Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'ALTARE DEL PASSATO

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Gozzano, Guido 3 occorrenze

E la prima campana era suonata da un pezzo e sul divano attendevano, esanimi, l'abito nero, la camicia abbagliante, le altre spoglie che servono a costrurre un uomo per bene. Cruda legge, che segue i mortali anche nell'alto Oceano Indiano, a tre gradi sopra l'Equatore! Cruda legge! Ecco la Camicia rigida - quanto più rigida dopo la diurna libertà del pigiama - la camicia nella quale si penetra trattenendo il respiro, umiliati, contriti come una farfalla condannata a rientrare nella sua crisalide (suona la seconda campana! ... ), ecco il solino che strozza, i bottoni inconciliabili col solino, la cravatta volubile, ribelle come una cosa viva, le bretelle mai allentate o raccorciate abbastanza, la giubba che si cosparge nei risvolti di polvere di riso ... Poi, con il cuore in tumulto, dover scendere nella sala da pranzo, doversi comporre per i duecento passeggeri, chè tutti si volgono verso il ritardatario, una maschera di calma disinvoltura, dover subire le peregrine arguzie del capitano: "Ecco il nostro caro avvocato ridotto all'estrema bellezza", con un tono che significa " ... poteva levigarsi un po' meno e non costringere gli stewards a ripassare due portate per lei ... ", e dover sorridere come un collegiale riverente; all'estrema bellezza! Veramente le febbri del Malabar mi avevano lasciato un volto scialbo, emaciato, nasuto ... Che importa? Ero amato, ero desiderato - direbbe l'eroe russo-napolitano di non so quale pochade - dalla più desiderabile creatura che ospitasse il Sumatra Non illividiscano i teneri amici d'Italia: saranno rivendicati alla fine della più spaventosa catastrofe che la mia civetteria maschile abbia patito mai ...

Passando dalla luce abbagliante nei santuarî profondi si resta per alcuni attimi nella notte completa, poi si distinguono le lampade votive, i roghi fiammeggianti dinnanzi alle divinità, il luccichìo dell'oro e delle gemme sulle braccia multiple, sulle tiare, sui seni mostruosi, sulle trombe elefantine. Colonne, arcate monolitiche lavorate come trine, pendono nell'ombra all'infinito e dalle vôlte buie giunge uno squittire continuo, un aliare silenzioso d'immensi lembi di stoffa nera: sono i vampiri-rossetta, i pipistrelli larghi come braccia umane distese, che di giorno pendono a migliaia dalle vôlte tenebrose e a notte si lanciano in razzia di frutti sulle piantagioni. Riposiamo da forse mezz'ora, nell'ultimo santuario, alla sommità del tempio, seduti nella frescura semibuia, poichè di fuori il sole è già alto e terribile. Gli occhi si sono avvezzi alle tenebre. Vedo intorno le cripte delle divinità; ogni idolo è chiuso in una gabbia di ferro come un felino, e il braciere che arde dinnanzi, anima con il riverbero tremulo e sanguigno i volti spaventosi dei mostri. - I miei bagagli! I miei bagagli! Un uomo, un policeman indu ha sentito il mio gemito, m'ha visto con la fronte chiusa tra le mani, s'avvicina, ci interroga premuroso ... - I signori hanno ricevuto qualche torto? - No, nessun torto - e il mio amico parigino racconta i motivi delle mia desolazione. Mentre si parla, un brahamino, un vecchio ignudo dalla gran barba candida, si è alzato, si volge al policeman policemanche ci guarda e sorride: - Signori, l' High-Priest di Aparapandra il gran sacerdote della dea delle-cose-lontane-dalla-mano vi propone un voto pei vostri bagagli; la spesa è poca, una rupia, e il risultato certo! Il policeman si allontana ridendo. Un voto alla dea delle-cose-lontane-dalla-mano Ma subito! Dov'è questa signora? Quella? Offro la moneta e mi inchino all'orribile ceffo chiuso in una delle gabbie millenarie. Altri preti ci sono attorno nell'ombra, incuriositi da quei due impuri riverenti alle loro divinità. Ad uno ad uno s'avanzano, parlano profferendoci le loro grazie: "Un voto al Dio contro il veleno di cobra? Al Dio contro le disavventure del cammino? Alla Dea della Fecondità? Al Dio contro il malocchio? Alla Dea Tharata-Ku-Wha: la Dea-del-nemico-non-più?Oimè! che cosa ha fatto la folla del divino tesoro dei Veda! A quale turpe idolatria ha mai ridotto il sublime retaggio filosofico dell'Upanishad, l'essenza dell'Ineffabile, dell'Uno, dell'Assoluto! Un laido mercato dove ogni grazia ha il suo ciurmadore come quei grandi magazzini europei dove speciali commessi presiedono alle merci varie! - La Dea-del-nemico-non-più Che cosa significa? - La morte - rispose il sacerdote, calmo - o altra soppressione di chi vi molesta. L'immagine di Tito Vinadio mi balenò nella memoria, sogghignò di tra le fedine biondicce alla Camillo Cavour. Tacevo, ma l'amico parigino gridava entusiasta: - Mais très bien ça! Ho anch'io almeno una ventina di persone che desidero non più ritrovare in Francia! Ci avviciniamo al nuovo altare, ridendo forte. Il sacerdote, più decrepito e più sinistro del primo, taglia un rettangolo da una gran foglia di palma-palmira, me la porge con un pennello intinto, facendomi cenno di scrivere. Scrivo il nome Tito Vinadio e lo getto sulla brace che lo divora crepitando. Subito la mano ossuta mi porge un altro foglio. Un'altra vittima? Io non ho nemici. Chi sopprimere ancora? Ah sì! Don Fulgenzi, tormento della nostra casa. E il nome è scritto e divorato dal fuoco. La mano ossuta mi porge un altro foglio, cerco nelle mie antipatie ... Ah, sì, quel detestabile signore dal naso ricurvo: un jettatore certo, dacchè tutte le cose mi andavano a rovescio quando l'incontravo, e l'incontravo sovente in tram, in ferrovia, a teatro. Scrivo: "detestabile innominato dal naso ricurvo". Un quarto foglio. No! No! Basta. Rido, ma lo scherzo comincia a darmi non so che brivido pauroso, in quell'ombra, fra quegli idoli sinistri, fra lo stridìo dei vampiri. Il mio amico parigino invece è implacabile. Scrive e getta sul fuoco, foglio su foglio, dannando alla Dea tutta la parentela: - Ma tante Véronique! Mon oncle Alexis! Mon cousin Frédéric! Mon cousin Ciprien! Mon ami Chautel! Lo afferro, lo trascino all'aperto, nella luce del sole; scendiamo le scale ridendo: - Combien en avez-vous foutus? - Tre. - Seulement? Io mi sono liberato di quattordici persone, tra parenti e colleghi in diplomazia! A sera - il treno è già molto lontano da Lambahadam - il mio amico è chino all'angolo della tavola del Diningcar e scrive sul rovescio del menu una lista di nomi e di cifre; tace e ride: - Scusate, ho finito. Ho fatto l'elenco dei soppressi. Non calcolando i vantaggi morali e materiali per la scomparsa di cinque colleghi, io devo trovare in Francia, se la Dea Tharata-Ku-Wha mi esaudisce, un'eredità di quattro milioni e settecentomila lire ... *** Nella notte, non più distratto dal paesaggio e dallo scherzo, fui ripreso dall'angoscia dei miei tesori perduti. L'insonnia e la disperazione mi tormentarono al ritmo vertiginoso del treno fino all'alba. Dormivo da forse un'ora, quando mi svegliai alle grida gioiose del mio compagno. Si era alla stazione di Kahalla. - Mon ami! Presto! Uscite! Balzai fuori. A dieci passi da me, sotto la veranda fiorita, le mie nove casse, accumulate in bella piramide, scintillavano al sole del tropico con i tre colori d'Italia. Prima le toccai, le palpai a lungo, credendo di sognare, poi abbracciai lo chef-station sbigottito, abbracciai una vecchia indu che fuggì allibita, toccandosi gli amuleti, abbracciai il mio compagno frenetico più di me e cominciammo a girare tenendoci per le mani, congiungendo i piedi a poco a poco, facendo delle nostre due persone un arcolaio vertiginoso. - Viva la Francia! - Vive l'Italie! Lo chef-station ci divise, ci calmò prendendoci alle spalle, forzandoci con dolce violenza a salire in treno; ma io non risalii senza doppia garanzia di vigilanza e previo avviso telegrafico a tutta la linea fino a Bombay. E furono venti giorni di viaggio delizioso con quel parigino sempre gaio. Ma a Bombay - dovevamo lasciarci quel giorno e imbarcarci per le rispettive patrie su diversi piroscafi - lo vidi impallidire improvvisamente con una lettera che gli tremava, gli garriva tra le dita convulse. - Ah! les malheureux! - Ebbene? - Mes cousins ... - Ebbene! - ... precipitati dal monoplano di Guastin: ... mio zio impazzito ... nessuna speranza! Allibii. Riudii i tre nomi, rividi l'antro buio dei vampiri e il brahamino dal petto canuto, e la Dea sogghignante di tra le sbarre al riverbero del braciere sanguigno. Confortai l'amico, l'accompagnai sul battello che levò l'àncora nel pomeriggio. Io m'imbarcavo poco dopo per l'Italia con tutti i miei bagagli, felice. Ma dieci giorno dopo, ad Aden, mi era consegnata a bordo una lettera di mia madre, che mi diede un brivido di gelo: " ... dovrei scriverti su carta listata a lutto, ma sarebbe ipocrisia, tu lo sai ... Don Fulgenzi è mancato ai vivi tre giorni fa ... ". Tremavo. No! No! Ma che Dea! che tempio! che malefizio! Due ragazzi imprudenti precipitano da mille metri, il padre impazzisce, un vecchio maligno cessa di far soffrire: non è tutto placidamente naturale? Tremi? Diventi scemo o teosofo, anche tu? Suonava la campana di pranzo. La luce, i fiori, i cristalli, le belle spalle ignude, la gaiezza degli ufficiali mi ridiedero il senso della realtà. Arrossii e mi schermii. Volli dimenticare. E otto giorni dopo, toccando Genova, avevo tutto dimenticato. *** Passarono i mesi. A Venezia, l'autunno scorso, sedevo sul divano centrale della Sala Viennese, un po' per riposarmi, un po' per godere di lontano, ad occhi socchiusi, la bella sirena del Krawetz. Ma due visitatori vicinissimi alla tela mi toglievano d'un terzo il mio piacere: l'uno, alto e bruno, sorreggeva l'altro, piccolo, curvo, un vecchietto dalla nuca biondiccia. Quello bruno si volse, lo riconobbi, andai verso di lui con espansione affettuosa; era Claudio Girelli, il pittore. Guardai il vecchio: non era un vecchio, era un malato. - Tu lo conosci, il nostro buon Tito Vinadio. L'infermo mi diede la sinistra attraverso il braccio dell'altro: - La destl ... la destla non gliela posso dale che così ... E ridendo e piangendo si tolse con la sinistra la mano destra che teneva nella tasca, me la porse inerte, pendula come una cosa non sua. Rideva e piangeva. Ma solo una metà dei muscoli facciali obbediva al riso e al pianto; l'altra metà del volto restava immobile o si torceva in un rictus asimmetrico che ricordava certe maschere antiche. - Questo calo Gilelli, - proseguiva con un sorriso lagrimoso, -mi accompagna all'esposizione, mi accompagna allo stabilimento eletl ... eletl ... - Elettroterapico del prof. Gaudenzi - concluse l'altro - il quale guarirà in pochi giorni il nostro buon Vinadio. È tardi, bisogna andare. Pietosamente Girelli gli sollevò il braccio pendulo, gli rimise la destra in tasca, lo riprese a braccetto sorreggendolo all'ascella. Ma prima di avviarsi guardò me che ero ricaduto sul divano senza parola. - Non affaticarti in queste stupide sale ... Devi essere ancora stanco del viaggio; hai una cera poco buona anche tu. Impazzisco? No, non ancora. Impazzirò forse il giorno ch'io sappia la morte certa della mia terza vittima, il signore detestabile dal naso ricurvo Non l'ho più rivisto. Ma da qualche tempo una cosa terribile avviene. Ho riconosciuto in tram, a teatro, un signore con il quale si accompagnava sovente quell'innominato; e a stento resisto alla tentazione di presentarmi a lui, di chiedergli in bella forma che è mai avvenuto di quel suo amico così e così ... E se allora l'altro mi rispondesse: - Ma non sa nulla? Non sa che è morto un anno fa? - io balzerei dal tram, fuggirei dal teatro, irromperei in questura per rifugiare il mio rimorso, tre volte assassino, sotto il castigo dell'umana giustizia. Ma sono certo che il buon giudice, dopo aver ascoltata la mia confessione convulsa, considerando che il codice umano non contempla ancora gli omicidi per ex-voto alla Dea Tharata-Ku-Wha, mi consolerebbe con paterne parole, poi, fatto un cenno d'intesa ai due custodi amorevoli, mi farebbe tradurre non al carcere dell'espiazione, ma al frenocomio ...

La cognata, che presiede da parigina esperta, le ha tolto lo specchio di mano: - Ti vedrai dopo, mignonne, quand le rêve sera achevé Maria Carolina è una visione abbagliante di neve e d'argento. Bianco il ciuffo di penne che le adorna l'alta acconciatura incipriata, bianco il viso passato alla cerussa bianca, la veste di raso splendente dal guardinfante mostruoso, bianche le scarpette, le ghirlande, il cagnolino, il ventaglio. In tanto candore spicca il rosso delle labbra e delle gote, il nero degli occhi e dei sopraccigli. La cognata stessa Adelaide di Francia, nipote di Luigi XV, ha dipinto il volto della bimba diciottenne secondo che l'ultimo dettame di Parigi consiglia: le ha cancellato col cosmetico i delicati sopraccigli biondi e due altri ne ha disegnato a mezzo della fronte, nerissimi, arcuati, imperiosi. Molto s'è discusso sull'acconciatura; il parrucchiere di Corte, De Regault, voleva riprodurre con gl'immensi capelli biondi il Palazzo Madama o la galera capitana degli Stati Sardi; ma la Regina, la Principessa, si sono opposte e l'artista ha costrutto con la chioma densa un edificio a tre piani coronato da un nido dove una colomba cova, teneramente assistita dal compagno. - Ravissante! Ravissante! - mormora la cognata che le sta alle spalle puntandole di sua mano un fiore o una piega del guardinfante. Ma ad un tratto vede le gracili spalle adolescenti scosse da un sussulto, si china, guarda: il volto dipinto con tanta cura è inondato di pianto. - Ah, mon Dieu, tu vas te ravager! ma per carità! Vieni, vieni a vederti e non piangerai più. Prende la sposa per mano, la conduce dinnanzi al grande specchio ovale della parete. Le lacrime s'arrestano d'improvviso. La bimba, che ieri ancora giocava alle dame in visita, sbigottisce d'essere oggi una dama davvero e non pensava di vedersi così bella. Sorride tra gli ultimi singhiozzi, sorride a se stessa, alla cognata, alle cameriere, cancella col batuffolo della polvere l'ultima traccia di lagrime. - Sua Maestà la Regina! - annunzia un servo. Camerieri, parrucchieri, servi balzano in piedi, rigidi, addossati alle pareti. La madre sosta sulla soglia, sorride, tende le braccia alla figlia, l'abbraccia, la bacia, ma con delicatezza trepidante, come si odora un fiore troppo fragile. - Un rêve, vraiment un rêve! *** ... Da già ch'a l'è cusì, da già ch'a l'è destin faruma la girada anturn a tüt Türin ... Oh, l'interminabile fila di berline, le berline di Casa Reale simili ad altissimi triangoli capovolti, sculpite, dorate, sovraccariche di tutta la mitologia e di tutto il simbolismo pazzesco del barocco; così goffe ed aggraziate, così snelle e tozze ad un tempo! Berline a quattro, a sei, a dieci cavalli gualdrappati, frangiati, impennacchiati, con non altro di libero che le zampe e la coda prolissa, cocchieri e staffieri a codino rigidi come automi tolti da un armadio centenario! ... Il corteo fantastico si svolge interminabile come in una fiaba dei Perrault, ma non reca il marchese di Carabattole, non il gatto dagli stivali, non Cenerentola fatta regina, ma tutte le belle dame della nobiltà subalpina, la Marchesa di San Damiano, la Marchesa d'Ormea, la Contessa Morozzo, la Contessa Della Rocca, la Marchesa di San Germano, la Marchesa di Cinzano, la Contessa di Salmour, la Marchesa di Verolengo ... E fra tutte, bellissima, come la Principessa della favola, come la Figlia del Re, leggendaria, è la sposa tutta bianca, tutta d'argento ... - La bela Carôlin! La folla che stipa Piazza Castello, i portici, i colonnati, che brulica sugli alberi, sulle ringhiere, sui tetti, acclama la sposa con un fremito che parte dal cuore. Il popolo ama quell'ultimogenita del Re, l'ama come una delicata bimbetta sua, la bela Carôlin è popolare ovunque, dai parchi della Venaria ai parchi del Valentino, dai bastioni della Cittadella ai bastioni della Dora, dove non sdegna di interrompere i suoi giochi per rivolgere la parola a un giardiniere che pota, a una lavandaia che piange. - Madama Carôlin! la bela Carôlin! Mai il popolo ha sentito così forte la sua tenerezza commossa come in quest'ora dell'ultimo addio. Il bel fiore sabaudo sta per essere còlto da altre mani per un giardino d'oltr'Alpe. ... Da già ch'a l'è cusì, da già ch'a l'è destin faruma la girada anturn a tüt Türin ... Il lungo corteo d'equipaggi passa da Via Dora Grossa a Porta Segusina, da Porta Segusina ai bastioni della Cittadella. Sono quivi schierate tutte le truppe: spiccano i Granatieri e i Guastatori dalla veste di scarlatto guarnita d'argento, con cappotto frangiato e banda intarsiata pure d'argento e d'azzurro, spicca la Compagnia Colonnella con le Corporazioni dei Mercanti e dei Droghieri a divise vivacissime. Lungo Via Santa Teresa e Piazza San Carlo, lungo Via Nuova, sono tutti gli altri Corpi della città: gli studenti della Regia Università col loro Sindaco, i Cavalieri dell'Ordine della SS. SS.Annunziata e dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Tutti formano tra la folla varia un disegno ordinato a colori vivacissimi dove il corteo passa come tra una doppia siepe di divise smaglianti. La sposa diciassettenne non ha mai visto tanto fasto nella sua vita breve e raccolta e pensa che tutta quella gioia di colori e di suoni è per lei e s'alza e batte le mani come ad un bel gioco. Dai bastioni della Cittadella ai bastioni di Po rombano i cannoni di salve, strepitano i mortai e i mortaretti, accompagnando senza tregua con un rombo guerresco il clangore esultante di tutte le campane di tutte le chiese: la Metropolitana, Santa Teresa, la Consolata, i Santi Martiri Tebei, tutti i provincialeschi templi torinesi. Il corteo regale s'avanza. Dame, cavalieri gettano di continuo a piene mani le dragées nuziali, i grossi confetti settecenteschi detti giüraje E la folla s'accalca, fluttua, acclama. La sposa protende le mani e mille mani si protendono affettuose in una stretta d'ultimo addio. - La bela Carôlin! La piazza San Carlo è convertita in una sala immensa: "sta una tavola ivi disposta la quale fa vedere un corpo di bacili di confetti canditi e di molte sorta di paste zuccherate e frutti molto lontani dalla stagione. I bacili suddetti, guarniti a piramidi nella sommità dei quali vagamente pompeggiano stendardi con armi e cifre, il tutto regalato di fiori con una piramide sostenuta da quattro tori argentati carichi di confetture. Per finimento godono le Altezze Reali dell'apparato più con gli occhi che con la bocca e prendono gran piacere in vedere a dare il sacco di detta tavola e dare la scalata alla piramide fruttata e inzuccherata". La sposa giovinetta ride a quel gioco, ride fino alle lagrime della folla che corre, sale, rotola, schiamazza. La sposa ha tutto dimenticato e pensa che la vita prosegua così in un corteo dorato e infiorato tra una moltitudine gaia e plaudente. L'allegrezza dell'ora è per lei come quell'orlo di miele che si mette sul calice della medicina troppo amara. Fuori di Porta Nuova la folla si estende fino al Parco del Valentino. Dinnanzi al Castello, "passatempo delle Dame", il corteo si ferma ancora una volta per un altro rinfresco e per ricevere il complimento del poeta Pancrazio da Bra, arcade di bella fama nell'Accademia degli Incolti. S'avanza costui in sembianza del fiume Po, seminudo, con manto di drappo d'oro e capelli a guisa d'alga ed è seguito dalla Dora fanciulla vestita a guisa di ninfa con le chiome sparse e incominciano un dialogo in versi dove il Po dimostra alla Dora sconsolata per la dipartita della Principessa la necessità che lo splendore della Casa Sabauda s'estenda oltre ogni confine ... Di che bell'astro il nostro ciel si priva! La bela Carôlin s'annoia mortalmente alle interminabili ottave accademiche, sbadiglia, s'abbuia, guarda altrove, s'alza impaziente, invano trattenuta dalla madre e dalla cognata. E l'amarezza del distacco, la realtà dell'ora triste la riprendono ancora e le stringono il cuore distratto per poco ... Il suo volto si vela d'angoscia quando il corteo riesce alla Porta di Po. Là sotto le arcate imbandierate e infiorate attendono le quattro berline di viaggio sulle quali bisogna salire fra pochi secondi; non più graziose berline dorate, ma grandi carrozze fosche e disadorne. Il corteo s'arresta presso la Porta. Bisogna scendere con la Marchesa di Cinzano, con la Contessa di Salmour, con il Marchese di Bianzé, bisogna passare con i compagni di viaggio nei tristi veicoli non più di gala. Un tappeto infiorato segna il breve percorso ... Ma la bela Carôlin che tormenta da mezz'ora la mano della Regina, s'è ora afferrata al braccio di lei e quando il Conte Lamarmora apre lo sportello e l'invita a scendere, la piccola si getta al collo della madre, disperata, folle. Il fratello è costretto a sciogliere le braccia di lei a forza come si spezza una catena; a forza la fanno scendere, le fanno attraversare il breve spazio giuncato di fiori, reggendola alle spalle, costringendola al passo, portandola quasi di peso nella carrozza da viaggio. E là dentro la bimba si vede perduta. - Maman! maman! - grida protendendosi dagli sportelli mentre le quattro carrozze s'aprono il varco tra la folla. - Maman! maman! Oimè, la madre, gli amici restano indietro, ritornano nelle berline dorate verso la Reggia, ch'ella ha dovuto lasciare per sempre. Allora la piccola è presa dal panico folle come chi è trascinato alla morte. Ha di fronte la severa Marchesa di Salmour, l'arcigno Ambasciatore di Sassonia. Si vede sola, perduta, si protende forsennata verso la folla invocando soccorso. - Maman! maman! E nella folla l'hanno udita le madri: molte donne s'accalcano tra le ruote, impediscono quasi alle carrozze di procedere, stringono le piccole bianche mani convulse. - Povra masnà! - Che Dio at giüta! - Fate courâge! - Arvëdse ancoura! - Arvëdse prest! Ma i cocchieri sferzano i cavalli: il convoglio s'affretta, fende la folla, procede di corsa, è sul ponte, è oltre il fiume, dispare ... *** Il Duca di Sassonia fu ottimo sposo per la bela Carôlin Il 17 marzo scriveva alla Regina ringraziandola del dato consenso e della conseguita felicità. "Aussi tous mes désirs ne tendront-ils qu'à me rendre dighe des bontés d'une princesse qui réunit aux charmes de la plus aimable figure, toutes les vertus de ses augustes parents". Il 28 dicembre 1782 la bela Carôlin moriva in Dresda, poco più di un anno dopo le nozze e a diciannove anni non ancora compiuti. Tuchè-me'n po' la man, me cari sitadin, Për vive che mi viva vëdrö mai pi Türin!

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