Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abaco

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

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Taluni scritti di architettura pratica

266977
Pietrocola, Nicola Maria 1 occorrenze
  • 1869
  • Stamperia del Fibreno
  • Napoli
  • arte
  • UNIFI
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Pagina 32

ARABELLA

663076
De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Mi sarebbe stato così facile passare per un tiranno col signor Botta; ma non l'ho fatto perché ripeto, il mio abaco non è soltanto pieno di numeri." "Scusi" disse Arabella alzandosi. "Non so perché lei mi fa questo discorso ch'io non sono in grado di capire. Me ne ha dette abbastanza la mamma e vede che sono tornata." "Io volevo dimostrarle che non è soltanto l'interesse che ci fa parlare..." soggiunse sottovoce il vecchio suocero. "Non voglio nemmeno che lei si consideri come una nostra schiava... Guardi. Consegno a lei questo mio credito, queste mie carte. Le faccia vedere a una persona pratica, di sua fiducia: ne discorra col suo padrino, colla sua mamma, con chi vuol lei, e faccia di queste carte quel che vuol lei, le stracci, le abbruci..." Arabella rifiutò di ricevere le tre o quattro cambiali, che il suocero ad ogni costo voleva farle accettare, e ciò finì coll'irritarlo. In preda a un tremito convulso, il vecchio aprì il cassetto del tavolino da lavoro, vi cacciò le carte dentro, richiuse con furia, rosso in viso, si alzò, cercò il cappello e, inchinandosi in atto di licenziarsi, balbettò, mozzicando le parole: "Faccia come crede, signora, e perdoni se non abbiamo saputo renderla felice." "Senta, signore..." interruppe Arabella, raccogliendosi da quello stato di neghittosa rassegnazione, in cui si era ridotta per sua difesa. "Lei è libera. Se crede, può andare oggi stesso con sua madre." "Io son tornata…" provò a soggiungere la giovane. "Lei è tornata come torna una schiava, e io voglio dimostrarle che a questi patti non accetto il suo sacrificio. Vada e dica pure che l'abbiamo trattata male, dica pure che in casa nostra non ha mangiato che pane e veleno, dica pure che siamo egoisti legati all'interesse, ma non ci obblighi a mantenerla come una schiava." "Senta, signore..." interruppe Arabella, raccogliendo il fascetto delle cambiali e avvicinandosi al vecchio offeso con un contegno tra il rispettoso e il mortificato, non perché avesse qualche cosa da opporre, ma per una nuova paura che ne derivassero più gravi e più oscure complicazioni. Un malato non teme tanto i mali che ha, quanto quelli che ne possono derivare. In fondo al suo risentimento, la coscienza onesta e chiara non rifuggiva dal riconoscere che, per quanti torti avesse ricevuto in casa Maccagno, suo suocero s'era mostrato verso di lei generoso e buono, e che l'offenderlo e il licenziarsi da lui con una dura parola, oltre al non riparare nulla, metteva lei nella condizione di negare la giustizia. Per questo si mosse a trattenerlo, e fu questo stesso senso di giustizia che la persuase a mostrarsi più indulgente: "Senta, papà... abbia compassione di me. Vede che io non so quasi parlare..." "Tu mi domandi della compassione; ma, cara figliuola mia, sei tu che devi avere un po' di compassione di questo povero vecchio che tutti prendono a perseguitare…" Così proruppe con un improvviso mutamento di voce il signor Tognino, tornando in mezzo al salotto, passando in fretta le mani sugli occhi per dissipare una nebbia, umida di lagrime, segno di debolezza e di stanchezza morale, curvando il capo e la persona alla presenza di una donna che egli collocava molto in alto ne' suoi pensieri. E stretta la mano di Arabella, condusse questa a sedere sul piccolo canapè, dove cercò di continuare un discorso difficile e pesante, dal quale gli sfuggivano idee e parole. Lottò un pezzo colla sua incapacità, chiudendo la bocca al singhiozzo, premendo il fazzoletto sulle pupille oscure e dense, crollando rapido la testa come se compatisse sé stesso. Finalmente, dopo aver portata due volte la mano delicata di Arabella alle labbra, mormorò: "Abbi pazienza..." "Si sente male?" "Oh sì, molto, qui..." disse, battendo colla mano il petto. "Se io ho potuto dire qualche cosa di spiacevole..." balbettò Arabella, fissando lo sguardo sul viso pallido del vecchio. "No, no, povera figliuola." Arabella si raccolse in una penosa concentrazione davanti all'improvviso trasfigurarsi di un uomo che due minuti prima aveva visto nel pieno vigore del suo carattere ardente e tenace. Una di quelle voci improvvise, che nel cuore dei buoni sono annunci di ignote verità, sorse a domandarle, suscitando nell'animo suo un senso quasi di stupore, da qual parte fosse il maggior dolore e a chi tra lor due toccasse d'aver più carità e più compassione. Un occhio malato stenta a vedere il male degli altri. La ragione umana, che per giustificare i nostri patimenti ha bisogno di cercare un tiranno ed è quasi sempre fortunata di trovarne o d'inventarne uno che basta, si turba e non osa credere quando vede le vittime farsi male tra loro. Arabella, innanzi alle sofferenze e alle lagrime di un uomo che la fortuna aveva abituato a vincere, si domandò, confusamente e rapidamente (come sono tutti i colloqui che facciamo con noi stessi), se per caso essa non aveva abusato della sua debolezza. La puntura velenosa d'un'ape moribonda può uccidere un leone. Forse aveva detto delle inutili asprezze a suo suocero, che verso di lei si era mostrato sempre buono e amoroso. Forse aveva ragione la povera mamma. Essa non vedeva che sé... Al venir meno dell'orgoglio, che l'aveva sostenuta in questa fiera battaglia, si spaventò a un tratto come un assalito che nel furore della mischia si trova di aver oltrepassato i limiti della difesa e d'aver infierito crudelmente e inutilmente su degli innocenti. Sentì che ora toccava a lei dir qualche cosa di meno amaro, di condurre il discorso a una buona conclusione. Dal momento che aveva accettato di tornare in casa, non doveva starvi rinchiusa come una fiera irritata, oh Dio!... essa non aveva il cuore di una fiera. Chi l'aveva resa superba e cattiva? "Se le pare che la campagna possa far bene a tutti" prese a dire sottovoce "dal momento che ho accettato di rientrare in questa casa... gli obblighi di riconoscenza che ho verso di lei, mio benefattore... Se c'è speranza ch'io possa fare ancora del bene a qualcuno... insomma io non mi oppongo, disponga lei come crede meglio." "Che tu sia benedetta!" ripigliò con più calore il vecchio, facendosi più acceso in volto. "So che tu sei buona, Arabella, e se non fosse per la tua bontà, io non vorrei soffrire quel che soffro. Tutti son cattivi con me, tutti! È una congiura di tutti contro uno solo. E anche lui s'è unito a' miei nemici, anche lui mette alla porta suo padre. M'ha ferito, qui, con un coltello. E domani mi trascineranno davanti ai tribunali, mostrandomi come una belva feroce dentro una gabbia. È un intrigo mostruoso di preti, di avvocati, di lazzaroni, di parenti, di amici, di nemici, di donnaccie, tutti contro un povero vecchio... e anche lui ci sarà a gridare: dàlli, dàlli al ladro!" Un cupo e profondo sospiro interruppe la violenza di questo discorso, che Arabella cominciava ad ascoltare con mesta attenzione. "Non ha egli alzata la mano sopra suo padre?" continuò il vecchio parlando con foga accorata. "Andate via tutti, lasciatemi qui solo a vivere come un cane, solo contro tutta la canaglia di Milano, e così avrò lavorato tutta la mia vita per non raccogliere che odio, improperi, maledizioni, ingratitudine, e per essere messo alla porta da quelli che amo..." "Papà..." interruppe Arabella con un moto di terrore, vedendo il volto del vecchio infiammarsi di nuovo; ma come se egli parlasse a una turba ch'egli solo vedeva: "Andate, stampate sui muri che io sono un ladro, che ho rubato, che ho avvelenato, che ho bevuto il sangue dei poveri, aizzatemi contro i cani di Milano, fatemi maledire dai miei figli". "Ma no..." tornò a esclamare Arabella con un sincero abbandono di pietà, cercando di sviare il povero vecchio da una corrente che lo trascinava alla disperazione; ma l'orgasmo fu più forte: "So che mi avete maledetto" egli disse "so che non mi volete più; furono i preti che v'istigarono a odiarmi. Pigliatevi i miei denari, buttatemi su una strada. Alla gente io rido in faccia, ma non posso far senza della benevolenza de' miei figliuoli... Questa mi è necessaria più del pane..." E il vecchio affarista, trascinato ormai dalla sua stessa energia, non seppe più opporsi al torrente dei mali che da tre mesi andava urtando contro la sua vita, battendone e scassinandone gli argini di granito. Come per una breccia aperta, l'onda si riversò, travolgendo le sponde, e si dilagò in un mare di dolore. Arabella non aveva mai visto un bambino piangere e contorcersi nel suo dolore come vide a un tratto un vecchio di sessantatré anni, curvo, quasi rannicchiato sopra se stesso, colle mani nei pochi capelli bianchi e il volto nascosto contro lo schienale del divano. Tale fu la sorpresa, per non dire la paura, che non seppe resistere, si mosse, si chinò verso il povero afflitto, cercò nel fondo più buono della sua natura una parola buona. "Non dica, papà, che noi le vogliamo male. Tutti possiamo sbagliare nella nostra vita: e non credo che Lorenzo abbia potuto dire col cuore una parola cattiva. In quanto a me, se le pare che abbia giudicato troppo severamente, son pronta a farne ammenda. Siamo giovani, ci manca l'esperienza... Ma ella troverà sempre ne' suoi figliuoli amore e indulgenza." Che cosa disse di più? parlava come per incanto, cedendo a una misteriosa suggestione di benevolenza, non accorgendosi (ed è anche questo un vantaggio dei buoni) che nella sua carità abbracciava nel vecchio addolorato anche la causa che lo faceva soffrire. "So che tu sei buona, figliuola, e che non hai coraggio di maledire un povero vecchio. S'io fossi anche cento volte più colpevole, troverei sempre un po' di compatimento nella mia buona Arabella. Sento che fu Dio che ti ha mandata sulla mia strada. Me ne sono accorto fin dalle prime volte che ti ho incontrata sulla strada delle Cascine. Una voce qua dentro mi disse subito che tu saresti stata la luce della mia vita e della mia casa. Mi parve d'allora di aver trovata per la prima volta la ragione della mia esistenza. Soltanto d'allora cominciai a vivere per qualcheduno, per qualche cosa. Tu hai visto che a questa ragione ho sacrificato molti interessi e molti diritti. Io non fui più io. E ieri sera, quando sono tornato e che non ti ho trovata più, sentendomi quasi giudicato ed esecrato da te, ho provato un tal dolore al cuore che ho creduto di morire. Il pensiero che la gente possa farti del male per cagion mia non mi lascia più dormire la notte: è una vita troppo di tormento che mi farà morire. E pazienza! ma non dirmi che mi vuoi male, che mi disprezzi..." "Io?" uscì fuori a dire con voce esaltata Arabella, ritraendosi un poco colla persona. Egli afferrò le mani di lei e tenendola così prigioniera: "Tutto si spezza nelle mie mani", continuò "tutto si spezza dentro di me. Son più che un uomo malato, sono un uomo che si sfascia. Senti, ho la febbre. Non ho più forza. Vedo oscuro, son vecchio, son stanco, son cattivo... Ho paura di morir solo, come un cane..." Arabella, col volto afflitto da una penosa incertezza, cercò una parola d'incoraggiamento; ma le parve di capire che il viso poco prima così infocato del vecchio si coprisse d'un pallore livido, in cui i lineamenti s'indurivano in una rigidezza quasi mortale. "Son cattivo, so che son cattivo..." seguitò con lenti sospiri, parlando quasi nelle mani di sua nuora. "Ma tu sei buona e potrai insegnarmi come si fa a vivere bene. Farò tutto ciò che mi dirai di fare. Andremo via, in campagna, lontani dal mondo, la mia volontà sarà la tua volontà. Se dirai: ' Cediamo tutto ' io cederò tutto, contento di dividere con te un boccone di pane..." Arabella non afferrava ancor bene il valore di queste strane parole, che somigliavano a una confessione. Sentendone le mani ardenti, vedendo il pallore mortale, andava a pensare che il vecchio delirasse. Quel non so che di religioso e di materno, ch'era nel fondo dell'indole sua, fu tuttavia profondamente toccato dal pianto e dai sospiri del povero vecchio, che invocava pietà e misericordia. È vero: tutti lo respingevano; tutti si ergevano suoi giudici e suoi persecutori. Lo vedeva ora così malato, così abbattuto... "Via, si faccia animo, papà, e disponga pure di me fin dove posso essere utile. Non c'è male per quanto grande, a cui Dio non trovi un rimedio ancor più grande. Lei è proprio malato, vedo bene. Ha bisogno di riposo, di tranquillità d'animo. Ha la febbre, sento. Anche il suo aspetto mi dice che non si sente bene. Devo chiamare l'Augusta?" Il vecchio fece segno di no. "Lei si sente male..." Arabella cominciò a tremare, e cercò svincolarsi per correre a chiamar gente; ma lui la trattenne forte per un lembo del vestito: e mormorando parole grosse e confuse, le fece capire che voleva scrivere. "Scrivere" e indicò col dito un calamaio sul tavolino da lavoro. Arabella accostò il tavolino, aprì il calamaio, stese un foglio, mise la penna in mano al vecchio, obbedendo in preda a una convulsa agitazione ai cenni di quel povero uomo, che la tratteneva sempre per il lembo del vestito. "Passa, passa..." mormorò con voce di fiera malinconia il vecchio come se si riavesse da una momentanea vertigine. Appoggiò la testa alla mano sinistra, strappando con l'altra il vestito della giovane, che s'inginocchiò, cedendo quasi all'invito d'un comando interiore. "Ho da chiamare qualcuno?" "No, sto bene. Sta qui." E dopo aver arzigogolato un poco colla penna, il vecchio malato cominciò a scrivere in righe oblique mostrando nella contrazione dolorosa del viso duro e pallidissimo lo sforzo della fuggente volontà Arabella, che sentivasi molle il viso di lagrime, vide che a un certo punto la mano del vecchio s'irrigidì. Fu per gettare un grido di avviso; ma egli se ne accorse. Svegliandosi, la guardò teneramente, mosse le labbra a un sorriso morto, e allungando la mano a riprendere quella di Arabella, dopo un lungo sforzo per formulare la parola, disse: "Prega..." Arabella aprì le braccia e sorresse il corpo cadente, mentre cogli occhi pareva chiedere soccorso intorno a sé. Quando si accorse che il malato veniva meno, non trovando in se stessa la forza né di gridare, né di sollevarsi, allungò la mano fino a toccare il bottone del campanello elettrico, e riempì la casa d'uno squillo lungo e spaventato. Sentì correre gente. Entrò l'Augusta, che visto il viso irrigidito del vecchio e gli occhi spaventati della signora corse fuori a chiamar la Gioconda. Le due donne prestarono i primi soccorsi: finché qualche vicino avvertì il portinaio e si mandò per il dottore.

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