Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Taluni scritti di architettura pratica

266913
Pietrocola, Nicola Maria 1 occorrenze
  • 1869
  • Stamperia del Fibreno
  • Napoli
  • arte
  • UNIFI
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Abate Ricbac che lo fece avanzare più celeremente nel calcolo. Frequentò l’Accademia di S. Luca per l’Architettura, e ne riscosse onorifico certificato a’ 10 agosto 1822 da’ Professori Signor Giulio Camporese ed altri; ma più si valse delle istruzioni private che raccolse dall’Architetto napolitano di straordinario genio D. Pietro Valente, che poi fu Direttore io Napoli a’ Reali Studi di belle arti, il quale a diversi Vastesi disse di avere il Pietrocola in due anni fatto in Roma ciò che gli altri giovani non avevano fatto in 10 anni. Apprese pure in 26 giorni dal nominato Sig. Valente quella Prospettiva che il pubblico professore Sig. Dilicati insegnava in due anni, e ne conserva tutti gli studii. Indefesso alla fatica, disegnò e misurò non poco delle fabbriche antiche e moderne colà. In fine da quell' augustissima Sede delle belle arti, ove per deficienza di mezzi non potè più a lungo trattenersi, si ridusse alla Patria alla fine di Settembre del 1823. Quivi diresse quasi tutte le fabbriche, e, fra le non nominate (intendi ne’ suoi scritti) la nuova Cappella del Sacramento a S. Pietro, il Teatro ed il nuovo Camposanto. Per consenso di molti Ingegneri specialmente del corpo di ponti e strade, gli si è dato il vanto di primo disegnatore di Architettura in Provincia, almeno a que’ tempi; e lo attestano molti disegni che ei rattiene finiti ad acquerello. Dietro esami conseguì dalla regia Università di Napoli tutti i gradi accademici in Architettura, ed infine la Laurea a Marzo 1832. Nel 1851 manifestateglisi le cateratte, questa malattia gli si trovò guaribile nel 56 e 58 in Napoli; ma egli compreso dal prepotente pensiere che l’operazione sbagliata potesse ridurlo al buio perfetto, ne fu sempre ritroso, ed ora forse si riduce a tentarla in questo Settembre 1863, non polendo soffrire l’opacità della vista sempre più crescente. » Fin qui l’autobiografia. Tornato in patria il Pietrocola disvelò tosto il suo ingegno nelle occasioni di fabbriche che presentavagli una Città non adusata allora alla spesa di pagar l’Architetto, nè al bello dell’arte, nè a desiderare nelle proprie case altro che una rozza e malintesa comodità. Quindi a lui non toccò che racconciare, rattoppare, modificare, rafforzare fabbricati, ne’ quali facevan contrasto alle sue idee e la disposizione delle preesistenti mura e la magrezza della borsa del padrone. Del che bene spesso lo si sentiva muover lamentanze quasi di sua infausta stella. Sembra che di pianta non costruì, cioè non incominciò che il patrio Camposanto, il quale, in fatto di architettura, mostra una disposizione di fabbriche, di arcate, di prospetti, che appagano l’occhio di chi v’entra; quantunque dal 1843, quando fu aperto alla tumulazione, fino ad oggi 1869 sia rimasto incompleto, anzi degradato nelle fabbriche dall’ingiuria del tempo. La cecità sopravvenutagli nel 1851, la gracilezza di salute, per la quale non sempre poteva rispondere alle esigenze dello edificatore, la intolleranza de' muratori ricalcitranti alle prescrizioni ed alle vedute dell'Architetto, le quali ad essi sembravano meticolose e di nessun rilievo, ed anche una certa austerità di modi in chi è cieco ed infermiccio, rilegarono quell'ingegno a solo meditare e speculare su ciò che sentiva raccontare o leggere di nuove fabbriche e di nuovi trovati. Chi ha potuto conoscere la maniera di sua vita, le sue abitudini rese alcuna volta singolari dalle continue infermità; chi riflette alla trista condizione del cieco inabilitato agli onesti guadagni d'una nobile professione, con in prospettiva una vecchiaja che potea esser lunga e penosa, può appena formarsi idea della opportunità delle sue economie, della sua preveggenza e del carattere che taluna volta potea sembrar troppo serio e quasi tendente al duro. Era l’uomo cui il corpo fu dato, più che ad ogni altro, a strazio della mente indagatrice, e del cuore non chiuso a’ sensi di gratitudine e di beneficenza. Di che il testamento fa fede. Oltre all’Architettura ed alle scienze affini in che era maestro, egli conosceva addentro il latino, mediocremente il greco. Versatissimo nel purgato italiano (che a’ suoi tempi era estraneo alle scuole), e nel francese, sonava con maestria il violoncello; si dilettava di poesia e di quant’altro fa l’uomo ornato e capace di accostarsi a qualunque altro uomo d'ingegno. Delle patrie antichità cultore, e delle passate glorie amante, all’unica sua prole avea imposto il nome Lucio Valerio, in memoria dell’antico poeta Istoniese Lucio Valerio Pudente.

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