Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abatino

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Nanà a Milano

656215
Arrighi, Cletto 1 occorrenze

Se è vero quello che ho letto non so dove che ci fu una volta una certa Ninos de l'Enclon lei storpiava così quel nome storico - la quale c'è riuscita a innamorare un abatino a sessant'anni, per dio, non potrò arrivarci io, che non ho ancora tocchi i cinquanta?" Ella era andata dunque tutti i giorni allo studio in via Valpetrosa. Per tre giorni di seguito, entrando in punta di piedi, come era suo costume, facendo segno al fattorino di non far rumore, aveva trovato il suo nuovo gerente, che, colla testa nelle mani e i gomiti appoggiati sullo scrittoio, piangeva sommessamente a lagrime roventi e aveva fiutato subito in quel pianto un cordoglio d'amore.... "Ah! come sono vili gli uomini!" Se il Marliani avesse pianto per lei c'è da scommettere che non l'avrebbe trovato tanto vile. Ma piangere per un'altra donna? Curiosa, come una vedova che tiene il pizzicore in corpo, essa volle ad ogni costo sapere il segreto di quel dolore. Il Marliani si fece pregare un poco ma poi le aprì il cuore. La signora Bibiana si intenerì, lo compassionò, decise di consolarlo. La compassione è sorella carnale dell'amore. Povero giovane! Egli aveva tanto bisogno di essere consolato. E poi con quello schianto in cuore come avrebbe potuto attendere alle faccende della ditta? Gli affari della società sarebbero andati a fascio se lei non pensava a strappargli dal petto quell'infelice passione. L'azienda birbona ne avrebbe sofferto chi sà che danno, s'ella non provvedeva a medicare quell'anima ferita. Dopo tutto era anche un dovere di buona cristiana il suo! Un'opera pia! La signora Bibiana fece dunque capire un bel giorno, al Marliani, che se si fosse lasciato consolare ne avrebbe avuto vantaggi enormi.... E lui, canaglia, si lasciò consolare. Ormai una più una meno che monta? Egli si considerava già come un furfante, dal giorno che aveva sottoscritto il sudicio contratto. Non poteva avere più ritegni. Le cose a mezzo a questo mondo non le si fanno che quando si tratta di far del bene; ma una volta che si è nel brago, a che vale conservare dei riguardi? Le azioni turpi sono come le ciliegie: una dopo l'altra si va senz'accorgersi in fondo al paniere. Mezz'ora prima, adunque, che arrivassero allo studio i due nobili amici col signor Bonaventuri, la vedova procace, incocciata fino a' capelli nell'amore del suo drudo, era con lui a strano colloquio nello studio della ditta. Strano, perchè un miscuglio così fatto, composto di sentimentalismi e di truffe, di voluttà e di cento per cento, di fantasie lubriche e di cambiali in scadenza, di baci e di usura, di proteste d'amore e di protesti cambiarî chi non ne abbia mai udito uno simile, non giungerebbe a farsene un'idea. - Sei un biricchino - diceva la gallinona, vezzeggiando il suo Fiffo, che se ne stava sdraiato dissimulando a stento l'interno disgusto. - Io vorrei guarda, avere un trono d'oro per metterti su te a regnare e me d'accanto. - M'accontenterei anche d'un trono d'argento - disse filosoficamente il Marliani. - A proposito cosa c'è di nuovo dell'affare delle posate? - Non d'oro nè d'argento quelle! - Dico bene, di cristophle. Le hanno accettate? - Altro che. - Oh racconta perchè non ne so nulla.... Ma prima fammi un altro bacio... ma lungo... come tu li sai fare tanto bene... anima mia. Dato il bacio, non tanto lungo quanto quell'altra sconcia lo avrebbe voluto, il Marliani rispose: - Come sai erano di cristophle, ma così belle e così pesanti che si poteva benissimo farle passare per d'argento. Il Bonaventuri ne fece bollare una e la portò al Monte. Il perito, il nostro amico, gliela stimò il quadruplo del suo valore di costo. Allora il Bonaventuri le fece bollar tutte e ne cavò due mila franchi. A lui erano costate cinquecento. - Che boia! - sclamò tutta ilare la signora Bibiana. - Spero bene che avrà messo il guadagno in conto sociale! Ma tu poi mi vorrai proprio sempre bene? Non pensi più, n'è vero, a quell'altra? - No, no, - rispose il Marliani. - Non sei tu quella che farà la mia fortuna? Oggi credo che il banchiere acconsentirà che mi siano fissati questi cento franchi di più al mese. - Ci penso io! E se lui non lo volesse, la tua Bibò sai che li caverà di propria saccoccia. Te lo giuro sulla memoria de' miei quattro figli che sono tutti morti. - Cara! - E oggi chi si aspetta? - Il marchese Sappia e il conte O'Stiary. - Ci cascano ancora? - Un'ora fa il Bonaventuri mi ha mandato ad avvisare che sarebbe venuto qui con loro alle due. - Mi raccomando. Bisogna scorticarli come rane, questi aristocratici. Ma io non so il perchè stamattina ti voglio più bene del solito. Cioè forse lo so... E qui la signora Bibiana cercò di farsi rossa in viso con una smorfia pudibonda. - Ah, sei un gran biricchino, ve', quando ti ci metti! E gli diede una vezzosa spalmatina sulla guancia poi vi tenne la mano a carezze. Il Marliani sarebbe apparso nauseato a tutti coloro, che lo avessero veduto in quel punto, tranne che alla vecchia birbona. - Bibò, Bibò, basta - diss'egli. - Come basta? Non sei tu forse il mio Fiffo? Non ti piacciono dunque le carezze della tua Bibò? - Sì... mi piacciono ma a suo tempo. Ora possono entrare i merli e se ci pigliano in frègola addio serietà di affari. - Si tratta ancora d'un prestito? - Credo. - Spero bene che il Bonaventuri si ricorderà che deve far finta di non conoscerci? - Diamine! Quello è volpe vecchia che ne può insegnare a tutti noi. - E stanotte...? Quanto ridere! Ne ho ancora il solletico qui allo stomaco, te lo assicuro. Sei un gran mostro, ve'! Ah sei un gran mostro! S'udì nel cortile un rumore di passi. - Sono loro! - Qua un bacio in fretta - disse la signora Bibiana - e poi serî! Il Marliani diè il bacio poi si mise la penna fra le dita e finse di scrivere. * * * Entrò il facchino. - Tre signori che vogliono parlare con lei - disse a Marliani. - Chi sono? - Uno glielo posso dire: è il signor Bonaventuri, perchè lo conosco; gli altri due non so. - Falli entrare. Poi finse di essere tutto assorto nel far delle cifre. La grossa Bibò sedette in disparte. Bonaventuri entrò. Lo sguardo ch'egli diede al Marliani e alla signora Bibiana, sarebbe stato invidiato da un antico aruspice di Delfo. Il ladro uomo ricompose tosto il ghigno. - Oh, caro Ferdinando - disse Marliani alzandosi da sedere. - E anche lei mi par di conoscerlo - disse Marliani - ma quello stupido di un facchino non è mai capace di dir un nome giusto, e a dir la verità... Il marchese aveva stretta la mano a Marliani confidenzialmente. - Io sono Silvestro Bonaventuri - rispose l'altro cavandosi i guanti, e questi sono il signor marchese Sappia che lei conosce, come vedo, e il signor conte O'Stiary. Ma dico, non disturbiamo forse? - soggiunse tosto volgendosi a Bibò, che stava là seduta in un canto. - La s'imagini! - rispose la signora Bibiana Io aveva finita la mia faccenda e stava rifiatando un minuto, perchè non ho potuto agguantar l'omnibus, e m'è toccato di far la strada a piedibus calcantibus dal borgo fin quaggiù. Ma ora son riposata e me ne torno pacifica e mollifica nella mia pace della campagna beata e ridente. I tre sopravvenuti la lasciarono passare, e Bonaventuri, come se proprio non l'avesse mai veduta, mandandogli dietro uno sguardo desioso, sclamò: - È un bel pezzo di Marcantonio! - S'accomodino! Cominciò il Bonaventuri: - Io vengo a nome del signor Carcanetti che lei conosce. Carcanetti era un nome qualunque, un nome inventato. - Carcanetti mi comunicò che lei un giorno gli ebbe a dire che se aveva bisogno del danaro per qualche suo amico solido, si rivolgesse pure a lei che avrebbe trovato il modo di procurarglielo. Il Marliani alzò la mano al labbro inferiore, lo strinse fra il pollice e l'indice, e stette a pensare come un uomo che caschi dalle nuvole. - Non mi ricordo - rispose. "Ahimè!" - sclamò in cuor suo l'ingenuo O'Stiary. "Farà il prezioso" - pensò invece il Sappia che aveva maggior esperienza di mondo. E si sbagliavano tutti e due. - Non mi ricordo bene in quall'epoca io possa avergli detto questo al Carcanetti - ripigliò il Marliani con un fare naturalissimo - giacchè oggi non solo è cosa molto difficile il trovar danaro su cambiali ai prezzi commerciali, ma si può dire che è difficilissimo di trovarne anche volendo assoggettarsi a grossi premî ed usure. Dopo che si cominciò a parlare di quella benedetta proposta di legge per l'abolizione dell'arresto personale nessuno più si fida a prestar danaro se non sopra buona e solida ipoteca. Io stesso, che pur non faccio mai di questi affari, e che sono a capo di una ditta solidissima, pure avendo avuto bisogno, per un capriccio di levar una somma a prestito per tre giorni, ho dovuto pagare un interesse favoloso. - Vale a dire? - Per mille franchi mi hanno trattenuto, in tre giorni, cento franchi. È vero che in commercio tre giorni e un mese contano lo stesso. In ogni modo è sempre un interesse enorme. È il dieci per cento al mese. - Qui si tratterebbe di un'operazione di tutta fiducia. Il mio amico è troppo onesto, troppo gentiluomo per cercare a chichessia un centesimo senza la sicurezza. - Oh signore!... - ... morale e materiale.... - Non ne dubito! - ... della restituzione.... - Può imaginarsi! - ... alla scadenza. - Non se ne parli! Il signore è inutile domandarlo, è maggiorenne, non è vero? - domandò Marliani rivolto al conte O'Stiary. - Ho ventitre anni e dieci mesi - rispose Enrico Non debbo tacere però che io non andrò in pieno godimento della mia sostanza che a ventiquattro anni compiuti, e che ho dei debiti. - Non ci sono dunque che due mesi da aspettare! - sclamò il Marliani. Quanto ai debiti, chi non ne ha al giorno d'oggi? Ma se nella sostanza c'è un largo sufficiente, i debiti non contano. Si sa bene. Il faut que jeunesse se passe! - Benissimo! - disse Sappia. - Dunque allora questa sera io potrò darle una risposta; tenterò, parlerò, vedrò il mezzo migliore. Di quale somma avrebbe bisogno? - Diecimila franchi. - Bene, le saprò dire l'esito. Non garantisco nulla ma stasera le dirò francamente quali furono le mie pratiche e sarò molto onorato di poter riuscire. E se riesco poi - continuò diretto a O'Stiary - chissà che non venga da lei a chiederle un favore. - Ben volentieri - rispose Enrico che senza sapere il perchè si trovava in un disagio ineffabile. Quest'ultimi periodi infatti erano stati detti in piedi. Marliani stese la mano al marchesino Sappia a cui disse: Ciao poi al contino che inchinò e così si lasciarono. Appena usciti si schiuse pian piano l'usciolo di contro a quello per cui se n'erano andati i due giovinetti e ne uscì la faccia da luna piena della signora Bibiana, che rideva come una donna in gallovia. Essa venne ad abbracciare il Marliani dicendogli: - Sei un gran birichino. Ti sei portato da negoziante provetto e consumato. Se il diavolo non ci mette la coda, in poco tempo la sostanza del conte O'Stiary, deve essere tutta nostra! - Ora che si fa? - domandò Marliani alla Bibò. - S'hanno a dare questi dieci mila franchi o non s'hanno a dare? - Tu che ne dici? Sai che io faccio quello che vuoi? - Ebbene allora bisogna darli. - Pensa Filippo che siamo già sotto di molto. - Non importa. Fidati di me. Ho bisogno di far buona figura. - Sì, sì, - disse Bibò. - E poi egli è pronto a qualunque sacrificio? Se dice così gli è segno che gli fanno assai bisogno. Se gli fanno di bisogno noi col fargli il prestito gli facciamo uno di quei servizi che si chiamano impagabili. Non è vero? Forse gli salviamo l'onore... Forse la vita! Chi lo sa? Se quelli che ci danno dell'usuraio ragionassero così vedrebbero che noi siamo i salvatori dell'umanità. Siamo forse noi che andiamo a cercare i figli di famiglia? O sono essi che vengono a cercar noi. Mettiamo forse loro le pistole alla gola? No. Essi contrattano liberamente. Oh perchè mai s'avrà a far pagare poniamo cento mila franchi per puro capriccio, un brillante che non serve a nulla e non s'avrà a far pagar caro un servizio in contanti, che può salvar l'onore e la vita? Alla signora Bibiana codesti argomenti in difesa dell'usura parevan sempre nuovi di zecca, ogni volta che li ripeteva. E Dio sa quante volte li aveva già ripetuti di sua vita. Marliani la lasciò sfogare un poco poi la arrestò, e da uomo pratico tornò alla sua domanda. - Dunque mi fai far buona figura? Te ne ringrazio. - Caro! Questo e altro - disse Bibò intenerita. E scoccò un bacione al suo bel giovane. - Vediamo ora le condizioni. - Il solito! Ormai di firma Sappia e O'Stiary ne abbiamo in portafogli per circa duecento mila. E so che altri ne tengono altrettante. Con queste faranno duecento mila e venti. E ricordati Filippo e che se questa imprudenza enormissima fu da me commessa, è stato tutto per amor tuo. Io non era mai stata avvezza a prestare a un solo più di cinquanta mila franchi. - Ma quando ti dico che sono sicuri. - Lo voglio credere, ed è perciò che non mi faccio pregare neppure questa volta. Ma dico per dire. Se morisse? - Pensa che sulle duecento mila firmate, in fin dei conti tu non ne hai versate più di ottantamila. - Questo si sa! Un interdetto, deve ben pagare più degli altri. Dal canto loro il Sappia e l'O'Stiary usciti dallo studio della ditta Marliani e C. si rallegrarono fra loro d'aver trovato l'amico divenuto uomo serio tanto ben disposto per loro. Erano pieni di speranze, e il cento per cento di interesse, che Marliani aveva lasciato loro intravedere, non dava ad essi il menomo disturbo. Animi felici! A un dipresso, nella bontà istintiva del loro cuore giovinetto essi ragionavano a loro danno, cogli stessi argomenti della signora Bibiana. - Non il cento per cento - sclamava Enrico - ma il mille per cento io sarei pronto a pagare per avere quel danaro da presentare a Nanà questa sera. Per me è questione di vita o di morte. Che vale il danaro se non rappresenta appunto il valore dei nostri desideri? Si dica quel si vuole, la è logica anche codesta; logica pericolosa, ruinosa, da scavezzacollo, da uomo passionato, ma logica. Persuadere un giovane di ventiquattr'anni, generoso, ardente desioso, innamorato che il prender a interesse del danaro al cento per cento è una grulleria, una bestialità economica, una ridicolaggine di cui s'avrà certo a pentire più tardi, è cosa tanto vana, come sarebbe per esempio il mettersi a persuader i pesci a vivere fuori dell'acqua, dove noi ci si annega, mentre loro ci stanno a lor agio, dove anzi non possono a meno di stare per vivere. Pei giovani il danaro non è - parlo in generale - che il mezzo per soddisfare i bisogni del cuore, i capricci della mente, le necessità dei sensi, delle passioni. Quanto più troveranno ostacoli, non naturali, non fatali a soddisfar queste loro passioni tanto più s'aumenterà in essi la smania di soddisfarle. Nititur in vetitum L'idea del dissesto finanziario, della povertà, della rovina, non entra in cervelli giovani privi di esperienza e di vivere di mondo. L'economia è una parola che ha senso soltanto per coloro che guadagnano il danaro a stento. Se i tutori ed i padri pensassero a queste verità forse le pazzie dei figli sarebbero meno frequenti. Il fatto è che la stessa sera Enrico potè annunciare a Nanà che fra tre giorni avrebbe avuti i diecimila franchi. Dal giorno che Enrico O'Stiary portò a Nanà i diecimila franchi, che dovevano dare un altro strappo alla sua sostanza, quelle due belle creature si videro tutti i giorni. Rotto il ghiaccio essi entrarono nel secondo stadio dell'amore... sentimentale. Enrico non aveva il coraggio di esigere di più da quella donna, che gli appariva armata di virtù come l'antica Minerva. E forse se avesse anche saputo chi ella era sarebbe stato troppo tardi lo stesso. La sua fantasia, l'amor proprio, i nervi, i muscoli il sangue erano troppo invasi dal magnetico di quella donna per concedergli di desistere dall'immenso desio. Ogni volta che egli montava le scale di Nanà giurava di riuscire a conquistarla; dinanzi a lei si trovava di aver il cuore di coniglio, il cervello di ghiaccio e la lingua mozza. Tutte le ragioni, le preghiere, le astuzie pensate, come quelle del povero Renzo in presenza dell'Azzeccagarbugli sfumavano. Non sapeva più che cosa dirle, da dove incominciare, come pigliarla. Pativa suggezione della Parigina! Ell'era incantevolmente graziosa con lui; lo riceveva con vera e schietta gioia; non lo lasciava partire s'egli accennava di volersene andar più presto del solito. Ma se egli arrischiava un gesto, una frase di desiderio, una preghiera o non faceva mostra di capirli, o li vietava cogli occhi, colla mano, col broncio, o si sottraeva alle sue carezze. Nanà manovrava con lui con una tattica degna d'un generale di genio. Ella aveva fissato di sposare Enrico, mescendo l'utile al dolce; sposare un giovane che le piaceva e diventare contessa. Conosceva troppo la regola più elementare della civetteria femminile, per la quale avviene che gli amanti stiano legati assai più col rifiutarsi che col concedersi. E la sua continenza era cosa tanto insolita in lei che ne andava orgogliosa. Enrico sentiva d'essere stretto nelle spire d'un adorabile serpente e non sapeva levarsene. Già cento volte Nanà aveva letto negli occhi di Enrico il poema delle sue sofferenze fisiche e morali, e ne gioiva. C'era in questa gioia di Nanà un piccolo sentimento di vendetta. Ella faceva pagar cari al giovane innamorato il tentativo di sottrarsi al suo fascino, spiegato da lui nella prima sera, quand'essa, non aveva potuto cavargli una sola dichiarazione, e aveva dovuto ella stessa fare i primi approcci.

Pagina 215

Cerca

Modifica ricerca