Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbacinamento

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

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Scultura e pittura d'oggi. Ricerche

266278
Boito, Camillo 1 occorrenze
  • 1877
  • Fratelli Bocca
  • Roma-Torino- Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Ha mangiato a cena e bevuto troppo per la sua età giovanile: negli occhi ha come un abbacinamento, nel ventre come un rimorso e nelle gambe come un tremolìo; ma, vedendo le dame, fa uno sforzo sovrumano e si atteggia con faticosissima e intricatissima disinvoltura. Questo è, al nostro modo di vedere — e possiamo ingannarci — il Kaled mascherato, il quale è condotto a colpi di scarpello furiosi nell’apparenza, ma travagliosi nella sostanza, e non meno bugiardi di quello che sieno le raspature molli e le lisciature industriose del marmo, che il Grandi mostra di disprezzare.

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Oro Incenso e Mirra

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Oriani, Alfredo 1 occorrenze

L'occhio non poteva cogliere né toni né forme; era una densità multicolore con qualche pennacchio come di piume bianche fra strisce uniformi, e righe che formavano parole illeggibili in un abbacinamento di tinte quasi tormentoso. Invece le ghirlande dai lunghi nastri spioventi si arrotondavano in contorni delicati: una, la più bella, tutta a viole mammole, di un colore malinconico e di un olezzo languente doveva posare sopra la testa della morta, poi ve n'erano di camelie, di gigli dai calici aperti, assetati: poi i mughetti, le rose, tutti i fiori giovani dal profumo intenso e dalla vita breve, una improvvisazione di giardino in quell'inverno così bianco di neve; mentre la neve seguitava sempre a cadere sulla neve, ultimo spettacolo che la giovanetta aveva contemplato dalla propria grande finestra sul giardino. Era venuto dall'altro lato, presso l'ultimo pancone che toccava la balaustra della cappella; sull'altare ardevano sei ceri dinanzi ad una immagine della Madonna, e una piccola lampada d'argento sospesa ad una funicella scura luceva appena in un angolo. La predella, gli scalini, tutto il pavimento erano coperti di fiori. Oramai il cervello gli si annebbiava. Nel passare pel vano, tra il pancone e la balaustra, siccome il mantello lo impacciava, se lo scrollò dalle spalle, quindi venne tra i fiori ad inginocchiarsi sul gradino davanti al piccolo cancello. Mormorò rapidamente un'avemaria e si voltò verso il feretro. Era impossibile avvicinarvisi senza calpestare quei cuscini fioriti, ma se ne accorse solo alla loro morbida resistenza. Con un coraggio, del quale non si rendeva alcun conto, cacciò le mani sotto il pesante coltrone e tentò replicatamente di sollevarlo traballando volta per volta sotto il suo peso; allora un brivido gli passò dentro le ossa a questa gravità invincibile della morte, come se la sua ombra stessa, dalla quale nessuno può ritirarsi, gli fosse caduta sul capo. Tutti i terrori gli sibilarono con un guizzo vipereo alle orecchie, mentre una disperazione ancora più forte gli faceva cacciare la testa sotto la frangia d'argento per rialzare con un supremo sforzo delle spalle tutto il lembo da quel lato. Fu un istante. Trovò brancicando due capi dell'armatura che reggeva la coperta, s'irrigidì sulla punta dei piedi, col collo teso, le braccia scricchiolanti sotto l'enorme peso, e riuscì ad appoggiarne una piega sopra quello, cui era più vicino colla testa. Allora gli si scoperse l'interno, una specie di gabbia nera in mezzo alla quale posava la cassa; febbrilmente sollevò l'altro lembo. Tutta la luce delle torce, alte dinanzi all'immagine della Madonna e intorno alla balaustra della cappella, batté nel vano pauroso traendo un baleno dal cristallo che copriva la faccia della morta. Egli si sporse col busto, arrampicandosi colle ginocchia sul basamento senza poterla ancora discernere, ma gli parve nullameno di vederla come la prima volta. Il piccolo volto bianco giaceva fra l'oro dei capelli, cogli occhi chiusi, addormentato. Soltanto le labbra erano più scure. Forse egli non vedeva nulla per la troppa obliquità dei raggi sul cristallo, ma i suoi occhi dilatati nello sforzo supremo di quella visione vi scorgevano l'immagine, che si formava dietro di loro nel suo cervello. Tecla dormiva di un sonno tranquillo; il nimbo dei suoi capelli aveva la luce dei soli più belli di maggio, mentre la bocca le faceva una piccola ombra sulla faccia. La morte doveva essere passata di lì suggellandogliela per sempre col proprio bacio. E Tecla non aveva parlato più, ma egli la comprendeva ancora: il suo volto esprimeva la calma di un riposo senza fine, in un sonno pieno di visioni come i santi ne avevano avuto talora prima di morire. Era morta? Lo sentiva ella in quel momento curvo su lei per darle tutto il proprio amore di fratello abbandonato? Non poteva ella rivivere in un miracolo come Dio ne aveva fatti tanti? Tutto era intatto in lei: basterebbe un pensiero di Dio a rianimarla, quel soffio spirato nel primo uomo uscito dalle sue mani di creatore. Si chinò lentamente, sfiorò di un bacio il cristallo sopra la fronte della morta, e ritraendosi colla massima cautela riabbassò il panno sino al basamento come prima. Allora si accorse di aver sciupati troppi fiori colle scarpe per giungere fino lì, ricalcò le proprie orme e tornò ad inginocchiarsi sui gradini della balaustra. Il suo volto livido esprimeva una sofferenza convulsa nello sforzo di mantenersi alto verso l'immagine della Madonna; infatti non lo poté, e gli cadde poco dopo fra le palme delle mani. Intorno a lui i fiori odoravano acutamente, confondendo tutti i propri sospiri in un vapore invisibile, sempre più greve, che ondeggiava sul feretro sotto l'ombra cupa della navata, nel gran silenzio della chiesa. Si sarebbe detto che anche le fiamme delle torce ne provassero l'oppressione spezzandosi tratto tratto per risalire più rapide in un getto. Egli invece vi era immerso: alle sue ginocchia, ai suoi piedi tutti i fiori dagli aromi più penetranti, i garofani, i reseda, i gelsomini, le rose, le gardenie dai grandi occhi pallenti, le magnolie grosse come un frutto, i narcisi, le piccole viole e le piccole gaggie riunite a quella festa della morte agonizzavano dentro i propri profumi, coi petali già vizzi nell'angoscia del mattino imminente. Egli respirava il loro alito con un'asma crescente. Alzando gli occhi vide la Madonna dipinta sull'altare sorridere dolcemente. Le fiamme dei ceri agitavano le ombre del quadro intorno alla sua bella figura bianca, discendente da un trono di nuvole all'appello devoto di san Filippo, inginocchiato nell'angolo colle mani giunte e il viso estatico. Era lei, la divina onnipotente, la Vergine Madre, che piegava Dio a tutti i propri voleri, la pietosa, che intendeva ancora le voci singhiozzanti della terra. Lo splendore del suo volto aveva la dolcezza di un'alba. - Maria, Maria! - sospirò Giannino tendendole le braccia in una ultima delirante invocazione, perché con un miracolo della sua bontà facesse risorgere quella morta. - Oh! Maria, essa è vostra figlia e mia sorella... Oh! Maria, Maria - ripeté ancora mentre la testa gli ricadeva più pesantemente sulle palme. Quindi pianse silenziosamente, vagamente, in una dolcezza di fede, sempre cogli occhi fisi nel sorriso della Madonna, finché le lagrime cessarono, e cogli occhi aperti, immobili, rimase a guardarla adorando. I fiori colti dal freddo crescente della notte esalavano gli ultimi odori. Allora parve a lui che la Vergine discendesse dal quadro lentamente, tutto rimaneva immoto dintorno: sempre così adagio gli si accostò senza che egli potesse tentare un solo atto e stette a mirarlo. Egli non sapeva più se era desto o sognava, ma si accorse di piangere nuovamente. Un sorriso pietoso schiuse le labbra della Madonna. - Non piangere, povero ragazzo. Sai tu chi sono? Duecento trentatré anni fa in un mattino d'inverno mia madre mi condusse nello studio di un pittore a servire da modella nuda per una baccante: io non volevo, ma la miseria e le insistenze furono tali che dovetti presto finire come tante altre. Tre anni dopo incontrandomi in una bettola di carnevale egli mi propose di tornare nel suo studio per una posa di madonna apparente sopra un gruppo di nuvole alle preghiere di san Filippo... Da san Filippo posò un notaio vecchio, uscito allora dal carcere dopo dieci anni per crimine di falso: ma le lunghe sofferenze gli avevano fatto un viso di martire, nel quale due grandi occhi splendevano di un fuoco selvaggio. Da duecentotrent'anni eccoci qui dipinti insieme a fare dei miracoli; tutto il mio quadro, vedi, è ornato di voti. Quante cose ho imparato da Madonna, che non sapevo nella vita malgrado tutti i disastri delle mie avventure! Preghiere e bestemmie salgono dal cuore umano come uno stesso vapore, che il vento spazza, perché il cielo non ne resti macchiato. In duecentotrent'anni fra le centinaia di migliaia venuti al mio altare supplicando non uno, che avesse il cuore puro o chiedesse soltanto per un altro! - Sei dunque la Madonna! - Anch'ella era una donna come me. Non piangere, povero ragazzo; la vita è sempre ugualmente infelice per tutti; nessuna preghiera, nessuna illusione può salvarla, nemmeno quella di un altro mondo. Se Dio esistesse, tutti sarebbero buoni e felici, perché contro di lui chi oserebbe ribellarsi? Invece la triste e cattiva anima umana è costretta a contendere tutto l'universo ad ogni altra anima per tentare di essere egoisticamente felice nel minuto della propria esistenza. Tu solo, povero ragazzo, in duecentotrent'anni ti sei inginocchiato al mio altare pregando non per te. - Oh! Maria, Maria! - egli singhiozzò. Ma l'altra seguitò con voce più dolce: - Tu preghi per lei senza aver preteso prima al suo amore, per lasciare quelli, che ne sarebbero nati, ad espiare nella durata dei secoli umani la vostra voluttà di un minuto. Ora non chiedere che risorga; ma il miracolo che invocavi è già compìto. La mia apparizione ti resterà qui confitta nella mente per sempre fino al giorno della morte. E chinandosi adagio mentre egli la guardava col volto mezzo nascosto fra le palme, lo toccò appena coll'indice della mano destra sulla fronte. - Va: tutto d'ora innanzi sia diverso per te. Ella indietreggiò salendo verso il quadro prima ancora che egli ubbidendo al comando si alzasse colla faccia bianca e gli occhi secchi. I fiori gli mandarono intorno un ultimo buffo di odori. Traversò tutta la chiesa stretto nel mantellone nero come quando era uscito cinque o sei ore prima dall'uscio della sacrestia per andarsene, e spingendo colle spalle il pesante portello si nascose dietro l'ombra del tamburo, nel quale si apriva dal di dentro la porta della chiesa. La mattina il sacrestano ancora assonnato non lo vide nel tirare i chiavistelli; nevicava ancora. Giannino venne dritto a casa e si mise subito a letto sorpreso da un gelo di febbre acutissima: naturalmente la vecchia nei primi due giorni non se ne occupò giudicandolo un caso piuttosto violento di raffreddore, poi gli altri vicini lo seppero, e fu chiamato un medico che abitava al pianterreno. Questi, sinistramente impressionato, invece di spiegarsi sulla diagnosi ordinò dell'antipirina con applicazioni assidue di ghiaccio sul capo. Però mancando i danari per tutto questo, nessuno li offerse. Otto giorni dopo suo padre, disceso alla città per riscuotere la paga e ricevere le istruzioni dell'ingegnere provinciale, seppe il triste caso. Le sue prime parole furono di lagnanza per non avere relazioni sufficienti da far ricevere il ragazzo nell'ospedale; questi invece non parlava, ma riconosceva ancora la gente, e ad ogni domanda si portava l'indice della mano destra alla fronte, appoggiandone la punta proprio dove il dito della Madonna lo aveva toccato. Il miracolo si compiva. Dopo qualche giorno Giannino non riconobbe più alcuno: adesso, da quattro anni, è ancora nel grande manicomio di Imola, sempre vestito da seminarista, cosicché lo chiamano il "vescovo". Questo nomignolo lo ha perseguitato sino laggiù.

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