Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbadava

Numero di risultati: 6 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Il galateo del campagnuolo

187415
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1873
  • Collegio degli artigianelli
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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I camerati che lo vedevano sempre con un libro in mano, e che invitato, non li seguiva nelle birbonate, ne lo sbertavano, chiamandolo il professore, l'avvocato: ma egli non ci abbadava, e faceva la sua strada; conoscendo che la peggio delle infelicità è l'ignoranza. Molte cose imparò dai libri, che poste in pratica nel suo podere, ne triplicarono i prodotti; e qui giova accennare alle principali, che sarebbe desiderabile, che fossero imitate da tutti i coltivatori.

Pagina 31

Una famiglia di topi

205127
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1903
  • R. Bemporad &Figlio
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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Allora il conte ordinava che i colpevoli fossero mandati in cucina: restava Dodò, il quale pazientemente raccattava gli avanzi dispersi di quella strage, li rimetteva a uno a uno nel piattello destinato ai sorci e poi, quando aveva finito, sedeva sul di dietro e abbadava a ripulirsi, a strofinarsi, a ravviarsi, a leccarsi, che non la finiva più.

Pagina 74

In Toscana e in Sicilia

245980
Giselda Fojanesi Rapisardi 4 occorrenze
  • 1914
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
  • UNICT
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Prima di tutto aveva sputato un polmone a persuadere la vecchia madre del giovanotto, che, testarda e scrupolosa com'era, abbadava a dire: - Non voglio in casa per nuora la citta di nessuno, alludendo all'esser la Virginia degli Innocenti. Ma quando seppe che il capoccia Tonio e la massaia Santa, oltre ai trenta scudi che le toccavano come trovatella, le avrebbero data una buona dote, il vezzo di corallo, quello di perle, i cerchioni d'oro, senza contare gli anelli e gli oggetti minuti, cambiò d'idea e dette il consenso. Per far dire di sì alla Virginia fu un altro paio di maniche; non ne voleva sentir parlare e, ogni volta che ci facevano cascare il discorso, diceva, con le lagrime agli occhi: - O che vi son venuta a noia in casa? Oppure vi son di peso? - Si vede che son figliuola di nessuno. - E ripensava alle parole della sua amica Assuntina, quanto se n'era andata al servizio a Firenze. Ma tanto dissero e tanto fecero che la piegarono a dir di sì, e il toccamano fu fissato, come si usa in Val di Chiana. In quel giorno Cesare del Bizza, il cozzone, andò glorioso e trionfante da Tonio con Cencio e col babbo di questo. I quattro uomini cominciarono a parlare d'interessi e tira di qua, tira di là, finalmente si toccarono la mano dicendo: - Dunque il parentado è fatto! Fu poi stabilito che il giovanotto sarebbe andato a veglia tutte le sere dei giorni buoni. La prima volta però fu poco soddisfatto, poichè, tornando a casa, disse, che non c'era sugo con una ragazza che non aveva mai vegliato e che non sapeva procedere. Poi, con quell'aria di madonna addolorata e quel parlare in punta di forchetta, lo metteva in suggezione. La Virginia si era già pentita, e come, di aver detto di sì e non poteva darsi pace di dover pigliare quel coso rozzo e sgarbato, che non sapeva dir due parole a modo, e non faceva altro, quando le era accanto, che darle gomitate. Come avrebbe fatto ad andar con lui dai padroni? C'era da morire di vergogna. Di rompere il matrimonio le mancava il coraggio, ora che tutti lo sapevano e il giorno delle nozze era stabilito per la Pasqua d'uovo. Si sarebbe rassegnata: pazienza. Il suo destino era quello. Ma una mattina, mentre stava seduta dinanzi al telaio e tesseva svogliata con la testa chi sa dove, si vide comparire davanti l'Assuntina tutta elegante e piena di fronzoli come una signora. - O Virginia, che non si riconoscono più le vecchie amiche? - Come stai? - Sempre secchina eh? - È egli vero che prendi marito? - Te lo dicevo io! Mi par che tu la faccia grossa - - Son contenti tutti..... - Senti che bella ragione! Son contenti tutti; ma tu sei contenta? Col marito ci hai da star tu, non gli altri. Non far la sciocca. Se non ti piace, piantalo, cara mia: è una pietanza quella, che viene in tavola tutti i giorni e..... tu m'intendi....... - Sarà; ma ormai non posso tornare indietro. Non c'è più tempo. - Finchè non si è detto di sì c'è sempre tempo. Io, vedi, sono stata fortunata. Appena giunta a Firenze entrai a un buon servizio e mi feci subito ben volere. Poco dopo, il cameriere del padrone principiò a farmi la ruota; ma io, furba, gli feci allungare il collo un buon po' perchè avevo paura che mi volesse canzonare, o che vuoi, ero novizia, ma la m'andò bene,e dopo un anno appena, mi sposò. Allora lasciai il servizio e, coi risparmi che s'avevano, si mise su casa e ora dò a dozzina delle camere, sto come una signora, son rispettata da tutti e, non faccio per dire, se mi viene una voglia, grazie a Dio, me la posso cavare. La Virginia era rimasta sbalordita, senza interrompere quel torrente di chiacchiere, ammirando il bel vestito della sua amica e le maniere franche e disinvolte che aveva acquistate. Oh se le avesse dato retta e fosse andata anche lei a Firenze! A quest'ora non sarebbe la ragazza di quel marrano, ma forse forse una signora. Le si stringeva il cuore a pensarci e le si empivano gli occhi di lagrime. - Ti trattieni?- Disse la Virginia all'altra con un fil di voce. - Due giorni soltanto; son venuta per rivedere un po' i miei vecchi; ma non posso lasciar la casa per di molto e lunedi riparto. Dimmi un poco, seguitò, per quando son fissate le nozze? - Per Pasqua d'ovo, rispose la fanciulla chinando il capo. - Ora che ci penso; sai che cosa si potrebbe fare? Te ne potresti venire con me a Firenze per qualche giorno; cosi almeno, prima di romperti il collo, tu godresti un pochino e intanto ti potresti comprare il vestito di seta e l'anello per lo sposalizio sul ponte Vecchio. Lì tu avrai da scegliere - Via, animo, è fatta. La Virginia era diventata rossa rossa e dall'emozione non poteva neppur parlare. Finalmente mormorò: - Chi glielo dice al babbo, e a quell'altro? - Chè! Non mí ci mandano di certo! - Non dubitare: me ne incarico io e vedrai che ci riesco: quando mi sono messa in testa una cosa, caschi il mondo, l'ha a andar di lì. Dunque lascia fare a me e dormi fra due guanciali. Per tutta quella notte la Virginia non fece altro che sognar Firenze: le pareva di esserci di già e di rimanerci con la Santa e Tonio diventati anche loro signori, che non le parlavano più di ritornare in campagna, nè di sposar Cencio. Come era bella la vita! Assuntina stette a tu per tu, senza sgomentarsi dei primi rifiuti, col babbo e con lo sposo, appoggiata debolmente dalla Santa e spiegò tanta maestria di persuasione che, alla fine, l'ebbe vinta, purchè promettesse di non trattener la Virginia più di otto giorni. Promise tutto quello che vollero e, il lunedì dopo, allegre e contente come due pasque, lei e la Virginia montavano sul calesse del procaccia, che doveva portarle a Firenze, mentre il babbo, la mamma e Cencio, questo un po' ammusito, facevano loro un monte di raccomandazioni.

Pagina 144

Nessuno si curava di lei o le abbadava, se non per comandarla o maltrattarla, e lei viveva sola, concentrata, taciturna, sempre pronta bensì ad immolarsi all'altrui volontà, come cosa naturale e giusta. Una mattina ebbe una grande sorpresa: la Gigia, la maggiore delle sue sorellastre, una bella ragazzotta di sedici anni, bionda, florida e precoce, le si accostò con insolita buona maniera; mostrando di volerle parlare di nascosto. - Senti, Betta, vien qua, sta' attenta che la mamma non ci vegga insieme.... - E la Betta, con gli occhi larghi spalancati per la meraviglia, si avvicinò alla Gigia più che potè; quella continuò: - Tu m'hai a fare un gran piacere: or ora ho incontrato Dando del Bizza e m'ha fatto capire che ha da dirmi una cosa di premura... e che stasera, in sul tardi, m'aspetta dietro il pagliaio grande... Ma io ho paura a levarmi e a uscir fora sola, di notte... Tu mi dovresti far compagnia, e intanto farmi la guardia... tu m'ha' inteso? La Betta rimaneva con la bocca aperta, senza dir nulla. - Che mi dici di no? O come vo' tu ch'i faccia? ormai gli ho impromesso... e' m'ha tanto conquisa... Tu ci verrai, n'è vero, Bettina? - aggiunse carezzevole. - E se ci scoprono, Gigia, se il babbo sente? - disse la Betta, fra impensierita e commossa nel sentirsi parlare a quel modo; poi riprese: - Pensa che v'è chi guarda il fieno.... - 'Un aver paura, faremo pian pianino, scalze, e pratiche come siamo, nessuno ci sentirà. Dunque, eh? è fissato: quando dormiranno tutti, ti chiamerò, e tu verrai con me... a proposito, sai che dovresti fare? quando la mamma va a far l'erba per le bestie, tu, con una penna tuffata nell'olio, dovresti ungere i gangheri dell'uscio perchè non stridessero; ma guarda veh! mi raccomando, che nessuno ti vegga. E se ne andò intonando uno stornello e lasciando la Betta tutta sbalordita. Da una parte era spaventata, e più per la Gigia che per sè, di quello che stavano per fare; dell'altra, gioiva all'idea d'essere utile alla sorella, per la quale aveva una muta adorazione, d'aver con lei un segreto e di vedere che l'aveva creduta buona a qualcosa. Per il rimanente della giornata non ebbe pace, non pensava che alle parole della Gigia: le aveva perfino detto Bettina, con una voce dolce dolce... non s'era mai sentita chiamare a quel modo. O che poteva aver da dire Dando del Bizza alla su' Gigia? Che bel giovanotto era Dando! e anche garbato! qualche volta le aveva dato una mano per aiutarla a caricarsi in testa un fascio d'erba troppo pesante. Non se l'era mai dimenticato, e gliene serbava in cuore molta gratitudine. Intanto che andava rimuginando fra questi pensieri, si sentiva uno struggimento dentro, una non so quale ansia, che ora le dava la voglia di piangere e ora di cantare e magari di saltare, se le fosse stato possibile di manifestare francamente le proprie sensazioni. A momenti rimaneva fissa, incantata, sospendendo ciò che aveva da fare, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, come se contemplasse una visione meravigliosa. - Ohè! che t'addormenti in piedi come i ciuchi? - le gridò il suo babbo, in una di tali assenze dello spirito, facendole fare uno scossone. - Se per lavorare hai bisogno del pungolo come i buoi, ci penso io, 'un ti dubitare. Si rimise al lavoro, ma non le fu possibile d'esser calma: guardava con meraviglia la Gigia che, al solito, cantarellava serena e tranquilla e che a cena mangiò la su' brava scodella di minestra di fagiuoli, e un piatto di patate e cipolle condite, come le altre sere, mentre a lei non riuscì d'ingoiare un boccone: aveva la bocca amara, la gola secca e un gran tremito nello stomaco... Più annottava e più la sua agitazione cresceva; gli arpioni arrugginiti degli usci erano già stati unti e non stridevano, non c'era pericolo. Per appunto quella sera il babbo non aveva sonno, non pareva stracco e badava a chiacchierare, a gridare co' ragazzi, a brontolare con la moglie; ma questa che, come suol dirsi, ne aveva pochi spiccioli e meno da spicciolare, un pò stette cheta, contentandosi di scuoter la testa, poi si rivoltò al marito con un tono tutt'altro che sommesso, e gli disse; - Ma che avete stasera, vi duole il corpo? Parete una pentola di bozzima quando bolle... Andate a letto, andate, che domani è una giornatina bona... - A chi tocca la guardia stasera? - domandò Cesare, il capoccia, fingendo di non aver sentito le parole della moglie, come faceva sempre per non litigare con lei. - Tocca a me stanotte il divertimento - borbottò Nanni, il maggiore dei ragazzi, stirandosi. - Badiamo di non far le solite, di non dormire e di non lasciarsi portar via la roba proprio di sotto il muso. A queste parole la Betta sentì salirsi il cuore alla gola e, involontariamente, guardò la Gigia, ma questa le fece un viso talmente duro e arcigno, tenendo gli occhi rivolti altrove, che ella ne ebbe paura. I bambini intanto s'erano tutti addormentati, chi buttato di qua e chi di là: pareva la strage degl'innocenti. - Su, Betta, aiutami a mettere a letto i ragazzi: oh! muoviti, che sei incantata, stasera? - gridò la Nunzia, la massaia, dando un picchio sulle spalle alla figliastra. La Betta dette un balzo come se la avessero destata da un sonno profondo, e senza parlare prese in collo una delle sorelline addormentata e principiò a spogliarla. Anche la Gigia si mosse quella sera, e in pochi minuti i ragazzi furono messi, a due per due, nei loro lettini. Nanni prese il fucile che era attaccato a un chiodo in cucina e uscì fuori fischiando; scese sull'aia, girando dietro casa, dove si stendevano i prati col fieno da falciare. Quando anche la mamma, che era l'ultima a buttarsi giù, e la prima a levarsi, si fu coricata, da un certo tempo, la Gigia, seduta sul suo lettuccio, stette in ascolto, trattenendo il respiro, e quando capì, dal silenzio profondo che regnava nelle tre stanze attigue, separate da sottili tramezzi, che tutti dormivano, scivolò in terra, si rimise le gonnelle, s'incrociò uno sciallino di lana sul petto, e scalza, pianino pianino, si avvicinò alla specie di giaciglio su cui dormiva la Betta. La trovò già preparata: tutte e due, in punta di piedi si diressero verso l'uscio di cucina, che dava sul palchetto in cima alla scala e l'aprirono facilmente, senza fare il menomo rumore, grazie all'olio che era stato messo in tutti i ferri e nei gangheri; quando furono uscite, accostarono il battente aperto, scesero la scala, e attraversarono l'aia. Il cane uggiolò, ma, riconosciutele, si quietò subito e saltò loro addosso scodinzolando, come meravigliato di vederle lì a quell'ora. La notte era bella, limpida, stellata e chiara, benché non ci fosse la luna, e ci si vedeva benissimo fino ad una certa distanza. Per fortuna, i prati del fieno guardati da Nannì erano dalla parte opposta ai pagliai, che trovavansi proprio in faccia alla casa, sul confine dell'aia coi campi. Le due ragazze, trepidanti, si diressero colà sempre accompagnate dal cane che accarezzavano per timore che, vedendo un uomo abbaiasse, benché Dando del Bizza fosse conosciuto venendo spesso a opera nel podere, al tempo dei lavori grossi della campagna. Infatti tutto andò bene quella sera e molte altre dopo, giacchè i due innamorati, preso coraggio, ripeterono spesso le loro scappate con poco gusto della povera Betta, la quale ne soffriva molto e per più ragioni: anzi tutto per la gran paura d'essere scoperti, poi per lo struggimento strano, vago, indefinibile che quei colloqui ai quali assisteva silenziosa col cuore sempre in sussulto, le davano e, finalmente, per la perdita del sonno a cui era costretta. Se, durante il giorno la Gigia si buttava giù e faceva un sonnellino, nessuno le diceva nulla, ma guai se lo avesse fatto lei! Le sarebbero piovuti addosso improperi, rinfaccioni e magari degli schiaffi o qualche pedata. Quindi, nei giorni che succedevano a tali ritrovi era una lotta continua, accanita contro il sonno opprimente, invincibile onde a momenti era assalita, che le dava cascaggini paurose, dalle quali si scuoteva con dolori e giramenti di testa atroci. La Gigia, ormai fatta audace, le diceva di non muoversi, di non accompagnarla, ma all'ultimo momento, non aveva coraggio d'avventurarsi sola, e la stessa Betta preferiva d'esser là anche lei a invigilare, anzichè rimanere a letto, sapendo la sorella esposta al pericolo: tanto e tanto non avrebbe potuto chiudere occhio lo stesso. E quante volte poi, nei dormiveglia delle notti agitate o in quelli brevi dei caldi pomeriggi, la povera creatura, a cui nessuno aveva mai fatto una carezza, rivedeva i due giovani che, con le mani intrecciate e le teste vicine vicine, parlavano sommessamente d'amore; risentiva il suono di qualche parola tenera, di una dolce promessa..... di un bacio, che le faceva riprovare gl'improvvisi fremiti, e i subitanei abbarbagliamenti provati, quando era là poco discosta da loro, a vegliare perchè non fossero scoperti. Andarono avanti così alcuni mesi: la Betta deperiva a vista d'occhio, senza che se ne accorgessero o che ci abbadassero: chi si occupava di vedere se mangiava o no? Anzi, se mangiava poco, o nulla affatto, era un tanto di risparmiato, come diceva la Nunzia; ad ogni modo, non sarebbe morta; aveva la pelle dura, e se non voleva la minestra di fagioli, era segno che aveva già mangiato fuori, che aveva fatto qualche scorpacciata di frutta; per questo aveva quel viso verde..... La povera creatura intanto era ridotta in uno stato da far pietà; si trascinava a fatica, e si sentiva morire ogni volta che la Gigia, la quale nel suo egoismo non si avvedeva di nulla, le faceva segno che stesse pronta per la notte. Le sere erano allungate, e ne dovevano passare delle ore, da quando annottava, prima che potessero scendere sull'aia! Un giorno, in sul tramonto, alla fine di settembre, il tempo si fece minaccioso, dei grossi nuvoloni plumbei ingombravano qua e là il cielo; l'aria era afosa, opprimente; mancava proprio il respiro; si capiva dall'addensarsi sempre più delle nuvole, sparse e dal caldo soffocante, che doveva essere imminente lo scoppio d'un temporale. Pure, la Gigia aveva fissato con Dando per quella sera: era già un po' di tempo che non si vedevano, avevano tante cose da dirsi.... e alle paure della Betta per il tempo minaccioso, la Gigia rispondeva con arroganza, che se ne stesse pure a letto, che non aveva bisogno di lei; tanto, era la guardia del sepolcro, fatta e impastata di sonno, dormigliona come una marmotta. E la disgraziata creatura, più spaventata da queste parole che dalla minaccia del temporale, e dall'idea di perdere delle ore di sonno, tutta umile e sommessa si raccomandò alla sorellastra affinchè la lasciasse andare ad accompagnarla; I'assicurava che sarebbe stata attenta, che non avrebbe dormito... Anche quella sera la guardia al fieno toccava a Nanni, il fratello maggiore. Quando uscì fuori col fucile ad armacollo, lo sentirono esclamare: - Che buio pesto! par d'entrare in un forno. E allorchè, dopo un pezzo, uscirono le due ragazze, spessi baleni interrompevano le tenebre paurose di quella cupa serata, e un brontolio lontano lontano accennava che le scariche elettriche erano incominciate. Dando del Bizza si trovava al suo posto, dietro i pagliai: le tenebre erano così fitte che non ci si vedeva da qui a lì; la Betta si appoggiò, in piedi, per stare più sveglia, a uno dei pagliai da cui era stato tagliato via del fieno, formandovi un incavo come una nicchia. La Gigia le si avvicinò e le disse: - Non aver paura, mi trattengo poco; sta' in ascolto se senti muovere, mi raccomando. Principiava a levarsi il vento; il balenìo si faceva sempre più spesso, e il rombo lontano si avvicinava insensibilmente, ma i due innamorati, stretti l'uno all'altro, non se ne davano pensiero, anzi si divertivano e ridevano ad ogni bagliore che li illuminava, e la Gigia si faceva presto presto il segno della croce. La Betta, spossata e vinta dal languore che quell'aria soffocante metteva in dosso, scivolò pian piano a sedere e con le spalle e la testa appoggiate allo svano del pagliaio si addormentò profondamente. I due giovani pure s'erano riparati alla meglio dietro un altro pagliaio e continuavano il loro sommesso chiacchierìo, senza accorgersi che il vento aumentava e che già incominciavano a cadere grossi goccioloni. Si scossero soltanto e pensarono a separarsi, quando sentirono il rombo del tuono sempre più forte e vicino. Finchè, a uno scoppio terribile, la Gigia, presa dallo spavento, in quell'improvviso imperversare, in mezzo al sinistro lume dei lampi che l'accecava, all'acqua che veniva giù a dirotto, al vento che faceva piegare, scuotere, scricchiolare le piante, si mise la gonnella in capo e scappò via a gambe, chiamando sottovoce la Betta, e non sentendosi rispondere, disse fra sè: - Quella paurosa, a quest'ora è già in casa, ficcata sotto le lenzuola - e non pensò che a mettersi al sicuro. Appena varcato l'uscio aperto sul palchetto, in cima alla scala, un altro scoppio più terribile ancora che fece tremare la casa tutta, le mozzò il fiato e le fece piegare le ginocchia.... Non aveva più la forza di muoversi. Riprese coraggio accorgendosi che il babbo e la mamma si levavano e Nanni saliva la scala, gridando: - È cascato proprio qui, sul pagliaio grosso, l'ho veduto: che Dio ce la mandi buona! La Nunzia si raccomandava forte a Santa Barbara benedetta; Cesare entrò in cucina con la lanterna accesa, per vedere quel che era accaduto; la Gigia intanto, aveva avuto il tempo di rimettersi, e in quella confusione si credette che lei pure si fosse levata per il temporale. Ma, ad un tratto, un gran bagliore illuminò l'aia e si riflettè in tutta la stanza; si avvicinarono alla finestra: il pagliaio su cui era caduto il fulmine, bruciava come un immenso falò.... Le donne continuavano a invocare Santa Barbara benedetta.... e a farsi il segno della croce ad ogni nuovo lampo. I due uomini guardavano l'incendio atterriti, frementi nella impotenza d'impedire il grave disastro.... Il vento, trasportando le fiamme, metteva in pericolo gli altri pagliai vicini; per fortuna questo si calmò a poco a poco, mentre l'acqua, che continuava a venir giù a catinelle, impedì che il fuoco si propagasse, e continuasse l'opera distruggitrice. I piccini non si erano svegliati, ma la Gigia si guardava intorno meravigliata di non veder la Betta; andò al lettuccio di lei e non ve la trovò... guardò di qua di là, in tutti gli angoli: non v'era! E si sentì gelare il sangue nelle vene, quando intese dire alla mamma: - Ma quella stracconaccia della Betta dov'è? se ne sta nascosta sotto le coperte, eh? già, per lei, potrebbe cascar la casa, che non si scrollerebbe.... E il babbo soggiungere: - No, nel su' letto la 'un v'è. - La si sarà cacciata ín qualche cantuccio dalla paura - continuò la Nunzia - ohè, vien fòra, se no, vengo io a pigliarti per un'orecchia, veh! Ma la Betta non compariva. La Gigia, ansiosa, si domandava: - Dove sarà rimasta, Dio mio? Si misero allora a cercarla per tutta la casa, inutilmente. Cesare pareva impensierito e guardava per tutto, serio serio, senza aprir bocca; la Nunzia invece scuoteva il capo e si affannava a ripetere: - I' l'ho sempre detto io che l'è una testa matta... - e vedendo il marito dirigersi verso l'uscio, gli gridò: - Ma in dove volete andare con questo tempo da lupi? 'Un c'è pericolo, la 'un si perde, no: roba che mangia ritorna sempre a casa. - L'uomo fece una spallata senza neppur voltarsi e uscì fuori seguito da Nanni. Anche la pioggia andava ormai alleggerendo, e già si scorgeva qualche lembo di cielo sereno, scintillante di stelle. I due uomini scesero sull'aia con la lanterna. Il padre ogni tanto si fermava chiamando forte: - Bettaaa... - senza che nessuna voce gli rispondesse, solo il cane si fece loro incontro uggiolando, poi si mise a correre, tornò indietro, guardò i due uomini e riprese la corsa; questi istintivamente lo seguirono e furono condotti là ov'era abbruciato il pagliaio di cui non rimaneva che un mucchio di cenere scuriccia e un forte puzzo di zolfo. La bestia uggiolò píù lamentosamente ancora, con la testa levata in aria, mentre con le zampe cercava di scavare in mezzo alla cenere, quantunque si scottasse. Fu abbassata la lanterna, la quale illuminò qualcosa di spaventoso, d'orribile a vedersi: un povero corpo stecchito, tutto nero, carbonizzato, irriconoscibile... I due uomini bensì lo riconobbero subito, e si guardarono in faccia, pallidi, esterrefatti... gli occhi del padre, larghi, dilatati, si empirono di lagrime: erano le prime che si versavano per quella povera creatura, morta come era vissuta, immolata all'egoismo e alla crudeltà degli altri. Cesare depose la lanterna, si chinò, prese i miseri avanzi mutilati della figlia sulle braccia, e si diresse verso casa, seguito da Nanni e dal cane. Salirono silenziosi le scale: la Nunzia, sentendoli tornare, si avvicinò all'uscio gridando: - L'avete trovata? dove s'era nascosta la sguaiata? - Ma indietreggiò terrorizzata, scorgendo il lugubre peso che il marito portava e che aveva veduto sinistramente illuminato dalla lucernetta posta sulla tavola di cucina. L'uomo, sempre muto, terreo, depose sulla stessa tavola il cadavere sformato, Io coprì col proprio cappotto e finalmente, voltandosi alla moglie le disse quasi sotto voce e con profonda amarezza: - Sarete contenta, ora! La Gigia intanto era caduta in ginocchio nascondendosi il viso con le mani e fra i singhiozzi disperati, andava ripetendo: - Per colpa mia, per colpa mia, per me... povera Betta!

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. - Son tutti imbrogli di Don Anacleto, abbadava a dire uno dei fratelli, e di quelle teste fasciate delle monache, laggiù, di S. Chiara. Me n'ero accorto che quel figuro gironzolava da un pezzo intorno casa, come un uccellaccio di malaugurio... - Non parlate a caso, Sandro, e non incolpate nessuno... - Sì sì, se te lo inciampo in queste vicinanze, vedrai che bella giubba di legno gli ammannisco... Scommetto che gliene passa la voglia di convertiti... Sono stato militare io e non ho paura della scomunica... - Oh l Gesù mio, Madonna Santissima, perdonategli - diceva la Maria singhiozzando. Allora, Roberto Catalani volle rimaner solo con lei: era sicuro di persuaderla, e pregò il padre e i fratelli di allontanarsi. E le parlò con dolcezza, ricordandole il gran bene che ella gli aveva voluto, ciò che aveva fatto per lui, dicendole che il suo dovere di donna veramente onesta era appunto quello di cancellare la colpa, se colpa vi era, ma che il solo mezzo vero e santo per raggiunger ciò era di divenire sua moglie, e di far sì che la piccola Ghita avesse, come tutti gli altri bambini felici, i proprî genitori... La supplicò, la scongiurò a mani giunte, con le lagrime agli occhi: Ma dunque, non aveva cuore? Si era ingannato nel credere che gli fosse affezionata, che fosse buona, che volesse bene almeno a quella creaturina che era sangue suo... Lo facesse per lei, per lei... Che cosa era accaduto? Perchè la trovava tanto cambiata? Quando era partito, l'aveva lasciata affettuosa, innamorata, piangente... Come aveva potuto divenire tutt'altra in così poco tempo? - Volontà del Signore, volontà del Signore - ripeteva lei, senza versare una lagrima, senza commoversi a quei ricordi, fredda e dura come una statua. - Dunque è vero, Sandro ha ragione, è stato don Anacleto, sono state le monache, che t'han voltata contro di me. - È il Signore che m'ha toccata con la sua divina grazia, e mi ha fatto ravvedere... - Ma sciagurata, non capisci che condanni la tua figliuolina innocente ad essere una bastarda? Questo sì che è un peccato orribile... - Pregherò tanto, farò tante penitenze, che il Signore mi perdonerà... perchè io faccio tutto a fin di bene. E per quanto dicesse, Roberto Catalani non fu capace di sentire altre parole dalla bocca di lei... Esasperato, avrebbe preso quella creatura ignorante e ingenua, che degli esseri maligni ed astuti avevano pervertita fino a sconvolgerne il senso morale, e l'avrebbe stritolata con le sue mani, tanta era l'ira, I'angoscia, il disgusto che sentiva bollire dentro di sè. - Ma che intendi di fare? - le gridò alla fine - tuo padre e i tuoi fratelli non ti vogliono più in casa e han ragione: che farai? dove te ne andrai? - Iddio è misericordioso, non abbandona le sue creature, e non abbandonerà nè anche me, quantunque sia una peccatrice indegna. Dava queste risposte calma, senza guardarlo in faccia, con accento umile e fermo al tempo istesso, già trasformata, inaridita, staccata dalla vita e dal mondo. Anche nella persona il cambiamento principiava ad essere evidente: il bel colorito roseo, sano, di prima, era scomparso e un pallore unito, senza sfumature, dal tono dell'avorio antico, si stendeva su quel visetto un tempo fresco, aperto, gioviale, che sembrava ora come velato e invecchiato precocemente dalla tiratura che era agli angoli della bocca, dalla mancanza di ogni vivacità, negli occhi, che sfuggivano sempre d'incontrarsi in quelli di chi parlava con lei, e dalla perduta rotondità nel contorno quasi infantile del volto e delle forme giovanili. La voce pure aveva attenuato il suono argentino che Roberto rammentava così bene, e che incominciava a divenir monotono, con dei suoni nasali; il gesto, una volta pronto e vivacissimo, si era fatto sobrio e lento; le mani rimanevano spesso incrociate alla cintura, o nascoste dentro le maniche del vestito, nella posa consueta alle monache, che cercano di sottrarsi più che possono all'osservazione altrui. Roberto Catalani non poteva credere agli occhi suoi: tutto quel profumo agreste di gioventù florida, spensierata, che gli era piaciuto tanto in lei, era scomparso, e ritrovava, dopo pochi mesi soltanto, un essere avvizzito di corpo e di spirito, su cui era passato un soffio distruggitore che ne aveva disseccata la vita nel suo pieno rigoglio. Dinanzi a quella rovina di cui Roberto Catalani scorgeva ora i segni palesi, si sentì prendere da una tristezza profonda, accresciuta da una punta di rimorso: non avrebbe dovuto lasciarla; egli era responsabile di tutto.... Bisognava condur via subito lei e la bambina.... risolver poi.... Oh! come si pentiva del suo egoismo, della sua leggerezza... Ma chi poteva supporre una cosa simile? Ebbene, l'avrebbe condotta via ora, per forza, giacchè non poteva per amore. Finalmente, era la madre della sua bambina ed aveva l'obbligo di seguirlo: era così giovane, così semplice, che tolta di lì si sarebbe rifatta in breve, d'anima e di corpo, ed ei l'avrebbe riavuta come prima, bella, giovane, sana, allegra e fiduciosa. Tutto ciò passò come un lampo dinanzi al pensiero di lui. Sì, non c'era altro mezzo e non, bisognava lasciarsi vincere dalle resistenze di Maria. Glielo disse chiaramente, bruscamente, passando all'improvviso dalle parole buone, dolci, persuasive, alle frasi dure, tronche imperiose. Essa parve spaventarsi un momento, smarrirsi; ma si riebbe presto e gli disse con voce ferma, che non aveva paura di lui, che, grazie al cielo, egli non aveva nessun diritto su lei e non poteva obbligarla a far cosa che ripugnava alla sua coscienza di fare. - Come t'hanno ammaestrata! Si vede che han pensato a tutto, e tu, povera grulla, ti sei prestata ai loro infernali raggiri..... Ma te ne pentirai e più amaramente di quello che tu ti sia pentita d'avermi voluto bene, d'aver ceduto al tuo amore per me, e non sarai più in tempo; non potrai più tornare indietro. Maria, al ricordo del suo fallo, aveva abbassata la testa e chiusi gli occhi, come inorridita, e alla profezia del suo nuovo pentimento, avea fatto un segno energico di negazione, come se avesse sentito dire un'eresia. Roberto Catalani, ormai stanco e disgustato, uscì dalla povera stanza nella quale aveva pur passate tante belle ore, quando la Maria, rimasta sola in casa, dopo che il babbo e i fratelli erano andati a lavorare, lo avvertiva che poteva entrare da lei, e andò fuori, sull'aia, come per respirare e riaversi del suo sbalordimento. Il vecchio e i due giovanotti, seduti sur una panca all'ombra di un pagliaio, capirono dal viso di lui, come fosse andata la cosa: - Fiato sprecato eh? Me l'immaginavo - disse Sandro. - E se si provasse a adoperare un pò di sugo di bosco, chi sa che non fosse il modo di farle capir ragione - aggiunse l'altro fratello. - Mah! io ho fatto di tutto.... e non so più che dire..... Il Catalani, non sentendosi nè la forza, nè la voglia di discutere con loro che disprezzava, si avviò verso il vicino paesello, con l'idea di ritornare la sera per fare un ultimo tentativo. Camminava come un sonnambulo senza vedere, senza sentire.... con una gran confusione in testa, un gran vuoto nell'anima.... A un tratto si scosse e provò il bisogno irresistibile di rivedere la sua bambina. Andò dalla donna che l'allattava e la trovò con la piccina attaccata al petto. Questa, veduto il nuovo arrivato, sospese di poppare: spalancò gli occhietti guardandolo, rise alzando i piedini e battendo le manucce, come se avesse capito chi era.... Roberto Catalani si sentì inondato da una grande tenerezza: la bimba era bella, sana, tenuta bene, ed era sua... tutta sua, dappoichè la mamma l'aveva rigettata, con una crudeltà indegna perfino di una belva. Era possibile che una madre, dopo averla baciata, rinunziasse ad una creaturina simile? Fosse stata malaticcia, stentina, brutta..... ma così rosea, così forte e graziosa, proprio il frutto rigoglioso di due esseri belli e sani che si amano con tutto lo slancio, tutta la vitalità naturale dei migliori anni giovanili! Vi era da andarne orgogliosi, da tenersela come un tesoro benedetto, da coprirla continuamente di baci e di carezze. Allora Roberto Catalani pensò che rivedendo la bambina insieme con lui, la Maria non avrebbe saputo resistere, si sarebbe commossa e data per vinta. Pregò quindi la balia di prendere in collo la piccola Ghita e di seguirlo: ancora una volta il bel fiore della speranza tornava ad aprirsi nel cuore di lui; ancora una volta sorgevano delle illusioni ad illuminargli l'anima. Giunse alla casetta in fondo al villaggio, con la scala ripida di fuori, sull'aia, che incominciava ad annottare. In cucina era stato acceso un lume, se ne vedeva il chiarore fioco riflettarsi in una striscia chiara sul palchetto, dall'uscio aperto. Roberto Catalani entrò in casa e vide il vecchio che si accingeva ad accendere il fuoco, chino sul focolare basso e largo, ove era appeso il paiuolo. - Chiamatemi la Maria, fatemi il piacere - gli disse Roberto Catalani. Quegli si voltò accigliato e borbottò: - La Maria? O dov'è la Maria? chi l'ha più vista? Ha preso il volo - e stendendo il braccio, accennò con la mano che se n'era andata. La donna con la bambina in collo, era rimasta ritta, nel vano dell'uscio illuminato. Il vecchio le dette un'occhiataccia e soggiunse : - Sì, ora che è entrata là dentro, mettetegli il sale sulla coda: chi l'ha vista, l'ha vista; quelle mura agguantano, ma non rendono; era tanto che lo diceva, stasera poi s'è decisa... Per me, non ci metto nè sale nè pepe: guà, chi si contenta gode... Roberto era rimasto sbalordito: questa poi non se l'aspettava... La sua comparsa aveva dunque affrettata la risoluzione della Maria di chiudersi in convento! - E voi l'avete lasciata andare? Perchè non glielo avete impedito? Non siete suo padre? - Io? la ragazza ha l'età della discrezione, ognuno può far di sua pasta gnocchi. Che forse mi veniste a chiedere il permesso, quando metteste insieme quel negozio là? - e accennò la bimba col dito pollice, senza voltarsi a guardarla, sempre curvo sul focolare; poi riprese: - Ora invece pare che abbia mutato idea e si voglia far monaca: buon prò gli faccia; vuol dire che l'abbadessa, se la prende, ha buono stomaco. Il su' fratello maggiore ci s'è arrabbiato, è andato su tutte le furie, il grullo... Come se non fusse una bocca di meno a mangiare... tanto per quel che faceva in casa, da un pezzo in qua..... Roberto Catalani fremeva; capì che non aveva più nulla da fare in quella casa, e se ne andò con un saluto asciutto asciutto. Dopo pochi giorni il giovane pittore riappariva in città, in mezzo ai suoi amici, triste e taciturno. Quelli lo credevano già pentito del passo inconsiderato che stava per fare; nessuno osava perciò di interrogarlo e dirgli qualcosa su tale argomento. Ma il Catalani, natura franca e espansiva, non potè frenarsi a lungo e scoppiò a dire: - Non sapete, eh? non sapete che son tornato con le pive nel sacco? Non m'ha voluto sposare... siete meravigliati, eh? Vi pare impossibile... i preti, cari miei, le monache le han messo per la testa tanti scrupoli, che l'han persuasa a rinunziare a me, e, quello che è peggio, che è mostruoso addirittura, alla sua figliolina..... L'han fatta entrare in convento..... tutto è stato inutile, tutto: preghiere, minacce, ragionamenti, tutto... Non m'ha neppure guardato in viso, capite? Me l'hanno ammazzata... se vedeste... era un fiore... e la mia bambina, la mia povera bambina non avrà mai la madre..... A quest'ultimo grido, il nodo che gli stringeva la gola si sciolse e potè finalmente dar libero sfogo al suo dolore, piangendo a calde lagrime.

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Via, guardate, cercate di rammentarvi, per 'un perder tanto tempo - abbadava a dire la donna con foga, esaltandosi e scuotendolo quasi con rabbia, come per vincere in lui quella specie di letargia prodotta dal terrore. Erano arrivati quasi in cima al burrone profondo che circondava il ripiano in mezzo al quale ergevasi paurosa, la torre. - Eccolo - disse ad un tratto Bussolino, con un fil di voce - eccolo, è questo. La donna emise un grido rauco di trionfo. - E ora contate dieci passi in avanti: uno, due, tre.... qui, qui ha da essere il tesoro, qui, 'un pò fallire, su, ecco la vanga, forza, scavate.... - E messo il lanternino in terra, si allontanò un poco per scrutare a traverso le tenebre, per ascoltare se le giungesse all'orecchio nessun rumore. Intanto aveva introdotta la mano destra nella saccoccia del grembiale, e a Bussolino parve di sentire uno scricchiolio secco, tanto che si voltò di botto verso di lei terrorizzato: - Chi c'è, che è stato? - O che volete che sia stato? Niente. Su, principiate a scavare e spicciatevi - diceva la donna sotto voce, concitata.... E Bussolino incominciò, tremando, avendo appena la forza d'introdurre la vanga nel terreno duro, calcandola a fatica col piede, per levare a palate la terra che gittava lì intorno per averla pronta a riempire dopo la fossa. Ogni tanto si fermava per asciugarsi con la manica della camicia, il sudorino freddo che gli rigava giù giù la fronte e le gote, anelante, trafelato, come se non fosse stato quello il suo mestiere, e si voltava a guardar l'Anna che, un passo dietro di lui, tendeva gli orecchi, e teneva gli occhi spalancati, trattenendo quasi il respiro, sulla buca, che man mano ingrandiva, mentre l'uomo andava dicendo, scorato: - Niente! niente! - come se volesse persuaderla a desistere, a dimettere il pensiero di cercare. Ma lei, inesorabile, implacabile, col viso duro e feroce: - Avanti, avanti, scavate, scavate.... Alla fine, la vanga urtò e s'intese un suono di coccio. L'Anna, a quel rumore, cacciò un urlo selvaggio, subito represso, che fece trasalire Bussolino. - Siete arrivato, siete arrivato! c'è una pentola di certo; fate piano per non romperla e sparpagliare quello che c'è dentro: girategli intorno, intorno, adagio, adagio, adagio.... così! E pareva un orribile uccellaccio di rapina, piegata in avanti, con gli occhi grifagni smisuratamente aperti, e il naso adunco come un becco di sparviero, che stesse per piombare sulla preda. Allorchè vide la pentola quasi del tutto scoperta e Bussolino sempre più chinato, che stava per smoverla, allora ritrasse con un movimento rapidissimo la mano che aveva tenuta sempre nella tasca del grembiale e, abbassandosi, in un baleno fu sul disgraziato, che le offriva la nuca scoperta, nella quale ella conficcò con quanta forza aveva, un lungo coltellaccio affilato che entrò profondamente..... La lotta fu breve, ma terribile: il povero assassinato stava per stramazzare a bocca avanti sulla pentola, ma la megera infame, ebbe la forza di tirarlo indietro, e quando lo vide steso a terra, senza movimento, aiutandosi con le mani e coi piedi, trascinò il cadavere fin sull'orlo del burrone e con un ultimo calcio lo fece rotolare giù, in fondo al precipizio, buttandogli dietro la vanga. Poi tornò di corsa alla fossa, illuminata dal lanternino, vi scese con precauzione, ne tolse la pentola, che sentì pesantissima e fuggì via a traverso il bosco, tenendosi la preda fra le braccia, stretta contro il petto. La sparizione di Bussolino fu notata dopo quindici giorni e il corpo sfracellato venne scoperto da alcuni boscaioli che tagliavano legna. I Tattanella caddero in sospetto, furono arrestati, ma le prove mancarono e vennero rimessi in libertà. Il marito bensì, per un altro misfatto, fu di nuovo cacciato in galera, dove morì, e la moglie diventò l'Annaccia, la ladra terribile, che metteva lo spavento intorno per un lungo tratto di campagna, finchè un giorno, non si sa come, sparì anche lei, nè più si vide, con gran sollievo delle buone massaie, le quali dicevano che il Signore s' era mosso a compassione delle loro preghiere e l'aveva fatta portar via sulle corna del diavolo, in anima ed in corpo.

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