Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abate

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Malombra

670394
Fogazzaro, Antonio 1 occorrenze

MEMORIE DEL PRESBITERIO SCENE DI PROVINCIA

679332
Praga, Emilio 1 occorrenze
  • 1881
  • F. CASANOVA. LIBRAIO - EDITORE
  • prosa letteraria
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

Una sedia coperta di paglia stava al posto del tavolo da notte, coll'inevitabile bicchier d'acqua e il mazzo dei zolfanelli; in faccia al letto, sotto la finestra, un tavolino quadrato con una gamba più corta delle altre, pareva un ballerino nell'atto di spiccare la pirouette; una fila di quadretti coprivano in simmetria le pareti bianchissime: sotto i vetri punzecchiati dalle lentiggini delle mosche, riconobbi il Crisostomo, San Filippo abate, San Luigi Gonzaga, - litografie colorate con toni azzurri e rossi crudi e duri come gli scheletri che si trovano nelle sabbie dei tropici - brava gente che certo faceva le meraviglie di veder quel letto vestito a nuovo e me beatamente distesovi sopra. Non era quella la camera che il curato offriva agli scalpellini ed ai mulattieri; non tardai a persuadermi che per me si era scelto il locale delle grandi occasioni, in cui chi sa da quanto tempo nessuno aveva dormito. Ne può essere prova l'anedotto innocentissimo che mi piace contarvi, benchè affatto estraneo al soggetto. Prendo anzi quest'occasione per ripetere ch'io qui non scrivo un romanzo col suo principio, col suo mezzo, col suo fine, colle sue cause, il suo sviluppo e le sue conseguenze, e tutte le belle cose che si leggono nei trattati di estetica; ma bensì raccolgo impressioni di scene e di fatti, sensazioni di luoghi e di persone in cui mi sono scontrato e che, per un mero effetto del caso convergeranno, se mi si presta attenzione, a far cornice utile se non anche necessaria al soggetto doloroso che è la ragione di essere di questo studio. Mi ero dunque coricato e riandavo col pensiero, già ondeggiante nell'atmosfera magnetica che precede il sonno, i casi della giornata. Macchinalmente i miei occhi erano fissi alla finestra chiusa, dalle fessure della quale penetrava un pallido bagliore di luna. D'improvviso mi parve che qualche cosa si movesse sul tavolino sottoposto, qualche cosa di nero, un volume o una scatola. Concentrai l'attenzione, trattenendo il respiro, e ... un sudore freddo mi coperse dal capo ai piedi; era un berretto da prete che dondolava, che s'inchinava, che saltellava diabolicamente. Mi rizzai senza volerlo; il berretto, come se mi avesse veduto o sentito, si arrestò; riposi la testa sul guanciale, il berretto si diè a ballare di nuovo. Bisogna ch'io confessi che ho la disgrazia di credere a una quantità sterminata di cose a cui la maggioranza degli uomini non crede; e voi sapete l'influenza della solitudine sugli spiriti inclini al soprannaturale. A quell'epoca non avevo ancor letto Edgardo Poë, ma avevo già tutti sognati i sogni di quell'anima infelice; e quell'amore pieno di voluttuoso sgomento che mi lega adesso al poeta dell' Inesplicabile mi avvinceva già, inconscio, al mondo tenebroso delle sue scoperte. Quel berretto magico che mi aveva atterrito, cominciavo a osservarlo, col capo quasi sepolto nelle coltri, collo sguardo immobile, col respiro represso, eppure con una sorta di godimento che somigliava a quello che prova il naturalista quando, frugando nelle roccie, gli vien dato di scoprire una specie rara d'erba o di minerale. Ballonzolando capricciosamente, a furia di piccoli sbalzi, il berretto era giunto sull'orlo del tavolo, e il fiocco, traboccatone, penzolava, coll'ondeggiamento monotono e regolare di una campana. Allora mi parve di udire ancora i rintocchi della dell'agonia della Gina, e di veder la giovane morta distesa attraverso la camera. L'eccessiva stanchezza, gli avvenimenti impreveduti danno - coll'aiuto di una materassa di piume, - di così fatte allucinazioni. Il pallore di quella faccia, rovesciata sulle spalle, illuminava le pareti; gli occhi, coperti di un velo diafano, come se i ragni vi avessero filato di sopra, spalancati e pieni di stupore, scintillavano fiocamente; del corpo, sepolto nella penombra, non scorgevo che indistintamente i contorni. A poco a poco svanirono del tutto, quasi assorbiti dalla oscurità: ma, in compenso, il lume del viso cresceva. Io l'affisava senza batter ciglio, per tema che, abbandonandola solo un minuto secondo, la visione dovesse sparire. La contemplazione indefessa la incatenava; ma fra essa e i miei occhi passavano dei globi e delle striscie di fuoco. Cominciavo a sentirli di soverchio stanchi, e già anche la faccia del cadavere si scioglieva: non ne restavano che due scintille sotto le palpebre; ma quelle due scintille (mi toccai per accertarmi che non sognavo) quelle due scintille non erano una illusione, quelle due scintille esistevano, quelle due scintille erano occhi veri, due occhi oscuri che mi guardavano, che mi guardavano fissi fuor da quel berretto infernale! ... Balzai nel mezzo della stanza e nello stesso tempo ... diedi in uno scroscio di risa. Il berretto rotolò per terra, e il più leggiadro topolino del mondo mi passò tra le gambe. - Ecco uno, pensai, ricacciandomi fra le coltri, uno che ha avuto più paura di me. E spento il lume, e mormorato come il bramino: Tutto non è che ombra vana! mi addormentai per non risvegliarmi che a mattino inoltrato.

Il dialetto milanese

682110
Rajna, Pio 1 occorrenze

Ed ecco accendersi una guerra terribile, nella quale la prima lancia contro il Branda fu rotta dal Parini, oscuro abate tuttavia. Le ingiurie - usiam parole proporzionate alla grandezza dei fatti - riempirono l'aria; l'inchiostro scorse a ruscelli; e ben cinquanta opuscoli a stampa, vomitati dalle bocche da fuoco delle due fazioni, rimasero sul campo, a testimonio della gran lotta. Chi li vuol vedere, vada all'Ambrosiana, e chieda della Brandana Troverà cose abbastanza divertevoli. Tacque finalmente la guerra; ma le cause e i sentimenti che l'avevano suscitata non vennero meno negli animi, e si perpetuarono anche nei posteri. E così più di mezzo secolo dopo si riaccendeva, se non la guerra, un duello, quando un articolo del Giordani nella Biblioteca italiana faceva montare al Porta la mosca al naso, e lo spingeva a mitragliare l'oltraggiatore dei dialetti colla scarica dei dodici sonetti famosi all'abaa Giavan Ma lasciando gli scherzi e le simpatie: o chi aveva ragione in coceste lotte? - La ragione e il torto non si dividono mai in maniera così netta, che tutto il torto sia da una parte, tutta la ragione dall'altra, dice il Manzoni. E il Manzoni appunto, milanese e affezionatissimo al milanese, così dotto nel suo dialetto da aver pochi pari, assegnava di sicuro una parte di ragione, nel secolo passato al Branda, nel presente al Giordani. I fatti lo dimostrano; giacchè egli fu per suo conto un sostenitore e propugnatore ardentissimo ed efficacissimo di idee molto analoghe alle loro. Qui peraltro corriam rischio d' impigliarci nella quistione della lingua, molto più complessa di quella che s' aveva per le mani. Rientrando nel nostro guscio, diciam pure aperto che nel giudizio sulla bellezza e bruttezza dei dialetti in generale e di un dialetto in ispecie, l'abitudine, ossia il pregiudizio entra per quattro quinti. A molti letterati tutti i dialetti paiono brutti, compreso il loro proprio; alla generalità, e particolarmente al volgo, paiono brutti tutti, a eccezione del loro. Quindi il continuo darsi la baia da paese a paese per ragion del parlare. Da ciò alcuni spassionati conchiudono, che dunque tutti i dialetti sono brutti e belli ad un modo. Non assento : per quanto il mi piace e non mi piace renda malagevole il giudizio, c'è bene anche un grado assoluto e variabilissimo di bellezza e bruttezza. Il difficile sta a poterlo determinare. Non pretenderò già io di esser da tanto; a ogni modo alcune cose le devo dire. Per quel cche spetta ai suoni, il milanese avrebbe una ricchezza invidiabile; ma non ne cava forse tutto il partito che potrebbe, giacchè certi elementi prevalgono un po' troppo, con danno della varietà; e non di quella soltanto. Ricorrono troppo abbondanti le vocali a lungo strascico, nasalizzate e non nasalizzate, che danno al parlare un carattere lento. Nei verbi riesce adesso d'impaccio l'accumularsi dei pronomi, promosso da cause per così dire rettoriche, più che da una vera necessità e dal logorio delle forme; chè, quanto a forme, il milanese è forse tra i dialetti cittadini dell'Italia settentrionale uno dei meno impoveriti dal tempo. Di derivazioni il dialetto milanese è copioso, tanto per i sostantivi che per gli aggettivi. E quanto al dizionario, non s' ha proprio motivo di portare invidia a chicchessia. Se dai caratteri per così dire fisici, si volge l'attenzione ai morali, oh, come ha ragione il Tanzi di esclamare: Gh'emm ona lengua averta, avert el coeur! ll milanese è realmente il linguaggio di un popolo dal cuore aperto, bonario, inclinato alla benevolenza verso ognuno, amante della buona tavola e in generale di tutti i piaceri del senso, lieto, proclive alla sguaiataggine più che alla vera arguzia, ricco di un buon senso alla mano. Un linguaggio fine il milanese non si potrebbe dire : efficace, è di sicuro. Il popolo che lo parla ci si riflette dentro tutto quanto, colle sue virtù e colle sue debolezze: di gran lunga più numerose le prime - si permetta di dirlo ad uno non nato all'ombra del Duomo - che le seconde. Questi caratteri interni si mantengono inalterati, nonostante la variazione delle fattezze esteriori. Giacchè, come s' è accennato in più casi, il dialetto si trasforma, e sempre s'è venuto trasformando in tutto quanto il corso della sua vita. Ben si sa: la trasformazione è condizione essenziale dell'esistenza. Una delle mutazioni di maggior rilievo avvenuta in tempi vicini a noi, riguarda il passato remoto, cominciato a cadere in disuso verso la metà del secolo scorso, rappresentato da pochi superstiti al principio del nostro, e quindi sceso nella tomba fino all'ultimo suo rampollo. Vens, diss, voeuss, spongè ecc. ecc., farebbero adesso inarcare le ciglia al più ambrosiano tra gli ambrosiani. Non si riguardi questa sparizione come un sintomo pericoloso per la vita del dialetto; lo stesso fenomeno sta succedendo, mentre parliamo, nel francese, senza che ciò faccia nascere nessuna inquietudine per la sua preziosa salute. Piuttosto danno da pensare i mutamenti non pochi che si producono nei suoni. Per esempio la z, che aveva preso molte volte il posto del c e del g dinanzi ad e e ad i, è ricacciata di nuovo dal ritorno vittorioso dei fuorusciti. Nessuno dice più zent, nessuno Porta Zines pochi zerusegh, suzzed, suzzess Qui, tanto e tanto, s' ha il trionfo d'un vecchio diritto lungamente conculcato; ma è effetto di prepotenza se molte terminazioni ben legittime in cc sono bandite, o almeno confinate tra la gente bassa; dicc, scricc, facc non si sentono più; non frequentemente lecc, succ e c'è chi spinge lo zelo fino a dire per tecc una parola che non mi permetterò qui di pronunziare. Presi un per uno cotali mutamenti non significherebbero nulla; ma invece destano l'allarme, se si considerano uniti insieme e si riferiscono alla loro causa unica ed universale, che è un graduale ravvicinamento alla lingua letteraria o al toscano. Non ci sarebbe da dolersene, se il ravvicinamento potesse metter capo all'identificazione; ma facciam conto che ciò sia per accadere ad una distanza infinita, là dove s'incontrano, al dire dei matematici, e si danno con un bacio il « ben arrivato, » anche due parallele. E la lingua letteraria non si contenta di pervertire la fonetica del dialetto; ne perverte ancor peggio il vocabolario. Essa v' introduce così alla sordina un numero infinito di vocaboli, ciascuno dei quali circuisce una voce indigena, le somministra un lento veleno, e non ha pace finchè non la vede morta e non ne raccoglie l'eredità. E dire che i tribunali non hanno pene per cotesti misfatti! O non pare evidente che le lingue abbiano diritto ad essere rispettate al pari delle persone? Io non capisco perchè, mentre è severamente vietato di corrompere il toscano col mescolarvi voci, forme e pronunzie dialettali, abbia poi ad esser lecito di corrompere il dialetto con mescolanze toscane. Dunque l'uguaglianza di tutti dinanzi alla legge è proprio un' irrisione? Si parli italiano o milanese secondo che pare e piace: ma l'italiano italianamente, e anche il milanese milanesemente! È inutile: se s'ha a cuore la salvezza del dialetto bisogna, mentre non è ancor troppo tardi, pensare a un provvedimento. E il provvedimento lo propongo io medesimo, dando prova con ciò di un eroismo, che solo gli amici miei possono valutare. Esso dovrebbe consistere in una multa per ogni delitto di lesa meneghità. In altre città il prodotto della multa potrebbe servire a ristorare le finanze municipali; qui da noi invece, dove, grazie a Dio e ai nostri amministratori le finanze sono in complesso abbastanza prospere, converrebbe convertirlo in premi per coloro che parlan più corretto. Ed ecco che, cercando piombo, ci si troverebbe aver rinvenuto dell'oro; giacche, incamminatici per provvedere all'incolumità del dialetto, ci si vedrebbe arrivati inaspettatamente alla soluzione della questione sociale. Che, siccome in generale gli abbienti parlano scorretto, e relativamente corretto i non abbienti, si riuscirebbe ad un capovolgimento nella distribuzione delle ricchezze; i ricchi diventerebbero poveri, e i poveri ricchi ; che è l'unica soluzione del gran problema atta a contentare davvero, non dico chi predica le riforme stando comodamente in alto, ma chi le chiede dal basso.

Cerca

Modifica ricerca