Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Numero di risultati: 7 in 1 pagine

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Nuovo galateo

190247
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
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L'onore e la giustizia sono il primo limite ai sacrifizi che si possono ricercare agli amici: ogni lesione all' uno o all'altra non debb'essere nè chiesta né concessa: Ab amicis honesta sunt petenda . Generalmente gli amici volgari, cioè quelli che professano amicizia per interesse, per vanità, per convenienze sociali, pretendono che sagrifichiate loro il vostro onore e la giustizia che dovete a voi stesso e agli altri: per amicizia, se siete giudice, dovete tradire la giustizia; se testimonio, la verità; se impiegato, l'interesse pubblico! Voi dovete decantare i difetti di questi amici come virtù, e seguire il loro partito anche quando hanno torto. Alla loro presenza voi non potete dar lode al merito eminente di chi loro spiace, nè condannare la loro condotta allorché dalle leggi del giusto e dell' onesto si scostano. Comparisce un libro nuovo? Voi non dovete censurarne le nocive teorie, perché l'autore é loro amico, parente, conoscente od altro, ecc. In somma le pretensioni degli amici volgari, promosse da, affezioni private, non mai hanno per norma l'idea dell'utilità pubblica, e spesso direttamente le si oppongono. =* Cosi nella 3.ª edizione; nella 4.ª fu fatta sostituire (ed é facile vederne il motivo ) « emergenti » da affezioni private, si scostano dalla verità e dalla » giustizia, che sono la norma dell'uomo onesto ». Il secondo limite si trova paragonando il sacrifizio col vantaggio; allorché il sacrifizio, che vi richieggo, è maggiore del vantaggio che ne traggo, la mia dimanda é inurbana, e questa inurbanità si desume da quella maggioranza. Un fatto spiegherà meglio la mia idea. Francesco I re di Francia assisteva ad un combattimento di lioni che davasi nel suo serraglio. Una donna di corte lascia avvertentemente cadere dalla loggia, in cui trovavasi, il suo guanto nell'arena ove combattevano quelle fiere, e dice al cavaliere di Lorges, giovine bello, ben fatto e bravo: Se voi mi amate, come dite, andate a prendere il mio guarito. Il giovine discende di sangue freddo, raccoglie il guanto, risale, lo getta con disdegno in faccia alla dama, le volta le spalle, e non vuole più vederla. - La dama, per far parlare di lei e mostrare a qual segno era amata, aveva esposto a pericolo la vita del suo amico. In generale é indiscreto chi ricerca un servizio che reca più incomodi a chi lo eseguisce, che vantaggi a chi lo riceve. Montaigne vuole che tra gli amici il linguaggio sia franco e senza velo; che le parole colpiscano al segno che mira il pensiero: Tu sei uno stolto, tu sogni, tu deliri, e simili. » L'amicizia non é » abbastanza virile e forte, egli dice, se nelle » dispute si spiega con riservatezza e con timore; » giacchè, come dice Cicerone, non si può disputare » senza condannare il sentimento del proprio » avversario. Chi si oppone alle mie idee (segue » a dire Montaigne) punge la mia attenzione, » non eccita la mia collera; io vo incontro » a quello che m'instruisce contraddicendomi: la » causa della verità deve essere comune all'uno » e all'altro, e superiore alla vanità d'entrambi. » Io sono più fiero della vittoria che guadagno sopra » di me, quando mi piego alla forza delle regioni » che mi vengono opposte, che quando mi » riesce di vincere il mio avversario per la sua » debolezza ». Si può rispondere a Montaigne che il discorso, per essere franco, non è necessario che sia ingiurioso, e che la verità non perde alcun diritto quando è presentata con modi gentili. Voi dite che i triangoli d'un triangolo non sono uguali a due retti: io vi contraddico tosto e dimostro che dite un errore; ma aggiungerò io un solo grado di forza alla mia dimostrazione regalandovi il titolo di stolto? Questo titolo irrita il vostro amor proprio, ma non illumina il vostro intelletto. Invece di questo paragrafo, la 3.ª edizione ha quest'altro: » Tutti diranno in generale che Montaigne ha » ragione, ma nel caso pratico quasi tutti si mostreranno » più ligi agl'interessi della loro vanità » che agl'interessi dell'utile pubblico e del vero, » e per non sentirsi offesi nell' amor proprio rinuncieranno all'amicizia .»

Pagina 238

Saper vivere. Norme di buona creanza

193247
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
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Durante la funzione, il padrino di battesimo tiene la mano sulla spalla del bambino e risponde, per lui, alle domande del prete, che gli chiede se rinunzia al mondo, se rinunzia alla carne, se rinunzia al diavolo; infine, tre ab renuntio; risponde al vis baptizari, chiesto dal prete, con un voto, sempre per conto del bambino; infine, dice il Credo insieme al prete, con la madrina, con la nutrice, se vi sono, e con tutti gli astanti. Per lo più, se il padrino è molto ignorante di queste risposte latine, vi è chi gliele suggerisce. Dopo il battesimo, il padrino rientra in carrozza, arriva a casa, ed è lui che presenta alla madre e al padre, il nuovo cristianello o la nuova cristianella: in quel momento, dà i doni alla puerpera e al neonato. Poi, la sua corvée non è finita ancora, poiché egli deve regalare alla levatrice, alla nutrice, alle persone di servizio della casa, alla prima una somma variabile da venti a cinquanta lire, alla seconda da dieci a venti lire, agli altri da cinque a dieci lire: tutto questo, partendo da un punto di vista di agiatezza sua e della famiglia, perché queste mance si possono estendere o ridurre, a volontà. In Francia vi è l'abitudine di offrire anche scatole di confetti, confetti bianchi simili a quelle delle nozze: è sempre il padrino, che li offre, les dragées du batptême; ma in Italia non si usano. Se vi è madrina, bisogna fare un dono, ma modesto, anche per essa: un piccolo gioiello, magari una medaglia, con una data, basta. In chiesa bisogna andare in tight o in redingote; guanti non tortorella, ma chiari, cravatta non bianca, ma d'accordo con la redingote. Se le relazioni fra il padrino e il figlioccio sussistono, il padrino è tenuto a un dono, nell'onomastico e nel genetliaco, e il figlioccio lo ricambia, egualmente, nell'onomastico e nel genetliaco. Alla madre del figlioccio, dei fiori, nell'onomastico. E scusate se è poco!

Pagina 94

Galateo morale

197608
Giacinto Gallenga 1 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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(Ab.). Volete osser certi che la vostra carità vada a sollievo della vera miseria? procurate per quanto ve lo permettano le vostre occupazioni, di fare la carità personalmente. L'elemosina che farete distribuire dai servi od altre persone che non hanno verun interesse né materiale né di cuore nel farlo, non ingrassa ordinariamente coloro che intendete di sollevare. Io non parlo nemmeno di quelle beneficenze che vengono affidate da certe congregazioni ad uomini che non si vergognano di mettere le elemosine, che hanno l'incarico di distribuire, al prezzo di turpi compiacenze; e non posso che raccomandar caldamente ai benefattori, ai parroci, ai Consigli di andar guardinghi nella scelta della persone a cui è affidato questo compito sacrosanto e delicatissimo. E la ragione di questo ve la dà il buon Tommaseo. «Come conoscere, dice egli, le virtù delle mentite necessità, il pudore dignitoso dalla trista vergogna se le benefattrici (poiché il bravo scrittore si rivolge particolarmente a quel sesso che ha maggior cuore per intendere que' santi consigli) non veggono co' proprii occhi il bene che fanno, se col proprio cuore non sentono la carità? Se quest'angelica opera del tergere le lacrime umane affidano a mano mercenaria, quasiché servile opera fosse, quasiché temessero le benedizioni dei miseri consolati?».

Pagina 418

Come presentarmi in società

200088
Erminia Vescovi 1 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
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Ab Jove principium, dicevano i nostri antichi, e anche noi cominceremo col tracciare le linee di quel, galateo che, se deve sempre osservarsi dinanzi agli uomini e nelle case loro, a più forte ragione va riguardosamente osservato dinanzi al Creatore supremo e nelle case ove Egli risiede. Fra i miei lettori molti, io voglio sperarlo, possederanno il bene inestimabile della fede sotto quella forma che S. Paolo chiamò rationabile obsequium; sapranno dunque benissimo quali ragioni e quale importanza abbiano anche certe dimostrazioni esterne di culto o di convenienza che giustamente sono prescritte. Ma posso anche supporre che vi sian delle anime, perfettamente e sinceramente credenti, che non abbiano potuto acquistare la cognizione o la pratica di tali norme, posso supporre altresì che alcuni, pur non aderendo alla fede comune, abbiano il nobile e lodevole desiderio di comportarsi in modo che nulla possa offendere o disgustare i credenti con cui si trovino insieme. Le mie avvertenze, dunque, potranno far del bene a tutti, e non faranno male a nessuno. In chiesa si va per le funzioni religiose consuete; si va per alcune cerimonie solenni; si va, infine, per ammirare bellezze d'arte. E comincio subito da questo caso. La nostra Italia è così ricca di meraviglie architettoniche, di quadri, di sculture, di mosaici, intagli, cesellature e oggetti preziosi d'ogni sorta, che non vi è, si può dire, nessuna modesta città di provincia, e forse anche nessuno sperduto paesello che non veda entrar i visitatori nelle sue chiese. Nelle città principali poi, in quelle che la rinomanza ormai mondiale ha classificato tra le artistiche per eccellenza, è un flusso e riflusso perenne: tanto che saggiamente in alcuni luoghi sono state fissate alcune norme riguardo al tempo. E' evidente che non si sceglierà mai volentieri l'ora delle sacre funzioni e specialmente quella della Messa cantata. Chi ha senso di religiosità e riguardo gentile a quella degli altri, sa quanto sia molesto quello scalpiccio, quel mormorio, quel trapassar di luogo in luogo di un gruppo talvolta numeroso di persone, mentre tutto intorno spira e impone il mistico silenzio del raccoglimento. Ma quando fosse assolutamente inevitabile entrare in tali ore, la persona bene educata attenua il rumore dei passi, tien sommessa la voce, e se vi è un «cicerone» sta vicino a lui più che sia possibile, al fine di non costringerlo a parlar troppo forte. Non si creda però che, anche a chiesa vuota e silenziosa, sia lecito dipartirsi molto da queste norme. Vi può esser sempre, in un canto, qualche silenzioso orante che, proprio in quel momento, espande i dolori del suo cuore e chiede soccorso alla bontà suprema: rispetto a lui. E rispetto, sempre, in ogni caso, al luogo sacro. Non tutti sanno, ma tutti dovrebbero sapere che passando davanti all'altare del S.S. Sacramento è obbligo piegare il ginocchio a terra, e che se vi fosse esposizione solenne o per le Quarant'ore o per altra funzione, è prescritto piegarle ambedue. Così si deve fare anche nel momento dell'elevazione, nel caso che durante la visita si stesse celebrando qualche Messa: bisogna allora aver la pazienza di attendere che siano cessati gli squilli del campanello, e proseguir poi, più tacitamente e riguardosamente ancora, il pellegrinaggio d'arte. Le donne dovrebbero entrare in chiesa solamente col capo coperto e modestamente vestite... Ma ahimè! non tocchiamo un doloroso argomento. Basti, a nostra vergogna, ricordare i cartelli ammonitori che sono appesi alle porte d'ogni chiesa: basti dire che alle grandi basiliche, ormai, è stato necessario metter di guardia un vigile, il quale ha l'incarico, non credo gradito certamente, di ammonir le visitatrici (meno male che la maggior parte sono straniere) di coprirsi le braccia e le spalle di cui fino allora avevan fatto esposizione sul listone di Piazza S. Marco o nelle vie e ai caffè circostanti a S. Maria del Fiore, o sotto la Galleria Vittorio Emanuele presso al Duomo di Milano. C'è poi anche l'altro cartello: vietato sputare. E il divieto è espresso ora in questo, ora in quel modo, ma la sua insistenza prova che non siamo riusciti ancora a vincerla su questo importantissimo punto di igiene e di decoro. La persona sana e pulita non sente mai il bisogno di sputare: tuttavia, se circostanze e ragioni specialissime la obbligassero a farlo, non dimentichi che tale atto così schifoso a vedersi, deve essere compiuto con la massima secretezza, in un apposito fazzoletto. Veniamo ora al contegno da tenersi durante le sacre funzioni. Occorrerà dire che non si deve stare sdraiati sul sedile, né accavallar le gambe? Le nostre signore, così avvezze adesso a tale libertà di modi e alla gioia ineffabile di mostrar i polpacci e perfino le loro ginocchia, non sanno talvolta privarsene nemmeno nel luogo più sacro. Quando si deve stare in ginocchio e quando a sedere e quando in piedi è prescritto dalla liturgia. Alle persone deboli e vecchie è naturalmente concessa maggiore libertà; basta per loro che stiano genuflesse nei momenti più solenni, quando lo squillo del campanello li annunzia reiteratamente. Ma chi non può stare in ginocchio non si creda lecito però, se è fra i banchi, di stare in piedi mentre gli altri siedono o stanno genuflessi: è grave scortesia verso quelli che sono dietro toglier loro la vista dell'altare e delle cerimonie che vi si svolgono, per mostrar loro quella del proprio dorso, spesse volte massiccio ed esorbitante. Durante le prediche è prescritto un rispettoso e assoluto silenzio. Nel passato, era invalsa la strana usanza di testimoniar al predicatore la propria ammirazione con un concerto di tossi e raschiature di gola, che si alzava unanime quand'egli faceva punto per la prima pausa, e più ancora alla fine.

Galateo della borghesia

201897
Emilia Nevers 1 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
  • paraletteratura-galateo
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Cominciamo ab ovo, cioè alla stazione. I viaggiatori si dividono in due categorie: i prudenti, gl'irrequieti: i prudenti che arrivano un'ora prima, s'adattano al limbo della sala d'aspetto e non nuociono che a se medesimi, però diventano importuni se al minuto della partenza spingono i vicini, pestano calli, si buttano in vagone mettendo la propria valigietta sui piedi o sulle ginocchia altrui. Ma questi sono guai di secondo ordine: chi invece ci salva dagli irrequieti? Arrivano, balzano dalla cittadina, di cui il cavallo trafelato pare che stia per cadere morto, mettono in mano al cocchiere cinque lire,dieci (non hanno mai spiccioli), non aspettano che renda loro l'avanzo, si scagliano all'uffizio dei biglietti, tempestano, litigano, arraffano il tickett, abbandonando persino il bagaglio, eppoi, panfete, con uno, due, tre colli in mano si scaraventano in un vagone... il treno si muove, i guardiani gridano, essi trionfano! Gli irrequieti invece trovano da ridire all'orologio della stazione; quell'orologio è matto, il servizio pessimo; sbuffano perchè una volta entrati loro, il convoglio non parte, tirano in scena le ferrovie..... di molti paesi, dove non sono mai stati. Basta! Ecco i viaggiatori a posto; tutti cercano di accomodarsi alla meglio - la gente educata sta dov'è, e si rassegna. La gente che non ammette galateo in ferrovia si agita, fa piramidi del proprio bagaglio, cacciando sotto quello degli altri viaggiatori, o vuole a tutta forza serbare un collo che oltrepassa il peso stabilito, seppure non vi fa la grata sorpresa, dopo un momentino, di esibir una gabbia, un canestro con un gattino, un cane, che porta con sè di contrabbando. Altri lanciano occhiate fulminee contro quelli che occupano i posti migliori. Di questi irrequieti ve n'ha di dieci specie diverse. Vi son quelli che dove è vietato di fumare accendono lo sigaro, contando sulla bonarietà dei vicini, oppure si mettono al finestrino e se li richiamate all'ordine, rispondono con asprezza: il fumo non penetra! Altri, ad ogni stazione, si buttano allo sportello, saltano giù, disturbando tutti, risalgono, unicamente per l'incapacità di condursi da persone civili. Certi sputano, sbadigliano, si distendono con mal garbo, mettono i piedi sul sedile di contro. Vi son poi quelli che hanno il ticchio di assumere una speciale toeletta e par che si credano nel loro gabinetto; levano gli stivali, il soprabito, la cravatta, il cappello, a segno da ispirare seri timori alle signore formaliste; calzano poi delle pianelle, indossano una giacchetta, si chiudono il cranio in un berrettino.... dopo di che si mettono a russare, o, se è notte, vi accendono sotto il naso un lampadino e fanno le viste di leggere. Un'altra varietà di viaggiatori è quella che mangia sempre; tiran fuori dalla sacchetta del salame, del formaggio, delle pere, delle melarancie e sbucciano, tagliuzzano tutta codesta roba, riempiendo il vagone di scorze, di bricciole, e di poco aromatici profumi, spingendo a volte la cortesia fino a voler costringere i vicini a dividere con loro quelle provviste, che escono da fraterno contatto con le pianelle ed i pettini. Vi sono gli aristocratici che guardano tutti d'alto in basso, perchè, la spolverina da viaggio togliendo spesso di distinguere la vera condizione dei compagni di viaggio, temono di avere a che fare con gente che sia meno di loro. Ma peggio di codesti che si limitano a sorridere ironicamente, a non stendere la mano per offrirvi di passar il vostro biglietto ai conduttori, sono i ciarlieri. Appena sono seduti questi iniziano fra di loro (se sono in due soli) un dialogo o monologo sul gusto di quello che nelle commedie vien detto d'esposizione: cioè si raccontano, con un po' di fioritura ad usum compagno di viaggio, chi sono, chi non sono, d'onde vengono, dove vanno, e se non fate motto v'interpellano direttamente, vi interrogano, vi fanno una specie d'istruttoria, insomma, vi costringono a rompere il ghiaccio, togliendovi la libertà di pensare, guardare, riposare o dormire. Taccio di quelli che temono l'aria, il sole e si impuntano a chiudere tutti i vetri, di quelli invece che si ostinano a tenere aperto; di quelli che fanno gl'impertinenti con le signore che non hanno compagni maschili, e le riducono a mutare vagone od a ricorrere al conduttore: è tutta gente da metter nella categoria degli ineducati. Ma dunque che cosa si deve fare? chiederanno le lettrici. Dio buono! Essere persone per bene. Non so dare legge positiva su quelle benedette finestrine come su quella tal ventola abat-jour che ripara la lampada: fonte di perenne lotta tra i viaggiatori. Figuratevi che un giorno trovandomi col direttore dei telegrafi italiani e con un ingegnere della Società delle ferrovie, richiesi entrambi di fornirmi qualche ragguaglio, ma su certi quesiti trovai anche loro inetti a rispondermi. È ammesso che la finestrina di destra appartiene ai viaggiatori che sono da quel lato e quella di sinistra agli altri; è più lecito volerla chiudere che tenerla aperta, come pure tenere la ventola abbassata che alzata: ma con tutto ciò la questione è così complessa che quei signori mi citavano appunto il caso di due viaggiatori che l'avevano risolta....... con un duello. Però, se il diritto è dubbio, il galateo parla chiaro. Nei casi in cui una data cosa disturbi due persone, si deve esaminare quale sia più gravemente disturbata e meno in grado di sopportare il disturbo; così, se ad un giovanotto spiace non fumare, ed invece ad una signora attempata o malaticcia l'odore del tabacco nuoce, il galateo esige che non si fumi; se il finestrino, chiuso, priva alcuni d'aria, ma, aperto, fa correre ad altri il pericolo d'un'infreddatura,quel finestrino va chiuso...e così via. La persona per bene entra od esce con riguardo, saluta, appicca discorso se le pare di far cosa grata, e se trova compagni che le garbino, non manca mai alla cortesia, inquantochè cede subito ai desiderii di chi le è vicino rapporto alla disposizione del riparto; non attacca brighe con nessuno, non brontola, non tratta con arroganza gli impiegati e neppure i fattorini, insomma si ricorda che un vagone non è una camera privata, ma una specie di caffè o di albergo ambulante che impone molti riguardi. La persona per bene poi, in quel che riguarda il vestire, evita in pari tempo una ricercatezza disadatta ed una trascuranza pressochè indecente. Una signora ammodo, quindi, in viaggio, non si ridurrà allo stato d'un fodero d'ombrello, d'uno spauracchio come certe Miss; non metterà in viaggio scarpe sdruscite, guanti sudici, roba di dieci colori diversi, verde, azzurro, giallo, rosso, sì da, parer un pappagallo: ma, d'altra parte, quella signora eviterà il lusso incomodo o ridicolo, non viaggierà in veste bianca, cappellino a piume, merletti e gioielli, poichè invece di sembrar una dama, se vestisse così parrebbe una persona digiuna d'ogni norma di buon gusto e di tatto. Le dame, viaggiando, assumono anch'esse un vestire molto semplice, cappellino con velo bruno od azzurro, pelliccia o waterproof di panno, alpaga o tela, secondo la stagione, collo e polsini bianchi o sciarpetta al collo; vestito semplice, senza gale e guarnizioni. Chi fa una gita od una visita in campagna può vestirsi con cerca ricercatezza, ma coprendo la toeletta con uno spolverino per non arrivare sgualcita od impolverata. Portar gioielli in ferrovia è un grave sbaglio e quasi quasi un pericolo. Chi reca con sè oggetti di gran valore o forti somme, le faccia cucire in una tasca interna del soprabito o della gonnella... e non ne parli mai. Le cautele visibili diventano quasi un richiamo per chi abbia cattive intenzioni. Non imitino quelli che mettono il denaro che portano seco loro in una sacchettina, appesa ad armacollo e se la tengono stretta fra le mani, guardandosi intorno e susurrando agli ignoti vicini: Eh? quando s'hanno dei valori bisogna star attenti! Non bastano gli occhi d'Argo!... Costoro corrono il pericolo di attirarsi dei contrattempi. Gli occhi d'Argo... è cosa nota... a volte si chiudono ed allora paf! una cinghia è presto tagliata. In quanto alle armi, è bene usar prudenza per non farne un pericolo invece che una difesa, e non ferirsi da sè, oppure offendere i vicini. Del resto, per chi non ha in tasca un mezzo milione e viaggia in ferrovia, sono pressochè inutili. Le conversazioni in viaggio devono aver per regola il massimo riserbo. È ridicolo farsi passare per un pezzo grosso, millantandosi; è inurbano e pericoloso mettere in campo questioni nazionali o politiche, censurar alla leggera il paese in cui si viaggia, vantar troppo il proprio, insomma esporsi ad aver delle brighe o degli alterchi. Convien anche aver qualche nozione sui luoghi che si visitano per non dire degli spropositi madornali e per sapersi regolare riguardo alla via da seguire, alle fermate, agli alberghi, ecc. L'anno scorso incontrai una giovane coppia tedesca a cui chiesi se contava visitare la Brianza.Era d'autunno. - Oh! disse lo sposo, vorrei farlo, ma temo... - Il caldo? - Eh! no... i briganti! I briganti, nel verde giardino di Lombardia, a due passi da Milano! I briganti,cioè i tradizionali uomini bruni, in giacchetta corta, con cintura scintillante d'armi, cappellone a cono, trombone in mano... Diedi in una irresistibile risata, con grande meraviglia del bravo tedesco. A proposito di giovani coppie, raccomando a queste, di... non essere troppo affettuose in ferrovia: è una cosa in pari tempo importuna e ridicola lo scambiare carezze e tenere parole che mettono nell'impaccio i babbi e le mamme formaliste che hanno seco loro dei ragazzi e che in altre persone provoca delle celie di cattivo gusto. L'amore è una cosa tanto bella e santa che è mancanza di tatto e di delicatezza l'esporla ai motteggi. Le norme date per salire in vagone reggono anche per scendere; se ci sono vecchi, donne o bimbi si aiutano, si tien loro le sacche o gli scialli: si procura d'evitare questioni e di rassegnarsi con filosofica urbanità nei casi di forza maggiore; per la scelta dell'albergo si consulta, non il primo conduttore d'omnibus venuto, ma la guida, seppure non si sono assunte prima, da altri, le informazioni necessarie. È sempre savia cosa procurarsi delle lettere di raccomandazione per gente del paese; può essere una gran risorsa. Se occorrono medici o dentisti, sartori o che so io, non conviene affidarsi ai proprietari dell'albergo; pel medico o dentista ricorrere a quelli dell'ospedale, poichè il fatto che occupano un posto di fiducia è già per se stesso una garanzia. Per bottegai affidarsi ai conoscenti se se ne hanno, oppure alla fama. In generale le persone capaci sono note. Il lusso è superfluo pei forestieri, anche nelle più eleganti capitali: però le toelette eccentriche, le affettazioni di semplicità nihilista, i pastrani e cappelli da uomo, gli occhiali sul naso ed altre bizzarrie non sono da adottarsi. Per visitare musei o girar la città si inetta qualche vestito di lana scuro, un bel cappellino grigio o color nocciuola; per recarsi a teatro si scelga un vestito di seta nera o di satin di cotone, un po' elegante con un bel cappellino nero o bianco e si potrà essere presentabili, portando seco poco bagaglio. Nei musei bisogna guardarsi dal toccare gli oggetti esposti: è conveniente dare una mancia al cicerone. Sarebbe gretto respingerlo per l'economia di una o di due lire. Se annoia, lo si tenga solo per guida, dicendo che non s'ha d'uopo di spiegazioni. In generale bisogna informarsi delle tariffe e star a quelle: non lesinare e in molti casi sacrificare qualche spicciolo per causar alterchi che finiscono sempre a danno del forestiero. Quando poi si è con donne è assolutamente inurbano correr rischio di spaventarle o di doverle lasciar a lungo in mezzo ad una turba di curiosi o di malevoli, per finir una discussione con un fattorino od un fiaccheraio. Se si viaggia con altri, patti chiari e mettersi sempre d'accordo sulla spesa. Tornerò su quest'argomento parlando dei luoghi di bagni, dove porrò anche le norme sul contegno da tenersi aIl'albergo. È sconveniente, visitando gallerie o chiese, deridere ad alta voce Ie cose che si vedono od i riti della religione del paese; più che sconveniente, in certi casi può riuscire pericoloso: anche i costumi vanno rispettati, l'uomo veramente per bene leva il cappello in una chiesa cattolica... e lo mette in una sinagoga, accetta con la stessa urbanità il denso caffè dei turchi, la spumosa birra dei tedeschi, l'idromele dei norvegiani ed il latte di coco degli abissini; mostra la stessa deferenza a qualunque ospite, sia un signore europeo, uno scheik, od un moro. Il motteggio è sempre incivile, ed anzi lo è tanto più, quando chi se lo permette è o sembra superiore alla persona derisa. I forestieri, se alloggiano da conoscenti e ne ricevono molti favori devono, appena partiti, ringraziare con lettera e più tardi inviare un ricordo. Essi invece non hanno, in genere, obbligo d'invito. Sono gli ospiti che pagano e si va a visitar musei, se si fanno gite e se si prendono palchi a teatro.

Pagina 136

Il galateo del contadino

202963
Miles Agricola 1 occorrenze
  • 1912
  • Casalmonferrato
  • Casa agricola F.lli Ottavi
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La scuola non è più oggi com'era ab antiquo il monopolio dei ricchi e delle altre classi privilegiate. La scuola è oggidì patrimonio di tutti. Quanti figli di contadini non sono arrivati alle somme cariche dello Stato, anzi a dirigere la cosa pubblica del proprio paese?! Ciò è frutto dell'istruzione e dell'educazione popolare,che oggi s'infiltra dappertutto, anche in fra le campagne, mercè il grande,l'immenso beneficio della scuola. La scuola è un santuario; e tale dev'essere considerata da coloro che la frequentano. Mandare i figli a scuola è un dovere dei babbi e delle mamme; ma è un sacrosanto dovere dei figli il frequentarla con profitto. E per trarne profitto bisogna sopratutto portare non solo rispetto,ma venerazione verso gl'insegnanti. Il maestro è il nostro secondo padre,anzi spesso c'insegna molto di più e meglio del primo! Guai al fanciullo che non sappia rispettare l'autorità ed ascoltare la parola del suo precettore! In iscuola bisogna saperci stare colla sommissione, collo stesso rispetto che si deve usare in chiesa. È pessima educazione,stando a scuola, disturbare i compagni vicini, ciarlare con essi, fare ad essi dei dispettucci, sottrarre loro qualcosettina, anche di minimo valore, fare occhiate o boccacce convenzionali ai compagni lontani, pessima e riprovevole sopratutto la disattenzione propria provocando quella degli altri alle parole del maestro. A scuola bisogna restare ben composti sui banchi, che non bisogna nè tagliuzzare con coltellini nè lordare coll'inchiostro. Nè si debbono strappare o guastare libri, nè sciupare nè sporcare quaderni; come pure conviene astenersi da qualunque sbaffo o giroglifico sui muri, sui cartelloni e su altra suppellettile scolastica. Nè lo scolaro si rivelerà diligente ed educato solo entro le aule della scuola; ma deve conservare questo contegno anche quando ne esce. Imperocchè, ultimata la lezione, non c'è bisogno di correre all'impazzata, strimpellando coi piedi e rincorrendo i compagni o sbandarsi e soffermarsi a giuocarellare sul portone della scuola in giuochi sconci e sguaiati, accompagnandoli con grida altrettanto sguaiate e disadorne. Lo scolaro per bene, uscito dalla scuola, si accomiata dal maestro, saluta i compagni, rammanisce i libri e i quaderni e s'avvia a casa, sia pure con portamento ilare e marziale, ed ivi giunto, soddisfatto d'aver compiuto il Suo dovere, si riposa fra le ginocchia del babbo e della mamma ch'è suo obbligo di tenere al corrente del progresso dei suoi studi, sapendo bene che questa è la maggiore consolazione dei genitori. Insomma il fanciullo deve considerare la scuola non come un passatempo od una punizione, ma come una palestra di bene per il suo intelletto, per l'anima sua, per il suo stesso fisico, che dai banchi della scuola riporteranno la prima salutare impressione per tutta la sua esistenza.

Pagina 5

Eva Regina

203374
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 1 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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E non ab- biamo scrupoli di riunire le bimbe ai fanciulli sotto la nostra vigilanza materna. La compagnia della donna abitua per tempo il piccolo uomo a dominarsi, ad essere generoso, a quella urbanità e a quei riguardi che più innanzi nella vita lo renderanno disinvolto e simpatico: e la compagnia dei fanciulli fa le bimbe più schiette, più vivaci, più semplici.

Pagina 179

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