spiccava qualche nota profondamente grave di cuor desolato, spiccava qualche nota acutissima di fibre tormentate… Io credo, ridava la popolazione, con uno schianto di voce in cui parea si rompessero mille speranze, mille voti, mille preghiere. Ah! anche Luisella Fragalà, seduta in un angolo della chiesa, accanto alla malinconica signora Parascandolo, credeva profondamente: tanto che nella piccola convulsione, che cresceva nei suoi nervi di creatura pietosa e religiosa, le lagrime già le scorrevano su le guance, in silenzio: e nella oscura previsione di una sventura che ella sentiva avanzarsi, avanzarsi, senza vederla, senza distinguerla, ma sentendola implacabile nel suo viaggio, ella chiedeva a san Gennaro la forza che egli ebbe nel suo atroce martirio, per sopportare il misterioso cataclisma che le sovrastava. Anche la signora Parascandolo pronunciava il Credo, nsieme col popolo, con voce fioca: ma nelle pause quasi paurose per la trepidazione del miracolo imminente, la povera signora, orfana di tutti i suoi figli, chiedeva a san Gennaro, perché le ottenesse una grazia, perché la togliesse dalla terra d'esilio, donde tutti i suoi figliuoli erano fuggiti, lasciandola sola, brancicante nell'ombra e nel freddo. E la felice madre della rosea e bruna Agnesina come la madre infelicissima, egualmente trafitte, una dal passato, l'altra dall'avvenire, ambedue domandavano, con le lacrime negli occhi, la forza per vincere, la forza per morire. Ma l'ansia del popolo pregante cominciò al quindicesimo Credo; e parole della fede suonavano squillanti, come una sfida gittata alla incredulità, ma portavano il tremore di non so quale ignota paura: la pausa fra un Credo l'altro si prolungava, gittando il popolo in un accasciamento d'attesa, che pareva ne troncasse i nervi: la ripresa era fatta entusiasticamente, quasi il gran sentimento rinascesse formidabile, come tutti i sentimenti delle folle. Le più furiose di passione mistica erano le vecchie dell'altar maggiore: ma dietro di loro, una vampa correva da un cuore all'altro, portando l'incendio divoratore anche nei molli, indolenti temperamenti, anche fra gli scettici che fremevano, quasi una rivelazione ancora oscura li avesse colpiti e si venisse chiarendo ai loro occhi. Al ventunesimo Credo, l silenzio dell'aspettazione ebbe qualche cosa di angoscioso. Tutti gli occhi andavano dalla testa del santo, giacente nel vassoio di oro, alle ampolline di cristallo trasparentissimo, dove si vedeva il grumo nerastro e duro del sangue. La testa scintillava nella sua mitria gemmata, nella sua maschera gialla d'oro, dai riflessi metallici, un po' lividi: il sangue era lì cagliato, una pietra che le preghiere non arrivavano a spezzare, e al ventiduesimo Credo, ntuonato con uno scoppio di collera, qualche grido si udì, di chiamata, di invocazione, disperatamente: - San Gennaro, san Gennaro, san Gennaro… Le febbrili preghiere recitate dal gran popolo orante nella chiesa di Santa Chiara, le preghiere che umilmente, nervosamente, convulsamente, invocavano il miracolo dal santo patrono di Napoli, erano pronunciate con grande fervore da due donne inginocchiate tra la folla, appoggiate coi gomiti alle sedie di paglia, col volto fra le mani, con tutto un abbandono dell'anima e della persona alla grazia che chiedevano. Donna Caterina la tenitrice di lotto clandestino e donna Concetta la strozzina, si erano votate in comune a san Gennaro, per un anello vescovile di oro massiccio, con una grossa pietra di topazio, se faceva loro la grazia di risolvere il loro cruccio: o cambiar il cuore dei due fidanzati, Ciccillo e Alfonso Jannaccone, rendendoli indulgenti alle speculazioni delle due sorelle, o cambiar il cuore delle due sorelle, distaccandolo dall'amor del denaro. Un anello, un anello, un anellone magnifico al miracoloso santo, se faceva quello spirituale miracolo: così pregavano, a bassa voce, ambedue, con lo stesso fervore, col capo abbassato, ripetendo monotonamente la loro offerta, levando ogni tanto i supplici occhi inondati di lacrime, sull'altar maggiore, dove il gran mistero era imminente. Ma il popolo era già dominato dalla paura di quel ritardo: provava il gran terrore che proprio in quell'anno, dopo due secoli e mezzo, il santo, sdegnato forse dei peccati della popolazione, si rifiutasse a fare quel miracolo, che è la pruova della sua benevolenza. E il Credo, ipreso dopo pause più lunghe, più profonde e quindi più emozionanti di silenzio, aveva qualche cosa di pauroso, di collerico quasi, sgorgava come un impulso disperato: ma soprattutto le voci delle vecchie sull'altar maggiore si facevano irose, spaventate, tremanti di dolore e di terrore - e in un silenzio, a un tratto, una di esse disse, con voce dove tremava una familiarità devota, uno scherzo umile e un'impazienza invincibile: - Vecchio dispettoso, ci vuoi far aspettare, eh! - San Gennaro, san Gennaro, san Gennaro! - urlò il popolo, eccitato bizzarramente. Laggiù, verso il fondo della chiesa, presso la muraglia dove dolcifica la vista coi suoi scialbi colori quella smorta e soave Madonna, che dicono sia di Giotto, la figura di don Pasqualino l' assistito ra tutta una preghiera: stava ritto, ma aveva la testa e le spalle piegate, in un atto di profondo ossequio, e quando, ogni tanto, stanco o ispirato, levava la faccia, guardando il cielo dorato e pitturato della chiesa, il bianco dell'occhio pareva stragrande, smisurato, e ogni colore era svanito sulle guance, dove un livido pallore andava crescendo. Attorno a lui, per un magnetico potere di attrazione, tutti coloro che credevano in lui e nelle sue visioni, si erano venuti raccogliendo: tutti turbati in volto, tutti in preda a una disperazione repressa che pure scoppiava sulle diverse fisonomie: tutti giunti in fondo a un abisso di dolore, poiché anche quel sabato aveva portato loro una delusione immensa, due ore prima, con l'estrazione dei numeri: tutti curvati sotto un rimorso mordente, sentendosi ognuno colpevole verso gli altri e verso sé stesso: il marchese di Formosa, curva, quasi decrepita la bella e nobile persona, sentendo l'onta della sua vita senza decoro, dove tutto periva, anche sua figlia, in un agonia di infermità e di miseria; Cesare Fragalà, la cui situazione commerciale sempre più si complicava, sentendo egli la freddezza dei suoi amici negozianti, dei suoi corrispondenti, sentendo la malinconia palese di sua moglie e le sue segrete apprensioni, e sperando sempre, e sempre invano, di accomodar tutto, con una grossa vincita; Ninetto Costa, pallido e sorridente, con gli occhi cerchiati dalle veglie e dalle preoccupazioni, pensando, ogni tanto, alla sua catastrofe, scegliendo, ogni tanto, mentalmente, fra la fuga disonorante e il colpo di rivoltella che non assolve, ma che pacifica; il barone Lamarra, grosso, grasso, floscio, maledicente i suoi sogni ambiziosi di pezzente risalito, fremente all'idea di quella cambiale, firmata da lui e da sua moglie; l'avv. Marzano, il cui dolce sorriso pareva quello di un ebete, e che ogni settimana aumentava le sue privazioni per poter giuocare, avendo cessato di fumare, di prender tabacco, di bere vino, avendo impegnato la sua cartella di pensione, essendo malamente complicato in equivoci affari; Colaneri e Trifari, il professore e il dottore, che non trovavano più studenti, e il primo specialmente, sentendo intorno a sé il sospetto, il discredito, temendo ogni mattina, quando entrava in iscuola, di esser cacciato via da un ordine superiore, di essere accoppato dagli studenti: tutti, tutti, in preda a quella desolazione del sabato sera, l'ora negra, l'ora terribile in cui solo la coscienza parlava, alta, dura, inflessibile. Eppure erano in chiesa, e i più indifferenti, i più increduli mormoravano qualche parola di preghiera: eppure erano ancora attorno all' assistito lo guardavano ardentemente a pregare, e si capiva in quell'attrazione che ancora li aveva vinti, in quegli sguardi bruciati, che, passata la dolorosa cogitazione di quel momento, di quell'ora, la passione attendeva per riprenderseli. Ah, ma quell'ora, quell'ora, in quella grande folla che esalava nella preghiera tutta la sua infelicità, era tremenda per essi, colpevoli, come la fatale notte di Getsemani fu tremenda al Grande Innocente. Disperati, tutti, fissavano l'altar maggiore dove ardevano i cerei e si riflettevano sulla metallica faccia del santo. - San Gennaro, san Gennaro, - urlava la gente, a ogni Credo he finiva. E lo sgomento che il miracolo non accadesse soffiava su quelle teste, scoppiava in quelle voci. Le parenti di san Gennaro erano convulse di dolore e di collera; si era giunti al trentacinquesimo Credo, 'ora passava, con una lentezza di minaccia: ed esse, sentendosi nel medesimo tempo offese dal ritardo del loro santo antenato, e disperate della sua collera, lo interpellavano così: - San Gennaro, faccia d'oro, non ci fare aspettare più! - Sei in collera, eh? Che ti abbiamo fatto? - Vecchio rabbioso, fa il miracolo al popolo tuo! Ed era inesprimibile il sentimento d'ira, di tenerezza, di devozione, di agitazione, che spirava in queste ingiurie, in queste pietose invocazioni. Dice la leggenda che san Gennaro ama molto di farsi pregare e non si sdegna delle parole che le sue parenti e il popolo gli dirigono, e l'emozione del popolo era tanta che, al trentottesimo Credo, versetti della preghiera furono detti disperatamente, come se ogni parola fosse strappata da uno strazio supremo e in fondo scoppiarono le grida: - Faccia verde! - Faccia gialluta! - Santo malamente! - Fa il miracolo, fa il miracolo. Il trentottesimo Credo u clamore: lo dicevano tutti, da un capo all'altro della chiesa, il cardinale, i preti, le vecchie parenti, uomini, donne bimbi, tutti, tutti, presi da un grande furore mistico. E a un tratto, nella pausa di immenso silenzio che susseguì alla preghiera, l'arcivescovo si voltò al popolo: la faccia del sacerdote, irradiata di una luce quasi divina, pareva trasfigurata: e la bianca mano, levata in alto mostrava al popolo l'ampollina: il Prezioso Sangue, nel sottilissimo involucro di cristallo, bolliva. Quale urlo! Ne parvero scosse le fondamenta dell'antica chiesa; ebbe echi così forti e lunghi, che sgomentarono i viandanti delle strade circonvicine; e parve che le sonore campane del campanile vibrassero sole; e il gran pianto, il gran singhiozzo di tutto il popolo inginocchiato, buttato a terra, singultante con la bocca sul freddo marmo, levante le braccia, dibattendosi sotto la grande visione del Sangue che bolliva, non ebbe termine. Come morte, giacevano prostrate sull'altar maggiore le vecchie parenti; una sola possente forza aveva piegato tutta la folla; era tutto un lamento, tutto un sussulto tutta una preghiera; ognuno in quel minuto lunghissimo diceva ad alta voce, fra le lacrime calde e il tremor della voce, la sua parola di dolore. Sull'altar maggiore l'arcivescovo e il clero, tutti in piedi, a voce spiegata, superante la gran voce dell'organo, cantavano il Te Deum.

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