Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'arte di utilizzare gli avanzi della mensa

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Guerrini, Olindo 1 occorrenze

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L'ALTARE DEL PASSATO

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Gozzano, Guido 3 occorrenze

Ed io vedo presso una grande finestra prospiciente via Dora Grossa, in sull'imbrunire d'un giorno del 1668, alcune Madame raccolte in un gaietto stuolo: la Contessa di Bouteron, la Marchesa di Pianezza e le sue figliuole gemelle, la Contessa di Saint-Jean, la Contessa di Verrua, Madame d'Olivier, ambasciatrice straordinaria e ordinaria di Francia, con la nipote e il nipotino, accogliere fra alte grida di gioia lusinghiera il giovane abate Conte di Verolengo: - Benvenuto, Monsignore! - Ci si annoiava terribilmente! - E per consolarci ma fille nous agaçait avec les aventures de Télémaque. - Meglio Bertoldo e Bertoldino! ... - Che novità, Monsignore? - Siete stato dalla Duchessa? - Sono stato dalla Duchessa; sono giunto mentre Sua Altezza e la Marchesa di Cavour ... Una balenìo d'occhi e di denti, un corrugare di sopraccigli e di labbra, corre nella penombra elegante. - Scusate, Monsignore - è la padrona di casa che parla - Ortensia, accompagna Cristina e Maria Adelaide e Serafino a vedere la pauvre Gigette è l'ora del miele orzato. Gigette è la canina cinese: sofferente di intestini ribelli e bisognosa di serviziali e di lassativi quotidiani. Le Madame si sono appena liberate dalle Madamigelle che tutte fanno cerchio all'abate sorridente. Il nome della concubina regale ha suscitato in tutte il demone della curiosità. - Ebbene? La Duchessa si è accorta di qualche cosa? - Avanti! - Ci avete promesso ... - Io non ho promesso nulla. Siete voi che non mi lasciate parlare. Oggi sono giunto a Palazzo mentre la Duchessa e la Marchesa di Cavour ... - Ebbene? - Si salutavano, abbracciandosi sorridendo ... Delusione generale, indignazione generale. - Ma non è possibile! - Non è possibile che la Duchessa non sappia! - La Duchessa sa. E per questo abbraccia la Marchesa teneramente, per dare alla rivale la fiducia più temeraria e spingerla all'ultima imprudenza. - Più imprudente di così! L'altro giorno al parco del Valentino, mentre il dottor Operti di Bra recitava a Sua Altezza il complimento dell'Accademia degli Incolti, la Marchesa, che s'annoiava terribilmente, sbadigliò dieci volte, poi s'alzò, passò villanamente dinnanzi a Sua Altezza e alle Dame lasciando il consesso contro ogni etichetta del bel costume. - È vero! Io ero presso una delle finestre che dànno sul Po e vidi la Marchesa scendere le scale, accennare la barca reale dov'erano il Duca, il Conte Rebaudengo e un barcaiuolo e vidi la barca avvicinarsi e la Marchesa balzarvi dentro, e come il Duca le diede aiuto, essa, nel barcollìo, s'abbracciò a lui ridendo, lo tenne stretto assai più del necessario, e il Duca rideva e ridevano il Conte Rebaudengo e il barcaiolo. - E la sconvenienza del giugno scorso, al Castello di Rivoli? Questa, peggio ancora, in faccia alla Duchessa, alla Corte intera, quasi a sfidare la tolleranza di tutte noi. Non ebbe, quella svergognata, la sfrontatezza di salire su un albero di ciliege e di chiamare Sua Maestà con nessuna riverenza e pregarlo di tenderle il cappello mentr'ella lo colmava di ciliege e ne mangiava intanto e schizzava i noccioli dall'alto, bersagliando con motti le dame e i cavalieri? - Ebbe poi l'inaudita impudicizia di presentarsi alla Duchessa, di offrirle le ciliege nel tricorno di suo marito e la Duchessa sorrideva tranquilla, sembrava non vedere, non sentire. - Ma vede, sente, medita, state sicure! - E soffre. La sotto-governante, ieri, passando nei gabinetti di toeletta, la vide riflessa in uno specchio con sulle ginocchia il principino, mentre baciava i capelli del piccolo e piangeva. - Ma Sua Altezza il Duca! Come ha potuto posporre una bella sposa di vent'anni a quella svergognata che ne ha trentacinque? - Trentotto! - Quaranta! - Quarantaquattro! - Signore mie, un momento - interrompe l'abate, che tace sconfitto da qualche tempo. - La verità prima di tutto. Io ho sposata la Marchesa, ho visto il suo atto di nascita. Ha ventott'anni, non ancora compiuti. - Peggio ancora! - Che disastro! Il belletto non le aderisce alla pelle, le traccia un solco tra ruga e ruga ... - Alla luce del giorno è uno sfacelo ... - E non alla luce del giorno soltanto! E le belle madame incrudeliscono e ognuna trova un commento più atroce, ognuna scaglia anatemi e invoca il castigo umano e divino sulla svergonata Marchesa, con veemenza tanto più forte in quanto che ognuna di quelle Dame vorrebbe essere in cuor suo nei panni della concubina famosa ... Oh! Malinconica Torino del seicento, più triste ancora della Torino settecentesca, così triste che io non so immaginarla alla luce del sole, ma la vedo in una perpetua mezz'ombra crepuscolare, nella sua meschinità quasi ancora medioevale, con le sue mura, le sue torri, le sue porte, con la sua piazza del Castello dagli edifici miseri e grigi che ancora attendono di fiorire al genio architettonico di Filippo Juvara! Come trascorreva la vita in quel Palazzo reale che Carlo Emanuele aveva fatto erigere pochi anni prima, squallido edificio ancora ben lungi dall'imponente eleganza e dalla ricchezza che gli conferirono poi Amedeo II e Carlo Emanuele III? In pace trascorreva la vita, da quasi un trentennio, dopo la tremenda guerra civile del 1640. Una grande figura di donna, ormai sessantenne, vi profilava la sua ombra grandiosa: Madama Reale, quella Cristina di Francia che, rimasta vedova di Vittorio Amedeo I, per salvare gli Stati al figlio giovinetto Carlo Emanuele II non aveva esitato a muover guerra ai cognati Principe Tommaso e Cardinale Maurizio, non aveva esitato a fare la cosa inaudita nella storia delle guerre civili, uscire per assediare la sua città bene amata, costringere i suoi cari torinesi alla fame, forzarli, dopo cinque mesi d'assedio atroce, alla resa; e nel 1640 la città s'arrendeva e la Duchessa vittoriosa (cosa commovente e tragica!) rientrava nella sua Torino vestita a lutto per la vittoria riportata contro i suoi sudditi Quasi un trentennio era trascorso. Carlo Emanuele II si era fatto uomo, aveva preso dalle mani della madre lo scettro luttuoso, si era rivelato, a poco a poco, degno nipote di Emanuele Filiberto e degno di esser chiamato l'Adriano del Piemonte. Il Piemonte rifioriva. La Francia esercitava sopra Torino, non per diritto, ma per fatto, un supremo dominio, ma la dipendenza era velata da speciose ragioni di protezione, d'amicizia, di parentela. Si preparavano in silenzio i giorni ribelli e gloriosi di Vittorio Amedeo II. Ma l'influenza della Francia non era soltanto politica, si faceva sentire nell'arte e nei costumi. La Corte torinese era improntata a quella di Parigi e certo sul bell'esempio dei Re Luigi qualche sovrano di Piemonte si concedeva il lusso di qualche favorita. Su Carlo Emanuele II non avevano tuttavia influito nè l'esempio dei cugini d'oltr'Alpe, nè l'eleganza della Senna, delle Grazie madre la sua vita coniugale non lieta, e non per colpa sua, l'aveva costretto a cercarsi altrove altre consolazioni. Le sue prime nozze con quella dolce Francesca d'Orléans, chiamata, per la sua bellezza e la sua grazia, minuscola Colombina d'Amore, nozze felici quant'altre mai, erano state troncate dopo un anno appena dalla feral Parca maligna, come canta un accademico del tempo. E il giovane sovrano aveva consolata la sua vedovanza con varie dame: Gabriella di Mesme di Marolles, moglie del Conte Lanza (sono pettegolezzi di tre secoli, resi pubblici da cento monografie; non è quindi ... indelicatezza far nomi, date, episodi), dalla quale ebbe due figli: Carlo Francesco Agostino, Conte delle Lanze e di Vinovo, e Carlo detto il Cavalier Carlino. Ma Gabriella di Mesme fu congedata ben tosto per Giovanna Maria di Trecesson, Marchesa di Cavour. Il Duca ebbe da lei un figlio: don Giuseppe di Trecesson che fu Abate di Sixt in Savoia e poi di Lucedio in Piemonte, e due figlie: Cristina e Luisa Adelaide. La ragion di Stato, anzi l'amorosa ragion di Stato come canta un altro accademico cortigiano, costrinse Carlo Emanuele II a passare a seconde nozze con Giovanna Maria di Savoia Nemours. Il Duca con questo maritaggio, faceva rientrare nel dominio della sua corona le provincie del Genovese e del Faussigny. Le nozze furono splendide e la sposa, giovinetta, entrò in Torino inghirlandata di tutti i fiori e di tutte le speranze, accolta non come una straniera che giunge, ma come una sorella che ritorna. "Vorressimo scrivere - dice il Castiglione - con penna tolta dalle ali di Cupido le dimostrazioni di pubblica allegrezza per questo inclito maritaggio. "La humana imaginatione non arriva a concepire il giubilo vicendevole dei suoi amatissimi sposi. "Pervenuta la sposa in Torino, Madama Reale voleva andarle incontro in carrozza, ma, non godendo di ferma salute, fu necessitata di aspettarla al castello. "Ascesa, la Regale Sposa, le scale del Palagio fra suoni di trombe, rimbombo di tamburi, spari di moschetterie e di mortaretti, fu incontrata alla porta del salone da Madama Reale, sua suocera, accompagnata dalle principesse e grandissimo stuolo di Dame. Qui accolta, abbracciata e per tre volte baciata con lacrime, indubitati segni di grande affetto, fu da essa complimentata con quei termini che le somministrò la sua naturale gentilezza e facondia incomparabile, veramente regia. "Corrispose in modi ossequiosissimi, molto espressivi dell'amor riverente dovuti a sì gran Madre, la sposa reale. "Volle Madama Reale in ogni modo condurla alle sue camere tutto che resistesse quella quanto potè. "Le loro Altezze passarono interi giorni tra le ricreationi di musiche diverse, fra banchetti solenni, pubblici e alcuna volta privati, ma non men deliciosi, e luminarie e fuochi artifitiali e altri passatempi". Oimè, la luna di miele, col suo alone roseo d'illusioni, doveva durare ben poco e la bella sposa - pur con tutta la ingenuità dei suoi diciotto anni - non doveva tardar molto ad accorgersi che nello stesso Palazzo, accanto a lei, seduta alla stessa mensa, al corso, a teatro, viveva un'altra sposa del Duca, più antica di lei, terribile di tutta la sua bellezza matura ed esperta, forte da anni e anni d'un'influenza incondizionata, armata d'un'alterigia temeraria, armata, cosa più atroce di tutte, di una figliolanza clandestina, ma riconosciuta dal Duca, amata, collocata in vari collegi di Francia e di Lombardia: la Marchesa di Cavour. E certo, la Duchessa baciava tremando il capo d'oro dell'unico figliolo, tremando per sè e tremando per lui. Quale spaventosa tragedia, silenziosa come la fiumana che serpeggia sotterra, doveva tumultuare nel piccolo cuore non ancora ventenne! - La Duchessa? non s'accorge di nulla, non vede nulla, non sente! Vedeva, sentiva, aspettava che il calice fosse colmo ... E il calice fu colmo. La noia dei salotti secenteschi torinesi fu un bel mattino rallegrata da una novella incredibile. La Duchessa è fuggita di Palazzo. Dov'è? Fuggita? Ma no! È a diporto a Moncalieri. A Druent. Ritornerà domani. Non ritornerà mai più. Non ritornerà mai più! S'è accorta di tutto! Ha sorpreso il Duca con la Marchesa. Finalmente! Il Duca aveva lasciata la Corte l'altro giorno per la Venaria dicendo d'aver ritrovo di caccia col cugino, l'abate Visconti, che veniva da Milano. La duchessa era rimasta a Torino accusando vapori al cervello, mettendosi a letto, facendosi anzi praticare due salassi consecutivi dal dottor Vinadi, che le prescrisse riposo per quindici giorni. Invece, nella notte successiva la Duchessa fu vista arrivare alla Venaria alle tre del mattino, in una berlina da viaggio, seguita da due governanti e da quattro staffieri. Balza al portone. Le guardie le proiettano in volto la lanterna rossigna, allibiscono, vietano il passo supplicando, implorano quasi piangendo la Duchessa di non salire; ne va della loro vita! La Duchessa legge la verità negli occhi dei soldati tremanti, spezza la catena delle braccia robuste, balza su per le scalee, irrompe nelle sale. E poi? Poi nessuno ha visto. Qualcuno ha sentito. Dalla grande camera d'angolo detta l'Alcova delle tre Grazie - pure attraverso le finestre chiuse - giungevano le strida della Marchesa di Cavour, la voce convulsa del Duca, la voce irriconoscibile della giovane Duchessa. Poi più nulla. Fu vista uscire la Duchessa livida, disfatta, fu vista raggiungere barcollando la berlina e la berlina partire di gran carriera, seguìta dai quattro staffieri a cavallo. La Duchessa è ritornata in Francia. Torino è annichilita. Passano due, tre, quattro giorni. La notizia è ormai diffusa nella nobiltà, nella borghesia, nel contado; la Duchessa è in Francia? No! Non è vero, impone di credere un ordine di Corte, affisso sulla piazza del Castello. La Duchessa è sofferente e tiene il letto da quindici giorni; si celebrerà anzi un Te Deum per implorare dal cielo la sua certa guarigione. Ma nessuno crede a quella commedia, la verità è risaputa; la Duchessa tradita è ritornata presso la sua famiglia d'oltr'Alpe come una bourgeoise qualunque che ritorna dai suoi. Ma al quinto giorno un'altra notizia sbigottisce Torino: La Duchessa rientrerà fra poche ore in città! Non è stata ammalata, è stata a diporto fino a Chambéry, impone di credere un nuovo avviso di Corte. Il popolo esulta, ma anche in questo è risaputa ben presto tutta la verità. Uno squadrone, dopo la fuga notturna della Duchessa, s'è precipitato, per ordine del Duca, sulle tracce della fuggitiva, ha costretto con le armi spianate la berlina reale a far ritorno a Torino. E la Duchessa ritorna pallida, disfatta, rientra in Torino sorridendo debolmente alla folla plaudente. - Se non fosse di suo figlio - commenta qualche madre fra la folla, - scommetto che si sarebbe piuttosto lasciata ammazzare che far ritorno ... Povera donna! Verità storiche, registrate dagli archivi polverosi, ma noi non cercheremo la conferma nel tedio delle antiche carte. Tutto l'episodio commovente è chiuso in una canzone popolare fiorita in quei giorni, canzone che non si canta più, ma che è certo tra le più belle, e più significative del folklore subalpino, riportata e tradotta dal Nigra nella sua raccolta di canzoni piemontesi. La Marchesa di Cavour Sua Altessa l'è muntà an carossa, An carossa l'è bin muntè, Che a la Venaria a völ andè. Quand a l'è staita a la Venaria, L'à butà le guardie tut anturn Per la Marcheza di Cavour. Bela madamin munta an carossa, An carossa l'è bin muntè, A la Venaria la vol dco andè, Quand a l'è staita a la Venaria, Llà trova le guardie tut anturn Per la Marcheza di Cavour. Bela Madamin sforza le guardie. E le guardie l'à bin sforzè; Per cule stanse la vol andè, Quand l'è staita ant cule stanse, La Marcheza l'à trova cugià E Sua Altessa da l'auter là. - Me ve ringrassio, sura Marcheza. Sura Marcheza, v' ringrassio tan, Che vi sia fait un sì bel aman. Sura Marcheza a j'a ben dì - je: - So - se l'ì pa del me piazì; L'è Sua Altessa ch'a vol cozì. Sua altessa a j'a ben di - je; - Bela madamin, stè chieta vui, La Marcheza l'è più bela ch'vui. Bela Madamin munta an carossa, An carossa l'è bin muntè. Che an Fransa la vol turnè. Quand lè staita a metà strada, Bela Madamin s'svolta andarè, A l'à vist avnì dui vàlè-d-piè- O ferma, ferma, ti dla carossa, Ferma, ferma, che t'farò fermè, E d'entre na tur t' farò butè. Bela Madamin cha j'à ben di - jè: - S'a fussa nen del me fiolin, Già mai, già mai turneria a Turin. Quand l'è staita pr' antrè ant le porte tuti fazio solenità; Bela Madamin a l'è turnà. L'à mandà ciamè sura Marcheza: - Mi vi dag temp sulament tre dì, An sui me Stat fermè-ve pa pi. Traduzione Sua Altezza è montata in carrozza, in carrozza è ben montata, che alla Venaria vuol andare. Quando fu alla Venaria, mise guardia tutt'attorno per la Marchesa di Cavour. La bella Madamina monta in carrozza, in carrozza è ben montata alla Venaria vuol pur andare. Quando fu alla Venaria, trovò le guardie tutt'attorno per la Marchesa di Cavour. La bella Madamina forzò le guardie, le guardie ben forzò; per quelle stanze la vuol andare. Quando fu in quelle stanze, trovò la Marchesa coricata, e Sua Altezza dall'altro lato. - Vi ringrazio, signora Marchesa, signora Marchesa, vi ringrazio tanto, che vi abbiate fatto un sì bell'amante. - La signora Marchesa ben le disse: - Questo non è di mio piacere; gli è Sua Altezza che vuol così. - Sua Altezza ben le disse: - Bella Madamina, state zitta voi. La Marchesa è più bella di voi. - La bella Madamina monta in carrozza, in carrozza ben montò, che in Francia la vuol tornare. Quando fu a metà strada, la bella Madamina si volta indietro, vide venire due staffieri. - O ferma, ferma, tu cocchiere; ferma, ferma, che ti farò fermare e dentro una torre ti farò cacciare. - La bella Madamina ben gli disse: - Se non fosse del mio figliolino, mai più, mai più non tornerei a Torino. - Quando fu per entrare nelle porte, tutti facevano solennità. La bella Madamina è tornata. Mandò a chiamare la signora Marchesa: Io vi dò soltanto tre giorni di tempo, sul mio Stato non fermatevi più. - S'a fussa nen del me fiolin, Già mai, già mai turneria a Turin. El fiolin doveva essere col tempo quel Vittorio Amedeo II, iniziatore d'un'êra veramente nuova e gloriosa nella storia d'Italia. E il sacrificio della Duchessa umiliata, ricondotta alla casa del tradimento come una prigioniera, non doveva essere un vano olocausto del suo cuore di sposa infelice al suo dovere di madre regale. - S'a fussa nen del me fiolin, Già mai, già mai turneria a Turin.

Così l'ufficioso, e molto timorato storico Jean Frézet, abate di Corte e pedagogo. Certo è che, rimasta vedova giovanissima, lanciata dal destino tra le vicende più tragiche che possano turbare un reame, Madama s'innalza nella nostra fantasia come un'immagine di forza e avvedutezza che pochi regnanti possono vantare. Ella sa equilibrarsi, tra cupidigie opposte, tra nemici formidabili. La Francia da una parte, che è pure la sua patria perduta, la quale l'incalza contro la libertà del Piemonte con la politica subdola, terribile, inesorabile di Richelieu e del fratello Luigi XIII. Dall'altra la fortuna e la libertà del Piemonte che è anche la fortuna e la libertà del figlio superstite, un gracile bimbo di sei anni che ella adora e che sarà col tempo il grande Vittorio Amedeo; dall'altra i cognati: il Principe Tommaso e il Cardinale Maurizio implacabili contro la Reggente. Da questo nodo di cupidigie opposte scoppia la guerra civile del 1640. C'è, di quei giorni, una lettera di Madama, che non si può leggere senza un fremito di commozione e di ammirazione, e che rivela la tempra veramente superiore di quella donna che ha paura d'esser donna Ella deve lasciare per qualche giorno la Cittadella, deve abboccarsi segretamente col fratello Luigi XIII e Richelieu, a Grenoble, per moderarne i disegni crudeli e conciliare il destino di tutti quelli che ama. Essa lascia il figlio piccolino al Marchese di San Germano, lo affida con queste parole che è bene meditare: "Je vous confie le dépôt le plus cher. Ne laissez point sortir monn fils de la Citadelle: n'y recevez pas d'étrangers. Ne remettez cette place forte à personne. Si vous receviez des ordres contraires, fussent-ils revêtus de ma signature, regardez-les comme non avenus. On me les aurait extorqués. Je suis femme . .E altrove, accasciata per un attimo dal destino che minaccia la catastrofe ultima, oppressa dalla malvagità dei più famigliari, scrive al fratello: L'heureux a peu d'amis: le malheureux n'en a point! Je suis femme Com'era? Bella? Nessuna stampa dell'epoca la ritrae come doveva essere: è forse bene che il nostro sogno faccia di tutte le sue effigi una sola, per vederla com'era, o basta sillabare il suo nome, pensarla intensamente ad occhi socchiusi perchè la sua figura si profili contro la parete sanguigna, sotto le vôlte a crociera. Ha una veste nera - non ha deposto le gramaglie più mai, dal giorno che è rientrata in Torino vittoriosa centro i suoi sudditi - la quale l'avvolge graziosamente, con un guardinfante appena accennato: una veste che potrebbe ricordare la foggia odierna se non terminasse alle maniche, alla gorgiera con sbuffi di velo bianco e ondulato. Madama non ha più gioielli. Dato fondo al Tesoro per sostenere le spese della guerra, essa ha venduto i famosi brillanti, dono e retaggio di principi sabaudi, ha venduto "le smaniglie e le boccole pesanti", ha venduto la collana di Ahira, la meravigliosa collana bizantina d'oro massiccio e di smeraldi che gli Avi Cristianissimi avevano portato da Gerusalemme al tempo delle Crociate: " J'aime mieux, mon frère, me passer de joyaux que de lasser mes troupes sans paie ... ". Il volto è circondato da un'acconciatura di tulle nero, alla Holbein, che gli darebbe non so che espressione monacale se sotto non balenassero gli occhi chiari di amazzone, il profilo diritto, la bocca volontaria, la mascella forte: un volto che sembra la maschera dei guerrieri greci, come si sognavano nelle fantasie mitologiche di allora, non il volto d'una Regina, d'una donna segnata dal destino al dolore ed all'amore. L'amore? "Elle eut des envieux, des ennemis qui s'efforcèrent de répandre des nuages sur ses belles qualités: la calomnie n'épargna pas la grande Princesse". L'amore? La immagino dolorante, tragica, combattiva: non la so pensare amante. Se qualche verità c'è in fondo alla calunnia e alla leggenda, se in un'ora di sconforto supremo ella ha piegato la bella fronte virile sulla spalla di qualche amico, certo deve essersi sollevata subito, conscia del suo destino, deve aver ripetuto fieramente al favorito d'un'ora le parole che scriveva al Marchese di San Germano: "Regardez-les (trattati politici o baci che fossero) - regardez-lecorame non avenus, on me les aurait extorqués. - Je suis femme".

Interrogo un soldato: non mi risponde; un contadino: nemmeno si volge; un abate: non mi guarda, non batte ciglio. E allora m'accorgo d'una cosa inaudita e terribile: sono ombre (o l'ombra sono io?) divise da me dal mistero del non essere più, del non essere ancora. Vedo e non son veduto, sento e non sono sentito ... Intorno si parla francese o un piemontese arcaico molto serrato nella erre infranciosata o l'italiano pesante dei libri stampati; così dinnanzi a me un tal conte Dellala di Beinasco e un tal cavaliere Mattè macchinista deplorano " ... la fatal pioggia importuna che ieri sera nocque al fontionamento della macchina dei fuochi artefitiali di gioia, a cascatelle e figure molto vaghe e dilettevoli, onde l'ornatissima madama giovinetta volle trarre nefasto presagio ... ". E poco oltre all'angolo di Via San Francesco da Paola uno scrivano pubblico legge ad alta voce un affisso del muro ad un gruppo di analfabeti riverenti: " ... Prima della partenza il Nuziale Corteggio attraverserà la città di Torino uscendo di Palazzo a Piazza San Giovanni per Via Dora Grossa, Piazza Castello, Via Nuova, Porta Nuova, Porta di Po, volendo il Re e la Regina assecondare così la pubblica brama di vedere ancora una volta in essa l'Amata Augusta Figliuola ... " "29 Settembre dell'anno 1781". Leggo anch'io la lista delle "sontuose Nutiali allegrezze per l'eccelso maritaggio, ecc., di Madama Carolina con il Duca di Sassonia rappresentato per procura dal fratello della sposa. Ieri al Castello di Moncalieri ebbero luogo le nozze. Oggi la nuova Duchessa di Sassonia partirà per Dresda e farà per Torino un ultimo giro d'addio". ... Da già ch'a l'è cusì, da già ch'a l'è destin faruma la girada anturn a tüt Türin ... La bela Carulina ... la bela madamin ... Si parlava intorno, a mezza voce, di non so che scandalo provocato ieri dalla sposa sedicenne nell'ora solenne del sì. - Oh, marchese, ieri si sperava di vederla a Moncalieri. - Non ho ricevuta la carta d'accoglienza. - Ma non è possibile! - Proprio così, Monsignore. Ho già fatte le mie rimostranze al Gran Cerimoniere ... Erano in molti? - Non molti. Forse cento invitati. Il Re, la Regina, la Principessa Carlotta di Carignano, il Cardinale Marcolini, il Principe di Salm Salm, i Vescovi, i Cavalieri dell'Ordine, il Principe di Masserano, i Ministri di Stato, il Capitano delle Guardie del Corpo, il Governatore del Principe, il Mastro di Cerimonia, gl'Introduttori, i Sotto Introduttori degli Ambasciatori. - E gli sposi? - Non erano allegri. Già, l'idea del distacco per sempre. E poi una bimba di non ancora sedici anni sposata da un fratello per un Principe che non ha veduto mai ... - Ha smaniato? - No, no. Ha significato come dire la sua rassegnazione. Nel momento del sì ha capito che si decretava l'esilio, l'esilio per sempre in quella Sassonia che deve apparirle come l'estrema Tule. - Ma non ha smaniato? - Affatto; fu un attimo. Il Grande Elemosiniere del Re uscì pontificalmente dalla sacrestia e dopo essersi inginocchiato all'altare ed inchinato al Re e alla Regina, fece agli sposi la consueta interrogazione. Il Principe di Piemonte rispose immantinente; ma la Principessa fu vista impallidire, alzarsi, vacillare, volgersi smarrita verso i genitori inginocchiati alle sue spalle; lo sguardo di Sua Maestà la dominò, la piegò, la fece inginocchiare, prorompere non in uno ma in tre sì consecutivi che fecero ridere tutta la Corte ... Sia detto tra noi, Monsignore, io non vorrei essere oggi nei panni del Conte Lamarmora. - Perchè? - Perchè s'è presa tutta la responsabilità di fronte al Re di questa gita d'addio per compiacere la Regina e la Principessa. Lei sa che ancora sabato scorso era stabilito che subito dopo le nozze il corteo, accompagnato dall'ambasciatore della Corte Elettorale di Dresda, proseguisse, direttamente da Moncalieri senza soffermarsi a Torino e raggiungesse Augusta dove i Commissari del Re di Savoia avrebbero consegnata la sposa ai Commissari del Duca di Sassonia. Sarebbe stato il partito migliore. Ma la Principessa, povera bimba, cerca ogni pretesto per prolungare di un'ora la sua partenza. Ha supplicato, ha smaniato per passare a Torino un giorno ancora e la Regina ha avuto l'idea di una passeggiata d'addio per la città con relativa esposizione della Santissima Sindone alla Galleria di Piazza Castello. Il Re ha resistito, poi ha concesso, previa responsabilità del Conte Lamarmora intercessore, per evitare ogni guaio. Lei sa quanto Sua Maestà sia alieno da scandali. Non vorrei essere cattivo profeta, ma non mi stupirei che la Principessa Carolina desse in convulsioni nel bel mezzo di Piazza Castello o di Via Dora Grossa. Ieri al ballo di gala aveva gli occhi di un'allucinata ... - Povra masnà! Siamo in Piazza del Castello, la Piazza Castello settecentesca quasi simile a quella d'oggi e pure tanto diversa. La illumina un sole non vero: il sole che illumina le vecchie stampe e le cose che si raccontano ... Due gallerie di stile barocco si prolungano ai lati di Palazzo Madama dividendo la Piazza per metà; e l'assenza di lastrico e di rotaie, di globi elettrici e d'intrico metallico, d'insegne e di grida murali, le dànno un aspetto spoglio di cosa morta ... Come noi moderni si vive di questo! Una folla immensa si riversa dai Portici della Fiera, strana folla disposta, accoppiata dalle incisioni in rame e dalle stoviglie di Savona (non l'arte imita la vita, ma la vita l'arte; le cose non esistono se prima non le rivelano gli artisti) e v'è la berlina dai quattro cavalli recalcitranti raffrenati dal postiglione; v'è la portantina ducale, il servo che conduce il cane al guinzaglio, i due abati che s'incontrano e si stringono la mano, la madre che ammonisce il bambino, i comici nella loro baracca, il cerretano che vende l' elisir di lunga vita, la sibilla che predice le sorti. E la folla è disposta secondo il gusto convenuto che importarono in Piemonte i pittori fiamminghi e sulla folla ondeggia con un ritmo vago, insistente, la canzone del giorno. Ma oltre Palazzo Madama, che preclude la vista dell'altra metà della Piazza, s'alza un mormorìo diverso, una melodia liturgica e solenne e l'aria si vela di nubi candide e odora acutamente d'incenso. M'apro il passo per un varco dei Portici e resto immobile, rapito dal quadro più solenne che la fede intatta abbia offerto mai ad occhi mortali. Tutta la Piazza fluttua d'una moltitudine indescrivibile ed è convertita in un tempio che ha per cupola il cielo. In fondo s'eleva la loggia che divide Piazza Castello dalla Piazza del Palazzo Reale ed ogni arcata è occupata da un vescovo officiante. Dall'arcata centrale, protetta da un baldacchino vermiglio pende ben tesa la Santissima Sindone, la reliquia esposta alla folla per poche ore, il tesoro unico sulla terra, quel sudario nel quale Giuseppe D'Arimatea avvolgeva il corpo del Redentore deposto dalla Croce. E mille labbra cantano il Te Deum e mille occhi fissano la duplice immagine del Corpo Divino. Dal mattino si officia di continuo all'aria aperta nella luce del sole; tutto il popolo prega ad alta voce per la giovinetta sabauda che partirà tra poche ore per la terra lontana. Tra i colonnati barocchi dell'alta loggia scintillano le mitre vescovili, spiccano i damaschi e le sete, le porpore, gli zibellini: è adunato tutto l'alto Clero della Metropolitana, i Cavalieri dei SS. Maurizio e Lazzaro, i cavalieri della SS. Annunziata, i Canonici, i Diaconi, i Mazzieri, i Caudatari, i Sindaci, i Decurioni ... Ma la bela madamin della canzone? Il baldacchino reale è deserto. La Corte s'è ritirata da poco per le ultime cerimonie di Palazzo e le udienze di congedo. La bela madamin! ... Voglio vederla ... Entro nella Reggia. Oimè, non è facile nemmeno per un puro spirito invisibile e imponderabile, non è facile trovare una principessa nella sua vasta dimora. Seguo il grande atrio a sinistra, salgo, scendo, mi smarrisco, riesco nella Cappella del SS. Sudario, salgo lungo la grande scala di marmo nero alla sala degli Svizzeri, attraverso la sala degli Staffieri, la sala dei Paggi, la sala del Trono, la sala delle Udienze, la sala del Gran Consiglio. Dame e cavalieri - i più bei nomi della nobiltà Subalpina - quelli che oggi sopravvivono soltanto nelle tele delle pareti, vengono, vanno, ridono, parlano, con le loro labbra di carne ... Ma la bela madamin ... dov'è? dov'è il delicato fantasma delle mie allucinazioni? Attraverso la lunga Galleria del Danieli passo sotto i cieli favolosi del pittore secentesco; fra lo scintillìo cristallino degli immensi lampadari avanzo, apro una porta socchiusa. Odo una voce. La bela madamin No. Non è lei. Allibisco. In mezzo alla sala appoggiato al tavolo di lavoro con le braccia conserte, sta S. M. il Re Vittorio Amedeo III, già vestito di gala, terribilmente rassomigliante al ritratto del Dogliotti, alle incisioni del Rinaudi, il profilo diritto non raddolcito dalla parrucca bianca, il collare dell'Annunziata, i nastri, le croci, le medaglie disposte in bell'ordine sulla corazza troppo corruscante di pacifico guerriero settecentesco, la porpora crociata di bianco del mantello cesareo avvolta con una linea romana illanguidita un poco dalle grazie di Watteau. Sua Maestà rilegge una lettera; la carta pergamenata gli garrisce tra i pollici nervosi scossi dal tremito. E non ascolta il Conte Lamarmora che gli legge le modalità del viaggio ben previste in protocollo ufficiale da deporsi nell'Archivio di Stato secondo che l'uso di Corte comanda; "da Vercelli a Milano, da Milano a Roveredo a Innsbruck, dove conteremo di giungere il sabato prossimo. Saranno nel corteggio della Duchessa Carolina il Marchese di Bianzè, suo primo Scudiere e Cavaliere d'onore, l'Uditore Borsetti, Segretario di Stato, la Marchesa di Cinzano, Dama d'onore, la Contessa di Salmour e la Marchesa di Verolengo, Dame di Palazzo" ... - E souma inteis, e souma inteis - interrompe il Sovrano con un gesto che ammutolisce e licenzia il Conte Lamarmora. - Ca fassa chiel; ma dsôura a tüt gnüne masnôiade, gnün tapage an facia a la pôpôlassiôn ... Oh il mio dolce dialetto così vivo fra tante cose morte, adorato più di qualunque parlare, più dell'italiano (adoratissimo!), l'italiano, estraneo alla mia intima sostanza di Subalpino, appreso tardi con grande amore e con grande fatica come una lingua non mia, il mio dolce parlare torinese, l'unico nel quale penso e l'unico che mi giunga al cuore suscitandovi schietto il riso ed il pianto, il mio dolce torinese sulle labbra d'un re di Savoia, quando il Piemonte era ancora una leggiadra provincia della Francia e l'Italia non era: quale, quale commozione che non so dire! - E souma inteis - conclude Sua Maestà senza alzare gli occhi dalla lettera. E la lettera è del genero lontano, Antonio Clemente Duca di Sassonia, è dello sconosciuto signore che attende in terra barbarica la giovinetta soave. Dice: " ... il en coûtera sans doute à la sensibilité de Madame la Princesse de s'éloigner de ses illustres parents et d'une famille qui doit lui être chère, mais je mettrai tant d'attention à faire diversion à ses soucis et à m'attirer sa confiance et sen estime que je me flatte de lui adoucir l'amertume de cette séparation ... ". *** Ma la bela madamin Passo nel Gabinetto Cinese, attraverso le sale di raso cilestre, cremisi, salice, fragola, canarino, dell'appartamento della Regina, sosto nel corridoio persiano ad ascoltare i commenti di due Dame: "Un amore! un amore!". Si parla di lei; è dunque vicina. Eccomi nel Gabinetto delle Miniature nella Galleria Pompeiana; un profumo acutissimo m'annuncia il penetrale del fiore riposto. E sulla soglia sosto abbagliato dinnanzi alla più delicata interpretazione vivente che mai sia stata fatta de la toilette de la Mariée Maria Carolina Antonietta di Savoia Duchessa di Sassonia è in piedi tra le sue cameriere chine o ginocchioni intente all'opera delicata. La cognata, che presiede da parigina esperta, le ha tolto lo specchio di mano: - Ti vedrai dopo, mignonne, quand le rêve sera achevé Maria Carolina è una visione abbagliante di neve e d'argento. Bianco il ciuffo di penne che le adorna l'alta acconciatura incipriata, bianco il viso passato alla cerussa bianca, la veste di raso splendente dal guardinfante mostruoso, bianche le scarpette, le ghirlande, il cagnolino, il ventaglio. In tanto candore spicca il rosso delle labbra e delle gote, il nero degli occhi e dei sopraccigli. La cognata stessa Adelaide di Francia, nipote di Luigi XV, ha dipinto il volto della bimba diciottenne secondo che l'ultimo dettame di Parigi consiglia: le ha cancellato col cosmetico i delicati sopraccigli biondi e due altri ne ha disegnato a mezzo della fronte, nerissimi, arcuati, imperiosi. Molto s'è discusso sull'acconciatura; il parrucchiere di Corte, De Regault, voleva riprodurre con gl'immensi capelli biondi il Palazzo Madama o la galera capitana degli Stati Sardi; ma la Regina, la Principessa, si sono opposte e l'artista ha costrutto con la chioma densa un edificio a tre piani coronato da un nido dove una colomba cova, teneramente assistita dal compagno. - Ravissante! Ravissante! - mormora la cognata che le sta alle spalle puntandole di sua mano un fiore o una piega del guardinfante. Ma ad un tratto vede le gracili spalle adolescenti scosse da un sussulto, si china, guarda: il volto dipinto con tanta cura è inondato di pianto. - Ah, mon Dieu, tu vas te ravager! ma per carità! Vieni, vieni a vederti e non piangerai più. Prende la sposa per mano, la conduce dinnanzi al grande specchio ovale della parete. Le lacrime s'arrestano d'improvviso. La bimba, che ieri ancora giocava alle dame in visita, sbigottisce d'essere oggi una dama davvero e non pensava di vedersi così bella. Sorride tra gli ultimi singhiozzi, sorride a se stessa, alla cognata, alle cameriere, cancella col batuffolo della polvere l'ultima traccia di lagrime. - Sua Maestà la Regina! - annunzia un servo. Camerieri, parrucchieri, servi balzano in piedi, rigidi, addossati alle pareti. La madre sosta sulla soglia, sorride, tende le braccia alla figlia, l'abbraccia, la bacia, ma con delicatezza trepidante, come si odora un fiore troppo fragile. - Un rêve, vraiment un rêve! *** ... Da già ch'a l'è cusì, da già ch'a l'è destin faruma la girada anturn a tüt Türin ... Oh, l'interminabile fila di berline, le berline di Casa Reale simili ad altissimi triangoli capovolti, sculpite, dorate, sovraccariche di tutta la mitologia e di tutto il simbolismo pazzesco del barocco; così goffe ed aggraziate, così snelle e tozze ad un tempo! Berline a quattro, a sei, a dieci cavalli gualdrappati, frangiati, impennacchiati, con non altro di libero che le zampe e la coda prolissa, cocchieri e staffieri a codino rigidi come automi tolti da un armadio centenario! ... Il corteo fantastico si svolge interminabile come in una fiaba dei Perrault, ma non reca il marchese di Carabattole, non il gatto dagli stivali, non Cenerentola fatta regina, ma tutte le belle dame della nobiltà subalpina, la Marchesa di San Damiano, la Marchesa d'Ormea, la Contessa Morozzo, la Contessa Della Rocca, la Marchesa di San Germano, la Marchesa di Cinzano, la Contessa di Salmour, la Marchesa di Verolengo ... E fra tutte, bellissima, come la Principessa della favola, come la Figlia del Re, leggendaria, è la sposa tutta bianca, tutta d'argento ... - La bela Carôlin! La folla che stipa Piazza Castello, i portici, i colonnati, che brulica sugli alberi, sulle ringhiere, sui tetti, acclama la sposa con un fremito che parte dal cuore. Il popolo ama quell'ultimogenita del Re, l'ama come una delicata bimbetta sua, la bela Carôlin è popolare ovunque, dai parchi della Venaria ai parchi del Valentino, dai bastioni della Cittadella ai bastioni della Dora, dove non sdegna di interrompere i suoi giochi per rivolgere la parola a un giardiniere che pota, a una lavandaia che piange. - Madama Carôlin! la bela Carôlin! Mai il popolo ha sentito così forte la sua tenerezza commossa come in quest'ora dell'ultimo addio. Il bel fiore sabaudo sta per essere còlto da altre mani per un giardino d'oltr'Alpe. ... Da già ch'a l'è cusì, da già ch'a l'è destin faruma la girada anturn a tüt Türin ... Il lungo corteo d'equipaggi passa da Via Dora Grossa a Porta Segusina, da Porta Segusina ai bastioni della Cittadella. Sono quivi schierate tutte le truppe: spiccano i Granatieri e i Guastatori dalla veste di scarlatto guarnita d'argento, con cappotto frangiato e banda intarsiata pure d'argento e d'azzurro, spicca la Compagnia Colonnella con le Corporazioni dei Mercanti e dei Droghieri a divise vivacissime. Lungo Via Santa Teresa e Piazza San Carlo, lungo Via Nuova, sono tutti gli altri Corpi della città: gli studenti della Regia Università col loro Sindaco, i Cavalieri dell'Ordine della SS. SS.Annunziata e dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Tutti formano tra la folla varia un disegno ordinato a colori vivacissimi dove il corteo passa come tra una doppia siepe di divise smaglianti. La sposa diciassettenne non ha mai visto tanto fasto nella sua vita breve e raccolta e pensa che tutta quella gioia di colori e di suoni è per lei e s'alza e batte le mani come ad un bel gioco. Dai bastioni della Cittadella ai bastioni di Po rombano i cannoni di salve, strepitano i mortai e i mortaretti, accompagnando senza tregua con un rombo guerresco il clangore esultante di tutte le campane di tutte le chiese: la Metropolitana, Santa Teresa, la Consolata, i Santi Martiri Tebei, tutti i provincialeschi templi torinesi. Il corteo regale s'avanza. Dame, cavalieri gettano di continuo a piene mani le dragées nuziali, i grossi confetti settecenteschi detti giüraje E la folla s'accalca, fluttua, acclama. La sposa protende le mani e mille mani si protendono affettuose in una stretta d'ultimo addio. - La bela Carôlin! La piazza San Carlo è convertita in una sala immensa: "sta una tavola ivi disposta la quale fa vedere un corpo di bacili di confetti canditi e di molte sorta di paste zuccherate e frutti molto lontani dalla stagione. I bacili suddetti, guarniti a piramidi nella sommità dei quali vagamente pompeggiano stendardi con armi e cifre, il tutto regalato di fiori con una piramide sostenuta da quattro tori argentati carichi di confetture. Per finimento godono le Altezze Reali dell'apparato più con gli occhi che con la bocca e prendono gran piacere in vedere a dare il sacco di detta tavola e dare la scalata alla piramide fruttata e inzuccherata". La sposa giovinetta ride a quel gioco, ride fino alle lagrime della folla che corre, sale, rotola, schiamazza. La sposa ha tutto dimenticato e pensa che la vita prosegua così in un corteo dorato e infiorato tra una moltitudine gaia e plaudente. L'allegrezza dell'ora è per lei come quell'orlo di miele che si mette sul calice della medicina troppo amara. Fuori di Porta Nuova la folla si estende fino al Parco del Valentino. Dinnanzi al Castello, "passatempo delle Dame", il corteo si ferma ancora una volta per un altro rinfresco e per ricevere il complimento del poeta Pancrazio da Bra, arcade di bella fama nell'Accademia degli Incolti. S'avanza costui in sembianza del fiume Po, seminudo, con manto di drappo d'oro e capelli a guisa d'alga ed è seguito dalla Dora fanciulla vestita a guisa di ninfa con le chiome sparse e incominciano un dialogo in versi dove il Po dimostra alla Dora sconsolata per la dipartita della Principessa la necessità che lo splendore della Casa Sabauda s'estenda oltre ogni confine ... Di che bell'astro il nostro ciel si priva! La bela Carôlin s'annoia mortalmente alle interminabili ottave accademiche, sbadiglia, s'abbuia, guarda altrove, s'alza impaziente, invano trattenuta dalla madre e dalla cognata. E l'amarezza del distacco, la realtà dell'ora triste la riprendono ancora e le stringono il cuore distratto per poco ... Il suo volto si vela d'angoscia quando il corteo riesce alla Porta di Po. Là sotto le arcate imbandierate e infiorate attendono le quattro berline di viaggio sulle quali bisogna salire fra pochi secondi; non più graziose berline dorate, ma grandi carrozze fosche e disadorne. Il corteo s'arresta presso la Porta. Bisogna scendere con la Marchesa di Cinzano, con la Contessa di Salmour, con il Marchese di Bianzé, bisogna passare con i compagni di viaggio nei tristi veicoli non più di gala. Un tappeto infiorato segna il breve percorso ... Ma la bela Carôlin che tormenta da mezz'ora la mano della Regina, s'è ora afferrata al braccio di lei e quando il Conte Lamarmora apre lo sportello e l'invita a scendere, la piccola si getta al collo della madre, disperata, folle. Il fratello è costretto a sciogliere le braccia di lei a forza come si spezza una catena; a forza la fanno scendere, le fanno attraversare il breve spazio giuncato di fiori, reggendola alle spalle, costringendola al passo, portandola quasi di peso nella carrozza da viaggio. E là dentro la bimba si vede perduta. - Maman! maman! - grida protendendosi dagli sportelli mentre le quattro carrozze s'aprono il varco tra la folla. - Maman! maman! Oimè, la madre, gli amici restano indietro, ritornano nelle berline dorate verso la Reggia, ch'ella ha dovuto lasciare per sempre. Allora la piccola è presa dal panico folle come chi è trascinato alla morte. Ha di fronte la severa Marchesa di Salmour, l'arcigno Ambasciatore di Sassonia. Si vede sola, perduta, si protende forsennata verso la folla invocando soccorso. - Maman! maman! E nella folla l'hanno udita le madri: molte donne s'accalcano tra le ruote, impediscono quasi alle carrozze di procedere, stringono le piccole bianche mani convulse. - Povra masnà! - Che Dio at giüta! - Fate courâge! - Arvëdse ancoura! - Arvëdse prest! Ma i cocchieri sferzano i cavalli: il convoglio s'affretta, fende la folla, procede di corsa, è sul ponte, è oltre il fiume, dispare ... *** Il Duca di Sassonia fu ottimo sposo per la bela Carôlin Il 17 marzo scriveva alla Regina ringraziandola del dato consenso e della conseguita felicità. "Aussi tous mes désirs ne tendront-ils qu'à me rendre dighe des bontés d'une princesse qui réunit aux charmes de la plus aimable figure, toutes les vertus de ses augustes parents". Il 28 dicembre 1782 la bela Carôlin moriva in Dresda, poco più di un anno dopo le nozze e a diciannove anni non ancora compiuti. Tuchè-me'n po' la man, me cari sitadin, Për vive che mi viva vëdrö mai pi Türin!

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