Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Se questo è un uomo

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Levi, Primo 3 occorrenze

. _ Los, ab! _ Alex rientra in scena, io sono di nuovo sotto la sua giurisdizione. Saluta Pannwitz sbattendo i tacchi, e ne ottiene in cambio un lievissimo cenno delle palpebre. Io brancolo per un attimo nella ricerca di una formula di congedo appropriata: invano, in tedesco so dire mangiare, lavorare, rubare, morire; so anche dire acido solforico, pressione atmosferica e generatore di onde corte, ma non so proprio come si può salutare una persona di riguardo. Eccoci di nuovo per le scale. Alex vola gli scalini: ha le scarpe di cuoio perché non è ebreo, è leggero sui piedi come i diavoli di Malebolge. Si volge dal basso a guardarmi torvo, mentre io discendo impacciato e rumoroso nei miei zoccoli spaiati ed enormi, aggrappandomi alla ringhiera come un vecchio. Pare che sia andata bene, ma sarebbe insensato farci conto. Conosco già abbastanza il Lager per sapere che non si devono mai fare previsioni, specie se ottimistiche. Quello che è certo, è che ho passato una giornata senza lavorare, e quindi stanotte avrò un po' meno fame, e questo è un vantaggio concreto e acquisito. Per rientrare alla Bude, bisogna attraversare uno spiazzo ingombro di travi e di tralicci metallici accatastati. Il cavo d' acciaio di un argano taglia la strada, Alex lo afferra per scavalcarlo, Donnerwetter, ecco si guarda la mano nera di grasso viscido. Frattanto io l' ho raggiunto: senza odio e senza scherno, Alex strofina la mano sulla mia spalla, il palmo e il dorso, per nettarla, e sarebbe assai stupito, l' innocente bruto Alex, se qualcuno gli dicesse che alla stregua di questo suo atto io oggi lo giudico, lui e Pannwitz e gli innumerevoli che furono come lui, grandi e piccoli, in Auschwitz e ovunque.

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, "Hau' ab", "Uciekaj", "Schiess' in den Wind", "Va chier"; con uno insomma dei moltissimi equivalenti di "Lévati di torno" di cui è ricco il gergo del campo. C' è anche chi si specializza in complesse e pazienti campagne di spionaggio, per individuare qual è il civile o il gruppo di civili a cui il tale fa capo, e cerca poi in vari modi di soppiantarlo. Ne nascono interminabili controversie di priorità, rese più amare per il perdente dal fatto che un civile già "sgrossato" è quasi sempre più redditizio, e soprattutto più sicuro, di un civile al suo primo contatto con noi. È un civile che vale molto di più, per evidenti ragioni sentimentali e tecniche: conosce già i fondamenti dell' "organizzazione", le sue regole e i suoi pericoli, e inoltre ha dimostrato di essere in grado di superare la barriera di casta. Infatti, noi per i civili siamo gli intoccabili. I civili, più o meno esplicitamente, e con tutte le sfumature che stanno fra il disprezzo e la commiserazione, pensano che, per essere stati condannati a questa nostra vita, per essere ridotti a questa nostra condizione, noi dobbiamo esserci macchiati di una qualche misteriosa gravissima colpa. Ci odono parlare in molte lingue diverse, che essi non comprendono, e che suonano loro grottesche come voci animali; ci vedono ignobilmente asserviti, senza capelli, senza onore e senza nome, ogni giorno percossi, ogni giorno più abietti, e mai leggono nei nostri occhi una luce di ribellione, o di pace, o di fede. Ci conoscono ladri e malfidi, fangosi cenciosi e affamati, e, confondendo l' effetto con la causa, ci giudicano degni della nostra abiezione. Chi potrebbe distinguere i nostri visi? per loro noi siamo "Kazett", neutro singolare. Naturalmente questo non impedisce a molti di loro di gettarci qualche volta un pezzo di pane o una patata, o di affidarci, dopo la distribuzione della "Zivilsuppe" in cantiere, le loro gamelle da raschiare e restituire lavate. Essi vi si inducono per togliersi di torno qualche importuno sguardo famelico, o per un momentaneo impulso di umanità, o per la semplice curiosità di vederci accorrere da ogni parte a contenderci il boccone l' un l' altro, bestialmente e senza ritegno, finché il più forte lo ingozza, e allora tutti gli altri se ne vanno scornati e zoppicanti. Ora, tra me e Lorenzo non avvenne nulla di tutto questo. Per quanto di senso può avere il voler precisare le cause per cui proprio la mia vita, fra migliaia di altre equivalenti, ha potuto reggere alla prova, io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all' odio e alla paura; qualcosa di assai mal definibile, una remota possibilità di bene, per cui tuttavia metteva conto di conservarsi. I personaggi di queste pagine non sono uomini. La loro umanità è sepolta, o essi stessi l' hanno sepolta, sotto l' offesa subita o inflitta altrui. Le SS malvage e stolide, i Kapos, i politici, i criminali, i prominenti grandi e piccoli, fino agli Häftlinge indifferenziati e schiavi, tutti i gradini della insana gerarchia voluta dai tedeschi, sono paradossalmente accomunati in una unitaria desolazione interna. Ma Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo.

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Ancora una volta la musica della banda, la cerimonia del "Mützen ab", giù i berretti di scatto davanti alle SS; ancora una volta Arbeit Macht Frei, e l' annunzio del Kapo: _ Kommando 9., zwei und sechzig Häftlinge, Stärke stimmt, _ sessantadue prigionieri, il conto torna. Ma la colonna non si è sciolta, ci hanno fatto marciare fino in piazza dell' Appello. Ci sarà appello? Non è l' appello. Abbiamo visto la luce cruda del faro, e il profilo ben noto della forca. Ancora per più di un' ora le squadre hanno continuato a rientrare, col trepestio duro delle suole di legno sulla neve gelata. Quando poi tutti i Kommandos sono ritornati, la banda ha taciuto a un tratto, e una rauca voce tedesca ha imposto il silenzio. Nell' improvvisa quiete, si è levata un' altra voce tedesca, e nell' aria buia e nemica ha parlato a lungo con collera. Infine il condannato è stato introdotto nel fascio di luce del faro. Tutto questo apparato, e questo accanito cerimoniale, non sono nuovi per noi. Da quando io sono in campo, ho già dovuto assistere a tredici pubbliche impiccagioni; ma le altre volte si trattava di comuni reati, furti alla cucina, sabotaggi, tentativi di fuga. Oggi si tratta di altro. Il mese scorso, uno dei crematori di Birkenau è stato fatto saltare. Nessuno di noi sa (e forse nessuno saprà mai) come esattamente l' impresa sia stata compiuta: si parla del Sonderkommando, del Kommando Speciale addetto alle camere a gas e ai forni, che viene esso stesso periodicamente sterminato, e che viene tenuto scrupolosamente segregato dal resto del campo. Resta il fatto che a Birkenau qualche centinaio di uomini, di schiavi inermi e spossati come noi, hanno trovato in se stessi la forza di agire, di maturare i frutti del loro odio. L' uomo che morrà oggi davanti a noi ha preso parte in qualche modo alla rivolta. Si dice che avesse relazioni cogli insorti di Birkenau, che abbia portato armi nel nostro campo, che stesse tramando un ammutinamento simultaneo anche tra noi. Morrà oggi sotto i nostri occhi: e forse i tedeschi non comprenderanno che la morte solitaria, la morte di uomo che gli è stata riservata, gli frutterà gloria e non infamia. Quando finì il discorso del tedesco, che nessuno potè intendere, di nuovo si levò la prima voce rauca: _ Habt ihr verstanden? _ (Avete capito?) Chi rispose "Jawohl"? Tutti e nessuno: fu come se la nostra maledetta rassegnazione prendesse corpo di per sé, si facesse voce collettivamente al di sopra dei nostri capi. Ma tutti udirono il grido del morente, esso penetrò le grosse antiche barriere di inerzia e di remissione, percosse il centro vivo dell' uomo in ciascuno di noi: _ Kameraden, ich bin der Letzte! _ (Compagni, io sono l' ultimo!) Vorrei poter raccontare che di fra noi, gregge abietto, una voce si fosse levata, un mormorio, un segno di assenso. Ma nulla è avvenuto. Siamo rimasti in piedi, curvi e grigi, a capo chino, e non ci siamo scoperta la testa che quando il tedesco ce l' ha ordinato. La botola si è aperta, il corpo ha guizzato atroce; la banda ha ripreso a suonare, e noi, nuovamente ordinati in colonna, abbiamo sfilato davanti agli ultimi fremiti del morente. Ai piedi della forca, le SS ci guardano passare con occhi indifferenti: la loro opera è compiuta, e ben compiuta. I russi possono ormai venire: non vi sono più uomini forti fra noi, l' ultimo pende ora sopra i nostri capi, e per gli altri, pochi capestri sono bastati. Possono venire i russi: non troveranno che noi domati, noi spenti, degni ormai della morte inerme che ci attende. Distruggere l' uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice. Alberto ed io siamo rientrati in baracca, e non abbiamo potuto guardarci in viso. Quell' uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo stati rotti, non ha potuto piegarlo. Perché, anche noi siamo rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e a reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo. Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna.

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