Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbagliamenti

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

LE ULTIME FIABE

661854
Capuana, Luigi 1 occorrenze

Il Re stava ad ascoltarla e, di tratto in tratto, provava strani abbagliamenti, come se quella donna gli si trasformasse davanti, ora con magnifici capelli biondi, ora con lunga chioma corvina, ora giovanissima, esile, ora di forme piene, robuste. E il colore dei vestiti mutava dal bianco, al celeste, al giallo, al rosso vivo, passando da questo a quello rapidissimamente. Il Re chiudeva gli occhi, se li strofinava e si rivedeva davanti la vecchina vestita di nero, trasandata, col bastone che le serviva per appoggiarsi camminando. - Sei stato molto malato, Maestà; ed ora ti annoi mortalmente ... Qui stai bene, con tante finestre, con tanti saloni, uno più bello dell'altro. Lasciami vedere. S'inoltrava di salone in salone, seguita dal Re, il quale, zitto, accigliato, tornava ad avere altri bagliori, a vedersela trasformare sotto gli occhi, bionda, bruna, vestita di rosso, di giallo, di bianco, di celeste, di stoffe tramate d'oro, e non sapeva che pensare. - Sono stanca: torno a sedermi. Puoi sederti anche te, Maestà: sei in casa tua. Dunque dicevo? ... Oh, su! scaccia via queste malombre. Perché ci vengono dietro? Ma poi continuava, senza più curarsi della presenza dei Ministri: - Io ti ho voluto sempre bene! Ti ho visto nascere, ti ho visto crescere. Venivo a trovarti nei sogni. Ricordi? No? Mi chiamavi: Faccia bella. Ricordi? No? Scherzo. Penso che i bambini vedono tante cose nei sogni; e che forse potresti aver veduto anche :me, o persona che mi rassomigliasse. No? ... No? ... Non sognavi da bambino? Per questo sogni ora, anche ad occhi aperti; ti si legge in viso! Il Re stava ad ascoltarla sbalordito; i Ministri erano là, a bocca aperta, più sbalorditi di lui. - La malattia di cui sei guarito, è cosa da niente, a petto di quella che ti rode l'anima e il cuore! Tu, Maestà, vuoi sapere chi sono io? Te lo dirò un'altra volta. E, se vuoi, ti porterò la cosa che ... Tu smanii per averla; pensi ad essa il giorno; la sogni, la notte. Ti figuri che non potrai continuare a vivere, se non avrai finalmente la cosa che ... Oh! Quasi quasi sarebbe meglio che tu continuassi a desiderarla senza mai giungere a possederla ... - No! No! - E se poi ti dispiacerà di averla avuta? E se poi ti pentirai di averla avuta? Dovrai prendertela con te stesso. Intanto, lo sai che hanno fatto costoro? Hanno messo nuovi balzelli, col pretesto che il Re ha bisogno di molto danaro. - Perdono, Maestà! - L'intenzione era buona. - Volevamo fare un bando: Chi portava a Sua Maestà la cosa che ... riceveva per ricompensa tant'oro quanto egli pesa. - E l'oro è pronto? - domandò la vecchina. - Per voi, basterebbe metà di quello già pronto. - Vogliamo provare? Sarà un divertimento per Sua Maestà. - Proviamo pure, giacché Sua Maestà lo permette. Fecero portare una gran bilancia che due servi robusti reggevano a spalla con una stanga, e parecchi cesti ricolmi di monete d'oro. Che? La vecchina pesava di più? Pareva impossibile! Aggiunsero nella coppa un altro cesto, e poi un altro ... E la coppa dov'era accoccolata la vecchina non si sollevava affatto. Se non che nei cesti le monete si muovevano tintinnando, quasi rimescolate da mani febbrili e invisibili. - Vedi, Maestà? Non servono. È meglio farle tornare nelle tasche della gente. Su, volate via poverine, ognuna al suo posto! Parvero sciami di api che scappassero dalla finestra, tintinnando, luccicando, sbattendo sui vetri spalancati. I Ministri che, approfittando dell'occasione, se n'erano prese, di nascosto, due manciate per uno, se le sentivano scappar via di tasca, e non facevano il minimo gesto per fermarle, dalla grande paura di esser scoperti dal Re. E quando le monete d'oro furono volate tutte via, la vecchina prese il bastone, si mise a cavalcioni di esso, e dicendo: - A rivederci fra otto giorni, Maestà! - volò via anch'essa per la finestra, e sparì. Quella giornata fu allegra per tutti, meno che pei Ministri. La gente sentiva un peso nelle tasche, ficcava una mano: - To'! Una moneta! - To'! Due, tre monete! E non sapevano spiegarsi quel prodigio! Otto giorni dopo, la vecchina ricomparve nel portone del palazzo reale. - Salgo su, dal Re! E prima che le guardie potessero impedirglielo, montava rapidamente pel grande scalone e pareva che avesse le ali! -lei avanti, le guardie dietro, ansimanti per la corsa, e picchiava all'uscio della stanza del Re. -Maestà! ... Dormiglione! ... Maestà! Accorse ansiosamente il Re, che rimase male non vedendole niente in mano, fuorché il bastone. - E la cosa che ...? - Non l'hai vista? È in camera tua, sul tavolino. Il Re si precipitò là, ma la vecchina lo trattenne a certa distanza. Su una larga striscia di panno scuro, tremolava, formicolando di mille colori, una gran bolla di sapone. Tutte le pietre preziose - smeraldi, rubini, topazi, zaffiri, ametiste, turchesi - ridotte liquide, parevano rincorrersi attorno, in alto, in basso, e davano a quella gran bolla l'aspetto di cosa vivente. - Vedi Maestà? - disse la vecchina: - là c'è tutto: speranze, lusinghe, gioie, dolori, disinganni, sciocchezze ... tutto! Che ti eri immaginato? Là c'è tutto ... e non c'è niente. Un soffio più forte dell'ordinario, un piccolo urto basteranno a farla scoppiare. - Oh, com'è bella! Com'è bella! Il Re non si saziava di ammirarla. - L'hai avuta dentro di te e non ti sei accorto di possederla ... - soggiunse la vecchina. Ed ecco che il Re prova nuovamente gli abbagliamenti dell'altra volta, come se quella vecchina gli si trasformasse davanti, ora bionda, ora bruna, ora giovanissima, esile, ora di forme piene, robuste; ora vestita di rosso, o di giallo, o di bianco, o di celeste, di stoffe tramate di oro ... e non sapeva che pensare! Chiudeva gli occhi, se li strofinava, e si rivedeva davanti la vecchina vestita di nero, trasandata, col bastone che le serviva di appoggio camminando. Ma la cosa che - egli non sapeva esprimersi altrimenti - era ancora là, formicolante dei più vivi colori. Se non che, ammirando: - Oh, com'è bella! Com'è bella! - egli non poteva far a meno di soggiungere: - E non è altro! Una gran bolla di sapone! Non è altro! La vecchina ha ragione. L'ho avuta dentro di me, per anni ed anni, e non mi son mai accorto di possederla! - Chi siete? Voi siete una Fata benefica! - egli esclamò, buttandosi ai piedi della vecchina. - La vera Fata benefica è la tua giovinezza che non può più vivere fantasticando la cosa che ... La vecchina gli svaniva lentamente davanti quasi si allontanasse, si allontanasse sorridendo. E dietro ad essa, un leggero soffio spinse, per poco, la bolla iridata, che all'aria aperta scoppiò, lasciando cascar giù poche stille di acqua torbida. Da principio, il Re sentì un vuoto nel suo cuore, e nel suo cervello; ma di mano in mano ch'egli riprendeva la vita attiva provava un gran sollievo, si sentiva più giovane, più vivo, più uomo; e quando voleva indicare qualcosa di triste, di vuoto, esclamava sdegnosamente: - Come al tempo della cosa che ...! E per ciò questa fiaba vien chiamata: La fiaba del Re Che voleva una cosa che ...

Racconti 1

662658
Capuana, Luigi 1 occorrenze
  • 1877
  • Salerno Editrice
  • prosa letteraria
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

A tale vista sentii subito fremere nelle mie vene tutte le indomite potenze del sangue: ebbi degli abbagliamenti, delle vertigini. La casta e malinconica figura della Iela, offuscata dagli splendori di quell'apparizione sfolgorante, non trovò piú forza di farsi scorgere dalle mie pupille intorbidate. - Una gran bella cosa! - ripetei, senza proprio sapere quel che mi dicessi, divorandomi intanto cogli occhi quel corpo semivestito, a cui la licenza della mia imaginazione levava dattorno ogni velo. - A rivederci! - ella disse, arrossendo di scorgersi cosí avidamente guardata. E con un movimento di gazzella impaurita chiuse le imposte dopo avermi fatto un sorriso ed un inchino col capo. Era sparita! Ma io però, rimasto lí immobile, la vedevo tuttavia nettamente dietro i cristalli, come se le vibrazioni luminose prodotte dal suo corpo fosser rimaste impresse nell'aria e ve ne mantenessero l'apparenza. Ero già pentito di essere ritornato. Mi vedevo sull'orlo dell'abisso e sentivo il terribile fascino delle profondità: una piccola spinta, e cadevo lanciato nel vuoto. Dei brividi mi correvano per la persona. Oh quel Paolo maledetto! E la Iela, il mio gentile ideale? M'ingegnavo di persuadermi ch'esso avesse pur troppo bisogno di questa specie di nuova incarnazione per ridursi completo; la sua forma affatto spirituale prendeva nell'Emilia le agili letizie del corpo; oh! Sarebbe rimasta sempre lei, la mia Iela, ma avrebbe assunto qualcosa che me l'avrebbe resa piú omogenea. Futili sottigliezze del cuore che non voleva confessare la propria debolezza; artifizi della coscienza che non aveva il coraggio di accettare la sua colpa a viso aperto e dire per iscusa: è piú forte di me! La giornata era calda; l'estate batteva all'uscio. I raggi del sole penetravano il corpo di una lassezza piacevolissima, come di voglia di sonno. Le farfalle erravano turbinose di qua e di là; le mosche verdi volavano impertinenti attorno il viso, con quel loro ronzio prolungato, un vero adagio musicale di ninnananna che cullava i sensi e li legava col suo torpore. Ad ogni muover di passo fra le erbe, i fiori, il timo, la nepitella e il cardospino, migliaia di piccoli insetti si levavano a volo e tornavano, quasi subito, a rannicchiarsi di bel nuovo all'ombra delle foglie e dei calici per ripararsi dal sole. Appoggiata al mio braccio, ella ora percoteva colla punta del suo piedino i cespugli fioriti, ora allungava la sua canna da pesca appoggiata alla spalla per disturbare le carezze delle farfalle sul letto dorato delle pratoline; e intanto canticchiava delle parole inintelligibili, dondolando lievemente la testa. La spiaggia formava lí presso un piccolo seno scavato nella costa dal continuo rodere dell'onda. Un letto di sassi lisci, arrotondati, di diversi colori, poco piú largo di uno stanzino, veniva circondato dalla curva della costa all'altezza di due metri; vi si scendeva per una rozza scalinata, la quale non accusava certamente la mano dell'uomo. - Vedrà che magnifica pesca! - ella disse, adagiandosi sur un sasso da me preparatole per sedile. - Oh! - risposi ridendo; - i pesci saranno lietissimi di esser pescati da una mano cosí gentile -. E, inescato il suo amo, lanciai il filo nell'onda. L'onda ci lambiva i piedi; quella piccola diga di sassi ne smorzava la stesa. Nelle fonticine formate fra sasso e sasso dagli spruzzi dell'acqua e dai meati della diga, vedevansi correre i piccoli granchi marini sul fondo arenoso. Le patele solitarie stavansene aggrappate ai sassi col loro grigio gusciolino che si lasciava scorgere appena. L'olio di mare agitava le sue filamenta a seconda dell'onda, o le arricciava e le formava ad arco per assorbire dai muschi le sue impercettibili prede. Dopo aver dato un po' la caccia ai granchi marini e alle patelle, inescai alla mia volta l'amo e mi sedetti accanto a lei, sui ciottoli, il piú comodamente che potei. L'atmosfera era pesante ed immobile. Un silenzio grave regnava intorno. L'acqua che veniva a scherzarci ai piedi aveva dei mormorii voluttuosi di sirena, dei mormorii seduttori. Nissuno di noi due diceva una parola. Quella solitudine si faceva complice dei nostri segreti pensieri; pareva che una corrente magnetica ci tenesse in comunicazione e rivelasse all'una i piú riposti movimenti del cuore dell'altro. Ella aveva lasciato abbandonatamente cadere la sua mano destra poco discosta dalla mia testa (sedevo piú basso di lei). Stetti alcuni minuti a guardarla, come un goloso, coll'acquolina in bocca. Piccola, dalla pelle fina e lucente, dalle ugne color di rosa, sfiorarla colla guancia e colle labbra divenne una tentazione insistente. Mi spingevo in là senza parere, quando l'improvviso scostarsi di alcuni ciottoli sui quali poggiavo il gomito accelerò il movimento, e andai proprio a posare la guancia sulla mano di lei ... che non si mosse! Allora non mi mossi nemmeno io. Cominciai ad accarezzargliela con un lieve strofinio, che mi faceva gustare tutta la delicatezza di quella pelle sotto cui non si sentivano gli ossi. Avevo già perduto ogni coscienza di me stesso. I ciechi istinti animali mi facevano nelle fibre una fanfara di trionfo. Spinsi gli occhi verso di lei. Ella, avvertito forse quel movimento, chinava in quel punto il viso dalla mia parte, colle labbra semiaperte al sorriso quasi ebete che rivela il venir meno della persona dalla eccessiva emozione, cogli occhi lampeggianti di sensualità sconfinata. - Carlo! ... Carlo! ... - disse dolcemente, languidamente. Ero già levato sui ginocchi e la stringevo tra le braccia, soffocandola dai baci. Fu un minuto! - Fortuna che nessuno ci abbia visti! - esclamò l'Emilia quando, rientrato quasi repentinamente in me, le sciolsi le braccia dal collo. E rise di quel suo riso allegro, sonoro, che in quel punto mi parve tristamente triviale. Non c'era in esso nessun'eco della commozione profonda che doveva agitarle tutto il corpo; ma una contentezza, un appagamento, uno scoppio di soddisfazione volgare ... Avrei preferito che quella pigra ondata del mare spirante sui sassi si fosse a un tratto levata su sdegnosa e mi avesse travolto e annegato. Avrei preferito che mentre io ricercavo avidamente la sua bocca e la stringevo al mio petto, Paolo fosse improvvisamente comparso sul ciglio della spiaggia e mi avesse fulminato con una parola, o mi si fosse lanciato addosso con tutto il furore dell'amico e dell'amante tradito. Ma nulla di questo! L'onda continuava il suo monotono mormorio. Il silenzio meridiano incomb eva attorno non turbato nemmeno dal ronzio di un insetto. Ella non capí niente di quel che avveniva dentro di me. - Fa troppo caldo! - disse. - Fa troppo caldo! - ripetei collo stesso tono di voce. E raccolte le canne da pesca, le porsi la mano per aiutarla a montare la rozza gradinata e riuscire sui campi. Giungemmo a casa senza scambiare una parola. Avevo il cuor grosso. Che nottataccia! Al cader della sera mi si erano ridestate piú violente nel cuore le bufere della giornata. Smaniavo, pestavo coi piedi, mi strappavo i capelli. - Perché non spingevo quell'uscio? Perché non entravo ad un tratto nella stanza di lei? Verso le due dopo la mezzanotte il mio delirio giunse al colmo. Mi tolsi le pantofole e, a piedi scalzi, trattenendo il respiro, traversai il salottino e la camera che dividevano la mia dalle sue stanze. Origliai un gran pezzo all'uscio per persuadermi se fosse sveglia. La sua respirazione calma ed uguale, era il solo rumore che si sentisse. Grattai leggermente all'uscio; nessun movimento. La sua respirazione continuava calma ed uguale. Dal buco della serratura vedevo il lumino da notte agonizzare sur un tavolo in fondo. Ai piedi del letto scorgevansi le sottane e il corpetto buttati disordinatamente sopra una sedia e un po' strascicanti per terra. Che malia in quelle ombre appena diradate, in quella respirazione ascoltata a traverso l'uscio! Ritornai vergognoso, disilluso nella mia stanza, e molto tardi cedetti al sonno. Chi svegliommi la mattina dopo? La voce di Paolo. Era arrivato improvvisamente per farci una piacevole sorpresa! - Poltrone! - mi urlava dietro all'uscio. - Come si fa, in campagna, a dormire fino alle dieci? - Sei giunto a proposito - gli dissi dopo la colazione. - Ero sul punto di andar via senza piú aspettarti un minuto. - Come? Non rimarrai almeno un par di giorni, ora che ci son io? - insistette Paolo. - No - risposi - è impossibile -. Non sapeva darsene pace. La signora Emilia aggiungeva anche lei qualche parola, ma non cosí insistente e calorosa come quelle di lui. Avevo a stento la forza di guardar Paolo in viso; la sua schietta cordialità mi feriva il cuore come uno stile. Fui fermo. Verso le cinque di sera, sul punto di montare a cavallo, - Senti - mi disse Paolo - io sono in collera. Non ti accompagnerò nemmeno fino al limite dell'ex feudo -. Infatti rimase sulla terrazza. Poi volgendosi alla signora Emilia che ritta in mezzo alla spianata, a pochi passi da me, mi guardava con certi occhi sdegnosi e turbati, - Ma pregalo te! - le disse. - Forse l'insistenza di una signora lo piegherà -. La signora Emilia mi si accostò, guardandomi fisso negli occhi, e con accento represso, vibrato, - Perché mi fuggi? - mormorò impallidendo. E si morse le labbra. - Ma se rimango - risposi anch'io a bassa voce - noi commetteremo un'infamia! - Grullo! - esclamò con inesprimibile gesto di disprezzo, voltandomi bruscamente le spalle. Quella trista parola mi rese tutta la mia coscienza d'uomo e la mia fierezza di carattere. Salutai, montai a cavallo, e mi rivolsi appena una volta indietro per rispondere ad un ultimo addio di Paolo. La serata era calma, splendidissima di tutte le glorie del vicino tramonto. Di mano in mano che mi allontanavo dalla Marza, mi pareva veder il cielo vestirsi gradatamente di un sorriso piú bello; e su quella profonda limpidezza, oh gioia!, tornava ad apparire la soave figura della mia Iela, casta e pietosa come prima e sorridente di perdono. Mineo, 25@ 25 marzo 1876@. 1876.

Cerca

Modifica ricerca