Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abate

Numero di risultati: 5 in 1 pagine

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Angiola Maria

207430
Carcano, Giulio 5 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Ella m' intende, signore.... » « Io non intendo nulla, signor abate; e quello che so, è che non vi conosco, e che nessuno ha ardito mai parlarmi come voi adesso. » « Perchè vuole avvilirmi così? Crede che l'abito di che sono vestito mi proibisca di parlare com' io fo?... non sa chi io sia » « Voi non siete uno ch' è nel miglior senno, signor abate.... » « Bene sta all'uomo ricco e potente di sprezzar chi gli domanda la ragione del suo onore, schiacciarlo nel fango, ridere di lui, come d'uno stolto!... O Signore, reggi il mio cuore, dammi pazienza! » « Ma vi ripeto che non so quel che vi diciate, come forse nol sapete voi stesso: buon per voi, che non mi trovaste in cattivo momento.... Però, son giusto: e se avete qualcosa con persona che m'appartenga, se alcuno de' miei v'avesse offeso, che so io.... dite, spiegatevi chiaro; ma sopra tutto, pensate a chi parlate. » Così rispondeva il lord con altera serietà; ma si sarebbe potuto indovinare come le parole del prete e la persuasione ch' era in quelle mettessero in cuore del vecchio un'ansietà inquieta, il sospetto di qualche cosa di grave. « Dunque, signore, » ripigliò il prete, con voce fatta più umile, « ella vuole ch' io arrossisca dinanzi a lei, nel ripetere una storia che copre di disonore la mia sfortunata sorella?... Bene, milord, dirò tutto. All' onestà d' un' oscura famiglia non rimaneva altra protezione , fuorchè l' infelice che adesso le parla. Una madre amata, una sorella innocente, eran tutto il suo bene. Vi fu un uomo che, allettato dalla bellezza di questa innocente, le pose gli occhi sopra; vederla, e concepire il più nero tradimento che sia, fu per lui tutt'una cosa. S' infinse amico del sincero fratello, violò la santità d' una povera famiglia; ingannò la madre semplice e buona, ingannò la credula fanciulla, la sedusse promettendo di farla sua sposa, la persuase a fuggire.... Signore, quest'uomo vile, è suo figlio!... Ma, non creda alle mie parole! in questa lettera è la confessione della misera

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che rumore di casa del diavolo, signor abate?» gridò stizzosa la vecchia: «bella musica, dopo averci fatte aspettare tutto il dì e tutta notte!» Intanto Maria era corsa ad aprire. Si presentaron due sconosciuti, col cappello basso su gli occhi, abbottonati fin sotto il mento in una palandrano nero. La fanciulla mise un grido, balzando indietro atterrita; la vecchia spalancò tanto d'occhi, e facendosi ritta ritta su la persona, appuntò le braccia su l'anche, in atto di stupore e di dispetto. Ma l'uno de' due sconosciuti, avanzatosi verso le donne, si pose l'indice della mano attraverso alle labbra, e: «State zitte, » disse loro, «non v'inquietate, non gridate! non veniamo per farvi nessun male; noi siamo impiegati, facciamo il nostro dovere; e non si cerca di voi. Ma, per amore, silenzio!» «Eh! ch'io non so niente, e qui non c'è nessuno!» cominciò a gridare la vecchia. «E.... e....» «Silenzio, dico, adesso!» ripetè colui: «risponderete a quel che siamo per domandarvi. E voi,» soggiunse voltandosi al compagno - una faccia lunga, scura e smorta, che gli stava sempre alle spalle, come la sua ombra - «ponetevi là, a quel tavolino, e scrivete.» E l'altro fece, senza dir nulla. «Siete voi la vedova Giuditta ****?» chiese allora l'uomo che parlava. «Sì, son io!» rispos'ella; «ma perchè voi.... perchè lui?... che c'entro io? «Voi, tacete! E la giovine qui presente è la nominata Angiola Maria ****?» «Son io quella; » rispose alla sua volta la fanciulla, ma con voce debole e tremante. «Bene! » E si rivolse di nuovo alla vecchia: «Abita in casa vostra il prete Carlo ****, fratello di questa giovine?» «Sì, ma è solamente da pochi dì; ch'io stessa gli ho fatto il piacere di tenerlo qui, con questa sua sorella; e l'ho fatto perchè siam vecchi amici, e se al mondo non ci fosse un po' di carità....» «Basta, tacete! non ho domandato questo.» «Ma se non posso tacere! sono una donna onesta, nè voglio che il primo....» «Tacete! vi replico, e badate a me. Da quanto tempo quel prete abita qui?» «Fanno giusto quindici giorni ieri.... è stato un venerdì. Quando si dice!... ecco cosa vuol dire un venerdì!... in verità santa, è cosa da non credere.... una storia simile non m'è capitata mai!» «Volete finirla con queste chiacchoere inutili? Ditemi piuttosto, dove tenete la roba della persona che alloggiate?» La Giuditta, inasprita più che mai, non sapendo comprendere la ragione di quest'interrogatorio, rispose alzando le spalle, e con un gesto indicò l'altra camera; poi si mise a guardare or l'una or l'altra di quelle due facce, per vedere se le riuscisse di raccapezzare qualche cosa di così fatto garbuglio. Ma l'uno, senza complimenti, preso un lume dalla tavola, e accesolo, passò nella vicina stanza, come egli fosse in casa sua; l'altro intanto continuava a scrivere col muso duro, inchiodati gli occhi sul suo scartafaccio. Maria, tutta piena di spavento, non osava quasi respirare; essa aveva indovinato che il suo povero Carlo correva qualche gran pericolo, e che coloro eran venuti per metter le mani sul fatto suo: resa ardita dal suo stesso terrore, si mosse per correr dietro a quell' uomo, e domandargli, per la pietà del cielo, che mai fosse avvenuto del fratel suo. Ma colui, contento di aver trovato di là quanto cercava, ricomparve su l'uscio, tenendo sotto il braccio un piccolo fascio di carte, e alcuni libri (erano le memorie, il breviario , un vecchio Dante, e la Bibbia del buon prete). Pose il tutto su la tavola, e rilegando con somma diligenza il fascio, v'improntò, senz'altro dire, un gran suggello. Poi, volgendosi alla giovinetta, tolse fuori e le porse una lettera, dicendo: « È di vostro fratello. Per quest' oggi la nostra incombenza è finita; buona notte!... » E fece un cenno al collega; il quale si levò, riposto via il grosso scartafaccio, e si chiuse di nuovo nel suo palandrano. E per dov' erano venuti, uscirono. La fanciulla allora s' abbandonò su la seggiola più vicina, tenendo stretto fra le mani il foglio fatale, che non aveva cuore d' aprire. Ma quando la vecchia, strabiliata ancora di quant' era succeduto, fece per toglierle quella carta, allora Maria la riguardò in volto, corrucciata insieme e pietosa; poi, chinati gli occhi, lesse, che quasi le mancava la voce: « Maria, mia cara sorella! Chi ti consegnerà questa lettera, ti dirà anche ciò che sia di me. Il cuore mi piange di dover lasciarti sola per qualche tempo; ma rassicùrati, non sarà che per pochi giorni, forse per poche ore! Pure, te ne prego, fa in modo che nostra madre venga anch' essa al più presto a Milano. Povera donna!... In quanto a me, non dirle altro per carità, se non che sono ammalato, che spero e ho bisogno di rivederla. Il cielo benedica te e lei. Di' ancora alla buona signora Giuditta che mi compatisca e mi perdoni. - E intanto prega il Signore per me, e fatti cuore; io non ho nulla da rimproverarmi in faccia agli uomini. Mia amata, mia infelice sorella! ricòrdati sempre, che quanto succede quaggiù, è tutto per volontà di Dio!... » Misera giovinetta! - Che cuore fosse il suo allora, di quale spavento, di quali fantasimi fosse agitata e piena per lei la notte che seguì quel terribile giorno, nessuno il potrebbe immaginare, non che dirlo. Ahimè! tutto l'affanno che può versarsi in cuore umano, era versato nel suo; e per maggior dolore, la sorgente di questa nuova sciagura era per lei un mistero.

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All' Abate Clemente Baroni . . . . . . » 1 ANGIOLA MARIA. Dedica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 7 Prologo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11 LIBRO PRIMO. I. Una domenica . . . . . . » 15 - II. Sul terrazzo . . . . . . . . . . . .» 27 - III. A diporto sul lago . . . . . . .» 37 - IV. Nella casetta. . . . . . . . . . » 45 - V. Una prima conoscenza . . . . . » 57 - VI. Dallo speziale . . . . . . . . . . » 65 - VII. Scena di famiglia . . . . . . . » 75 - VIII. Amicizia . . . . . . . . . . . .» 85 - IX. Amore . . . . . . . . . . . . . . . . » 97 - X. Le tre fanciulle. . . . . . . . . » 109 - XI. Sulla bass' ora . . . . . . . . » 119 - XII. Addio al lago. . . . . . . . . . » 131 LIBRO SECONDO. I. Altro tempo, altra vita . . » 141 II. Ore di tristezza. . . . . . . . . . . . . » 155 III. Un colloquio . . . . . . . . . . . . . . » 163 - IV. L'onestà del povero . . . . .» 173 LIB. SECONDO. V. Partenza e mistero . . . Pag. 185 - VI. Il fratello e la madre » 199 - VII. Il pane altrui » 215 - VIII. Le alunne della crestaja » 233 - IX. Speranza e dubbio » 247 - X. Un' altra prova » 261 - XI. Il ritorno » 281 - XII. Sagrificio » 303 IL MANOSCRITTO DEL VICECURATO. I. L'ospite montanaro » 329 II. Il manoscritto » 345 III. Commiato » 377

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Carlo, il suo figliuolo maggiore, era in quel tempo vicecurato in un povero paese della Valtellina: e anche questa fortuna egli la doveva al conte Francesco, il quale alcuni anni prima aveva fondato apposta un piccolo beneficio per il giovine abate. La signora contessa poi, un'aurea donna, piena di bontà e d'amore, avendo messo una singolare affezione nella piccola Angiola Maria, poi che dal cielo le era stata negata la consolazione d'aver figliuoli, si teneva cara quella fanciulletta, come la fosse sua propria. É inutile ch' io vi dica, perchè ben lo pensate, come, ogni volta la buona contessa Anna ne venisse a passare i lieti mesi d' autunno nella villa del lago, la prima cosa a chiedere fosse della piccola Maria. Quella ragazzetta era così graziosa e bellina fin da' suoi primi anni, aveva il volto cosi ritondetto e color di rosa, e i capegli tra il biondo e il bruno così lucidi e inanellati, che rubava al primo vederla i baci e le carezze di tutti. La sua voce ancor fanciullesca aveva già quell'insinuante dolcezza ch'è segno di un'anima timida, amorosa; e l' ingenuo parlare e le schiette domande che faceva, mostravano bene quanto la sua nascente ragione fosse semplice e retta, e la sua mente già commossa dal trepido desiderio di pensare e di conoscere. La contessa Anna dunque rapiva spesso alla madre quella cara creaturina così bella, ch' era la sua piccola delizia. E qualche volta pure la condusse con sè alla città; nè poco ci voleva allora per vincere una certa ritrosia del buon Andrea; il quale finiva con obbedire, perchè la era volontà dei padroni, ma in cuor suo pensava da quella domestichezza co'signori non poterne venir bene a una povera figliuola come la sua. Alla madre invece, la pareva una benedizione del cielo: ella si trovava, è vero, come perduta, quand'era sola, ma il suo orgoglio materno, com'è naturale, n'andava consolato, vedendo crescere così bianca e bella la figliuola, da lei chiamata sua perla, sua ricchezza. Quando la fanciulla si fe' più grandicella, la contessa se la teneva più spesso in compagnia, talvolta per le lunghe ore della mattina, talvolta per l' intera giornata, e le prodigava ogni cura, con sollecitudine quasi materna. Sotto gli occhi suoi, la fanciulla imparò a legger que' libri che sono l'amore delle tenere menti, appena s'aprono facili agli accorti consigli del senno; e di que'libri, una Storia Sacra, tutta adorna di belle figure miniate, era il suo prediletto. Poi, seduta accanto dell'amorosa protettrice, Maria attendeva a qualche gentile lavoro d' ago o di spola; o si piaceva, sullo medesimo scrittoio della contessa, di sgorbiar de' fogli copiando e ricopiando il nome della buona signora e quelli di suo padre, della mamma e del fratello: era la sua gran gioja. Oh! quanto l' amorevole donna sentivasi dolcemente rapita da quell'anima candida e ingenua, vedendola a poco a poco prender come una nuova vita, alle semplici lezioni del bello e della virtù! Oh quanto era commossa dalle parole di Maria che rispondevano alle sue, dall'affetto di quella innocente che le chiedeva la grazia d'un bacio, dalle stesse sue lagrime, quando, per qualche lieve cruccio, il picciol cuore di lei non trovava altra risposta che un largo pianto! Quella era una beatitudine: e non di rado la contessa, dopo avere a lungo contemplata la fanciulla, si faceva mesta, pensava che felicità sarebbe stata la sua, se anch' ella avesse potuto sentirsi chiamar madre, se anche a lei fosse stato dal cielo concessa una figliuola come quella. Ma la felicità di questi anni doveva presto finire. Il conte Francesco morì, e l' ottima sua compagna lo seguì presto nel sepolcro. Erano svaniti i bei sogni di mamma Caterina: il compare Andrea aveva avuto ragione. Angiola Maria non abbandonò più la casa paterna, pur vi crebbe bella e serena com'era sempre stata; perchè quell'impronta virtuosa che il suo cuore aveva ricevuto, non poteva cancellarsi più. Pareva che la giovinetta portasse la pace e il bene con sè; il vecchio suo padre menava giorni tranquilli, d'altro non ragionando che delle sue lontane memorie, de' tempi burrascosi di sua gioventù, e de'suoi buoni padroni; e Caterina divideva colla figliuola le poche faccende della casa, serbando però sempre le più dure per sè; paga abbastanza nella sua tenerezza di vedersi sorridere d'intorno quel fior sì gentile della sua Maria. Solo il giovine vicecurato

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Sulle prime don Carlo, il quale aveva tutt' altra voglia che di parlare, e peggio con uno sconosciuto, pensò di rispondere al saluto, e salutando andarsene per la sua via, come fece; ma l'altro, che apposta gli s' era fatto incontro con deciso animo di parlargli, ne lo trattenne con instanza rispettosa, e in atto di scusa gli disse: « Mi perdoni, signor abate, se ardisco così d' attraversare il sentiero della sua passeggiata. Io però ringrazio la fortuna che m' ha fatto incontrar con lei. » « Signore, non so veramente a che io debba questa sua gentilezza. » « Signor abate, lei non mi conosce; non sa nè manco chi io mi sia; e io, al contrario, sebbene non sappia il suo nome, la conosco, e la stimo con sincerità. » « Come? non saprei davvero.... » « Ma prima, mi permetta che mi faccia conoscere a lei quantunque ciò forse poco le importi. Io sono inglese, e mi chiamo Arnoldo Leslie. » « Forse è della famiglia del lord, che dimora là, nella villa ***? » « Si, sono uno della famiglia! sono suo figlio. » Così rispose, con un sospiro represso, il giovine, e ristette pensoso alcun tempo, poi soggiunse: « Stamane, io passava a caso per la piazza del paese: vidi aperte le porte della chiesa, ove, nella loro divota sincerità concorrevano i contadini d'ogni parte, e udii il suono d'una voce che parlava, alla raccolta moltitudine. Non so da che proposito fossi condotto, quando venni nel piccolo tempio; so bene che appena v'entrai e intesi poche parole di quel discorso, mi sentii conciliato a certa tristezza, a cui mal non rispondevano i miei poco lieti pensieri. » « Oh! se le pareti d'una povera chiesa di campagna sono meschine e nude , le rende auguste la solennità de' misteri che vi si celebrano » « Ma voi parlaste a quella gente con tale semplicità d'affetto e di parole , che non credetti quasi a me stesso, tanto io era lontano dall'aspettarmi di trovare in un oscuro presbiterio chi ragionasse di Dio e della virtù con tale mitezza di pensieri, e insieme con tanta efficacia. Oh! l'ho sentita nel mio cuore, e letta su quei volti rozzi e intenti de' vostri ascoltatori, la pietà semplice e religiosa, quella pietà che finora non ho incontrato mai nè sotto gli archi de' santuarii delle più popolose città, nè in Roma stessa, tra le superbe pareti di San Pietro. » « Mi perdoni, signore! mi vuol far merito di quanto, forse, fu solo effetto d' un particolare sentimento del suo cuore. D'altra parte, io non dissi se non quello che l'anima mia, e la povera condizione di que' buoni contadini, mi chiamavano alla memoria. » « Oh! io me n' avvidi, signor abate; voi parlavate secondo il cuore, e il cuore è tutto! Ma quando uscii della chiesa, più che non maravigliassi della schietta sapienza delle ascoltate verità, sentiva in me stesso il desiderio di conoscere più davvicino colui che le aveva pronunziate. Si! non solamente nella sua voce e nell'efficace convincimento delle parole, ma nel suo volto, nel girare degli occhi, nella commozione che tutto l'agitava, indovinai in lui un uomo d' alti pensieri e d'anima generosa, l'uomo che ha sofferto e pianto, che ha studiato e conosciuto, l' uomo della sventura e del sacrifizio. » « Lei si piace, signore mio, di far del romanzesco, io credo! » disse don Carlo, con un cotal sorriso di scontento, « No, non è così! » riprese serio il giovine, a cui quella dura risposta spiacque. « Ma fa meraviglia l' udire » soggiunse il vicecurato « che un giovine, pari suo, nell' ardore dell'età e della fortuna, s' occupi di cercar quegli uomini oscuri e per lo più dal mondo disprezzati, che vivono in un cantuccio della terra, per consacrare questi poveri anni al bene di pochi loro fratelli. Del resto, le confesso, non vedo altra generosità nel sacrifizio che feci, se non quella che mille altri, al par di me, conduce per la stessa via. » E coteste parole egli diceva, con certa poco nascosta intenzione di tagliare a mezzo un colloquio che gli pareva strano, e l' impacciava. Ma il giovine Arnoldo, benchè il vedesse, dimostrò di non se ne accorgere, e continuò con un far d'amichevole premura, mentre teneva dietro a' passi del prete, che lentamente s'era mosso per il suo sentiero: « Ben lo vedo, voi siete sorpreso, forse, che un uomo, nato sotto altro cielo, cresciuto ne' principii di un' altra fede, venga qui a cercar la conoscenza d'un prete cattolico, in un paese romito, senz' altra ragione o scusa, che quella d' una sua buona volontà. Vi parrà, certo, un capriccio.... Ma se sapeste! Io son solo! e spero d'aver ritrovato in voi un' anima che m' intenda e mi compatisca... Oh perdonatemi dunque! » O mio buon signore, questa simpatia, non so dire, se di pensieri o di sentimenti, che vi spinse a cercar di me, solo perchè il caso vi portò a intender poche parole, che non son già mie, ma del Vangelo; questa simpatia vostra, credo, scemerebbe ben presto, se poteste gettar uno sguardo nel mio cuore. Esso è come un libro di poche pagine, una storia di solitario dolore; e la storia del dolore è sempre monotona e grave ad altrui! » « È dunque vero?... e a ciò io m' aspettava. Voi dunque avete sofferto?... » « Ma, buon Dio! cosa domandate voi da me? » « Quel ch' io domandi? nol so. » E il giovine rimase di nuovo mutolo e pensoso. E intanto; seguendo quasi involontariamente il pendio del sentiero, erano discesi a lenti passi fin presso la riva del lago; poi, continuando taciturni tutt' e due per la costiera folta d'arboscelli e cespugli, salivano dall' altro lato del ridente promontorio di****, donde, nell'orizzonte più vasto e vaporoso, la più bella ed estesa parte del Lario, illuminata da quel pacifico tramonto, spiegavasi in magica lontananza agli attoniti loro sguardi. Ma il vicecurato, più sovente che non riguardasse ad uno spettacolo ben noto al suo cuore, volgeva gli occhi alla fisonomia del giovine inglese; il quale sollevava la faccia commossa da non so che di mesto e sdegnoso insieme, come chi frema d'un pensiero che vorrebbe cacciarsi di mente e non può. Pareva che il prete volesse indovinare i segreti di quell'animo giovenile e ardente, che per certo non aveva volontà e affetti quali tutti hanno: e sebbene don Carlo sentisse, in quel doloroso momento della sua vita, desiderio di tutt'altro che di nuovi amici, pure la strana maniera con che il giovine forestiero gli cercò amicizia e conforto, la sincerità che rivelavasi nell'espressione malinconica della sua brama, e anche la speranza di poter in qualche modo far del bene a un'anima creata forse per miglior destino; tutto parve s' unisse nel suo cuore a consigliarlo di rispondere a quel fraterno richiamo. Arnoldo intanto camminavagli a fianco, e tuttavia nutriva pensiero di acquistarsene la fiducia, perchè le parole gravi e contegnose del prete gli dimostravan chiaramente ch'egli non era di coloro i quali, nel volger d' un' ora, ti sono amici; amici a posta d' ognuno, che ti rubano i tuoi e ti vendono i loro segreti, se pur ne hanno; che si sfiatano in protestazioni di servitù e di fede, poi il di appresso, se avviene, ti rinfacciano amaramente l'angoscia che hai deposta nel loro cuore; usurpatori del nome santo dell'amicizia, infami che ti si prostrano a' piedi quando buona fortuna ti sorride, e dappoi, dove ti colga sventura, ti gettano il fango sul viso, ti guardano in cagnesco e sogghignano. Ad Arnoldo dunque non increbbe quell' esitanza del giovin prete, quell'inquieta tema d' aprire il cuor suo, che rivelavano in un'anima severa e forte un pudore quasi verginale. Egli vide però che, per farsi amico di quest' uomo, gli era d'uopo avvicinarsegli con semplicità e fede, dimostrargli di esser degno dell'affetto che a lui domandava. Gli si rivolse quindi, e: - « Mi rincresce » disse « d' avervi forse sviato dal vostro diporto della sera. Se la mia compagnia vi disturba, vi prego di scusarmi; e vi lascio. » Don Carlo, il quale un momento prima avrebbe forse risposto: - Fate come v' aggrada, - allora conobbe che la scusa del giovine forestiero era dettata da una dilicata civiltà, schiva sempre di troppa instanza; e senti un segreto rimorso della ritrosia con cui prima ne aveva accolto le parole. E poi, se in quel momento si lasciavan così, forse tutto era finito tra loro. Perciò, quando Arnoldo si volse per riprendere il già battuto sentiero, e' gli accennò di fermarsi, e disse: « Oh no! signore: la vostra compagnia m'onora, e vi son grato. Oggi poi, massime in questo momento, ho bisogno di distrarre i miei pensieri, perchè la vista di questi luoghi, in vece di consolarmi, come io sperava, mi rattrista. Non so se questo giovi; ma la memoria, che ha gran potere sopra di noi, la memoria, qualche volta pesa e opprime. In questi luoghi vissi fanciullo, vissi circondato d' illusioni e di poesia, accarezzato dalle speranze, e adesso.... » « Eppure io credeva » Arnoldo rispose « che una scena bella com' è questa potesse calmare il dolore di qualunque ferita morale. È qui che s'impara a pensar veramente; qui il cuore è libero e largo. La solitudine è madre de' grandi concepimenti, e in faccia a questa natura sempre stupenda e tranquilla.... » « Ah, non v' illudete, o signore! È questa una parte di terra, come qualunque altra; anche qui il dolore ha la sua casa, il dolore più grande forse della consolazione che pur vi si ritrova. Se non temessi d' annojarvi, ve ne darei un testimonio in me stesso. Credete a me, la natura è dappertutto bella e amica, e gli è dal nostro cuore che nasce la sventura; anzi, bisogna dire che noi stessi la vogliamo, bisogna credere il dolore una necessità, com' è il desiderio d'esser felice. Signore! la mia tristezza contrasta colla serenità del giorno che tramonta. » - Indi a poco soggiunse con voce tremante di commovimento : - « Ma, s' io vi dicessi che, appena cinque giorni fa, in questi luoghi, è morto mio padre, che alla sua vedova e alla figlia sua non rimane più nessuno al mondo, tranne il povero prete che vi parla?... Oh pensando a loro, bisogna ch'io pianga!... » Arnoldo sentì stringersi il cuore: la verità di quel filiale cordoglio lo compunse vivamente; e il pensiero tremendo, improvviso, ch' egli pure forse avrebbe potuto perdere un padre, il vechio padre che l' aveva sdegnosamente cacciato dal seno, lo toccò d' involontario raccapriccio. Egli prese allora la mano del giovin prete, e la strinse in atto di affettuoso rispetto. Intanto, s'era fatto notte. Don Carlo levò gli occhi, e: « Vedo » disse « là in fondo, tra quel gruppo di case, un lume passar dall'una all' altra finestra della mia dimora. Là stanno le due donne abbandonate; esse m'aspettano, e io so che han bisogno di consolazione. Permettete dunque, signore, che vi lasci: però vi ringrazio di cuore della bontà che mi avete dimostrato, e vi domando scusa della mestizia delle mie parole. Perdonatemi; e se mai non vi fosse discaro di visitare un prete sconosciuto e solitario, quella è la mia casetta Voi siete così cortese, che vi rivedrò sempre volentieri. Buona notte, signore. » E se n'andò. Arnoldo stette ancora per lungo tempo in quello steso luogo; chè la notte era bella e stellata, e il suo cuore commosso da mille pensieri.

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