Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbagliandola

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PROFUMO

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Capuana, Luigi 1 occorrenze

La gran luce, che inondava la chiesa dalle finestre della navata centrale e da quelle della cupola, da cui un fascio di sole scendeva appunto, tra un nugolo di formicolante pulviscolo, fino a piè dell'altare, la di- straeva abbagliandola. Ma anche con gli occhi chiusi e coperti dalle mani, ella rimaneva impietrita, nè poteva pregare. Una maligna voce le sussurrava sommessamente dentro l'orecchio: "Non è vero! Nulla vive nelle tue viscere. Per questo rimangono mute". "Santa Madre degli afflitti, abbiate pietà di me!" ella balbettava. Si sentiva mancare il terreno sotto le ginocchia; le veniva di prorompere in un grand'urlo e rovesciarsi sul pavimento e rotolarvisi per quella smania che le attanagliava lo stomaco e le scoteva tutta la persona. E si rizzò in piedi, barcollan- te, atterrita dell'assalto nervoso che stava per scoppiarle addosso, presentito da due giorni. Le pareva di correre, di volare leggera come una piuma, sfiorando appena il suolo. La voce del Padreterno, che la invitava dall'angolo opposto a osservare qualcosa, la inseguiva, la inseguiva tra le colonne e tra i banchi attraversati ra- pidamente, con gli occhi ansiosi fissi all'uscio della sagrestia, quasi non dovesse più raggiungerlo e varcarlo ... Nel corridoio riconobbe appena Patrizio che le veniva incontro, rimproverandola affettuosamente: "Ti ho cercata dappertutto! Dovevi avvertirmi che andavi in chiesa." "Ah, Patrizio! ... Patrizio! ..." E si rovesciò, arcuando il corpo e contorcendo i polsi, tra le braccia di lui. Ora ella restava dimessa, quasi vergognosa, dinanzi a suo marito. "Non tormentarti! Non è niente. Sto meglio." Patrizio le rispondeva con mite sorriso di rassegnazione, sentendo di amarla più fortemente da che la sapeva colpita. Non la rimproverava più d'avere taciuto; la compativa come una bambina un po' strana e viziata che mostrava di vo- lersi correggere. "Dimmi: il dottore si è ingannato?" gli domandò un giorno. "Si è ingannato!" "Lo sentivo!" sospirò Eugenia. "Meglio così." "Perché?" "Perché è meglio che, prima, tu sia guarita perfettamente." "Presto?" "Presto, se stai tranquilla, se sai frenarti." "Baciami! Voglio guarir subito!" "Coi baci non si guarisce." "Resta qui, accanto a me. Sarò buona ..." "E l'ufficio?" "Lascia socchiuso l'uscio. Così almeno potrò vederti; mi basterà." Voleva essere tranquilla, voleva frenarsi, come le raccomandava Patrizio. Di tanto in tanto però il solito sospetto, anzi la certezza dell'odio della suocera le rinasceva in fondo al cuore e le accendeva il sangue. Ella faceva ogni sforzo per cacciar via quella tentazione, per tenerla lontana, ma non sempre vi riusciva; massime nei giorni in cui Patrizio pa- reva volesse sottrarsi a qualunque più piccola tenerezza da parte di lei. Quel chiodo le rimaneva conficcato proprio in mezzo al cuore. E la vecchia ve lo calcava più profondamente ogni giorno! Ah, quel suo silenzio, quegli sguardi diacci diacci, indifferenti a prima vista, ma così cattivi! Patrizio tornava a ripeterle: "È una tua fissazione! E ti fa male. Non voglio sentirne parlare!" Ed ella, come l'altra volta, non gliene parlava più. Non pensarci però era impossibile. "Non mi trattiene mai nella sua camera! Mi risponde appena, con un sì o con un no, quando le rivolgo la parola. Mai non mi dice: Eugenia fa' questo! Eugenia fa' quello! . E sarei tanto felice di servirla! Non mi occorre niente. E si rivol- ge a Dorata piuttosto che a me!" Sì, sì, faceva male a ripensarci, a fermarcisi sopra con viva insistenza; Patrizio aveva ragione. E canticchiava a fior di labbra per distrarsi; e si rimproverava di chiamarla, nel suo interno, sprezzantemente: la vecchia! Come dirle: Mam- ma! intanto? Così avesse potuto ripeterglielo a ogni istante, ella che avea appena conosciuta la sua povera mamma, morta giovanissima soprapparto! Eppure, pensando e ripensando, si sentiva eccitare assai meno di prima, quasi i suoi nervi già cominciassero ad abi- tuarsi. Cedeva, per sfiducia, per stanchezza. Che delusione! S'era ingannata lei, immaginando nel matrimonio una felicità che non c'è, oppure l'avevano tradita le circostanze, le persone. Patrizio? Che cosa s'era immaginata infine? Vita tranquilla, ritirata, consolata da affetto sincero. Carezze! Ba- ci! Cose da nulla, e che pure l'avrebbero resa paga e contenta. Ah! Le lettere di Patrizio l'avevano illusa. E quando, di notte, egli le aveva parlato dalla finestra con quella voce affiochita dalla commozione? L'aveva illusa. Oh, allora egli sembrava un altro! Che parole di fuoco! Che castelli in aria per l'avvenire! Le faceva provare le vertigini. Non aveva mai inteso nessuno parlarle a quel modo! Nessuno le aveva mai detto tutte quelle belle cose carezzevoli, vera musica incantatrice ... E l'aveva illusa! L'aveva illusa! ... Si era forse illuso anche lui! Si rivedeva nella cameretta di Castroreale, nel letticciuolo di ragazza, rannicchiata sotto la coperta. Quante fantasti- cherie, per due anni, in quella bianca cameretta, avanti d'addormentarsi! E quante esitanze, quante lotte, nei primi giorni in cui s'era accorta delle intenzioni di lui, sconosciuto, forestiero, che se la divorava con gli occhi quasi di nascosto, per il dubbio, pareva, di essere scoperto da qualche indiscreto! Otto mesi fa, laggiù! E ora in quella celletta di convento, lontana dal paese nativo, dai suoi, da ogni persona nota! E quello sconosciuto, quel forestiero, che tante volte l'aveva fatta sorridere, allora, per quel suo modo strano di guardarla fisso fisso, pieno di timidezza e di audacia, era già diventato il suo Patrizio! E lei gli apparteneva, corpo e anima! Oh, lei sì, corpo e anima! Ma lui? lui? Non trovava risposta a tale domanda. Spesso però si meravigliava anche di essersela potuta indirizzare, ingrata o perversa ... "Di che cosa posso lagnarmi? Che cosa mi manca? ..." Da qualche settimana aveva preso l'abitudine di affacciarsi alla finestra del salottino, coi gomiti appoggiati sul da- vanzale, con la faccia tra le palme. Fantasticava ora intorno all'una, ora intorno all'altra di queste idee che le pullulavano nel cervello non appena rimasta sola. Affacciàtasi a quella finestra, mèssasi in quella positura, le pareva di sentir ranno- dare la catena delle sue fantasticherie al punto in cui il giorno avanti l'aveva interrotta, con la vista dello stesso paesag- gio, con la stessa luce di sole, di faccia al verde di quella siepe di fichi d'India che circondava l'orlo del precipizio; nel silenzio meridiano, interrotto soltanto dalla soneria dell'orologio del convento, o dal cinguettio di qualche passero, o dal grido rauco delle taccole che nidificavano in cima al campanile. Evidentemente, con la cura ordinata dal dottor Mola, i nervi di lei si andavano calmando. Le stesse cose d'una volta già le producevano impressioni meno vive. Di tanto in tanto, è vero, tornava a sentirsi scotere da capo a piedi, come se il male stesse per ridestàrsele dentro all'improvviso; e ne provava un grande sgomento, prima ignorato ... Ma era- no minacce che svanivano, che svaporavano col solito odore di zagara, e più rapidamente che per l'innanzi. Ora la invadeva una tristezza sfibrante, una specie di rimpianto, un dolore chiuso, che talvolta arrivava fino a farla piangere, ma non più a irritarla, a sconvolgerla, a farla contorcere e urlare. Patrizio l'aveva sorpresa due o tre volte in quella positura, in quella contemplazione: "Che cosa guardi? Che cosa pensi?" "Osservavo quelle donne che stendono il bucato al sole su la siepe di fichi d'India. Vengono ogni quindici giorni; l'ho notato." "Non hai visto?" egli le disse una mattina. "Nella selva sono fiorite le rose. Me l'ha detto il Padreterno." "Non me ne sono accorta." "Non te ne curi più, dovresti dire!" "È vero. Le ho trascurate da qualche settimana." "Come ti senti?" "Benissimo." "Dimmi la verità!" "Non ti nascondo più nulla, lo sai." Ella riprese la sua posizione, coi gomiti sul davanzale e con la faccia tra le mani. Patrizio la guardò alcuni istanti, un po' impacciato; pareva volesse soggiungere qualche altra domanda; poi tornò zitto zitto in ufficio. Avrebbe voluto domandarle: "Perché sei cambiata? Che cosa accade nel tuo cuore?" E glien'era mancato il coraggio. Seduto al tavolino, con dinanzi le lunghe liste di cifre da rivedere, da addizionare, da riportare nei diversi registri che lo ingombravano, egli, lavoratore assiduo e paziente, si distraeva di tratto in tratto, abbandonandosi a rimuginare inces- santemente la tormentosa interrogazione che da parecchi giorni lo assaliva all'improvviso: "Perché è cambiata? Che cosa accade nel suo cuore?" Ora udiva di rado l'allegro e sommesso canticchiare di lei, che dall'uscio socchiuso s'insinuava nello studio quasi per dirgli: "Bada: sono qui e penso a te! Dimentica un po' coteste brutte cartacce. Vieni a darmi un bacio!". Non levava gli occhi dai registri, non interrompeva il lesto calcolo delle cifre; sentiva però un delicato piacere a quel mormorio di voce femminile che gli aleggiava attorno e gli penetrava nel più profondo del cuore. E se alzava la testa per trovare una certa lettera alfabetica sul dorso dei volumi in-folio del catasto, allineati nei rozzi scaffali lungo le quattro pareti della cella, andava difilato a prendere il volume occorrente, senza cedere alla tentazione di affacciarsi nella camera dove Eugenia canticchiava lavorando presso la finestra, in quei felici primi mesi dell'insediamento nell'ufficio di Marzallo. Bei giorni! Sovente ella spingeva, zitta zitta, tra i battenti dell'uscio la testina con capelli neri e lucidi, lievemente ondulati; e re- stava là qualche istante a guardarlo in silenzio, finché non le diceva, sorridendo: "Ti ho sentita!" "Guardami dunque!" Egli continuava il suo lavoro, scrivendo una cifra qua, un'altra là, consultando qualche foglio, svoltando una pagina, e poi rispondeva: "Ecco, ti guardo!" Eugenia gli faceva un rapido saluto con la mano e spariva. Bei giorni! Qualche volta ella picchiava all'uscio: "Vuoi un sorso di caffè?" "Grazie; più tardi." "Si fredderà." "Non sarà gran male." Eugenia, tenendo in mano la tazzina fumante, sospingeva l'uscio con gesto di fanciullesco dispetto, ed entrava don- dolando graziosamente la testa, facendo una smorfiettina con le labbra: "Non deve freddarsi ... Oh, non fare il cipiglio! Vado via subito." "Qui si viene soltanto per affari" le diceva, scherzando, nel restituire la tazzina vuota. "Grazie. Questa volta, passi!" E riprendeva a lavorare, brontolando rapidamente le cifre, seguendone le filze con la mano che teneva la penna, con- tinuando l'operazione quasi non l'avesse punto interrotta; ma più svelto, ma con qualcosa che gli sorrideva internamente e gli rendeva gioconde fin le cifre. Ora non più! Quel sommesso gorgheggio femminile era cessato; quelle gentili apparizioni d'un istante interrompevano assai ra- ramente la monotonia del suo arido lavoro. I capricci delle scappatelle in fondo ai corridoi fuori mano, o nella selva, o sulla terrazza, in diverse ore del giorno, specie a sera inoltrata, nelle serate di luna piena, o nella tiepida oscurità protet- trice delle notti estive senza luna; quei capricci, che tante volte lo avevano conturbato perché gli era parso rivelassero in Eugenia un che di malsano e sensuale, da cui veniva urtata la sua rigida idealità; ora che ella restava volentieri sola, in camera o in salotto, anche senza essere occupata in uno dei soliti lavorini di cucito e d'uncinetto, quei capricci egli già cominciava a rimpiangerli, quantunque tuttavia non lo confessasse apertamente a se stesso. Fin i contrasti, le lotte per attutire o infrenare l'irritazione di lei a proposito del contegno della suocera; gli scoppi di pianto e gli accessi nervosi, sopravvenuti a sconvolgere la tranquillità della sua vita e ad atterrirlo per l'avvenire; fin questi talvolta gli sembravano preferibili a quella nuova fase d'indifferenza che gli dava viva inquietudine. "Cosa strana!" pensava. Non avea sempre desiderato che fosse così, per quel gran bisogno di riposo che egli provava dopo le tante fiere agitazioni e i tanti profon- di dolori della sua misera giovinezza? Perché dunque si sentiva preso da malessere, osservando che, col decrescere della malattia di Eugenia, il carattere di lei veniva appunto conformandosi all'idea che egli s'era fatta di un'inalterabile felicità domestica, di una esistenza isolata e quasi fuori del mondo? "È cambiata? Che cosa accade nel suo cuore?" Non aveva proprio desiderato questo, no, mai! E perciò scrollava la testa e si passava la mano su la fronte per scac- ciar via l'irritante pensiero. "È assurdo! È impossibile!" Riprese a lavorare, assorbendosi nei calcoli numerici. Intanto, a dispetto dell'attenzione richiesta dalle operazioni a- ritmetiche, la dolorosa domanda gli insisteva, gli insisteva tuttavia dentro il cervello. Si levò dal tavolino, andò di là, nella stanza dove i commessi lavoravano o fingevano di lavorare, come egli soleva benignamente rimproverarli, e parve volesse sfogare contro di essi il malumore. I commessi si guardarono negli occhi, meravigliati. "Quest'Agente è una dama!" dicevano spesso tra loro. "Una dama a dirittura." E nei rari momenti di severità, si borbottavano da un tavolino all'altro: "Cattivo tempo!" "Tramontana!" "Scirocco!" Poco dopo, nella stanza si sentì soltanto lo stridere delle loro penne su per le colonne degli stampati e sui fogli di carta bollata dei certificati catastali, mentre Patrizio andava da un tavolino all'altro esaminando una registrazione, ri- scontrando una cifra, rimproverando Ciancio per una cassatura, Griffo per una omissione, Zuccaro per l'eccessiva len- tezza di una copia. "Cattivo tempo!" "Tramontana!" "Scirocco!" I commessi si ammiccavano, facendo versacci.

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