Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbagliante

Numero di risultati: 4 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Mitchell, Margaret

221854
Via col vento 4 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Gli rivolse un piccolo cenno e un sorriso abbagliante; egli si inchinò con una mano sul petto. Levi, benché inorridito, si rimise rapidamente e urlò: - Scegliete le vostre dame! E l'orchestra intonò il reel più bello di tutti: «Dixie».

Pagina 206

Gli occhi piccoli e socchiusi per il sole abbagliante, osservavano tranquillamente la casa, da sotto la visiera del berretto azzurro. Scese lentamente e attorcigliò le redini sul pomo della sella; frattanto Rossella sentí che il respiro le ritornava, improvviso e doloroso come dopo aver ricevuto un colpo nello stomaco. Uno yankee, uno yankee con una lunga pistola al fianco! E lei era sola in casa con tre ammalate e due lattanti! Mentre egli percorreva il viale con la mano sulla pistola e guardando vivamente a destra e a sinistra, un caleidoscopio di immagini spaventose le passò dinanzi agli occhi: storie raccontate da zia Pittypat di attacchi a donne indifese, di gole tagliate, di case incendiate, di bambini sventrati; tutti gli indicibili orrori inseparabili dal nome di «yankee». Il suo primo impulso fu di nascondersi nel gabinetto, di scivolare sotto al letto, di fuggire per la scala posteriore e correre urlando verso la palude; qualunque cosa pur di sfuggirgli. Ma udí il suo passo guardingo sui gradini dell'ingresso, e la sua andatura pesante nel vestibolo; e comprese che ogni via di scampo era ormai preclusa. Irrigidita dallo spavento, lo udí passare di camera in camera a pianterreno, con passo che diventava sempre piú sicuro a misura che si accorgeva che la casa era deserta. Ora si trovava nella sala da pranzo; fra poco andrebbe in cucina. Al pensiero della cucina una rabbia subitanea invase Rossella. E lo spavento diede luogo a un furore strapotente. La cucina! Quivi, sul fornello, erano due casseruole: una piena di mele al forno e l'altra di minestrone fatto coi legumi portati faticosamente dalle Dodici Querce e dall'orto di Maclntosh; un pranzo che doveva servire per nove persone affamate ed era appena sufficiente per due. Rossella dominava il suo appetito da qualche ora, aspettando il ritorno degli altri; e il pensiero che lo yankee potesse divorare il loro magro pasto la fece tremare di collera. Dio li maledica tutti! Erano discesi come delle cavallette, distruggendo tutto, ed ora tornavano ancora per rubare i miseri rimasugli. Ah no, per Dio, ecco uno yankee che non ruberebbe piú nulla a nessuno! Si tolse l'altra scarpa e, a piedi scalzi, andò velocemente al cassettone senza neanche piú sentire il dolore della sua ferita. Aperse senza far rumore il cassetto superiore e afferrò la pesante pistola che aveva recata da Atlanta: l'arme che Carlo aveva portata, ma con la quale non aveva mai sparato. Frugò nella borsa di cuoio sospesa alla parete sotto la sua sciabola e trasse una cartuccia che insinuò nell'arme con mano che non tremava. Rapidamente e silenziosamente corse fuori dalla stanza e scese le scale reggendosi alla ringhiera con una mano e tenendo con l'altra la pistola fra le pieghe della gonna. - Chi va là? - chiese una voce nasale. Ed ella si fermò a metà delle scale, col sangue che le ronzava nelle orecchie in modo cosí violento che quasi non le faceva udire la voce dell'uomo. - Fermi, o sparo! - gridò ancora la voce. Era fermo sulla soglia della stanza da pranzo, con la pistola in una mano e nell'altra la cassettina da lavoro di legno rosa in cui erano il ditale d'oro, le forbicine e l'agoraio d'oro. Rossella sentí agghiacciarsi le gambe, ma l'ira le fece avvampare il volto. La scatola da lavoro di Elena in quelle mani! Volle gridare: «Posatela subito! Posatela subito, brutto...» ma le parole non uscirono. Rimase a guardarlo al di sopra della ringhiera e vide il suo volto mutare la sua espressione di turbamento e di tensione in un sorriso fra sprezzante e grazioso. - Dunque c'è qualcuno in casa - disse rimettendo la pistola nel fodero e attraversando il vestibolo fino a trovarsi proprio sotto a lei. - Tutta sola, bella signorina? Con la rapidità del lampo ella sollevó l'arme al di sopra della ringhiera in direzione del viso barbuto. Prima che egli potesse portare la mano alla cintura, Rossella fece scattare il grilletto. Il rinculo della pistola la fece indietreggiare, mentre il fragore dell'esplosione le riempiva le orecchie, e il fumo acre le penetrava nelle narici. L'uomo cadde all'indietro con una violenza che fece tremare il mobilio. La scatola gli sfuggí dalle mani spargendo attorno il contenuto. Senza neanche accorgersi di ciò che faceva, Rossella scese le scale di corsa e fu accanto a lui, guardando ciò che era rimasto di quel volto al di sopra della barba; un buco sanguinoso al posto del naso, gli occhi bruciati dalla polvere. Due rivoli di sangue cominciarono a scorrere sul pavimento, uno proveniente dal viso, l'altro dal capo. Era morto. Senza alcun dubbio. Aveva ucciso un uomo. Il fumo saliva in lente volute al soffitto e il rigagnolo rosso si allargava. Per un tempo incalcolabile ella restò immobile, e nel calore della mattina d'estate ogni minimo rumore e profumo sembrò ingigantire: il battito del suo cuore, il fruscio delle foglie di magnolia, il lontano lamento di un uccello di palude, la lieve fragranza dei fiori fuori della finestra. Aveva ucciso un uomo, lei che non era mai rimasta sino al termine di una caccia, che non sopportava le stride dei maiali al macello, il guaito di un coniglio in trappola. «Ucciso!» pensò stupidamente. «Ho commesso un assassinio. È impossibile.» I suoi occhi corsero alla mano tozza e vellosa che posava sul pavimento, vicino alla scatola da lavoro, e improvvisamente ebbe la sensazione di essere nuovamente viva, viva gioiosamente, di una fredda gioia da figlie. Avrebbe affondato con piacere il tallone nella larga ferita che era al posto del naso di quell'uomo, e il sangue caldo sul piede nudo le avrebbe dato piacere. Aveva colpito per vendicare Tara... ed Elena. Sul pianerottolo superiore udí un calpestio affrettato e incerto; poi una pausa; quindi nuovi passi, lenti e strascicati, accompagnati da un rumore metallico. Riprendendo coscienza del momento e del luogo, Rossella alzò gli occhi e vide in cima alla scala Melania vestita solo dell'accappatoio cencioso che funzionava da camicia da notte; il suo debole braccio era tirato in basso dal peso della sciabola di Carlo. Gli occhi di Melania afferrarono la scena nel suo insieme; il corpo vestito di azzurro nella pozza di sangue, la scatola da lavoro, Rossella scalza e pallida con la pistola stretta nella mano convulsa. I suoi occhi incontrarono quelli di Rossella. Un raggio di orgoglio feroce illuminava il suo volto generalmente dolce; nel suo sorriso era un'approvazione e una gioia che uguagliavano il tumulto che agitava il seno della giovine temeraria. «È come me!» pensò Rossella. «Comprende i miei sentimenti! Avrebbe fatto lo stesso!» Con un brivido, guardò la fragile donna per la quale non aveva mai provato che disprezzo e antipatia. Ora, lottando contro l'odio per la moglie di Ashley, nasceva in lei un sentimento di ammirazione e di camerateria. In un lampo, si accorgeva che sotto la voce gentile e gli occhi di colomba di Melania si celava una lama d'acciaio infrangibile; e sentí pure che nel sangue tranquillo di Melania erano squilli e fanfare di intrepido ardimento. - Rossella! Rossella! - gridarono le voci sgomente di Carolene e di Súsele, soffocate dall'uscio chiuso; e la vocetta di Wade urlò: - Zietta! Zietta! - Melania pose rapidamente un indice sulle labbra e posando la sciabola sul primo gradino, attraversò faticosamente il pianerottolo e aperse la porta delle ammalate. - Non abbiate paura, bambine! - La sua voce era scherzosa. - Vostra sorella ha voluto pulire la pistola di Carlo e involontariamente ha fatto partire un colpo che le ha fatto una paura terribile!... Pensa, Wade, che la mamma ha sparato con la pistola del tuo papà! Quando sarai grande, sparerai anche tu. «Con che freddezza sa mentire!» pensò Rossella con ammirazione. «Io non avrei avuto l'idea... Ma perché mentire? Bisogna che sappiano quello che ho fatto.» Guardò nuovamente il corpo; ora la sua ira e il suo terrore svanivano e la reazione le faceva vacillare le ginocchia. Melania si trascinò nuovamente sino alla sommità della scala e cominciò a scendere reggendosi alla ringhiera, mordendosi il pallido labbro inferiore. - Torna a letto, sciocca; ti ammazzerai! - esclamò Rossella; ma Melania la raggiunse nel vestibolo. - Rossella - bisbigliò - dobbiamo portarlo fuori e seppellirlo. Non può essere che sia solo; e se lo trovano qui... - Dev'essere solo - replicò Rossella. - Non ho visto nessun altro dalla finestra. Sarà uno sbandato. - Anche se è solo, bisogna che nessuno sappia... I negri potrebbero parlare, e tu potresti essere arrestata. Dobbiamo nasconderlo prima che gli altri tornino dalla palude. Spinta ad agire dall'insistenza di Melania, Rossella rifletteva. - Potrei seppellirlo nell'angolo del giardino, sotto il noce... Il terreno dev'essere morbido, perché Pork ha scavato per dissotterrare il bariletto di whisky. Ma come portarlo fin là? - Prendiamo una gamba per ciascuna e trasciniamolo - disse Melania con fermezza. L'ammirazione di Rossella aumentò. - Tu non puoi - riprese. - Lo trascinerò io. Torna a letto. Ti ammazzerai. Non tentare di aiutarmi, altrimenti ti porto su in braccio. Il volto pallido di Melania abbozzò un sorriso di comprensione. - Sei molto buona, Rossella - e le sfiorò la guancia con le labbra. Poi, prima che Rossella si fosse riavuta dalla sorpresa, proseguí - Se tu puoi trascinarlo da sola, io pulirò intanto il... sí, il pavimento prima che gli altri tornino a casa; e... senti... - Di'? - Credi che sarebbe... disonesto frugare nella sua giberna? Potrebbe esservi qualcosa da mangiare. - Hai ragione - rispose Rossella, seccata di non avere avuto lei stessa quell'idea. - Tu guarda nella giberna; io esaminerò le tasche. Chinandosi sul morto con disgusto, finí di sbottonargli la tunica e cominciò sistematicamente a frugare nelle tasche. - Dio mio! - mormorò tirando fuori una saccoccia rigonfia avvolta in uno straccio. - Melania... Melly, questa è piena di denaro! Melania non rispose, ma sedette a un tratto sul pavimento e si appoggiò alla parete. - Non badarci - mormorò - mi sento un po' debole. Rossella tolse il cencio e allargò le pieghe del cuoio con mano tremante. - Guarda, Melly... guarda! Melania guardò e i suoi occhi si dilatarono. Ficcate dentro alla rinfusa erano una quantità di banconote degli Stati Uniti, insieme a denaro della Confederazione, e in mezzo a quelle erano una moneta d'oro di dieci dollari e due da cinque. - Non metterti a contare adesso - riprese Melania mentre Rossella cominciava a sfogliare i biglietti di banca. - Non abbiamo il tempo... - Capisci, Melania, che questo denaro significa che potremo mangiare? - Sí, cara. Lo so; ma ora non abbiamo tempo. Guarda nelle altre tasche mentre io frugo nella giberna. Le tasche dei calzoni contenevano soltanto un mozzicone di candela, un temperino, una borsa da tabacco e un pezzo di spago. Melania trasse dalla giberna un pacchetto di caffè che annusò come se fosse il piú soave dei profumi, un rimasuglio di galletta e la miniatura di una bambina in una cornicetta d'oro ornata di perline, una spilla di granati, due larghi braccialetti d'oro, due catenelle e un ditale anche d'oro, una tazza d'argento da bambino, un anello con un solitario, un paio di forbici d'oro e un paio di pendenti di brillanti a forma di pera che anche ai loro occhi inesperti sembrarono essere non meno di un carato ciascuno. - Un ladro! - mormorò Melania ritraendosi con ribrezzo. - Deve aver rubato tutto questo! - Senza dubbio. Ed era venuto qui sperando di rubare ancora qualche altra cosa. - Hai fatto bene a ucciderlo - e i dolci occhi di Melania s'indurirono. - Ma ora bisogna sbrigarsi. Rossella si chinò e afferrò i piedi del morto. Ma com'era pesante e come si sentí improvvisamente debole! E se non riuscisse a smuoverlo? Si volse di spalle e mettendosi sotto le braccia quei piedi, cominciò a tirare. Il suo piede ammalato che nell'eccitazione aveva dimenticato, ora le dava una sofferenza che le faceva stringere i denti, costringendola a portare tutto il proprio peso sul calcagno. Sforzandosi e sudando riuscí a trascinarlo per tutto il vestibolo, lasciandosi dietro una traccia rossa. - Se fa sangue nel cortile, non potremo nasconderlo - disse rabbrividendo. - Dammi il tuo accappatoio, Melania, glie lo avvolgerò intorno alla testa. Il volto pallido di Melania divenne vermiglio. - Non fare la sciocca, nessuno ti guarda. Se io avessi una sottoveste o delle mutandine, le adoprerei. Accoccolandosi presso la parete, Melania si sfilò l'accappatoio cencioso e lo porse a Rossella, cercando di coprirsi il seno alla meglio con le braccia. «Meno male che io non ho tanto pudore» pensò Rossella sentendo piú che vedere, l'imbarazzo di Melania, mentre ella avvolgeva la tela attorno al viso in poltiglia. Riuscí a trascinare il corpo fino al porticato posteriore e, fermandosi per asciugarsi la fronte col dorso della mano, diede un'occhiata verso Melania che era rannicchiata contro la parete con le ginocchia piegate contro il petto nudo. «Era proprio il momento di stare a pensare al pudore!» disse fra sé Rossella; ma subito dopo si vergognò. Dopo tutto... dopo tutto Melania si era trascinata fuori dal letto per venire in suo aiuto con un'arme troppo pesante per lei. C'era voluto del coraggio, quella specie di coraggio che Rossella riconosceva lealmente di non possedere; quel coraggio tutto d'un pezzo che aveva caratterizzato Melania nella terribile notte della resa di Atlanta e durante il lungo viaggio verso casa. Era l'intangibile, incrollabile coraggio dei Wilkes, qualità che Rossella non possedeva, ma a cui rendeva omaggio. - Torna a letto - le disse voltandosi. - In questo modo arrischi la vita. Pulirò io dopo averlo sepolto. - Ma no; strofinerò con uno di quei tappeti vecchi - sussurrò Melania guardando la pozza di sangue col viso sconvolto. - Ah, be', se vuoi proprio star male, io poi non verrò a curarti! Piuttosto, se qualcuno ritorna prima che io abbia finito, trattienilo in casa e digli che il cavallo è venuto qui non si sa da dove. Melania rimase rannicchiata contro la parete e si coperse le orecchie per non udire la serie di colpi prodotti dalla testa del morto che batteva contro i gradini. Nessuno domandò da dove era venuto il cavallo; era ovvio che fosse un superstite della recente battaglia e tutti furono troppo contenti di averlo. Nessuno spettro si levò dalla tomba scavata da Rossella per spaventarla durante le lunghe notti in cui la stanchezza le impediva di dormire. Nessun sentimento di orrore o di rimorso l'assaliva; e ciò la stupiva perché ella sapeva che fino a un mese prima sarebbe stata incapace di quel gesto. La graziosa e giovane signora Hamilton, con le sue fossette e i suoi pendenti sempre in moto, che riduceva in poltiglia il viso di un uomo e poi lo seppelliva in una fossa scavata frettolosamente! Rossella sogghignò pensando alla costernazione che una simile idea avrebbe dato a coloro che la conoscevano. - Non voglio piú ricordarmene - decise. - Oramai la cosa è fatta e sarei stata molto stupida se non l'avessi ammazzato. Ma credo di essere cambiata parecchio da quando sono tornata a casa, altrimenti non avrei potuto. Era effettivamente cambiata piú di quanto non immaginasse, e la corazza che aveva cominciato a formarsi attorno al suo cuore quel giorno in cui ella giaceva nell'orto degli schiavi alle Dodici Querce, si andava a poco a poco indurendo. Ora che aveva un cavallo, Rossella poteva pensare a informarsi di quel che fosse accaduto ai vicini. Da quando era arrivata a casa si era chiesta disperatamente mille volte: «Ma siamo proprio i soli rimasti nella Contea? Tutto è stato incendiato, tutti si sono rifugiati a Macon?» Con la memoria fresca della rovina delle Dodici Querce e delle abitazioni dei MacIntosh e degli Slattery, aveva paura, quasi, di apprendere la verità. Ma era meglio sapere il peggio che ignorarlo. Decise quindi recarsi prima alla casa dei Fontaine, non perché fossero i piú vicini, ma perché poteva esservi il vecchio dottor Fontaine; e Melania aveva bisogno di un medico. Non si andava rimettendo come avrebbe dovuto e Rossella era spaventata del suo pallore e della sua debolezza. Non appena il suo piede le permise d'infilare una scarpina, ella montò quindi il cavallo dello yankee. Con un piede in una staffa accorciata e l'altra gamba di traverso sul pomo della sella, ella si avviò attraverso i campi, verso Mimosa. Con sua sorpresa e piacere vide che la casa giallo-pallido era ancora ritta fra gli alberi di mimosa. Una felicità che le fece quasi venire le lagrime la invase quando vide uscire dalla casa le tre signore Fontaine che le diedero il benvenuto con baci ed esclamazioni di gioia. Ma quando i primi saluti affettuosi furono scambiati, e tutte si riunirono nella sala da pranzo, Rossella ebbe un brivido. Gli yankees non erano arrivati a Mimosa, perché questa era lontana dalla strada principale; perciò i Fontaine avevano ancora la loro casa e le loro provviste. Ma a Mimosa regnava lo stesso strano silenzio che opprimeva Tara e tutta la regione. Tutti gli schiavi, ad eccezione di quattro serve, erano fuggiti, spaventati dall'avvicinarsi degli yankees. Non un uomo in casa a meno che non si volesse calcolare come tale il bambino di Sally, il piccolo Joe appena fuori dalle fasce. Nella grande casa erano sole la nonna Fontaine, ormai settantenne, sua nuora che era sempre stata chiamata la signora giovane, benché avesse compiuto i cinquant'anni, e Sally che ne aveva appena compiuto venti. Quantunque isolate e prive di qualsiasi protezione, non mostravano terrore; probabilmente, - pensò Rossella - perché Sally e la signora giovane troppo temevano l'indomabile nonna che aveva sempre avuto occhi e lingua ugualmente acuti, per osare lamentarsi. Fra le tre donne non esisteva parentela di sangue, ed esse erano di età assai diversa; ma pure erano unite da un legame di spirito e di esperienza. Tutte portavano abiti neri tinti in casa, tutte erano tristi, preoccupate e amareggiate; ma questi sentimenti non trapelavano dai loro sorrisi e dalle loro parole. I loro schiavi erano fuggiti, il loro denaro non valeva nulla, il marito di Sally era morto a Gettysburg e anche la signora giovane era vedova, essendo il giovane dottor Fontaine morto di dissenteria a Vicksburg. Gli altri due ragazzi, Alex e Toni, erano nella Virginia; e nessuno sapeva se erano vivi o morti; il vecchio dottor Fontaine era rimasto con la cavalleria di Wheeler. - E quel vecchio pazzo, a settantatré anni cerca di fare il giovinotto benché sia pieno di reumatismi - disse la nonna, fiera di suo marito, con gli occhi che smentivano le parole aspre. - Sapete nulla di ciò che sta succedendo ad Atlanta? - chiese Rossella dopo che si furono messi a sedere. - Noi a Tara siamo completamente privi di ogni notizia. - Qui siamo nella stessa condizione, figliola - rispose la vecchia. - Sappiamo soltanto che Sherman si è finalmente impadronito della città. - Ed ora che sta facendo? Dove sta combattendo? - Come vuoi che tre povere donne isolate in campagna sappiano qualche cosa della guerra, quando da settimane non abbiamo visto né una lettera né un giornale? - replicò la vecchia aspramente. - Uno dei nostri negri ha parlato con un altro che ne aveva visto un terzo che era stato a Jonesboro. Hanno detto che gli yankees si erano acquartierati ad Atlanta per far riposare uomini e cavalli; ma non so se sia vero. - Pensare che eravate a Tara e non lo sapevamo! - esclamò la signora giovane. - Come mi rimprovero di non essere mai venuta a vedere! Ma qui c'è tanto da fare dopo che i negri sono andati via, che non mi sono mai potuta muovere. Avrei pur dovuto trovare il tempo; era un dovere. In verità credevamo che gli yankees avessero bruciato Tara, come hanno fatto per le Dodici Querce e per la casa di MacIntosh, e che i vostri si fossero rifugiati a Macon. Non immaginavamo mai che voi, Rossella, foste tornata. - E come potevamo pensare diversamente, se i negri del signor O'Hara, quando passarono di qui, erano tutti spaventati e ci dissero che gli yankees stavano per incendiare Tara? Una sera, poi, vedemmo i riflessi del fuoco da quella parte, e durarono per delle ore; e i nostri stupidi schiavi si spaventarono tanto che fuggirono. Che cosa fu bruciato? - Tutto il nostro cotone: un valore di centocinquantamila dollari - rispose Rossella amaramente. - Ringrazia Dio che non abbiano bruciato la tua casa - replicò la nonna, appoggiando il mento al suo bastone. - Il cotone si può coltivare ancora, mentre la casa non si ricostruisce. A proposito, avete cominciato a raccogliere il cotone, voialtri? - No, - rispose Rossella; - ma è quasi tutto rovinato. Non credo che ve ne sia piú di tre balle. E poi, tutti i nostri negri-contadini se ne sono andati e non c'è nessuno per raccoglierlo. - Dio mio, tutti i contadini andati via e nessuno per raccoglierlo! - scimmiottò la nonna, lanciando a Rossella uno sguardo satirico. - E le tue belle manine, e quelle delle tue sorelle? - Io raccogliere il cotone? - esclamò Rossella inorridita, come se la nonna avesse suggerito un delitto. - Come una contadina? Come una stracciona? Come le donne di Slattery? - Straccioni! Dio mio, com'è delicata e signorile questa generazione! Ti dirò che quando io ero una bambina, mio padre perse tutto il suo patrimonio, e io non ebbi paura di lavorare con le mie mani, anche nei campi, finché papà non mise assieme abbastanza denaro per comprare degli altri schiavi. Ho zappato la terra, ed ho raccolto il cotone, e se sarà necessario, lo farò ancora. - Ma allora - esclamò la nuora lanciando sguardi imploranti alle due ragazze perché la aiutassero a lisciare le penne rabbuffate della vecchia, - erano altri tempi, e adesso tutto è cambiato! - I tempi non cambiano mai quando c'è bisogno di lavorare - affermò la vecchia senza lasciarsi addolcire. - Ed io mi vergogno per te, Rossella, di sentirti parlare come se il lavoro onesto fosse una cosa indegna. Per cambiare argomento Rossella si affrettò a chiedere: - E che notizie dei Tarleton e dei Calvert? Si sono rifugiati a Macon? Hanno avuto la casa incendiata? - Gli yankees non sono arrivati a casa Tarleton, perché come la nostra, è lontana dalla strada maestra; ma sono andati dai Calvert e hanno rubato tutte le provviste e il pollame, e hanno fatto fuggire tutti i negri. Era Sally che aveva cominciato a parlare, ma la nonna l'interruppe. - Sicuro! Promisero a tutte le negre abiti di seta e orecchini d'oro! E Catina Calvert ha raccontato che alcuni soldati son partiti portando in groppa delle stupide negre. I risultati saranno dei bambini gialli, e non credo che il sangue yankee migliorerà. - Oh, mamma! - Non fare quella faccia scandalizzata, Giovanna. Siamo tutte maritate, no? E Dio sa che abbiamo visto dei bambini mulatti anche prima di ora! - Come mai non hanno bruciato la casa dei Calvert? - La casa è stata salvata per gli sforzi combinati della seconda signora Calvert e di quel suo sorvegliante yankee, Hilton - rispose la vecchia signora, la quale parlava sempre della ex- governante come della o seconda signora Calvert» benché la prima fosse oramai morta da venti anni. «Noi siamo simpatizzanti con l'Unione» - continuò con voce nasale e strascicata rifacendo l'accento yankee. Ed affermò che tutti i Calvert erano yankees. Pensare che il signor Calvert è morto nel Wilderness! E Raiford a Gettysburg e Cade è nella Virginia, con l'esercito! Catina era cosí mortificata che avrebbe preferito che la casa fosse incendiata! Disse che Cade diventerebbe idrofobo il giorno in cui, tornando a casa, venisse a saperlo. Ma questo è ciò che accade quando un uomo sposa una yankee: né orgoglio né dignità; non pensano che alla loro pelle... Ma come mai non hanno incendiato Tara, Rossella? Per un attimo Rossella tacque. Sapeva che la domanda seguente sarebbe: «E come state tutti? Come sta la cara mamma?» E non poteva, no, non poteva dire che Elena era morta. Sapeva che se avesse pronunciato quella parola dinanzi a quelle donne simpatiche sarebbe scoppiata in lagrime; e non doveva piangere. Non aveva pianto da quando era arrivata a casa; ed era certa che se aprisse la via alle lagrime, tutto il suo coraggio svanirebbe. Ma capiva anche che se taceva, le Fontaine non le perdonerebbero mai di aver loro nascosto quella notizia. - Suvvia, parla - proseguí con asprezza la vecchia. - Non lo sai? - Ecco: io sono arrivata a casa l'indomani della battaglia - rispose in fretta - e gli yankees erano andati via. Il babbo mi disse che... non avevano bruciato la casa perché Súsele e Carolene stavano tanto male che non si poteva trasportarle altrove. - È, la prima volta che sento dire che uno yankee si è comportato come si deve. - La vecchia signora sembrava si rammaricasse di dovere riconoscere un sentimento umano negli invasori. - E ora come stanno le ragazze? - Molto meglio; ma sono debolissime. - Poi, vedendo la domanda sulle labbra della vecchia signora, si affrettò a cambiare conversazione. - Volevo appunto... volevo chiedervi se potete prestarci qualche cosa da mangiare. Gli yankees hanno distrutto tutto, come uno stormo di cavallette. Ma se siete poco provviste, ditemelo francamente e... - Manda Pork con un carretto e ti daremo la metà di quello che abbiamo: riso, farina, prosciutto, qualche pollo. - No, questo è troppo! Io... - Non una parola! Non voglio sentirla. Altrimenti, perché si sarebbe vicini? - Siete cosí buona che non so... Ma ora debbo andare. A casa saranno preoccupati di non vedermi ancora tornare. La nonna si alzò bruscamente e prese Rossella per un braccio. - Voi due rimanete qui - disse alle altre. - Debbo dire una parola a Rossella. Aiutami a scendere gli scalini, Rossella. La signora giovane e Sally salutarono Rossella, promettendo di andare presto a trovarla. Erano divorate dalla curiosità di sapere di che cosa dovesse parlare la nonna; ma sapevano che questa non lo avrebbe mai detto. Con la mano sulla briglia del cavallo, Rossella attendeva, col cuore angosciato. - Ora dimmi: - cominciò la vecchia - che cosa c'è che non va bene a Tara? Che cosa ci nascondi? Rossella fissò gli occhi acuti che la guardavano e comprese che potrebbe parlare senza piangere. Nessuno piangeva dinanzi alla nonna Fontaine, a meno che non ne avesse il permesso da lei. La mamma è morta - disse piano. La mano appoggiata al suo braccio si strinse e le palpebre grinzose ebbero un battito. - L'hanno uccisa gli yankees? - È morta di tifo. Il giorno prima del mio arrivo. - Non ci pensare. - La voce era severa; e Rossella vide che la nonna inghiottiva con sforzo. - E tuo padre? - Il babbo è... il babbo non è piú lo stesso. - Che vuoi dire? È ammalato? - Il colpo... è cosí stranito... non è... - Non dirmi che non è piú in sé. Il colpo gli ha toccato il cervello? Fu un sollievo per lei udire enunciare cosí schiettamente la verità. Com'era buona la vecchia a non dirle parole di simpatia che l'avrebbero fatta piangere! - Sí - rispose con tristezza - ha perduto il senno. Sembra come addormentato e a volte non si ricorda che la mamma è morta. Rimane delle ore ad aspettarla pazientemente, lui che era cosí impaziente! Ma è peggio quando si ricorda... Improvvisamente balza in piedi e corre fuori di casa, fino al nostro cimitero. Ritorna trascinandosi, con gli occhi pieni di lagrime e dice: «Caterina Rossella, la mamma è morta. La mamma è morta». E lo ripete all'infinito, tanto che mi par di impazzire. Di notte, qualche volta, sento che la chiama; allora scendo dal letto e vado a dirgli che è andata a trovare uno schiavo ammalato. E lui brontola perché dice che si strapazza sempre per curare gli altri. È difficile farlo tornare a letto: è come un bambino. Come vorrei che il dottor Fontaine fosse qui! So che farebbe qualche cosa per il babbo. E anche Melania ha bisogno del medico. Non si è rimessa come dovrebbe dopo il parto e... - Melly... un bambino? Ed è con te? - Sí. - E perché non è a Macon con sua zia e i suoi parenti? Non mi pareva che tu avessi gran simpatia per lei, benché fosse sorella di Carlo. Andiamo, via, raccontami. - È un po' lungo, nonna Fontaine. Non volete rientrare in casa e mettervi a sedere? - Posso stare in piedi - fu la breve risposta. - E se racconti la storia dinanzi alle altre, si mettono a piangere e ti fanno commuovere e dopo ti senti male. Avanti, racconta. Rossella cominciò semplicemente a narrare l'assedio e lo stato di Melania; e mentre andava avanti, trovava negli occhi che la fissavano le parole di sgomento e di orrore che da principio le erano mancate. Tutto le tornò in mente: il calore estenuante della giornata in cui era nato il bimbo, il terrore, la fuga, l'abbandono di Rhett. Parlò dell'oscurità della notte, dei fuochi che potevano essere di amici o di nemici, degli uomini e dei cavalli morti che aveva incontrato lungo la strada, delle rovine fumiganti, della fame, della desolazione, della paura che anche Tara fosse bruciata. - Credevo che arrivando a casa avrei deposto il tremendo fardello. Credevo che mi fosse già accaduto quanto di peggio poteva accadere; ma quando seppi che era morta, compresi che cosa era veramente il peggio. Abbassò gli occhi e attese che la nonna dicesse una parola. Il silenzio era cosí prolungato che temette di non essere stata compresa. Finalmente udí la voce; parlava con un tono di bontà assolutamente nuovo. - Figliuola, è male per una donna trovarsi di fronte al peggio che le può accadere, perché dopo di questo non ha piú paura di nulla. Ed è male, per una donna, non aver paura di nulla. Credi che non capisca tutto quello attraverso cui sei passata? Ho capito benissimo. Avevo circa la tua età quando avvenne la rivolta degli indiani, dopo il massacro del Forte Mims... - la sua voce era stranamente lontana - e riuscii a nascondermi fra i boschi e vidi la nostra casa incendiata e i miei fratelli e sorelle scotennati dagli indiani. E io non potevo fare altro che supplicare il Cielo perché la luce delle fiamme non rivelasse il mio nascondiglio. Trascinarono fuori mia madre e la uccisero a pochi metri dal luogo dove io ero sdraiata nel sottobosco. E anche a lei tolsero il cuoio capelluto; e ogni indiano le ficcava il suo tomahawk nel cranio. Io ero la beniamina della mamma... e vidi tutto questo. La mattina mi avviai all'accampamento piú vicino, che era a circa trenta miglia. Mi ci vollero tre giorni, attraverso le paludi e gli indiani; i nostri, quando li trovai, mi credettero pazza... Là conobbi il dottor Fontaine, che si occupò di me. Sono passati cinquant'anni; e da allora non ho mai piú avuto paura di nulla, perché sapevo che nulla di peggio potrebbe ormai accadermi. Dio vuole che le donne siano creature timide; in una donna che non ha paura è qualche cosa di innaturale... Rossella, cerca che ti rimanga sempre qualche cosa di cui temere... e cerca che ti rimanga qualche cosa da amare... Tacque e rimase con gli occhi fissi, come se rivedesse il giorno in cui aveva avuto paura, mezzo secolo prima. Rossella si mosse impaziente. Aveva creduto che la nonna l'avrebbe compresa e forse l'avrebbe aiutata a risolvere i suoi problemi. Ma, come tutti i vecchi, si era messa a parlare di cose avvenute tanto e tanto tempo prima; cose che non interessavano nessuno. Si pentí di essersi confidata a lei. - Ora vai, bambina; altrimenti a casa staranno in pensiero - riprese a un tratto la vecchia signora. - Manda Pork col carretto oggi nel pomeriggio... E non credere di poter deporre il tuo fardello, perché non lo puoi. Lo so.

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Quel periodo era adatto a lei: magnifico, abbagliante, pieno di donne ben vestite, di case ben arredate, di troppi gioielli, troppi cavalli, troppi cibi, troppo whisky. Qualche volta ella si fermava per un attimo a riflettere che nessuna delle sue nuove conoscenze sarebbe stata chiamata «signora» secondo la stretta regola di Elena. Ma troppe volte ella aveva rinunciato alle regole di Elena, dal giorno in cui, nel salotto di Tara, aveva deciso di diventare l'amante di Rhett; ed ora la coscienza le rimordeva assai raramente. A rigor di termini, questi nuovi amici non erano dei signori; ma erano cosí divertenti! Assai piú dei sottomessi, devoti lettori di Shakespeare che erano stati suoi amici nei primi tempi del suo soggiorno ad Atlanta. E, ad eccezione della sua breve luna di miele, ella non aveva davvero avuto occasione di divertirsi. Né si era mai sentita cosí a posto. Adesso, con la vita assicurata, il desiderio di ballare, giocare, gozzovigliare, vestirsi di seta e di raso, coricarsi tra cuscini di piume e damaschi era diventato prepotente. Incoraggiata dalla tolleranza di Rhett, libera da costrizioni e da timori, si permetteva il lusso - che spesso aveva sognato - di fare tutto ciò che le piaceva e di mandare all'inferno le persone che le erano antipatiche. In breve la sua impertinenza non conobbe limiti. Ella non esitava a mostrarsi arrogante coi suoi nuovi amici; ma era sopratutto sgarbata e insolente con gli ufficiali yankee della guarnigione e con le loro famiglie. Queste erano, nell'eterogenea massa di gente che aveva invaso Atlanta, le sole persone che ella rifiutava di ricevere e di tollerare. Per lei le uniformi azzurre e i bottoni d'oro significavano sempre il terrore dell'assedio, della fuga, del saccheggio, e degli incendi, la disperata miseria e il lavoro estenuante di Tara. Ora che era ricca e sicura, con l'amicizia del Governatore e di eminenti repubblicani, poteva essere insultante verso gli yankees, e lo era. Una volta Rhett le fece notare che la maggior parte degli ospiti che si riunivano sotto il loro tetto aveva indossato fino a poco tempo prima la stessa uniforme: ma ella replicò che uno yankee sembrava tale soltanto quando era in divisa azzurra, alla qual cosa Rhett ribatté: - Stabilità, tu non sei che una parola! Anche le signore che Rossella tollerava, dovevano sopportare non poche impertinenze da lei. Ma lo facevano volentieri, perché essa rappresentava per loro non solo la ricchezza e l'eleganza, ma il vecchio regime coi suoi nomi e le sue tradizioni alle quali esse desideravano ardentemente potersi identificare. Le vecchie famiglie per cui esse spasimavano, avrebbero sconfessato Rossella, ma le signore della nuova aristocrazia lo ignoravano. Sapevano soltanto che il padre di Rossella era stato un grande proprietario di schiavi, la madre una Robillard di Savannah e suo marito era Rhett Butler di Charleston. E questo per loro bastava. Essa rappresentava un punto di contatto con la vecchia società nella quale esse desideravano rientrare; quella società che le disprezzava, non restituiva le visite e rispondeva freddamente al saluto. Signore di princisbecco, non si accorgevano che anche Rossella era di princisbecco; ma la consideravano come veramente appartenente alla buona società. Recentemente salite dal nulla, e malsicure nella loro ansia di apparire raffinate, esse temevano di sembrare poco distinte se avessero risposto per le rime alle scortesie di Rossella. E signore bisognava essere, a qualunque costo. Fingere delicatezza, modestia e innocenza. Nessuno avrebbe immaginato che la signora Flaherty dalla pelle di giglio aveva cominciato la sua carriera come cameriera in un albergo di Nuova York. E chi avesse osservato la delicatezza di Silvia Connington e di Mamie Bart non avrebbe mai supposto che la prima era cresciuta nella bettola di suo padre servendo a volte il vino sui tavolini e che la seconda, - a quanto si diceva - era uscita da uno dei postriboli di suo marito. No; ora erano tutte quante creature timide e delicate. I mariti, benché avessero guadagnato del danaro, imparavano meno facilmente le buone maniere, o forse avevano meno pazienza. Ai ricevimenti di Rossella bevevano con abbondanza; e generalmente accadeva che uno o due ospiti dovessero rimanere a passare la notte nella casa. Non si ubriacavano alla stessa maniera degli uomini che Rossella aveva conosciuto nella sua infanzia: diventavano facilmente brutali od osceni; inoltre, per quante sputacchiere vi fossero nelle stanze, i tappeti mostravano sempre tracce di sugo di tabacco, la mattina seguente. Rossella li disprezzava ma ci si divertiva. Ne aveva sempre una quantità in casa, ma quando si seccava li mandava all'inferno, ed essi lo sopportavano. Sopportavano anche Rhett. Questi non esitava a frustarli con parole che non ammettevano replica. Poiché egli non si vergognava del modo col quale aveva fatto fortuna, pretendeva che essi pure non si vergognassero delle loro origini; e raramente si lasciava sfuggire l'opportunità di fare osservazioni su cose che era meglio lasciare nell'oscurità. Egli non si privava di osservare con affabilità mentre beveva un bicchiere di punch: «Se io avessi avuto piú buon senso, avrei guadagnato un patrimonio vendendo azioni delle miniere d'oro alle vedove e agli orfani, come avete fatto voi, Ralph, invece di correre tanti pericoli col contrabbando attraverso il blocco». «Bravo, Bill, ho visto che avete una nuova pariglia. Avete venduto ancora qualche migliaia di azioni di ferrovie inesistenti?» «Rallegramenti, Amos, per quel contratto che avete fatto col Governo. Peccato che abbiate dovuto ungere troppe ruote per ottenerlo.» Le signore lo trovavano odioso e insopportabilmente volgare. Gli uomini dicevano dietro alle sue spalle che era un porco e un pendaglio da forca. La nuova Atlanta non amava Rhett piú di quanto lo avesse amato la vecchia; ed egli non faceva alcun tentativo per conquistare le simpatie. Continuava per la sua strada, divertito e sprezzante, infischiandosi dell'opinione altrui. Per Rossella era ancora un enigma, ma un enigma intorno al quale non si scervellava piú. Era convinta che nulla gli piaceva né gli sarebbe mai piaciuto; che o desiderava qualche cosa senza averla, o non desiderava nulla. Egli rideva di tutto ciò che ella faceva, incoraggiava le sue stravaganze e le sue insolenze, prendeva in giro le sue pretensioni... e pagava i suoi conti.

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Un piacevole paesaggio di case bianche, di campi tranquilli e ben lavorati, di pigri fiumi dall'acqua giallastra; ma pieno di contrasti, di sole abbagliante e di ombre dense. Le zone dissodate e le vaste estensioni di campi di cotone sorridevano a un sole caldo, placido e compiacente. Ai loro margini sorgevano le foreste vergini, fresche ed oscure anche nei meriggi piú ardenti, misteriose, un po' sinistre, ove i pini sembravano attendere con secolare pazienza e mormorare minacciosi: «Badate! State attenti! Vi abbiamo avuti una volta. Possiamo riprendervi nuovamente». All'orecchio dei tre sotto al porticato giunse uno strepito di zoccoli, un tintinnar di catene di bardature e il riso stridente dei negri, poiché lavoratori e mule tornavano dai campi. Dall'interno della casa si udí la voce dolce della madre di Rossella, Elena O'Hara, chiamare la bimba negra che portava il suo cestello di chiavi. La voce acuta infantile rispose: - Eccomi, signora - e vi fu uno scalpiccío nel retro della casa, verso il luogo dove si conservavano i viveri affumicati e dove Elena doveva misurare il cibo per i coltivatori che tornavano a casa. Vi fu un acciottolio di porcellane e un tramestio di argenti quando Pork, il domestico-maggiordomo di Tara, apparecchiò la tavola per la cena. Udendo questi ultimi rumori, i gemelli si accorsero che era ora di muoversi per tornare a casa. Ma non avevano nessuna voglia di trovarsi di fronte alla madre e rimasero ancora a gingillarsi sotto al porticato aspettando da un momento all'altro che Rossella li invitasse a rimanere a cena. - A proposito, Rossella. E per domani? - cominciò Brent. - Non sarebbe giusto che essendo stati via e ignorando dell'invito e del ballo, dovessimo essere privati di ballare con te domani sera. Non avrai promesso tutti i balli, spero? - Sicuro che li ho promessi! Come potevo sapere che sareste tornati? Non potevo correre il rischio di rimanere a far tappezzeria per aspettarvi! - Tu, far tappezzeria! - i ragazzi risero saporitamente. - Senti, cara - riprese Brent. - Mi darai il primo valzer e darai l'ultimo a Stu; e cenerai con noi. Staremo seduti sulla scaletta dell'approdo come abbiamo fatto all'ultimo ballo e ci faremo dire nuovamente la buona ventura da Mammy Jincy. - Non mi piacciono le predizioni di Mammy Jincy. Sapete benissimo che ha detto che dovevo sposare un signore coi capelli nerissimi e lunghi baffi neri; e sapete che non mi piacciono gli uomini bruni. - Ti piacciono i fulvi, non è vero, gioia? - rise Brent. - Via, promettici tutti i valzer e la cena. - Se ce li prometti, ti riveliamo un segreto - soggiunse Stuart. - Quale? - esclamò Rossella, ansiosa come una bambina. - Quello che abbiamo saputo ieri ad Atlanta, Stu? Se è quello, sai che abbiamo promesso di non parlare. - Sicuro; ce l'ha detto la signorina Pitty. - La signorina chi? - Sai, quella cugina di Ashley Wilkes che sta ad Atlanta: la signorina Pittypat Hamilton; la zia di Carlo e di Melania Hamilton. - La conosco; non ho mai conosciuto una vecchia piú stupida. - Ebbene: ieri mentre eravamo ad Atlanta aspettando il treno per venire qui, la incontrammo in carrozza; si fermò a parlarci e ci disse che domani sera al ballo di Wilkes verrà annunziato un fidanzamento. - Oh, lo so! - esclamò Rossella delusa. - Quell'idiota di suo nipote, Carletto Hamilton, con Gioia Wilkes. Lo sappiamo da anni che un giorno o l'altro dovevano sposarsi, benché lui sia abbastanza tiepido. - Credi che sia un idiota? - chiese Brent. - A Natale hai lasciato che ti ronzasse intorno parecchio. - Non potevo impedirgli di ronzare - e Rossella alzò le spalle negligentemente. - Ma credo che sia proprio uno scemo. - Del resto, non è il suo fidanzamento quello che sarà annunciato - dichiarò Stuart trionfante - ma quello di Ashley con la sorella di Carletto, Melania. Il volto di Rossella non mutò, ma le sue labbra si sbiancarono, come capita a chi riceve un colpo violento senza preavviso e che, nel primo momento, non si rende ben conto di quanto accade. La sua espressione era cosí calma che Stuart, poco osservatore, ritenne per certo che ella fosse soltanto sorpresa e molto incuriosita. - La signorina Pitty ci ha detto che non volevano annunciarlo ufficialmente fino all'anno venturo, perché Melania è stata poco bene; ma con le voci di guerra che ci sono in giro, le famiglie hanno pensato che era meglio sollecitare il matrimonio. Cosí il fidanzamento sarà annunciato domani sera, durante la cena. Ora che ti abbiamo detto il segreto, devi prometterci di cenare con noi. - Senza dubbio - rispose Rossella automaticamente. - E tutti i valzer? - Tutti. - Sei un tesoro! Scommetto che gli altri saranno furenti. - Che ce ne importa? - disse Brent. - In caso l'avranno da fare con noi. Un'altra cosa, Rossella: domattina, a mangiare la porchetta, siedi accanto a noi. - Che cosa? Stuart ripeté la domanda. - Va bene. I gemelli si guardarono giubilanti ma con una certa sorpresa. Benché si ritenessero i corteggiatori favoriti di Rossella, non avevano mai fino ad ora ottenuto cosí facilmente dei segni del suo favore. Di solito ella lasciava che pregassero e supplicassero, prendendoli in giro, rifiutando di dire un sí o un no, ridendo quando si imbronciavano, diventando glaciale quando si adiravano. Ed ora aveva promesso praticamente di trascorrer con loro tutta la giornata seguente: stare con loro durante quella colazione all'aperto in cui si mangiava la porchetta arrostita intera, e poi tutti i valzer (avrebbero pensato loro a far suonare soltanto dei valzer!) e la cena. Valeva la pena di farsi espellere dall'Università. Pieni di nuovo entusiasmo per il loro successo, si gingillarono parlando del pic-nic, del ballo e di Ashley Wilkes e di Melania Hamilton, interrompendosi l'un l'altro, scherzando e ridendo e cercando di farsi invitare a cena. Passò un po' di tempo prima che si accorgessero che Rossella non parlava. L'atmosfera era mutata. I gemelli non capirono perché, ma lo splendore del pomeriggio era scomparso. Sembrava che Rossella prestasse poca attenzione a ciò che essi dicevano, benché rispondesse correttamente. Intuendo qualche cosa che non riuscivano a comprendere, annoiati e contrariati, i gemelli esitarono alquanto; quindi si alzarono con riluttanza, guardando i loro orologi. Il sole era basso al di là dei campi arati, e i grandi boschi oltre il fiume apparivano piú grandi nei loro neri profili. Le ombre dei comignoli spiccavano sul cortile; e galline, anatre, tacchini attraversavano i campi barcollando sulle gambe corte. Stuart urlò: - Jeems! - Dopo un istante un giovinotto negro della loro età, alto e robusto, corse ansante, girando attorno alla casa verso i cavalli legati. Era il loro servitore e, come i cani, li accompagnava dovunque. Era stato il compagno di giochi della loro infanzia, regalato poi ai gemelli, in loro proprietà, per il loro decimo compleanno. Vedendolo, i cani dei Tarleton si alzarono dalla rossa polvere e rimasero ad attendere i loro padroni. I ragazzi si inchinarono e strinsero la mano a Rossella dicendole che l'indomani mattina si sarebbero trovati di buon'ora ad attenderla dinanzi alla casa dei Wilkes. Quindi si affrettarono a raggiungere i loro cavalli, balzarono in sella e, seguiti da Jeems, si avviarono al galoppo lungo il viale di cedri, agitando i cappelli ed emettendo grida di saluto. Oltrepassata la curva della strada polverosa che li nascondeva alla vista di Tara, Brent fermò il suo cavallo sotto a una macchia di còrnioli. Anche Stuart si fermò e il ragazzo negro rimase a qualche passo di distanza. I cavalli, sentendo che le redini erano lente, allungarono il collo a brucare le tenere erbette primaverili, e i cani pazienti si sdraiarono nuovamente nella soffice polvere rossa e guardarono con bramosa nostalgia il fumo dei comignoli che svaniva nel cielo crepuscolare. La larga faccia ingenua di Brent aveva un'espressione di stupore e di lieve indignazione. - Senti: non ti pare che avrebbe dovuto invitarci a cena? - disse a suo fratello. - Infatti - rispose Stuart. - Credevo che lo avrebbe fatto. Lo aspettavo. E invece non ci ha detto nulla. Che ne dici? - Niente. Ma mi pare che avrebbe dovuto invitarci. Dopo tutto, è il primo giorno che siamo a casa, e avevamo tante altre cose da dirle. - Quando siamo arrivati, mi è sembrato che fosse molto contenta di vederci. - È sembrato anche a me. - E poi, circa mezz'ora fa, è diventata silenziosa come se avesse mal di capo. - Infatti; ma lí per lí non ci ho badato. Che cosa credi che avesse? - Non saprei. Abbiamo forse detto qualche cosa che l'ha irritata? Rimasero per un minuto a riflettere. - Non ne ho nessun'idea. Del resto, quando Rossella si irrita, se ne accorgono tutti. Non si comporta come le altre ragazze. - Sí, e questo è quello che mi piace in lei. Non diventa fredda e astiosa, ma dice le sue ragioni. Sarà qualche cosa che abbiamo fatto o detto che l'ha fatta diventare silenziosa e quasi annoiata. Giurerei che quando siamo arrivati è stata contenta e aveva l'idea d'invitarci a cena. - Non sarà perché siamo stati espulsi? - Ma no! Non dire sciocchezze. Ha riso tanto quando glielo abbiamo raccontato... - E poi Rossella non ha maggior passione pei libri di quanta ne abbiamo noi. Si volse sulla sella e chiamò il negro. - Jeems! - Badrone? - Hai sentito di che cosa parlavamo con la signorina Rossella? - Mai piú, Mr. Brent! Come bensare che io stare a spiare signori bianchi? - Spiare! Voialtri negri sapete sempre tutto quello che succede. Del resto, bugiardo che sei, ti ho visto coi miei occhi gironzolare attorno al porticato e accoccolarti nel cespuglio dei gelsomini accanto al muro. Dunque: ci hai sentito dire qualche cosa che può avere irritato la signorina Rossella o aver ferito i suoi sentimenti? Interrogato in questo modo, Jeems smise di fingere di non aver udito la conversazione e aggrottò la sua nera fronte. - Veramende io non essere accorto che aver detto niente che botere irritarla. Mi è sembrato che essere molto condenda di vedere miei badroni, ed essere felice come un uccellino fino a quando avere barlato del fidanzamento di Mr. Ashley con miss Melly Hamilton. Allora essere diventata silenziosa come uccello quando vede volare falco. I gemelli si guardarono e annuirono, ma senza capire. - Jeems ha ragione. Ma non vedo perché - disse Stuart. - Dio mio! Ashley è soltanto un amico per lei. Non è innamorata di lui. È innamorata di noi. Brent annuí. - Forse si sarà adirata perché Ashley non le ha dato la notizia prima che agli altri. Sono amici da tanti anni; e poi le ragazze tengono molto ad essere informate per prime di queste cose. - Può darsi. Ma che ci sarebbe di male? Doveva essere un segreto, una sorpresa... e uno ha bene il diritto di serbare il silenzio sul proprio fidanzamento, no? Noi non lo avremmo saputo se non ce lo avesse detto la zia di miss Melania. Ma Rossella doveva sapere che un giorno o l'altro ci sarebbe stato questo matrimonio. Noialtri, infatti, lo sapevamo da anni. I Wilkes e gli Hamilton si sposano sempre tra cugini. Tutti sapevano che l'avrebbe probabilmente sposata, come Gioia Wilkes sposerà il fratello di Melania, Carletto. - E va bene, sarà cosí. Ma mi secca che non ci abbia trattenuti a cena. Ti giuro che non ho nessuna voglia di andare a casa e sentire quello che dirà la Mamma per la nostra espulsione. Non è la prima volta! - Forse a quest'ora Boyd l'avrà calmata. Ci riesce sempre, con le sue chiacchiere, quel vermiciattolo! - Sí, ci riesce, ma gli ci vuole del tempo. Parla, parla finché la confonde e allora la Mamma gli dice che la smetta e si risparmi la voce per quando farà l'avvocato. Ma in queste poche ore non è stato certo possibile. Scommetto che la Mamma è cosí eccitata per il suo nuovo cavallo che non si ricorderà neppure che siamo tornati, finché non siederà a cena e vedrà Boyd. E prima che la cena sia finita farà fuoco e fiamme. Arriveranno le dieci prima che Boyd trovi il momento opportuno per dirle che non sarebbe stato onorevole che uno della famiglia fosse rimasto in collegio dopo che il rettore ha trattato te e me in quel modo. E ci vorranno due ore perché Boyd le faccia cambiare umore; a mezzanotte sarà diventata furibonda contro il rettore e chiederà a Boyd perché non lo ha ammazzato. No, non possiamo andare a casa prima di mezzanotte. I gemelli si guardarono cupamente. Non avevano paura dei cavalli selvaggi, delle risse e delle questioni che finivano a rivoltellate, ma avevano un sacro terrore delle sgridate della loro fulva genitrice e dello scudiscio che ella maneggiava senza ritegno. - Facciamo una cosa - riprese Brent. - Andiamo dai Wilkes. Ashley e le ragazze saranno contenti di averci a cena. Stuart crollò il capo, sconfortato. - No, non ci possiamo andare. Saranno sottosopra a preparar tutto per domani; e poi... - Oh, non ci pensavo piú - interruppe Brent. - Hai ragione; non ci andiamo. Diedero la voce ai cavalli e per un po' di tempo cavalcarono in silenzio; sulle abbronzate guance di Stuart era apparso un rossore di imbarazzo. Fino all'estate precedente Stuart aveva fatto la corte a Lydia Wilkes con l'approvazione di entrambe le famiglie e dell'intera contea. Tutti pensavano che la fredda e contegnosa Lydia avrebbe prodotto su lui l'effetto di un calmante. O almeno, lo speravano vivamente. E Stuart l'avrebbe sposata volentieri; ma Brent non approvò. Lydia gli piaceva, ma la trovava troppo semplice e innocua; impossibile innamorarsene anche lui, per far compagnia a Stuart. Era la prima volta che i gemelli non la pensavano allo stesso modo; e Brent era seccatissimo che suo fratello avesse delle attenzioni verso la fanciulla che a lui sembrava insignificante. E poi, l'estate precedente era accaduto che a una riunione politica che aveva luogo in un boschetto di querce, tutti e due avevano improvvisamente notato Rossella O'Hara. La conoscevano da molti anni e fin dalla loro infanzia era stata una delle compagne di giochi preferite, perché era capace di andare a cavallo e di arrampicarsi sugli alberi quasi tanto bene quanto loro. Ma adesso, con loro sorpresa, era diventata una giovine donna; ed era la piú graziosa e la piú simpatica del mondo. Per la prima volta si erano accorti che i suoi occhi verdi erano vivi e mobilissimi, che quando rideva faceva le fossette, che aveva mani e piedi piccini e una vita sottile. Queste loro osservazioni l'avevano fatta ridere clamorosamente e, solleticati dall'idea che essa li riteneva una coppia notevole, i due avevano sorpassato se stessi. Era stata una giornata memorabile nella vita dei gemelli. In seguito, ogni qualvolta ne parlavano, essi si chiedevano sempre come mai non avevano prima d'allora notato le qualità di Rossella. E non riuscivano a trovare la soluzione dell'enigma; cioè che Rossella aveva deciso, quel giorno, di farsi notare da loro. Ella era costituzionalmente incapace di sopportare che un uomo - chiunque fosse - si innamorasse di una donna che non era lei; e la vista di Lydia Wilkes che discorreva con Stuart era stata intollerabile per il suo carattere predace. Non contenta del solo Stuart, aveva gettato l'amo anche a Brent, ed era riuscita nel suo intento con una perfezione che sbalordiva entrambi i giovani. Ora erano tutti e due innamorati di lei, e tanto Lydia Wilkes quanto Enrichetta Munroe, di Lovejoy, a cui Brent aveva fatto una corte discreta, eran ben lontane dalla loro mente. Essi non si chiedevano quale sarebbe stato il perdente, qualora Rossella avesse scelto uno dei due. Avrebbero superato questa difficoltà quando fosse giunto il momento. Per ora erano contenti di essere nuovamente d'accordo sul conto della fanciulla, poiché fra loro non esisteva gelosia. Era una situazione che divertiva il vicinato e infastidiva la loro madre, la quale non aveva alcuna simpatia per Rossella. - Vi starà bene, se quella furbacchiona accetta uno di voi - soleva dire. - Oppure, può darsi che vi accetti entrambi, e allora dovrete andare a stare a Utah, se i Mormoni vorranno accogliervi... cosa di cui dubito... Quello che mi preoccupa è che un bel giorno vi picchierete perché sarete gelosi uno dell'altro a causa di quella piccola e falsa creatura dagli occhi verdi, e vi ammazzerete. D'altronde, anche questa non sarebbe una cattiva idea. Dal giorno della riunione politica, Stuart si era sempre trovato a disagio dinanzi a Lydia. Non che essa gli avesse mai mosso alcun rimprovero o avesse dato a divedere menomamente di essersi accorta del suo mutamento. Era troppo signora per farlo. Ma Stuart si sentiva colpevole verso di lei. Sapeva di essere riuscito a farsi amare e che Lydia lo amava ancora; e, nel profondo del cuore, sentiva di non essersi comportato da gentiluomo. Continuava a trovarla molto simpatica e la rispettava per il suo contegno freddo ed educato, per la sua istruzione e per tutte le sue qualità. Ma, accidenti!, era sempre cosí pallida e poco interessante e monotona, paragonata al fascino brillante e mutevole di Rossella. Con Lydia si sapeva sempre a che punto si era, mentre con Rossella non lo si sapeva mai. Questo poteva portare un uomo alla demenza, ma aveva il suo fascino. - Allora, andiamo da Cade Calvert e ceniamo da lui. Rossella ha detto che Caterina è tornata da Charleston. Forse avrà qualche notizia di Forte Sumter che ancora ignoriamo. - Caterina? Sono pronto a scommettere due contro uno che non sa neppure che il Forte era sopra al porto, e tanto meno che era pieno di yankees prima che noi li scacciassimo. Lei sa soltanto parlare dei balli a cui è stata e dei corteggiatori di cui ha fatto collezione. - Ad ogni modo, quando chiacchiera è divertente. Ed è un modo di passare il tempo finché Mammà sarà andata a letto. - E va bene, perbacco! Caterina è simpatica e piacevole, e sarò contento di aver notizie di Càrolo Rhett e dell'altra gente di Charleston; ma che il diavolo mi porti se tollero di mangiare ancora una volta avendo a tavola quella yankee della sua matrigna. - Non essere cosí aspro verso di lei, Stuart. È piena di buone intenzioni. - Non sono aspro. È una donna che mi fa pena, ma non mi piace la gente che mi fa pena. E poi continua a girare intorno, cercando di fare del suo meglio perché uno si senta come a casa sua; ma riesce sempre a fare e dire tutto il contrario di quello che dovrebbe. Mi dà ai nervi! E crede che i meridionali siano selvaggi. Lo ha detto alla Mamma. Ha paura della gente del Sud. Quando siamo da lei, è terrorizzata. Mi dà l'idea di una gallina pelle e ossa, arrampicata su una sedia, con gli occhi brillanti e spauriti, pronta a starnazzare e schiamazzare al piú piccolo movimento dei presenti. - Dopo tutto, non puoi biasimarla. Ricordati che hai ferito Cade in una gamba. - Ero esasperato perché ero stato picchiato, altrimenti non lo avrei fatto. E Cade non me ne ha serbato alcun rancore. E neanche Catina, né Raiford, né il signor Calvert. Solo quella matrigna yankee ha strepitato dicendo che ero un selvaggio e che le persone perbene non potevano stare in mezzo a questi meridionali incivili. - Non si può darle torto. È yankee ed ha avuto un'ottima educazione; e poi, hai ferito il suo figliastro. - Vai all'inferno! Non è una buona ragione per insultarmi! Tu sei figlio, vero figlio, di Mammà; ma si è forse risentita quella volta che Tony Fontaine ti ha ferito alla gamba? Niente affatto; si limitò a mandare a chiamare il vecchio dottor Fontaine per medicarti e gli chiese come mai Tony mirasse cosí male. E disse che secondo lei le frustate danneggiavano l'abilità di un tiratore. Ti ricordi come si infuriò Tony per questo? I due ragazzi risero saporitamene. - La Mamma è un tipo! - approvò affettuosamente Brent. - Si può sempre esser sicuri che sa come regolarsi e che non vi fa mai fare brutta figura di fronte agli estranei. - Sí; ma è capacissima di farci fare una figura pessima dinanzi al Babbo e alle ragazze stasera quando arriviamo a casa - replicò Stuart abbattuto. - Sono sicuro, Brent, che in questo modo non riusciremo ad andare in Europa. Sai che la Mamma ha detto che se ci facevamo espellere da un altro collegio non avremmo fatto il nostro viaggio. - Beh! E che ce n'importa? Che c'è da vedere in Europa? Scommetto che quegli stranieri non hanno da mostrarci nulla che noi non abbiamo già in Georgia. I loro cavalli non sono piú veloci dei nostri né le loro ragazze piú graziose; e sono sicuro che il loro wisky di segala non può stare a paragone di quello del Babbo. - Ashley Wilkes ha detto che hanno un'infinità di teatri e di musica. Ad Ashley l'Europa piace molto. Non fa che parlarne. - Oh, sai bene come sono i Wilkes. Smaniosi di libri, di teatri, di musica. Mammà dice che è perché il loro nonno veniva dalla Virginia, e i Virginiani attribuiscono un grande valore a queste cose. - Beh, facciano pure. Quanto a me, con un buon cavallo e un buon liquore e una brava ragazza da corteggiare e un'altra... non brava con la quale divertirmi, sto benone qui come in Europa! Che ce n'importa di non fare il viaggio? Figúrati, se fossimo in Europa adesso e scoppiasse la guerra? Non avremmo altro pensiero che di tornare a casa al piú presto. Preferisco infinitamente andare alla guerra che in Europa. - Anch'io, il giorno in cui... Oh, senti! Ho pensato dove possiamo andare a cena. Attraversiamo la palude e andiamo a dire ad Abele Winder che siamo tornati tutti e quattro e siamo pronti per le esercitazioni militari. - Ottima idea! - esclamò Brent con entusiasmo. - Sapremo cosí tutte le notizie dello squadrone, e che colore hanno scelto finalmente per le uniformi. - Se sono uniformi da zuavo, mi faccio impiccare piuttosto che andare a fare il soldato! Con quei calzoni larghi, rossi, mi sembrerebbe di essere una donnetta. Somigliano alle mutande da donna di flanella rossa. - Badroni avere intenzione di andare da Mist' Wynder? - chiese Jeems. - Perché se avere quest'idea, gredo che non trovare molto da mangiare. Loro guoco morto e non avere angora gombrato altro. Fare gucinare da una donna, e un negro avere detto che essere peggiore guoca di tutta regione. - Dio benedetto! E perché non lo hanno comprato? - Gosa volere che può gombrare bovero bianco straccione? Non avere mai avuto molti negri e non di buona razza. Nella voce di Jeemes era uno schietto disprezzo. Egli era sicuro della propria condizione sociale, perché i Tarleton possedevano cento negri, e - come tutti gli schiavi delle grandi piantagioni - guardava dall'alto in basso i piccoli coltivatori che possedevano pochi schiavi. - Bada che ti levo la pelle! - gridò Stuart irritato. - Non ti permetto di chiamare Abele Wynder un «bianco straccione». Sarà povero, ma non straccione. E nessuno dei miei uomini, nero o bianco che sia, deve arrischiarsi a parlar male. Non vi è uomo migliore nella Contea; altrimenti perché lo squadrone lo avrebbe eletto luogotenente? - Non avere mai dubitato, badrone - riprese Jeems senza scomporsi per la sfuriata del suo padrone. - Ma io bensare che loro fare meglio scegliere ufficiali fra giovani ricchi invece che fra miserabili della palude. - Non è un miserabile! Vorresti forse paragonarlo ai bianchi veramente poveri, come gli Slattery? Soltanto, non è ricco. È un piccolo coltivatore, non un piantatore in grande; e se i ragazzi hanno avuto tanta stima di lui da eleggerlo luogotenente, nessun negro può arrischiarsi a parlarne impudentemente. Lo squadrone sa quello che fa. Lo squadrone di cavalleria era stato organizzato tre mesi prima, lo stesso giorno in cui la Georgia si era separata dall'Unione; da allora, però, le reclute non avevano piú molta speranza che si facesse la guerra. Il reparto non aveva ancora un nome, benché non mancassero i suggerimenti: ciascuno aveva un'idea in proposito e non aveva voglia di rinunciarvi; come ciascuno aveva anche un'idea intorno al colore e alla foggia delle uniformi. «I gatti selvaggi di Clayton» - «I mangiatori di fuoco» - «Zuavi» - «Fucilieri dell'Interno» (benché lo squadrone dovesse essere armato di pistole, sciabole, pugnali e non di fucili) «Gli sterminatori» - «Rapidi e violenti» - tutti avevano i loro aderenti. Ma finché non si prendeva una decisione, tutti parlavano dell'organizzazione come dello squadrone e malgrado il nome sonoro finalmente adottato, esso fu conosciuto sino alla fine come «Lo Squadrone». Gli ufficiali erano eletti dai membri, perché nessuno nella Contea aveva esperienza militare, ad eccezione di pochi veterani delle guerre col Messico e coi Seminoli; d'altronde, lo Squadrone avrebbe disprezzato un veterano come capo, se non lo avesse personalmente amato e stimato. Tutti quanti avevano simpatia per i quattro ragazzi Tarleton e per i tre Fontaine, ma purtroppo non li avevano potuti eleggere, perché i Tarleton erano troppo vivaci e amavano far delle mattane e i Fontaine avevano un carattere troppo impetuoso e attaccabrighe. Ashley Wilkes era stato eletto capitano perché era il miglior cavallerizzo della Contea e perché si faceva assegnamento sulla sua calma per mantenere un poco d'ordine; Raiford Calvert era stato fatto primo luogotenente perché tutti gli volevano bene, e Abele Wynder, figlio di un cacciatore delle paludi e piccolo coltivatore per conto suo, era stato nominato secondo luogotenente. Abele era un gigante, grave, furbo, illetterato, pieno di cuore, maggiore di età degli altri ragazzi, ma altrettanto educato, e anche di piú, in presenza delle signore. Vi era poco snobismo nello Squadrone. Troppi, fra i padri e i nonni dei componenti, erano arrivati alla loro attuale situazione cominciando con l'essere dei piccoli coltivatori. Inoltre, Abele era il piú bravo tiratore dello Squadrone, un vero puntatore che colpiva la testa di uno scoiattolo a settanta metri; ed era pratico di vita all'aperto, capace di accendere il fuoco sotto la pioggia, di scoprire sorgenti, di catturare animali. Lo Squadrone si inchinava dinanzi al merito; e siccome avevano anche simpatia per lui, lo nominarono ufficiale. Egli accettò l'onore gravemente senza eccessiva ritrosia, come se gli fosse dovuto. Ma le mogli e gli schiavi dei piantatori non potevano lasciar passare il fatto che egli non era nato gentiluomo, benché i loro signori e padroni lo trascurassero. Da principio, lo Squadrone era stato reclutato soltanto tra i figli dei piantatori: una truppa di signori, ciascuno dei quali provvedeva il proprio cavallo, l'equipaggiamento, l'uniforme e l'attendente. Ma i ricchi piantatori non erano numerosi nel giovine paese di Clayton; e per mettere assieme uno squadrone degno di tal nome si era dovuto estendere il reclutamento anche ai figli dei piccoli coltivatori, ai cacciatori della foresta, a quelli che tendevano i lacciuoli nelle paludi, e, in pochissimi casi, anche ai bianchi poveri, se erano al disopra della media della loro classe. Questi ultimi giovinotti erano ansiosi di combattere contro gli inglesi - il giorno in cui scoppiasse la guerra - non meno dei loro ricchi vicini; ma vi era la delicata questione del denaro. Ben pochi fra i piccoli coltivatori possedevano cavalli. Per i lavori della loro proprietà si servivano di muli; e anche di questi, non ne avevano d'avanzo: raramente piú di quattro. Non si poteva privarsene per mandarli in guerra, anche se lo Squadrone li avesse accettati, ciò che non avvenne. Quanto ai rifiuti bianchi della palude, questi stimavano di essere già in condizione abbastanza buona quando possedevano una mula. I cacciatori della foresta e quelli della palude non avevano né cavalli né muli. Essi vivevano esclusivamente dei prodotti della loro terra e di caccia, commerciavano generalmente col sistema degli scambi e vedevano raramente cinque dollari in un anno; quindi cavalli e uniformi erano per loro irraggiungibili. Ma erano tanto orgogliosi nella loro povertà quanto i piantatori nella loro ricchezza; e non avrebbero accettato nulla, da quelli, che potesse apparire un'elemosina. Cosí, per salvaguardare i sentimenti di tutti e per dare allo Squadrone tutta la necessaria efficienza, il padre di Rossella, John Wilkes, Buck Monroe, Giacomo Tarleton, Ugo Calvert, tutti, insomma, i grandi piantatori della Contea con l'unica eccezione di Angus MacIntosh, si erano quotati per equipaggiare completamente lo Squadrone: uomini e cavalli. L'essenza dell'affare fu che ogni piantatore convenne di pagare l'equipaggiamento dei propri figli e di un certo numero di altri; ma la cosa fu trattata in modo che i membri meno ricchi potettero accettare cavalli ed uniformi senza offesa per il loro onore. Lo Squadrone si riuniva due volte la settimana a Jonesboro per fare le esercitazioni e pregare che la guerra cominciasse. Non erano ancora state completate le disposizioni per procurare tutti i cavalli occorrenti, ma quelli che avevano già i cavalli compivano ciò che immaginavano fossero manovre di cavalleria, dietro al Tribunale, sollevando un'enorme quantità di polvere, emettendo grida rauche e agitando le sciabole della Guerra Rivoluzionaria che erano state staccate dalle pareti del salone. Quelli che non avevano ancora il cavallo sedevano sull'orlo del marciapiedi dinanzi alla bottega di Bullard, e osservavano i loro camerati, masticando tabacco e raccontando delle storie. Oppure facevano delle gare di tiro. Non occorreva insegnare a nessuno a tirare a segno. La maggior parte dei meridionali era nata col fucile in mano; e la vita del cacciatore aveva fatto di tutti loro dei tiratori scelti. Dalle case dei piantatori e dalle capanne fra le paludi venne fuori una quantità di armi da fuoco svariate. Lunghi fucili da caccia che datavano dall'epoca della prima traversata degli Alleghany, vecchi tromboni ad avancarica, pistole da cavallo che erano servite nel 1812, pistole da duello con l'impugnatura ageminata d'argento, pistole a canna corta, moschetti a doppia canna e carabine inglesi di nuovo modello, col calcio di legno prezioso. Le esercitazioni terminavano sempre nei saloni di Jonesboro e al cader della notte erano già scoppiate tante risse, che gli ufficiali avevano il loro da fare per evitare ferimenti prima che questi fossero inflitti dagli inglesi. Era stato durante uno di questi tafferugli che Stuart Tarleton aveva ferito Cade Calvert e Tony Fontaine aveva ferito Brent. I gemelli erano appena tornati a casa, espulsi dall'Università di Virginia; lo Squadrone era stato organizzato in quei giorni ed essi avevano aderito con entusiasmo; ma dopo la rissa, avvenuta due mesi prima, la madre li aveva impacchettati e spediti all'Università statale, con l'ordine di non muoversi. Durante la loro assenza, essi avevano penosamente sentito la mancanza dell'eccitazione data dagli esercizi militari; ritenevano che la loro educazione fosse incompleta se non potevano cavalcare, gridare e sparar fucilate in compagnia dei loro amici. - Bene, allora andiamo da Abele - concluse Brent. - Attraversando il fiume degli O'Hara e il prato dei Fontaine, arriviamo in un momento. - Non drovare nulla di mangiare; solo garne di sariga e un po' di legumi - obbiettò, Jeems. - Tu non avrai un bel niente - sghignazzò Stuart. - Andrai a casa ad avvertire la Mamma che non torniamo a cena. - Oh no, no! - esclamò Jeems spaventato. - No, no! non piacere assaggiare scudiscio di miss Beatrice piú forte che con badroni! Brima di tutto lei arrabiarsi con me perché badroni nuovamente espulsi. E poi, perché io non avervi fatti tornare a casa stasera e lei potervi dare grossa lezione. E poi diventare furia come se tutto questo essere colpa mia e frustarmi forte. Se non volete portarmi da mist' Wynder, io restare nei boschi tutta la notte e forse guardie pattuglie prendere povero Jeems, ma io preferire guardie piuttosto che miss Beatrice quando essere infuriata. I gemelli guardarono con perplessità e indignazione il risoluto ragazzo negro. - Sarebbe capace davvero di farsi prendere dalle guardie, e questo darebbe argomento ai discorsi di Mammà per qualche settimana. Giuro che i negri sono un bel fastidio. A volte penso che gli abolizionisti abbiano ragione. - In fondo, non è giusto fare affrontare a Jeems quello che non vogliamo affrontare noi. Lo porteremo con noi. Ma guarda, negraccio impudente, che se ti sogni di darti delle arie coi negri di Wynder e di raccontar loro che da noi si mangia pollo e prosciutto mentre loro non hanno che coniglio e sariga, ti... lo dirò alla Mamma. E non ti faremo neanche venire alla guerra con noi. - Arie? Io darmi arie con quei miserabili? No, badrone; io avere educazione! E miss Beatrice avermi insegnato modo di gomportarmi come avere insegnato a tutti voi. - Non ha avuto un gran risultato con nessuno dei tre - rise Stuart. - Via, andiamo. Diede la voce al suo cavallo rossiccio e spronandolo leggermente gli fece saltare con facilità lo steccato divisorio della proprietà di Geraldo O'Hara, e si trovò nel soffice campo. Il cavallo di Brent lo seguí e dopo di lui quello di Jeems, col negro afferrato alla criniera e al pomo della sella. A Jeems non piaceva saltare gli ostacoli; ma ne aveva saltato anche dei piú alti per seguire i suoi padroni. Mentre si avviavano attraverso i solchi purpurei e scendevano la collina verso il fiume nel crepuscolo che diventava sempre piú cupo, Brent gridò a suo fratello: - Senti un po', Stu! Non ti pare che Rossella avrebbe dovuto invitarci a cena? - Infatti credevo che lo facesse - gridò a sua volta Stuart. - Ma perché...

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