Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abacuc

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L'arte è contemporanea. Ovvero l'arte di vedere l'arte

266810
Sgarbi, Vittorio 2 occorrenze
  • 2012
  • Grandi Passaggi Bompiani
  • Milano
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Pensavo al Profeta Abacuc di Donatello, rivolgendosi al quale l’autore, come invasato, avrebbe esclamato: “Favella, favella! Che ti venga il cacasangue!”. Come a dire: “Sei così verosimile che ti manca solo la parola.”

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La testa di Abacuc può ben essere messa a confronto con la testa maschile di quella scultura di Lopez Garcia; ma, oltre alla vaga somiglianza caratteriale, ciò che unisce le due imprese è l’intenzione caparbia di entrambi gli artisti di far vivere le loro opere, di sentirle presenti e reali, di carne e non di pietra o di legno. López García, ancor più radicale di Donatello, ricorre a resine e stucchi per rendere l’effetto di sostituzione della realtà cui le due sculture aspirano. Insomma, ero di fronte a Donatello, Il profeta Abacuc, 1423-35. un prodigio, e non l’ho più dimenticato. Con un vantaggio rispetto ai miei coetanei che si inoltravano nello studio dell’arte contemporanea come neofiti di una religione con santi, sibille e profeti imposti in base a chissà quale dogma arbitrario, ma convenzionalmente, quasi misticamente, accettato: in me non c’era alcun dubbio che López García fosse un grande artista, un artista contemporaneo, e forse persino un artista d’avanguardia. Antonio López García, Hombre y mujer, 1968. Eppure non ne avrei trovato traccia in alcun testo dei critici dominanti che, da lì in avanti, avrebbero dettato legge, nulla concedendo a posizioni autonome ed eretiche come la mia, che venivano liquidate come espressioni di disinteresse, quando non di odio, per l’arte contemporanea. Eppure, adesso, si consuma una piccola vendetta: mentre gran parte delle mostre d’arte contemporanea sono disertate o frequentate solo dagli appartenenti a circoli ristretti di collezionisti, critici e amatori, Antonio López García è stato salutato a Madrid nella mostra che gli ha dedicato il Museo Thyssen-Bornemisza come un mito dell’arte contemporanea, ammirato dagli spagnoli come un santo dell’arte, un nuovo Murillo cui tributare onori e riconoscenza. E così, dopo averlo portato in Italia nei primi anni Novanta per una lezione alla Fondazione Ratti di Como, l’ho ritrovato nelle sale della sua mostra a Madrid; e ho ripercorso con lui le stagioni della sua attività a partire dagli anni Cinquanta, col rapido evolvere dell’influenza di Picasso in un realismo concreto, legato alle tradizioni, ai valori famigliari e a quelli di affezione della vita quotidiana, che hanno fatto sì che appaiano come opere concettuali le sue vedute di Madrid, della Gran Via, quasi in una rielaborazione della sensibilità di Canaletto e di Bellotto.

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