Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbacinata

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Per essere felici

179247
Maria Rina Pierazzi 1 occorrenze
  • 1922
  • Linicio Cappelli - Editore
  • Rocca San Casciano - Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Vi è una forma di cortesia a cui non si può transigere e che vieta di importunare le persone dalle quali riceviamo una gentilezza poiché ci vengono a visitare, ripagandole così malamente e costringendole prima a mentire con voi, perchè ai "prodigi„ di sei o sette anni nessuno ci crede all'infuori della famiglia abbacinata dal troppo affetto, e poi a sorridere... e magari a ridere dietro le vostre spalle, onde rifarsi del mal sopportato martirio...

Pagina 15

Quartiere Corridoni

216794
Ballario Pina 1 occorrenze
  • 1941
  • La libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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La povera bestiola svolazza, abbacinata dalla luce. Forse era in letargo; si era addormentata in qualche angolo nascosto. Il primo tepore della primavera l'ha destata ed ora è sperduta, non sa come trovare scampo. Sta per essere abbattuta, quand'ecco Milena nella stanza. Milena appartiene alla Società protettrice degli animali; non sopporta che si maltrattino le bestie. - Nemmeno quelle brutte e inutili come il pipistrello? - domanda Nino. - Nemmeno quelle brutte e inutili, ma il pipistrello non è inutile. Distrugge gli insetti nocivi all'agricoltura. La femmina poi è una madre amorosa; porta sempre con sè i suoi piccolini e mentre vola in cerca di cibo, li allatta. Inutile dire che il pipistrello è messo fuori dolcemente dalla stanza e lasciato al suo destino.

Pagina 142

Il marito dell'amica

245126
Neera 1 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
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Incominciò a leggerlo qua e là, saltando le descrizioni interminabili del lusso parigino e degli abiti della protagonista, affrontando senza gusto e senza ripugnanza le scene veriste di un amore incestuoso tra la matrigna e il figliastro, abbacinata un po' dallo splendore dello stile che riproduceva in un modo insuperabile quell'ambiente corrotto da tutte le voluttà. Una scena famosa in una serra, dove all'ombra dei fiori tropicali, una pelle d'orso nero foderato di velluto color di rosa accoglieva, lungi dalle persone importune, i due amanti, le fece interrompere la lettura. Restò per qualche istante trasognata, col respiro breve, sentendo nel sangue delle punzecchiature e alla testa un vapore pesante come se avesse odorato dei profumi malsani. Errando collo sguardo intorno alla camera, le venne ancora sott'occhio il volumetto di Puschin e lo fissò, questa volta colpita dallo strano contrasto. Povera Taziana! Che aveva mai essa di comune colla elegante Renata? - Nella luce affascinante di quella serra, sui tappeti voluttuosi, fra gli intensi profumi del vizio raffinato passò, fredda e pallida come una visione, la casetta di Taziana sprofondata nella neve e il profilo severo della fanciulla russa che languiva d'amore. Povera Taziana! Col suo fazzoletto, Maria coprì il volume di Puschin poi riprese la lettura, sempre a sbalzi, volendo giungere alla fine. Dopo la scena dello specchio che segna l'alta parabola delle vergogne di Renata, chiuse il libro; si levò in piedi, stirò le braccia, oppressa sempre da un cerchio doloroso intorno ai polsi. Quello era dunque il mondo. Suonarono le dieci ore. Era tempo di dare il buon giorno a Sofia. Sofia la aspettava con impazienza per annunciarle che il medico doveva venire quella mattina e le avrebbe permesso di uscire dal letto. - Come sono contenta! molto più... - Molto più? - Che ti lascerò con minor dispiacere sapendoti - ristabilita. - Ancora? Sofia minacciò col dito. - Sii ragionevole, mia cara, non posso stare qui per tutta la vita. - Ebbene, ebbene ne parleremo; ma oggi no. Lasciami godere la mia convalescenza senza contrarietà. Vuoi farmi riammalare? Maria era più seria del solito; di una serietà diversa, torbida. Le pareva di subire una trasformazione, di sentire un'altra persona sostituirsi a sè stessa. Il suono delle parole di Sofia le giungeva da lontano, attraverso una nebbia di pensieri confusi, dove ella si smarriva, provando l'impressione di una grande stanchezza. - E poi - continuò Sofia, ritta a sedere sul letto - domani o dopo arriva il piccino. Lo devi pur conoscere. - Sì... Maria guardava la graziosa ammalata, tutta gaia e sorridente tra i riccioli scomposti, tenuti insieme da un nastro celeste. Sotto i trafori della camicia da notte si scorgeva la sua pelle di un trasparente roseo, di una morbidezza palpitante. Le coperte in disordine, trascinavano sul tappeto un lembo di frangia; una boccetta di essenze, mezzo sturata, evaporava dal vicino lavabo un odore penetrante di verbena che rompeva l'aria, umida ancora in quella camera rinchiusa, dai vapori del sonno. Il letto, nel posto vuoto accanto a Sofia serbava l'impronta di un altro corpo; le lenzuola erano tiepide, il guanciale scomposto, la rimboccatura gualcita e ognuna di quelle piaghe, di quelle gualciture, ogni solco del materasso, sembravano aver trattenuto qualche cosa dalla persona; come una vitalità calda ed intima che turbava. - Compatisci - disse Sofia tirando la coperta su tutto quel disordine - Emanuele si è alzato appena adesso... Maria non rispose. - Che hai questa mattina? Non sei la Maria di tutti i giorni. Ti senti male? - Forse..., non saprei... ho dormito poco bene; oh! cose che passano. E ripetè nel suo interno: «Cose che passano» per persuadersi che non valeva la pena di affliggersi, nè di soffrire, nè di meravigliarsi. A un tratto Sofia balzò dal letto, colla camicia che le saliva sopra i ginocchi, poggiando le gambe nude sulla costa dei materassi intanto che cercava cogli occhi le pianelle. - Che fai? - Voglio mettermi un po' all'ordine prima che venga il dottore. Maria fece per allontanarsi. - No, no resta. Ti pare? Siamo donne - e poi non ti ricordi quando si dormiva tutte insieme nel dormitorio? Che bei tempi! Ti ricordi che suor Luisa spegneva il lume prima di levarsi la sottana?... Ti ricordi le camicione che avevamo tutte? - lunghe fino alla caviglia, alte fino alle orecchie... Non si sapeva allora... Era pur buffa, suor Luisa! Però confessa, che noi non si sapeva proprio nulla. Fece due o tre passi, rabbrividendo e ridendo, stringendosi intorno i merletti della camicia, che lasciò poi scivolare sotto le ascelle, davanti al lavabo. Con una fina spugna si bagnò la nuca, le spalle, le braccia, il seno, gettando intorno, insieme agli spruzzi d'acqua, l'essenza di verbena. - Piglierai freddo - disse Maria seria, quasi rigida. - Ci sono avvezza - rispose Sofia, colla voce smorzata dall'asciugamani che si faceva scorrere rapidamente sul collo. Poi si incipriò, mise un po' di rosso sulle labbra, si guardò le unghie, infilò al disopra della camicia un corpetto di batista ricamata e tornò in letto, rannicchiandosi come una gattina. Il dottore venne subito dopo. Era un uomo di mezza età, tinto, azzimato, con una barbetta da Mefistofele. Egli curava esclusivamente le signore e, diceva la fama, sapeva approfittarne. Sofia civettò un poco con lui abbandonandogli il braccio, invitandolo a sentire le pulsazioni del cuore attraverso la sottile batista del corpetto. Di nuovo Maria voleva allontanarsi; di nuova Sofia la trattenne. Intanto la cameriera che aveva introdotto il dottore, era andata ad avvertire Emanuele. Egli venne, così pallido, che Maria ne restò alquanto impressionata. - Badiamo, professore - disse il medico sorridendo - che nel guarire la signora non abbia da ammalarsi lei. E accompagnò la frase con una strizzatine d'occhi. Sofia ebbe un risolino furbo abbandonandosi sui guanciali, in una posa provocatrice: Maria si rifece, di ghiaccio, dura, immobile presso alla finestra, torcendo gli occhi dal letto. Sentiva come un ronzio, le tre voci; quella fioca di Emanuele che domandava i ragguagli della malattia, quella del dottore compassata, quella di Sofia squillante in note argentine; ma non seguiva il filo del discorso. Nel suo cervello indolorito le sensazioni si confondevano. Vedeva la pelle d'orso nero foderata di velluto rosa, lì, in quella camera; e sovr'essa Emanuele e Sofia abbracciati. - Un po' di distrazione le farà bene - prescriveva il dottore - nei mali delle donne i nervi formano la prima metà e l'immaginazione la seconda. - Aix... San Maurizio... L'odore della verbena, nell'atmosfera umida e rinchiusa, dava il capogiro a Maria; essa ora vedeva Emanuele cogli occhi sbarrati che diceva a Taziana: «Ti amo!» - Taziana rideva. Chi rideva erano Sofia e il dottore, accomiatandosi. Gli occhi di Emanuele però stavano veramente davanti a lei, sbarrati, pieni di amore. E Maria rise, rise forte, sonoramente, con una scossa convulsa in tutte le membra. Era finita; si sentiva scettica.

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