Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbagliante

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Giacomo l'idealista

663172
De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Socchiuse anch'essa gli occhi un istante per non vedere questa abbagliante seduzione di una virtú, che si eleva fino alla divina aristocrazia della bontà e del sacrificio, e ricompensò la carità della giovine collo stringerle a lungo la mano ardente tra le sue mani inguantate, come se volesse con quel lungo contatto comunicarle la sua tenerezza, e farle sentire con quell'atto materno tutta la forza di una promessa che non aveva parole per parlare. Col cuore immiserito, cogli occhi immobili verso le siepi, donna Cristina cercò di asciugare, con un battere frequente delle palpebre nell'aria viva, il velo di lagrime che le coprí le pupille. Un dolore crudele e duro la strozzava alla gola e al petto. Un quarto d'ora dopo, Giosuè arrestò i cavalli sopra un piazzaletto erboso ombreggiato da antichi platani, che stava davanti alla vecchia chiesa della Madonnina. Il Rebecchino venne ad aprire la portiera. - Siete qui? - chiese la contessa - chi c'è? - Donna Adelasia aspetta in chiesa. La contessa andò avanti, e aspettò Celestina sulla porta. Entrarono nella chiesetta tutta parata a festoncini bianchi, azzurri, con frangie d'oro, mentre un prete stava celebrando la messa davanti a molte donnicciole. Donna Adelasia dal suo banco riservato fece un segno, e si ritirò per lasciar loro il posto sulla predella. Celestina si trovò in mezzo alle due signore nel momento che le quattro monache del coro intonavano un'orazione flebile e lamentevole, su cui la voce grossa del prete correva col rumore d'un carro incorsa. Celestina girò gli occhi intorno e si sentí una gran voglia di gridare. Che avevano fatto di lei? che luogo era questo? che cosa dicevano queste voci lamentose? La contessa, che in questo supremo istante non cessava mai dal sorvegliarla, volle che sedesse e le passò con una soave carezza una mano sui capelli. E quando sonò il campanello dell'elevazione la signora e la cameriera, inginocchiate sulla stessa predella, accostarono la testa a pregare insieme fervorosamente. Quindi donna Cristina le disse piano: - Non voglio far pensare male a casa. Ti lascio con donna Adelasia. Verrò a trovarti presto, appena gli avrò parlato. Coraggio e fiducia nel Signore . Celestina strinse con la mano convulsa e irritata un lembo del vestito della contessa, e, fissandola con occhio spaventato, la supplicò di restare ancora. La signora aspettò ancora un istante: e quando donna Adelasia voltò il viso dalla sua parte, le fece capire che il momento doloroso era venuto. La vecchia dama circondò col braccio la vita della giovine, come se l'invitasse a ripetere una preghiera, e lasciò in tal modo alla contessa agio di sciogliere il vestito dalle dita tenaci. Il corpo di Celestina quasi si sfasciò sul banco. Donna Cristina uscí dal tiepore e dalla religiosa penombra della chiesuola nell'aria cruda e viva, fece un segno quasi marziale col guanto a Giosuè, che si accostò alla carrozza. Essa vi entrò, il Rebecchino chiuse la portiera e i cavalli partirono a corsa. L'emozione, acerba come un rimorso, le impediva di piangere, e gli occhi, quanto fu lungo il viaggio, restarono immobili in una stupefazione insensibile, coperti di un velo di lagrime cristallizzate.

Teresa

678607
Neera 2 occorrenze
  • 1897
  • CASA EDITRICE GALLI
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Non poteva soffermarsi a lungo su questo pensiero, tanto la prospettiva era abbagliante. Moglie di Orlandi, col suo nome, col diritto di amarlo, colla sicurezza di essere amata, e per sempre! Ella portava nell'amore l'esaltazione fatidica dei santi per la loro fede; si sentiva chiamata, guidata da una mano invisibile. Accordi celesti risuonavano dietro di lei; sognava la sua unione con Egidio, come le vergini, chiuse nei chiostri, sognano di unirsi al Signore, misticamente, nell'elevamento dell'anima che assorbe la materia, e la trascina; arse dal bisogno di trasfondersi, arse dallo struggimento femminile che le spinge tutte, religiose ed amanti, a donarsi sopra un altare; a farsi schiave dell'uomo o schiave di Dio. Questo profondo desiderio delle catene che tormenta le belle anime di donna, ha in sé una voluttà straordinaria; esse attingono nella debolezza quelle gioie medesime che vengono all'uomo dalla forza, e trovano nel cedere una ebbrezza ancor maggiore che gli altri non trovino nel conquistare. Un altro sentimento, germogliato dall'amore, Teresina lo provava in una specie di rispetto nuovo per la propria persona. Si lavava con saponi odorosi, curava le mani con una attenzione minuta, accorgendosi per la prima volta di avere delle belle manine, volendo renderle ancor piú belle, piú morbide ai baci. - Non capisco, - diceva la signora Soave - spariscono i limoni dalla dispensa come fossero panetti. E le gemelle, ad una voce: - Teresina li adopera tutti per le sue unghie. Nel suo innocente desiderio di piacere, diventava raffinata. Non toccava né aglio, né cipolle, i giorni in cui sapeva di dover parlare con Egidio; oppure, temendo di portar con sé qualche odore di cucina, coglieva delle foglie di geranio, e se le metteva in petto. Non si trovava mai pulita abbastanza; avrebbe voluto olezzare come un fiore, per lui. La maggiore delle Portalupi si faceva sposa, non col sotto-prefetto, con un impiegatuccio di Cremona. Le orfanelle cucivano il corredo, e Teresina, che conosceva la direttrice del pio ospizio, andò un giorno a vederlo insieme alla pretora. La sola parola "nozze" le faceva battere il cuore. Si sentiva trascinata con una curiosità ardente verso quel corredo che le orfane eseguivano sopra modelli fatti venire appositamente da Milano. Le povere ragazze, un po' stupide, molte ignoranti, tutte brutte, spiegavano la biancheria, mostrando i ricami di una pazienza inaudita. La direttrice, vecchia zitella, coi peli sul mento, colla faccia indurita nell'ascetismo, toccava colle sue mani scarne la batista pieghevole, passando il lembo del grembiale sotto i trafori, per dar loro maggior risalto. - Questa ghirlandina di viole - disse la pretora. - E questo punto di Venezia - soggiunse Teresina, indicando una camicia, la cui metà superiore era tutta di trine trasparenti. La direttrice la spiegò interamente, volendo mostrare la diligenza delle sue allieve. In fondo alla camicia, dopo l'orlo, correva una gala di trine arricciate, di una leggerezza ideale. Teresina interrogò cogli occhi la sua amica. - Sono bizzarrie ... sai, in alcune circostanze. La direttrice, rigida, non comprendendo nulla all'infuori del lavoro, teneva la camicia alta, spiegata come una bandiera. Intorno a lei, le orfane cogli occhi imbambolati, le bocche aperte, guardavano in silenzio. - E tutte le camicie senza maniche? - esclamò Teresina. - Oh! - fece la direttrice con accento pudibondo - quelle per la notte no. - Quelle non si portano - mormorò la pretora. - Che dici? - sussurrò Teresina a bassa voce, sgranando gli occhi. - Dico che quelle orribili camicie alte fino alle orecchie, colle maniche lunghe, tutte a pieghe sul petto, coi manichini ed il collo rivoltati, grazie a Dio, rimangono sempre come mostra nei corredi. In pratica servono meglio le altre. La direttrice si morse le labbra, dura e corretta, prendendo un pacco di fazzoletti bianchi, e poi un altro a colori assortiti; crema, roseo, azzurrino, lilla pallido. Tutte quelle tinte giovanili, messe insieme, sembravano un mazzo di fiori, e rallegravano la bianchezza uniforme della tela, ricomparendo nei nastri delle cuffiette, negli sbuffi delle camiciuole da mattina. La fanciulla osservava tutto minutamente, colla testa bassa, attenta, volendo ritenere i disegni dei ricami, per copiarli, pensando con un po' di rammarico che ella non avrebbe mai tutte quelle meraviglie. - Abbiamo anche un corredo da bambini già pronto; desiderano vederlo? - Di chi è? - Della signora Luzzi. - Oh! la sorella. - Appunto. - È dunque vero? ... Si è fatta aspettare alquanto, eh? La direttrice non rispose. Ella non aveva l'obbligo di conoscere queste cose. La pretora diede un'occhiata superficiale al corredino. Ne erano già passati tanti per le sue mani! ed alla fanciulla che lo andava esaminando disse: - Per questo hai tempo. Teresina arrossì. - Ne facciamo dei piú semplici all'occorrenza, - soggiunse la direttrice, la quale seguiva il filo delle sue idee, impassibile - e prendiamo tutto dalle nostre clienti, la tela, i merletti ... - Bene, bene. - Si fa per queste povere ragazze che non hanno né padre né madre. Teresina guardò le orfane schierate in fila, e le parvero tutte così brutte che ne provò una compassione grandissima. Certo, nessuna fra esse avrebbe conosciuto l'amore; e, senza amore, a che cosa si riduce la vita di una donna? - Poverine! La direttrice, credendo quella parola pietosa fosse diretta alla povertà delle sue allieve, si affrettò a soggiungere: - Qui però stanno bene; il cibo è sano, il lavoro non eccessivo. Quando escono, se hanno imparata un'arte, è tutto vantaggio loro. La pretora approvò in silenzio, col capo. Teresina non era convinta di quella fortuna. Pensava ad Egidio, a' suoi sguardi di fuoco, alla stretta appassionata delle sue mani. A poco a poco si staccò dall'ambiente in cui si trovava. La sua amica parlava, in piedi, colla direttrice, ed ella, interrogata, diceva: sì, no, bello sorridendo o crollando il capo, come una macchina, senza capire. Dentro a lei, intorno a lei, un'onda di pensieri la cingeva al pari di una nube, isolandola. Erano frasi tronche, un moto delle labbra, un guizzo, un silenzio, un sospiro ... L'ultima volta che si erano trovati insieme, egli aveva detto "le mie manine" baciandole; e, ripensando a quella sera, Teresina ripeteva "le mie manine" cogli occhi socchiusi, le braccia lente, stringendosi da se stessa la mano. Si scosse quando la direttrice la salutò, ed a quel saluto fecero eco le orfanelle, in coro. Ma fuori, nell'ampiezza delle vie deserte, nel verdeggiamento degli alberi, sotto il cielo digradante in pallori da opale, la seguì quell'onda dolcemente incalzante, quell'assorbimento in un pensiero unico che tiranneggiava tutti gli altri. Alla sera, intanto che si stava spogliando, rivide la fantasmagoria delle trine, della batista ricamata, dei nastri cerulei e color di rosa. Sospirò lievemente, con un'ombra di malinconia sulla fronte, e provò ad arrotolare le maniche della sua camicia, in alto sulle spalle, per giudicare l'effetto delle camicie senza manica. Concluse ch'ella non avrebbe mai osato portarle; ma si pose a letto turbata, assalita da tentazioni che la tennero desta per molto tempo. Aveva ventidue anni, si trovava nel pieno rigoglio della giovinezza; pura, non insensibile. Il mistero della vita incominciava a farsi strada nel suo cervello; ma non avendo ancora avuta una rivelazione brutale, il fatto restava sempre soggetto all'idea. Sentiva, non sapeva; e queste sue sensazioni tentava nascondere come una colpa, appunto perché ignorava che fossero le sensazioni di tutto il mondo. Non le passava neppure per la mente che sua madre avesse potuto amare così, neanche la sua amica, né alcuna delle persone di sua conoscenza. A tutti costoro, che amava da anni, cui era legata per vincoli d'abitudine e di confidenza, non avrebbe palesato uno solo de' suoi ardori. Un pensiero che l'assaliva ogni sera, nella solitudine del suo lettuccio, nella infinita dolcezza del buio, era questo: Che cosa avrebbe fatto Egidio appena si fossero sposati? subito, il primo momento? Ella non dubitava punto che l'avrebbe abbracciata. Aveva letto qua e là, di amplessi amorosi, ricordava certe frasi, certi lembi di conversazione e le sembrava che l'abbraccio, senza l'inferriata di mezzo, dovesse essere la maggior delizia dell'amore. Chiudeva gli occhi, e si sentiva scorrere un brivido per tutto il corpo. Però, se il curato di San Francesco tuonava qualche volta contro le passioni peccaminose, se nel suo libro da messa leggeva gli anatemi scagliati contro la carne, era assalita dagli scrupoli. Si credeva allora una grande colpevole, e arrossiva nel suo lettuccio, al buio, raggomitolandosi tutta nella camicia con un pudore bizzarro. Un altro pudore strano, inesplicabile, le era venuto ne' suoi rapporti col fratello. Aspettava le visite di Carlino con ansia grandissima, per avere notizie di Orlandi, per sentirne parlare; ma non correva piú a' suoi baci; non cercava le sue carezze; non gli si metteva vicino vicino, come una volta, per fiutare l'odore del sigaro o per sfiorargli la barba nascente. Se egli la prendeva per la vita, scherzando, si scioglieva come sotto l'impressione di un malessere, quasi di una ripugnanza fisica. Si affrettava poi a correggerla con una parola affettuosa, ma una specie di acredine le restava nel sangue. In una di queste occasioni, Carlino le disse: - Come sei selvaggia! Se fai sempre così non potrai piacere molto agli uomini. Ella rimase un po' mortificata, temendo di non avere grazie sufficienti. Tuttavia sapeva bene che con Egidio non sarebbe stata selvaggia; al contrario, era sempre tormentata dal desiderio di accarezzarlo, ed uno de' suoi piaceri piú intensi, quando sarebbero maritati, doveva essere quello di abbracciarlo e baciarlo come faceva coll'Ida. L'Ida se la prendeva sui ginocchi e, incominciando dai capelli, le baciava ridendo tutto il volto, fino al mento, fino al collo, fin dietro nella nuca dove spuntavano i riccioli ribelli. Egidio però non lo poteva prendere sui ginocchi, e l'idea che si potessero invertire le parti, le procurò una delle veglie piú agitate.

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- Disse così, sorridendo a se stessa nello specchio, per l'idea buffa ch'ella potesse stimarsi, e restò immobile, colpita dallo scintillio che vide davanti a sé su quelle labbra rosse, tumide, e su quei denti di una candidezza abbagliante. Tornò a sorridere. Che cosa bizzarra! Tutto il suo viso cambiava. Faceva dunque quell'effetto lì, lei, quando rideva? E si sentí invasa da una allegria curiosissima; continuava a ridere, saltellando per la camera, con una voglia di cantare, di ballare, di abbracciare qualcuno. Ad un tratto si fermò, dandosi della scioccherella. Scese nel cortile, grave, composta, prendendo delle arie da signorina, guardando benignamente il bracco che sonnecchiava lungo disteso nel canile; fece qualche passo nel giardino, chinandosi per fiutare i rosai, seria, come persona che se ne intende. - Cogli le rose - le gridò a tergo la voce dello zio. Il vecchione la osservava, affacciato alla finestra del tinello, colle mani scarne appoggiate allo stipite. Ella colse le rose, scegliendole; lasciando da parte i piccoli boccioli non ancora dischiusi; preferendo le rose piene, carnose, dal grembo cupo e fortemente odoroso; le fiutava ad una ad una prima di riunirle in mazzo; le fiutò ancora tutte insieme, a lungo, colla faccia sprofondata in mezzo alle foglie fresche, umettandosi le guancie di rugiada. - Sono belle, nevvero? - Bellissime. Ritornò sui suoi passi, lentamente, cercando ancora fra i cespugli, stringendosi al petto tutte quelle rose che le scappavano dalle dita. - Fammele vedere Teresina si accostò alla finestra, dove il vecchione faceva oramai sforzi incredibili per sostenersi ritto, e gli presentò le rose, sporgendosi avanti, sfiorandogli colle mani le mani agghiacciate. Egli barcollò un momento, odorando le rose sul seno della fanciulla, e poi cadde sfinito nel seggiolone, col capo ciondolante sovra una spalla. La fanciulla si spaventò; lasciò cadere tutti i fiori sul davanzale, e corse in cerca della zia. - Un po' di sfinitezza, niente altro - disse la zia sollevando con braccio esperto la testa del marito. Un brodo caldo lo rimise del tutto, e quando al brodo fu aggiunto un bicchierino di Malaga, gli occhi del vecchio presero a scintillare, a sprazzi, finché restarono immobili, rapidamente attratti dalle rose sparse intorno a lui. Mezz'ora dopo dormiva. - Gli uomini - disse placidamente la zia Rosa, infilando le maglie di un pedule - sono molto piú deboli di noi. - Sì? - fece Teresina, incredula. - Sì. La zia non aggiunse altro. Quella sillaba racchiudeva un'esperienza lunga, multiforme, sicura. In quella asserzione che sintetizzava la debolezza del sesso forte, c'era tutto quanto il frutto della sua vita trascorsa osservando; osservando, calma, dietro il banco del negozio, accanto ai lettini dei suoi sedici figli, nelle ore lente e pazienti della solitudine femminile. Teresina non poteva comprendere e non comprese; ma rimase sotto l'impressione di un pensiero grave, indeterminato, guardando quei due vecchi: l'uno, decrepito, attaccato rabbiosamente alla vita; l'altra, serena, nel suo indifferentismo; bella, nella calma marmorea delle forme che nessun soffio di passione aveva alterate mai. Lo zio le faceva un po' soggezione, e, segretamente, le ispirava un certo disgusto; ma non poteva saziarsi dal rimirare la zia Rosa, seduta coll'imponenza di una romana antica, agitando i ferri, moderatamente, colle mani pienotte, alzando tratto tratto lo sguardo cristallino, di una limpidezza d'acqua. Scrisse alla mamma "la zia Rosa è tanto buona quanto bella". Ma chi era il giovinetto lungo e magro, coi calzoni color cannella, che passava alla mattina sotto la sua finestra, proprio nel momento ch'ella schiudeva le gelosie? Lo seppe un giorno, a tavola, poiché la zia scodellando i tagliarini, disse: - Non so cos'abbia Cecchino, che lo vedo passare di qui cinque o sei volte al giorno, Cecchino del mastro di Posta. Sapeva il nome, sapeva che era figlio dell'impiegato postale. Osservandolo meglio, seppe anche che non era un brutto ragazzo, un po' patito, con certi occhi grandi a fior di testa, che sembravano voler pigliare le persone come in una tanaglia. Era un divertimento vederlo passare tutte le mattine, ed era comodo per l'ora: Cecchino significava le sette e mezzo in punto. La zia Rosa, che conosceva la famiglia del mastro di Posta, non disse di no, una sera quando vennero a chiederle Teresina per fare quattro salti, al suono dell'organetto; e Teresina, che non aveva mai ballato in vita sua, si sentì dare un tuffo nel sangue. Certamente era felice, ma avrebbe voluto nascondersi a tutti gli sguardi, sì poca aveva sicurezza in sé, e tanto timore di comparire goffa e screanzata. All'entrare in sala, con tutte quelle sedie allineate lungo le pareti, il pavimento spruzzato di acqua fresca, e quattro candele conficcate davanti a quattro specchietti, ella provò un momento di vertigine. Non vide nessuno, non guardò niente; a passi da sonnambula raggiunse l'angolo piú buio; c'era una seggiolina umile, dimenticata nel vano della finestra, dove aveva servito per appendere una coperta bianca a guisa di cortinaggio. Teresina sedette là, e vi rimase come inchiodata. Vedeva, confusamente, due o tre coppie che giravano, e le parve che la zia Rosa, dall'altro lato della sala, la invitasse col gesto ad uscire di quel cantuccio, a muoversi anche lei come le altre. Ma c'era una nebbia davanti alle sue pupille, non percepiva nettamente i contorni; e la nebbia crebbe, diventò tenebra folta, dopo che le si era fermato proprio davanti qualche cosa color cannella. - Posso? Che cosa si voleva da lei? Che cosa le offrivano? Chi parlava? Ella rispose vivamente no, no, respingendo un cartoccino, tutta tremante. - La prego, favorisca, solamente un confetto. Erano veramente confetti? Non la si voleva burlare? Non erano piuttosto sassolini o mollica di pane? Suo fratello le aveva fatto tante volte quello scherzo. La voce insistette così, che Teresina si decise di allungare la mano, e prese un grosso confetto. - Non balla? A poco a poco Teresina rinveniva dal suo stupore, e gli occhi riprendevano a veder chiaro. Il signor Cecchino aveva un modo di parlare mellifluo, le stava chino davanti con tanto rispetto, ch'ella ebbe una lontana intuizione di fargli piacere ad accettare le sue cortesie. Rispose dolcemente: - Non ho mai ballato. - Non sa ballare? - Oh! a scuola ... oppure colle mie sorelline ... - Ma è la stessa cosa. Mi favorisca un giro; sono persuaso che lei balla divinamente. Ripose i confetti in una tasca del giubbetto, e le porse galantemente la mano. - Temo m'abbia a girare la testa ... - Niente paura; ho il braccio saldo, con me non può cadere. E per darle subito una prova della sua forza, le recinse la vita stretta. Teresina ripiombò nel buio. Non aveva piú coscienza di se stessa, girava, girava, acciecata dalle quattro candele che le sembravano girandole abbaglianti, sentendo nel fianco il cartoccio di confetti che Cecchino aveva in tasca, non osando dirgli di tenerla meno serrata. - È stanca? Moriva; ma non ebbe il coraggio di confessarlo, inebbriata dal moto, dalla musica saltellante, dal calore di quel corpo stretto al suo, e dall'odore di gelsomini, acutissimo, che emanavano i capelli del suo ballerino. - Lei balla da angelo. Per fortuna l'organetto cessò di suonare; Teresina cadde sulla prima sedia, rossa in viso come una brace. La seconda, la terza volta che ballò con Cecchino, non aveva piú tanta suggezione; ma il turbamento cresceva. In fine della serata era giunta al punto da non potergli parlare senza che le tremasse la voce; e quand'egli disse, strisciando le parole, facendo gli occhi espressivi: - Come mi dispiace che passino queste ore! Ella, rapita, fuori di sé, chiese: - Perché? Cecchino non aspettava altro. - Per dovermi separare da una persona tanto simpatica. La sala girava come un arcolaio; girava l'organetto col suonatore; girava la zia Rosa; girava lei, Teresina, stretta fra le braccia di Cecchino. E chi girava realmente erano lor due soli, alle battute finali dell'ultimo galoppo. - Ti sei divertita? - interrogò la zia Rosa, quando furono a casa. - Moltissimo - rispose Teresina con una convinzione che le trapelava dagli occhi. Una volta chiusa nella sua camera, per poco fu felice, riandando col pensiero ogni frase di quel memorabile ballo, ricordando sillaba per sillaba tutto quello che le aveva detto Cecchino: "Posso? La prego, favorisca almeno un confetto. Non balla?", tutto, tutto, fino alle parole "una persona simpatica". Queste, solamente a pensarci, le sconvolgevano il cuore. Guardò amorosamente il confettone, divisa fra il desiderio di mangiarlo, e quello di conservarlo eternamente. Il letto le parve duro, troppo pesanti le coperte. Era stanca, ma non le riusciva di chiudere occhio; se appena le si appesantivano le palpebre, scattava, sembrandole di udire mormorare lì sul guanciale: una persona tanto simpatica E poi le venivano in mente i ritornelli dell'organetto, e si stringeva al materasso, col braccio sinistro arrotondato in alto, il braccio destro teso, nell'illusione di ballare ancora. All'alba si addormentò. Il primo pensiero, svegliandosi, fu per lui; ma invece di essere un pensiero gaio e sorridente, le si affacciò quasi come un dolore, come una spina acutissima passata nella pelle. Inoltrando il giorno, la sua malinconia cresceva. Non aveva mai provato una simile tristezza. Si sentiva cambiata, come se un gran numero d'anni le si fosse aggravato sopra; aveva pensieri mesti di morte, di malattie, uno sconforto, un vuoto. Si toccava l'abito qui, lì, dove lo aveva toccato lui; e le veniva una gran voglia di piangere. All'ora del pranzo aveva il cuore così oppresso, che non poté quasi ingoiare cibo. - Va' a coricarti, poverina, sei stanca. Teresina non se lo fece dire due volte; penava troppo a doversi frenare davanti gli zii; sentiva il bisogno della solitudine, per trovarsi libera col novo ospite che albergava in lei, per poter chiudere gli occhi, e pensare al signor Cecchino. La seconda notte non fu migliore, né il giorno seguente. Il mattino, dalla sua finestra, lo aveva veduto passare, e lo sguardo prolungato che egli le diede, l'aveva, per un istante, resa beata; ma poi la malinconia la riprese, insistente, tormentosa. - Questa ragazza è ammalata, - disse la zia Rosa, accarezzandola con dolcezza - forse le fa male l'aria. - No, zia, non mi fa male. - Sei pallida, inquieta; lasciami sentire il polso. Ti duole il capo? - Un po'. - Lasciala in pace - interruppe il vecchio, gettandole alla sfuggita una delle sue occhiate penetranti. - Non è nulla. - Lo credo che non è nulla, ma la gioventù ha bisogno tratto tratto di qualche rinfrescante; ai miei figli, quando stavano poco bene, davo un cucchiaio di manna. Lo vuoi Teresina, un cucchiaio di manna? È dolce. E poiché Teresina, girellando per la camera, si era allontanata alquanto, il vecchio fece trombetta colle mani alla bocca, in direzione di sua moglie. - È innamorata! E ghignò, crollando la testa sulla dabbenaggine della buona donna, la quale non fu capace di aggiungere altro, restando cogli occhi fissi; quei chiari occhi cristallini, limpidi, che avevano visto molte cose nella vita, ma l'amore mai.

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