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Filosofia politica naturale

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Rosmini, Antonio 1 occorrenze

Con ciò dunque noi supponiamo, che vi sia un' altra parte di giustizia aanteriore alla società, ad ogni società. E vi ha in fatto, vi ha un diritto individuale che si concepisce senza alcun bisogno di ricorrere al concetto di società. Questo diritto noi l' abbiamo trattato in un' opera a parte. 1) Ogni società deve rispettare questo diritto, la società civile prima di tutte, come quella che è incaricata di difenderlo e non di manometterlo. Quelli improvidi legisti i quali vogliono derivati tutti i diritti dalla società civile, la rendono essenzialmente dispotica; perocchè il dispotismo non è soltanto nelle persone, può essere nella forma del governo, può essere nel governo stesso, e finalmente può essere nella stessa società civile, quando ella è mal concepita e definita: noi l' abbiamo mostrato. 2) Noi abbiamo parlato delle ingiustizie che può commettere la società civile in quant' ella è una persona giuridica uguale ad ogni altra, e le abbiamo raccolte in undici classi; 3) ed anche di quelle ch' ella può commettere in quanto è persona giuridica differente da tutte le altre. 4) Nè solo il diritto individuale è anteriore alla società civile e deve essere da questa rispettato; ma vi ha anche delle società anteriori ad essa, quali sono la società teocratica e la domestica, come pure tutte quelle che scaturiscono dal diritto d' associazione che è uno dei diritti individuali. Il diritto di tali società, precedente a quello della società civile, dee prevalere sopra di questo: la società civile il dee rispettare; se volesse invaderlo, sarebbe usurpatrice e violenta. La società civile, ogni qualvolta violò i diritti della Chiesa o quelli della famiglia, esercitò la tirannia e una tirannia più funesta di tutte quelle dei tiranni, perchè radicale e coperta sotto lo scudo di una dottrina politica ingannosa e perfidissima. Questa dottrina fondatrice e giustificatrice della tirannia civile cominciò ad essere fabbricata sistematicamente sotto Luigi XI e andò perfezionandosi in Europa sotto tutta la lunga serie dei despoti che a quello successero fino che ricevette una prima sconfitta dalla rivoluzione francese, la quale cangiò forma al dispotismo, non l' estinse perciò; anzi egli ricomparve più che mai orgoglioso e crudele sotto forme novelle. Perocchè quella rivoluzione invece di colpire il dispotismo stesso della società civile, diresse i suoi colpi disavvedutamente sotto la forma governativa ch' egli aveva preso; nè s' accorse della natura proteiforme di esso, onde quando credeva averlo ghermito, gli sfuggì sano e salvo sotto tutt' altre forme di mano. Il dispotismo non si coglie se non si prescinde dalle forme governative e non lo si raggiunge nel suo originale covile, il quale è la stessa società civile qualunque forma ella si abbia. La società civile stessa dee essere purgata dal dispotismo, cioè deve essere sottoposta al suo vero diritto, e non foggiata sopra un diritto preteso che le dà piena balìa di fare tutto ciò che può e che vuole. Noi abbiamo esposto lungamente quale sia questo diritto civile; e nello esporlo abbiamo riconosciuto che il vizio di quelle teorie giuridiche, che rendono dispotica e tirannica la civile società, trae la sua origine da un concetto imperfetto, confuso ed indeterminato della società stessa, e del suo fine. Si suol dire la società senza più per indicare la società civile. Questa maniera di parlare annunzia già l' errore introdottosi nelle menti; ella suppone che la società civile assorba nel suo seno tutte le altre società: ella confonde la società civile colla società del genere umano che appartiene alla società teocratica, di cui ne è l' abbozzo; questa maniera di concepire e di esprimersi dà necessariamente alla società civile ogni potere, non lascia sussistere altra società al suo fianco: la società civile così concepita, così nominata non può che esser dispotica e tirannica di tutte le altre società, di tutti gli altri diritti. Secondo la stessa imperfezione di pensare il fine della società civile non fu mai pienamente definito e precisato nei suoi confini: si concepì un potere vago ed assoluto che dovesse far tutto, a cui nulla fosse illecito, nulla ingiusto, da cui ogni altro potere derivasse, ogni altro potere dovesse mendicar l' esistenza, l' autorità, la legittimità. Noi abbiamo disvelato la falsità e l' inumanità di questa maniera di concepire il reggimento civile: n' abbiamo esposta agli occhi del pubblico la vergognosa nudità, siamo riusciti a farlo in un' opera che ha ricevuto il visto di un governo il più assoluto. Le dottrine esposte in tale opera si riassumono nei seguenti principŒ. Vi ha un diritto sociale universale, che deve essere applicato a tutte le società speciali. La società civile è una società speciale e non più: è una associazione che formano gli uomini fra di loro per un fine speciale: ella deve soggiacere alle stesse leggi che sono comuni a tutte le società. Il fine della società civile non è altro che quello di regolare la modalità di tutti i diritti dei cittadini, acciocchè si collidano fra loro il meno possibile, siano tutelati e sviluppati. Questo è il fine prossimo e preciso, e propriamente l' ufficio sociale. La dottrina di questo fine elimina dalla società civile ogni dispotismo. Infatti assegnandole un tal fine, un tale officio, si viene a riconoscere: 1 Che tutti i diritti di natura e di ragione, originarŒ e conseguenti od acquisiti, sono anteriori e indipendenti dalla società civile. 2 Che la società civile non può nè distruggere, nè diminuire alcuno di questi diritti, e tutto il suo potere si restringe a tutelarli e aiutarli nel loro svolgimento, nel regolarne in una parola la modalità senza punto nè poco diminuirne il valore. Solo contenendosi entro questi limiti la società civile cessa d' essere dispotica e tirannica qualunque sia la sua forma. Ella rispetta in tal modo tutti i diritti individuali, e così il diritto naturale e razionale rimane sussistente anche in presenza della società civile, e a questo diritto in quanto egli tiene una relazione alla società civile fu da noi applicata la denominazione di diritto extrasociale . La società civile ancora rispetta i diritti della società teocratica e quindi della Chiesa e quelli della società domestica come pure quelli di ogni altra associazione che sia conforme al diritto naturale e razionale. Così tutte le maniere dei diritti rimangono intatti: ciascuna si mantiene entro la sua sfera e quindi si ha la pace fra gli uomini. Vi ha dunque un Diritto extrasociale ed un Diritto sociale. L' ufficio della società civile verso il diritto extrasociale è di riconoscerlo, di lasciarlo sussistere a canto a lei e come indipendente da lei, di tutelarlo e di regolarne la modalità senza nuocerne alla sostanza, lasciando a tutti il suo, assicurando e guarentendo a tutti il valore dei proprŒ diritti, salva per lei la facoltà di regolarne quella modalità, che senza alterarne il valore contribuisce anzi a mantenerlo ugualmente per tutti, senza quelle collisioni che altrimenti avrebbero luogo fra i molteplici diritti coesistenti de' cittadini che dalle dette modalità non venissero regolati. Questo ufficio di tutela e di guarentigia affidato alla società civile s' estende anche ai diritti sociali. Il diritto sociale è quello che non precede l' istituzione della società civile, ma viene da questa, e ai diritti sociali si riduce anche la stessa costituzione regolare della società, ed anzi questo prima di tutti gli altri. Perocchè, come già noi vedemmo, il popolo, cioè la moltitudine di quelli che si aggregano in una civile società, ha il diritto imperscrittibile che la società medesima sia costituita nel miglior modo, il che noi esprimiamo con una parola dicendo che ella deve avere una forma regolare. Questo diritto della moltitudine, che si aduna nella civile associazione, dimostrasi col seguente ragionamento: La miglior forma sociale, che è la regolare, contribuisce ad ottenere il fine della società che è il regolamento più vantaggioso della modalità di tutti i diritti dei socŒ. Ma la moltitudine che si ordina civilmente ha diritto al fine dell' associazione nella quale si unisce; dunque ha diritto altresì alla forma regolare di essa associazione che è il mezzo di ottenere quel fine. Dal quale ragionamento se ne deducono agevolmente i seguenti corollarŒ: 1 Che se si tratta d' istituire un governo civile, il che è quanto dire di aggregare in società civile una moltitudine, la forma di questo governo dovrà avere la dote della regolarità. 2 Che essendo un problema complicato e oltremodo difficile il definire in che consista questa regolarità e quindi potendo accadere che nella prima istituzione con tutto il buon volere dei savŒ, che dirigono quella moltitudine a scegliere la miglior forma sociale, non si raggiunga al primo tentativo quella regolarità, e solamente più o meno vi si avvicini, rimane al popolo continuamente il diritto di riforma, cioè il diritto di domandare che la costituzione sociale venga modificata fino a tanto che raggiunga la regolarità. 3 Che i Principi, e più generalmente parlando i governi delle società civili, sono obbligati di riconoscere questo diritto del popolo e quindi di condiscendere all' unanime volere del medesimo, quand' egli domanda di quelle riforme che conducono a modificare il governo in modo da renderlo più regolare e così più perfetto. Infatti i governi ed i governanti non sono istituiti a loro pro, o a pro delle loro famiglie, ma unicamente a pro della moltitudine che governano; sono ministri di Dio per il popolo. Nè questo pregiudica ai loro interessi, perocchè non debbono avere alcuno interesse maggiore di quello d' esercitare alla meglio possibile il loro ufficio; nè lo possono esercitare alla meglio se la società cui presiedono non è costituita regolarmente: il loro unico vero interesse è l' interesse del popolo: il loro unico vero interesse è il loro dovere. Questo non pregiudica ai loro diritti, benchè possa diminuire la loro autorità e i loro proventi. L' autorità ed i proventi non sono diritti de' governanti se non in quanto servono o sono necessarŒ al buon governo: pregiudicando a questo cessano d' essere diritti. Dire il contrario apparterebbe alla morale dell' egoismo e al diritto gretto, adulatorio, sofistico dei Legulei. L' unica opposizione che si potrebbe fare a questa dottrina sarebbe quella che si volesse dedurre dal diritto signorile. Ma io parlo qui d' una società civile e non d' una società signorile. Io riconosco l' esistenza di un diritto signorile, e ne ho svolto i principŒ nella Filosofia del Diritto. Ma nello stesso tempo sono persuaso che il diritto signorile non può aver luogo se non temporaneamente fino a tanto che gli uomini si trovano ancora in uno stato di rozzezza e di fanciullezza; non più fra quelle popolazioni che sono già mature per l' influenza che ha esercitato lungamente sopra di esse il cristianesimo. Tali sono a mio vedere le nazioni cristiane d' Europa, per tali si debbono riconoscere e trattare senza tener conto delle piccole anomalie ed eccezioni che si potessero qua e colà ravvisare. Qualche traccia di diritto signorile rimarrà nelle relazioni della vita privata: non si deve ammetterlo più qual base della pubblica: oggimai alla vita pubblica non ispetta che la civiltà. Riassumendo adunque quanto abbiamo detto, la naturale costituzione della società civile deve avere i due caratteri della giustizia e della regolarità, e la regolarità dee essere dedotta anch' essa dai principii di giustizia. Acciocchè la società sia giusta ha bisogno di due cose, di leggi e di tribunali che applichino e facciano valere le leggi. Acciocchè la società riesca regolare ha bisogno pure di due cose, di un potere legislativo, e di una Magistratura o potere esecutivo, l' uno e l' altro regolarmente organizzato. Queste sono le due parti, bipartite l' una e l' altra, nelle quali spontaneamente si divide un trattato della naturale costituzione della società civile; consideriamole entrambi e fissiamo i limiti entro i quali noi dobbiamo svolgerle nell' opera presente. Dicevamo che la società civile non può avere il carattere della giustizia se non ha buone leggi e buoni tribunali. Le leggi altre antecedono a lei, come vedemmo, e sono le naturali o razionali, quelle della società considerata in universale, quelle della società domestica e della teocratica ecc.. Noi non abbiamo bisogno d' estenderci qui ad enumerarle, avendolo già fatto precedentemente nella Filosofia del Diritto. Altre sono quelle che va poi facendo lo stesso potere legislativo, e neppure di queste noi dobbiamo ragionare, bastandoci dire che tali leggi non possono essere mai altro che conseguenze logiche delle prime cioè di quelle che antecedono l' istituzione della società civile. In queste si contengono virtualmente, e avendo noi data la dottrina di queste indicammo già i principŒ dai quali anche quelle dovranno poi derivarsi per opera della nazionale sapienza rappresentata da chi avrà il potere legislativo. Non ci rimarrà adunque rispetto a questo altro da dire se non quanto riguarda l' organizzazione dei tribunali. L' altro carattere che dee avere la civile società è quello d' una costituzione regolare, la quale noi riducemmo all' ottima organizzazione del potere legislativo e della magistratura: noi non possiamo trapassare nè l' uno, nè l' altro di questi due punti e però si troveranno entrambi svolti nell' opera presente. Finalmente la costituzione naturale della società civile, che avremo rinvenuta con tutte queste investigazioni, converrà che sia ridotta in compendio, ovvero in una Magna Carta, la quale sia adottata dalla moltitudine che s' aggrega in civile consorzio, acciocchè la costituzione sociale affidata allo scritto stia sempre presente qual regola indeclinabile agli occhi dei socŒ e di tutti gli organi della società. Sono adunque quattro i problemi che noi ci proponiamo da sciogliere in quest' opera: 1 Quale debba essere l' organizzazione dei Tribunali. 2 Quale debba essere quella del potere legislativo. 3 Quale l' organizzazione della Magistratura. 4 Quale la Magna Carta. Nei quattro libri seguenti se ne tenta la loro soluzione. Il carattere della giustizia è così essenziale, così necessario all' esistenza della società, anzi alla esistenza di relazioni pacifiche degli uomini fra loro, che tutte le società in ogni tempo ed in ogni luogo lo hanno sempre cercato, ed hanno voluto, anche allora quando si ritrovavano piene delle più atroci usurpazioni ed ingiustizie, ostentarlo: hanno procurato di coprire l' arbitrio ed il violento, e di far passare agli occhi degli uomini per legittimo e per giusto quanto era effetto di passioni insaziabili, della prepotenza e della avidità. L' ingiustizia è troppo brutta e schifosa per avere potenza sugli uomini: essa non ha fatto mai nessuna conquista su di essi, i grandi usurpatori hanno dovuto prima ingannarli sulla natura delle loro imprese: e ricoprendo il mostruoso ceffo d' ingiusti, hanno dovuto prendere faccia di giusti e di probi: essi tanto usurparono, uccisero e divorarono dell' umana specie, quanto seppero rendere questa più paziente alle enormi loro atrocità coll' indurre nella medesima l' opinione che tutto ciò si faceva da una legittima autorità; col contrapporre in somma uno scudo di giustizia alla vendetta che tentava far di continuo contro di loro l' oltraggiata natura. L' opinione di giustizia ha una forza sugli uomini più grande assai di quello che comunemente si crede; e chi vorrà con occhio attento ricercare tutti i suoi effetti nelle diverse relazioni fra gli uomini, troverà che nelle stesse intraprese più empie e più disperate la forza maggiore che muove gli animi umani è l' opinione di giustizia, non di una giustizia intera, ma di una giustizia parziale: una opinione che riconosce in altrui il potere a cui obbedisce, e a cui si porge come cieco stromento dei suoi voleri. Che cosa rendeva terribile Attila se non l' obbedienza dei suoi soldati? Che cosa rende terribili tutti i grandi ladroni, se non il potere morale che hanno sui numerosi strumenti dei loro delitti? provi di comandare ad un esercito chi non è il suo capitano: egli o sarà deriso, o sarà morto come un ribelle. Non è già che la moltitudine ignori i delitti di chi considera per suoi capi, conosce che quelli che la guidano sono pieni di delitti, sono abbominevoli, ed anco, se si vuole, ingiusti usurpatori del potere, ma non rimane che la moltitudine non obbedisca ad essi mossa dall' opinione che quelli sono i suoi capi, e chi non sa indurre in essa questa opinione, non sa neppure esercitare sopra di essa verun potere. - E` inutile il dire che la moltitudine obbedisce talora per forza; e quale è mai questa forza che possa stringere ad obbedire la moltitudine? forse un' armata? ma questa stessa armata, perchè obbedisce ai cenni de' suoi capitani? Un timor panico può produrre una obbedienza per qualche istante, ma come egli è al tutto instabile e momentaneo, così pure è instabile e momentanea l' obbedienza. Ad ottener dunque che una moltitudine di uomini obbedisca ad un solo od a pochi per molto tempo, non v' ha altro mezzo se non di fare che questa moltitudine concepisca l' opinione di avere un dovere d' obbedire, opinione che la rende ad obbedire non solo pronta ma, dirò così, mobilissima, opinione che supplisce fin anco a quella forza che darebbe ai governanti il vero diritto di comandare, opinione cioè che muove la moltitudine per se stessa senza che sia nè pure associata all' esame del diritto che possano avere, o non avere coloro che comandano. Perocchè la moltitudine nella ferma persuasione, nella quale si trova di avere un dovere morale d' obbedire ad alcuno, pel bisogno stesso ch' ella sente d' esser guidata, non si cura molto di esaminare a chi spetti il diritto di comandarle, ed a quel primo in cui crede di vederlo, a quello obbedisce. Nè pure una masnada di ladroni starebbe insieme se nei suoi capi non vedesse un' autorità, perocchè l' obbedire stesso è un riconoscere tale autorità. L' idea dunque di dovere, che è un' idea morale, va ad essere il legame di qualunque associazione, ed anche quando si obbedisce unicamente perchè ciò credesi utile a se stesso, mescolasi in tale disposizione di volontà necessariamente un elemento morale, sebbene disguisato e guasto dal mal fine a cui si assoggetta; perocchè l' obbedire al comando suppone, come dicevamo, in quello istante che si ubbidisce la ricognizione del comando, che, come tale, non è che una volontà superiore manifestata. Che se lasciamo di considerare la giustizia che si mescola e fa sentire il suo bisogno all' uomo anche nella sua massima depravazione, e riguardiamo qual sia l' impressione che ella faccia agli uomini, non in uno stato di corruzione, ma in uno stato naturale, e direi quasi ancora vergine, ritroveremo ch' essa si rende all' uomo così bisognevole, come è bisognevole a lui la pace; perocchè (noi lo vedemmo 1)) è una assoluta necessità della natura intelligente quella di risentirsi qualunque volta ella crede che le sia stata fatta ingiustizia; per cui si può dire che l' ingiustizia sia la ferita dell' ente morale. Tale e tanta necessità della giustizia, perchè potesse esistere qualunque umana società, fece sì, come io dicevo, che la giustizia fosse sempre cercata in tutte le società civili, che le offese contro di lei non si potessero fare alla palese e liberamente, o che ben presto fossero vendicate: ed in tal modo per una forza intrinseca della natura umana, di reazione immediata contro l' ingiuria, dovettero le società ed i loro capi almeno darsi pensiero del modo di ritenere che la società civile avesse quanto più era possibile il carattere di giustizia: e quindi uno de' primi officŒ di quelli che presiedettero alle società civili fu di essere giudici: di che in tutte le società civili si stabilirono successivamente i Tribunali, e si andò migliorando e regolarizzando sempre più l' amministrazione della giustizia. E nondimeno in tutte le società civili rimase fin quì incompiuta l' amministrazione della giustizia: renderla compiuta è il progresso che resta loro a fare, acciocchè diventino appieno civili. L' autorità politica rimase priva di un tribunale di giustizia. Quell' autorità che stabiliva tutti gli altri tribunali rivolti a definire le questioni, che intorno alla giustizia insorger potevano fra i privati, e a punire le infrazioni dei diritti che faceva un membro ad un altro membro della società, o un membro della società al potere, non si credeva dover soggiacere ad alcun tribunale, e così rimaneva, rimase fin quì, un' autorità dispotica, qualunque fosse la sua forma, monarchica o repubblicana. Ella stabiliva i Tribunali pei litigi privati, perchè senza di essi vedeva che non avrebbe potuto esistere, giacchè non avrebbe potuto esistere la società che veniva istituita per godere appunto di una retta amministrazione della giustizia, nè avrebbe avuto il modo da difendersi dalle ingiurie che fossero portate direttamente contro di lei, e che attentassero alla sua esistenza. Ma quelli che avevano in mano l' autorità nel mentre che erano spinti in tal modo dal proprio interesse a provvedere che la giustizia fosse esattamente osservata dai singoli membri della società, e che fossero severamente vendicate le insubordinazioni alla stessa pubblica autorità, non avevano poi un motivo consimile che gli spingesse a stabilire eguali precauzioni e guarentigie contro alle ingiustizie che potessero commettere essi stessi a danno dei singoli cittadini o del corpo dei cittadini, abusando della autorità medesima loro affidata. E ciò nasceva anche perchè gli uomini desiderano sempre assai più di vedere che gli altri esercitino la giustizia verso di sè, che di obbligarsi essi stessi ad esercitarla verso gli altri, e di più perchè gli uomini, anche onesti, non temono di se stessi, ed è l' ultimo atto dello spirito umano quello di riflettere sopra di sè, e quasi dividendosi da sè, e costituendosi in uno stato imparziale, e rendendosi come una terza persona, chiamar sè stessi in giudizio. Il che se l' uomo potesse fare con eguale facilità di quella onde porta giudizio degli altri, non ci sarebbe certo quel bisogno universalmente riconosciuto di far sì che gli uomini non giudichino in propria causa, e che vi sieno dei tribunali, i quali entrino giudici e mediatori fra le parti in discordia, discordia che non nasce sempre da una mera perversità, ma che procede ben anco da un diverso modo di veder le cose e di opinare sulle medesime. Queste cagioni fecero sì che nel mentre si credette che fosse un elemento essenziale in tutte le società civili l' erezione dei tribunali di giustizia; rimanessero però delle azioni nella società che a questi tribunali non venivano sottoposte, e così restasse la società con un lato indifeso; mentre tutte quelle azioni che venivano fatte a nome della civile potestà si opinava doversi rimanere ingiudicate. Si sospettava ancora, non fosse nè pur possibile sottometterle ad un giudizio, e questo è forse la prevenzione che resta più difficile da combattersi e da sradicarsi. Ma parendo a noi questa una prevenzione niente fondata, come in appresso diremo, abbiamo creduto che restasse ancora ai progressi della società civile a fare questo passo importante, nel quale veggiamo un vero ed essenziale avanzamento; che restasse a dividere la suprema autorità in due parti, supreme egualmente nella loro linea, l' una delle quali presiedesse alla giustizia politica, e l' altra all' amministrazione, e quella rendesse giustizia ai membri della società contro le offese attentate a nome della autorità contro di essi, ed alle minorità contro il dispotismo delle maggioranze, parte importantissima che manca presentemente a tutte le società civili, la qual sola renderebbe perfetta nella società l' amministrazione della giustizia ed effettuerebbe quella eguaglianza giuridica che hanno tutte le persone fra loro sì individuali, che collettive. A dimostrare che l' istituzione di questo Tribunale politico è necessaria alla perfezione della società civile, comincierò dal fare osservare, che anche s' egli non esiste, fa sempre d' uopo che innanzi ad ogni disposizione governativa preceda un giudizio sulla giustizia della medesima, un giudizio privato che faranno i governatori stessi, senza sindacabilità, ma pure un giudizio. Il che è vero qualunque sia la forma che abbia il governo. Chi non ha rinunziato totalmente alle idee morali, o vero chi non pretende, inconseguente con sè stesso, che la morale sia bensì qualche cosa, ma debba essere esclusa dalle disposizioni politiche, vedrà incontanente la verità della enunciata proposizione: vedrà che i regolatori della società non possono fare una disposizione, se prima non credono, che ella sia conforme alle leggi della eterna giustizia ed equità; e perchè lo possano credere, debbono aver portato un giudizio sopra la stessa. Questo giudicio rimesso in fine del conto alla coscienza de' governanti, non solo nei governi assoluti ma ben anco ne' governi costituzionali e repubblicani che fin qui si conoscono, se è fatto bene, rende le disposizioni politiche innocue al bene dei particolari membri della società. Solamente mediante questo retto giudicio tutti i diritti, anche i più piccoli ed appartenenti alle persone meno influenti, possono essere riparati dal peso enorme del sociale potere sotto cui altrimenti sono in pericolo di venire schiacciati. Giacchè il giudicio è sempre libero, e un giudicio simile a questo non riposa che sopra un' esatta cognizione dei principŒ della morale e del diritto e di più sopra la disposizione retta della volontà, ne viene che queste due buone qualità, cioè la cognizione e la rettitudine, sieno in ultima analisi le due sole salvaguardie de' diritti del debile contro il forte, e del particolare contro il potere o contro la maggioranza dei cittadini. Ma d' altra parte egli è impossibile che chi ha la forza in mano non sia tentato di abusarne, ed è impossibile che nella società, qualunque sia l' ordine che vi si stabilisca, non vi abbia finalmente un' autorità suprema ed anche una forza suprema: dunque è impossibile di levare dalla società il caso in cui non si ritrovi la detta tentazione. Quando anche le forze fisiche fossero distribuite nella società in perfetta eguaglianza, le dette forze non riuscirebbero eguali nel loro effetto per la diversità delle forze morali: l' opinione della propria forza infonderebbe tuttavia una diversa misura di coraggio ai diversi uomini; ed è l' opinione della forza ed il coraggio, assai più che le forze fisiche, ciò che muove l' uomo ad intraprese che vengono ad aggravare sopra i suoi simili. Giova certo oltremodo persuadere gli uomini di questa grande verità, che la conservazione della giustizia è di un comune vantaggio, ma questa stessa persuasione così utile, e che si vede di secolo in secolo far progressi nell' uman genere in ragione della diffusione dei lumi; questa persuasione che sembra sottomettere la giustizia all' utilità, e rendere quella amabile per amore di questa, è una nuova prova, che l' umanità nella sua generalità si va migliorando, e che diventa più suscettibile dei sentimenti morali. Infatti qual può essere la disposizione di quegli uomini che s' inducono a rispettare la giustizia sul riflesso ch' essa è generalmente utile? Non è certo un tal rispetto della giustizia, a questa ragione appoggiato, bastantemente puro, il concedo: ma nulladimeno la disposizione di tali uomini riesce tale, che essi oggimai temono più i danni che possono venire loro apportati, quando la giustizia venga dagli uomini trascurata, che non isperino dei vantaggi dalle stesse loro ingiuste intraprese sugli altri uomini, il che li muove finalmente ad attenersi ai dettami della giustizia, a stimarla e finalmente a riconoscervi anche un intrinseco pregio. Ora tale non è la disposizione di un uomo estremamente avido di acquistare e rapace; perocchè questi sente d' avere in sè stesso una forza che gli dà la sua stessa immoralità maggiore di quella che hanno gli altri uomini: perciò più spera d' acquistare, che non tema di perdere; anzi spera senza temere: chè l' avidità lo occupa assai più di ciò che può egli contro gli altri, che non di ciò che possano gli altri contro di lui. Egli è dunque necessario di ricorrere sempre in fine del conto, per trovar una tutela ai diritti dei deboli contro ai forti, ad un fondo di moralità, benchè imperfetta, che si ritrovi nei forti; senza del quale non può consistere il genere umano. A torto questo ultimo fondamento della conservazione dei diritti e però dei beni di tutti, la buona fede, la rettitudine, la moralità, su cui riposa la tranquillità e l' esistenza stessa del genere umano, sembra fragile ed accidentale: egli è l' unico, e però bisogna contentarsene: qualunque meccanico ripiego, qualunque organizzazione esterna della società non può renderlo inutile ed ella è una speranza ridicola, non mi stancherò di dirlo, quella dei politici materiali di poter trovare un ordine politico di cose che non abbia il suo ultimo sostegno nella moralità, nel quale perciò non si esiga qualche sorta di virtù in quelli che hanno o credono d' avere in mano la forza, perchè non ne abusino. Sia pur dunque per molti alquanto strano, pure egli non cessa d' essere verissimo, che il modo, onde i diritti dei deboli sono tutelati, non è altro che la buona volontà di quelli che potrebbono offenderli e non vogliono farlo, perchè non giudicano di doverlo fare. Questi che potrebbero offenderli sono in primo luogo indubitatamente quelli che governano la società, i quali hanno il maggior potere nelle mani, e questo vale tanto se il governo è regio quanto se è repubblicano: poichè quando anche noi supponessimo la più assoluta democrazia, quale nè pure è possibile che si concepisca, ancora saremmo nello stesso caso, potrebbe sempre la maggiorità dei cittadini tiranneggiare la minorità. Egli è dunque evidente, che ogni disposizione governativa per esser buona, deve essere preceduta da un giudizio sulla sua rettitudine e giustizia; come pure che la bontà di questo giudizio è l' ultimo appoggio della sicurezza dei diritti de' particolari membri della società. La necessità di tal giudicio rimane ferma, anche a fronte di tutte quelle obbiezioni che fossero rivolte a provarne la sua difficoltà ed incertezza; le quali non provano mai ch' egli non sia necessario, proveranno tutt' al più una verità troppo disorrevole agli uomini, che non si può arrivare a tutelare pienamente i beni e i diritti di tutti e in tutti casi contro l' umana tristizia. E` dunque da ritenersi come cosa dimostrata che a tutte le disposizioni politiche, acciocchè riescano quali debbono essere, deve precedere un giudicio sulla loro giustizia. Questa necessità è intrinseca ed è necessità di morale e di utilità. E` necessità di morale, perchè avanti a tutto una legge che è eterna prescrive che sia fatto il giusto. E` necessità di utilità; perocchè le disposizioni ingiuste del governo impediscono che la società civile ottenga il suo fine, contengono una violazione dei diritti dei cittadini a danno o dei particolari, o delle minorità, o della parte debole o di tutto il corpo sociale. Dunque fra tutte le cose quella della massima importanza per la civile associazione si è che sia fatto un giudizio retto sulla giustizia di tutte le disposizioni governative, e che queste ubbidiscano a quel giudizio. Allorquando questo giudizio è intieramente abbandonato ai governatori della società e non è sindacabile, allora vi ha il governo assoluto. Se i governatori fossero infallibili, il governo assoluto non avrebbe alcuno inconveniente. Ma l' infallibilità è solo propria di Dio, e però a Dio solo spetta senza inconvenienza il governo assoluto. Vi hanno dei casi, nei quali anco nella società umana non si può avere altro governo che l' assoluto. Quando la moltitudine si trova ancora in uno stato di barbarie, di rozzezza, d' ignoranza, a niuno viene in mente che gli atti del governo possano soggiacere a qualche sindacabilità: tutt' al più si ripulsa la violenza colla violenza: le vie di fatto non hanno ancora ceduto il luogo alle vie di diritto. A niuno viene in mente nè manco la possibilità di guarentigie che possano esser date dall' autorità suprema al popolo: a niuno viene in mente di domandarle: tutti sentono il bisogno di ricevere una direzione, un ordine, una unità che non saprebbero dare a sè stessi. In questa condizione di cose tutto ciò che si può fare si è che sieno eletti dei buoni governatori, ai quali il popolo ciecamente si sottometta. E questo è già un gran passo: in una condizione ancora inferiore la moltitudine riceve quel capo o quel governo che s' impone a lei da sè stesso o con violenza, o con astuzia o con bontà e virtù. In entrambi i casi la sorte della moltitudine è rimessa per intero alla coscienza dei governatori: questa coscienza e i lumi di cui è fornita, qualunque sia, è l' unica guarentigia dei diritti del popolo. Di mano in mano che il popolo si istruisce e le facoltà intellettuali e morali si svolgono; di mano in mano che la moltitudine esperimenta dal potere ingiustizie e vessazioni, le quali la risvegliano e con una penosa esperienza la rendono diffidente del potere, la disingannano della credenza che aveva nella illimitata sapienza di chi la governa; si manifesta prima il bisogno di una difesa dei proprŒ diritti e poscia sorge il pensiero della possibilità di averla, e finalmente si tenta di averla, domandando od anzi strappando qualche guarentigia ai dominanti, qualche limitazione del loro assolutismo. Allora è incominciato nella società civile, che vuole migliorare il suo ordinamento, un lavoro importante, ma difficile, un lavoro lungo, graduato che richiede dei secoli a compirsi, e che si riduce alla soluzione di questo problema: « In che maniera si può ottenere che il governo civile dia a tutti i cittadini sufficienti guarentigie, le quali assicurino la giustizia delle sue disposizioni. » Quando il governo resiste a questo lavoro che si opera nel popolo, specialmente quando resiste in un modo artificioso ed astuto, che è una resistenza più durevole, allora viene il momento in cui vi ha rivoluzione. Se il lavoro di cui parliamo, che rende il popolo voglioso di guarentigie si va operando in tutta la massa del popolo stesso, la rivoluzione è democratica. Se si va operando soltanto nella classe più elevata, che è quella che solitamente arriva la prima ad un grado di istruzione sufficiente per conoscere il dispotismo governativo, vi ha rivoluzione aristocratica. Molte rivoluzioni aristocratiche v' ebbero in Europa dopo che ella fu illuminata dal cristianesimo, e le ultime furono quelle che accadero nella Inghilterra: la prima rivoluzione democratica, quella almeno che abbia avuto un grande effetto popolare, fu la francese; le resistenze dei Borboni l' occasionarono. Ma che cosa fa la rivoluzione? Che cosa ottiene? Non più di quello che il popolo sa volere. Per conoscere dunque che cosa ottenga una rivoluzione conviene vedere che cosa sappia il popolo che la fa, che cosa sappia intorno al problema che abbiamo indicato: « In che maniera si possa ottenere che il governo civile dia a tutti i cittadini sufficienti guarentigie, le quali assicurino la giustizia delle sue disposizioni. »Il popolo che ha trionfato nella rivoluzione dimanda al nuovo governo tutte quelle guarentigie che egli conosce utili a tutelare i suoi diritti. Nella scelta o nella istituzione del nuovo governo egli dà o prescrive a lui quelle forme che egli crede più confacenti a quelle guarentigie: non domanda e non pretende di più perchè non sa di più, e non può volere altro che quello che sa. Quindi il nuovo governo figlio della rivoluzione è ben lontano da corrispondere alla vera soluzione del problema sociale, cioè di dare guarentigie sufficienti ad assicurare i diritti di tutti, perchè la soluzione di questo problema difficilissima fu eseguita secondo la misura della scienza popolare e però ancora imperfettamente. Il governo nuovamente rifabbricato contiene ancora in sè l' assolutismo sotto forme diverse, e un assolutismo talora minore ma talora anco maggiore. E se si cerca la ragione di ciò, la ragione dell' imperfetta soluzione del governo sociale, si troverà che ella si riduce sempre a questa: si pensò a limitare la potenza del governo, a impedirgli o a difficultargli quegli atti che furono esperimentati nocevoli nei governi precedenti, ma non si pensò a controllare il giudizio sulla giustizia di tutti i suoi atti: la responsabilità di questo giudizio fu pel maggior numero de' suoi atti abbandonata puramente alla sua coscienza. Essendosi dunque in parole proclamata la liberta, è rimasto l' assolutismo nel governo, questo passa o presto o tardi in dispotismo, e torna a vessare i popoli con ingiustizie più o meno coperte (prodotte da incapacità o da passioni egoistiche egli è il medesimo) torna a ingannarli tessendo dei veli più o meno densi alle proprie ingiustizie, e il popolo di mano in mano che più si istruisce più ancora apre gli occhi, e si irrita fino a tanto che il risentimento giuridico scoppia in una nuova rivoluzione, la quale rovescia di nuovo il governo e ne fabbrica un nuovo da cui tutto si spera: la giustizia e la libertà si proclamano e si credono assicurate per sempre. Ma il fatto è ben diverso, poichè la costituzione del nuovo governo corrisponde ancora alla scienza limitata del popolo e dei capi popolo che lo hanno istituito, alla soluzione che essi hanno saputo dare al problema sociale delle guarentigie, soluzione che forse si è operata alla stessa foggia come nel precedente rovescio, cioè non prendendosi già a sciogliere il problema in se stesso sommettendo al calcolo gl' intrinsici suoi dati e facendosi carico di tutte le sue condizioni; ma cercando unicamente tali forme di governo, tali leggi costituzionali, tali guarentigie in una parola che ovviassero ai disordini particolari del governo precedente senza andare alla radice dei medesimi. Così gli Stati camminano di rivoluzione in rivoluzione, e non possono arrestarsi in questa serie di dolorose vicende fino a tanto che non abbiano espulso dai visceri de' loro governi il dispotismo sotto tutte le forme, e così li abbiano resi veramente civili obbligandoli ad adoperare non più coll' arbitrio, ma secondo la norma della giustizia. Ora a questo si sarà pervenuto solamente allora che nella società vi sia un Tribunale venerabile ed indipendente, il quale sia incaricato alle opportune occorrenze di chiamare a censura la giustizia di tutti gli atti del governo, di tutte le leggi, eccetto la legge costituzionale come si dirà in appresso, la quale deve anzi servire di codice al detto Tribunale, sul quale pronunciare e motivare le sue sentenze. Veduto che non si può espungere dal seno della società civile il dispotismo se non a condizione che si completi l' ordine dei Tribunali che amministrano a tutti la giustizia, coll' aggiungersi ai Tribunali che giudicano delle azioni private de' cittadini altri Tribunali incaricati di portar sentenza della giustizia delle azioni pubbliche del governo, noi dovremmo venir descrivendo e divisando meglio questo officio de' politici Tribunali che proponiamo. Ma gioverà prima che accenniamo l' organismo che pare più convenevole d' attribuirgli, senza la cognizione del quale non si potrebbe definire il modo del suo esercizio. Che egli abbia una prima, una seconda, ed una terza istanza collocate nei Distretti, nelle Provincie e nella Capitale sembra consentaneo alla regolare amministrazione della giustizia: due sentenze uniformi finiscono la causa. Noi crediamo che annessa a questo Tribunale debba esservi altresì un' assemblea di giurati, non già perchè ella giudichi del fatto o del diritto nel merito della questione, ma per un ufficio preliminare e speciale, che descriveremo più sotto. Egli è nondimeno manifesto che ai Tribunali distrettuali o provinciali non si potrebbero affidare quelle cause le quali trattassero della giustizia degli atti emanati dai supremi poteri dello Stato, cause gravissime e talora difficilissime: debbono dunque queste essere riserbate alla suprema corte di giustizia che nelle cause minori costituisce la terza istanza. Ora posciachè nella trattazione di tutte le cause è da ritenere il principio delle tre istanze, converrà che per le cause maggiori il supremo Tribunale politico ammetta le tre istanze in sè stesso, venendo formata la prima con un collegio di un terzo dei suoi membri, la seconda con un altro collegio composto dei rimanenti due terzi, e la piena seduta del Tribunale formando la terza. La gravità e l' importanza di questo consesso, che dee limitare entro i confini della giustizia gli altri supremi poteri dello Stato, esige che il numero dei suoi membri sia ragguardevole e proporzionato alla popolazione dello Stato. Converrà dunque fissare la proporzione che deve osservarsi fra il numero dei membri del Tribunale supremo e il numero di ciascuna delle due camere che formano il parlamento. Questa proporzione sembra poter essere che il Tribunale supremo abbia un numero di membri pari alla metà dei membri di una Camera. Il Tribunale di cui parliamo non deve già essere un' inquisizione; anzi nulla deve fare d' ufficio: è un puro Tribunale, il quale aspetta che vengano a lui quelli che hanno dei richiami a fare, porgendosi all' esame delle ragioni che gli presentano e di quelli che oppone la parte contraria. Sui detti richiami egli pronuncia della giustizia o ingiustizia di tutti gli atti del governo come pure dell' abuso che i cittadini potrebbero fare dei diritti che loro accorda la Costituzione a danno della società quali sarebbero quelli della libertà della stampa, dello insegnamento ecc.. Più brevemente egli giudica dei diritti politici e della loro violazione sia per parte del governo sia per parte dei governati. In questa sfera di materie sottoposte al Tribunale politico non si debbono comprendere i diritti di alto tradimento che vengono rimessi ai Tribunali comuni, e niun altro delitto contro una legge certa e determinata o contro un diritto incontroverso che pure appartengono ai Tribunali civili e criminali, perocchè l' intendimento di questa istituzione del Tribunale politico è unicamente quella che v' abbia nello Stato un' autorità incaricata di giudicare dei principŒ: se esista la legge, cioè se la legge è giusta, (giacchè non essendo giusta non si dee dire che esista), se esista il diritto che si pretende violato, non meramente se si dia il caso della violazione; e quando la legge o il diritto è indeterminato quali sieno i confini che lo determinano. Ora il delitto d' alto tradimento è una semplice violazione di una legge e di un diritto certo e determinato, perocchè il diritto che ha il governo di non essere tradito è fuori di controversia: così si dica di tutti gli altri delitti contro una legge o un dovere giuridico che non ammette dubbio nè ha bisogno di determinazione. All' incontro se la questione si volge sulla legge, se trattasi di sapere se ella sia stata portata giustamente o con infrazione dei diritti di qualche cittadino, la cosa non può essere riferita che al Tribunale politico. Così pure se la legge o il diritto indeterminato, come sono i diritti delle libertà accordate dalla costituzione, e vuol sapersi se di quel diritto fu abusato, tocca al Tribunale politico decidere perchè questa decisione importa una determinazione dei limiti della legge e del diritto che dee premettersi volendo rilevare se vi fu il caso d' abuso. Del pari la censura di tutti gli atti del governo, fatta dietro il richiamo di quelli che se ne tengono offesi, appartiene al Tribunale politico, perocchè anche in tutti questi casi trattasi d' interpretare e di determinare la legge costituzionale per sapere se fu violata dal governo in se stessa o nelle sue conseguenze. Questa separazione delle materie che sono di competenza del Tribunale politico, da quelle che sono di competenza dei Tribunali comuni, mi sembra la più esatta. Ma qualora paresse troppo sottile e atta a produrre nella pratica frequenti questioni di competenza, si potrebbe stabilirne un' altra più positiva nel modo seguente: La legislazione dello Stato è scritta nella costituzione e nei codici e leggi annesse: questi e queste devono essere dettate in perfetta coerenza con quella: tutto ciò che vi avesse in queste di contradditorio a quella è invalido e di niuna autorità. Ogni Tribunale dee appoggiare le sue sentenze alle leggi scritte ed alle loro conseguenze che sono implicitamente contenute in quelle. Ora il Tribunale politico è il custode della Costituzione: gli altri Tribunali sono i custodi delle altre leggi: il Tribunale politico dee appoggiare le sue sentenze sempre a qualche articolo della Costituzione; gli altri Tribunali a qualche articolo delle altre leggi. Ogni imputazione davanti ad un Tribunale dello Stato deve essere anch' essa appoggiata a qualche articolo di legge. Se l' imputazione si fonda o può esser fondata sopra a qualche articolo di quelle leggi che sono state portate fuori della Costituzione, la questione è di competenza dei Tribunali ordinarŒ. Ma se l' imputazione non ha altro fondamento possibile che qualche articolo della stessa Costituzione, allora la causa è di competenza del Tribunale politico. Quindi ogni qualvolta trattasi della giustizia d' una legge inferiore alla Costituzione, la causa appartiene al Tribunale politico. Così pure ogni qualvolta trattasi d' un atto del governo che non offende altra legge se non la Costituzione, spetta portarne sentenza al Tribunale politico. Distinta cosi la competenza dei due ordini di Tribunali per conoscer meglio l' officio del Tribunale politico, conviene indicare quali persone giuridiche possono essere attrici dinanzi al medesimo. Primieramente al potere legislativo è lasciata la facoltà di consultare il Tribunale politico sulla giustizia di una legge prima di promulgarla. Questa consultazione dee essere riserbata unicamente alla suprema corte di giustizia politica; ma la domanda dee esserne fatta unicamente al Collegio di prima Istanza di questo Tribunale, e ciò senza che possa essere portata alla seconda e terza Istanza ancorchè la prima Istanza la dichiarasse ingiusta; e ciò perchè non sia preoccupato il ricorso che potessero fare i cittadini in qualunque sia tempo contro alle leggi innanzi al Collegio d' Appello e alla piena seduta. Se il Collegio di prima Istanza niente trova nella proposta di legge di contrario alla giustizia, egli vi appone il suo nihil obstat , e la registra. Se vi scorge qualche ingiustizia ne dee dare i motivi al potere legislativo; e questo rimane tuttavia libero di promulgarla o no. Qualora la promulghi, riportandosi così al giudizio del pubblico, ella ha pieno vigore fino che non insorgono reclami contro di essa, nel qual caso il Tribunale supremo giudica della causa, senza riguardo alla consultazione avvenuta. Qualora poi la legge sia stata registrata dal Collegio di prima Istanza, il richiamo non può farsi che in Appello. Ciascuno dei poteri che concorrono alla formazione delle leggi, cioè le due camere ed il re, può anch' egli consultare il primo Collegio del Tribunale supremo intorno alla giustizia della proposta di legge, ma questa consultazione dee farsi contemporaneamente ai dibattimenti delle Camere, i quali non devono essere per tale motivo dilazionati. Il re può consultare il Tribunale supremo anche sulla giustizia d' una guerra o di altra relazione coll' estero: consultazione che secondo quello che esige la natura della cosa dee trattarsi in segreto; nè il re tuttavia rimane obbligato a seguire la sentenza del Tribunale. La consultazione che fa il re per la giustizia delle relazioni esterne può essere ugualmente proposta all' uno dei due Collegi o al Tribunale in piena seduta. Colla sola aggiunta di questo Tribunale politico il primo carattere della società naturale, cioè la giustizia, avrebbe trovato tutto ciò che ad esso è necessario per realizzarsi e per tutelarsi. Ma non già con eguale facilità si può indicare il modo di introdurre nelle presenti società civili il secondo carattere della società naturale, cioè a dire la regolarità . Poichè gli uomini non hanno già pensato a questa, come sono stati costretti di pensare tantosto alla giustizia , come quella che è immediatamente necessaria alla società umana e senza la quale non sussiste. La giustizia è un' idea morale e perciò sempre splendida, sempre luminosa a tutti gli uomini, mentre la regolarità della società non è che un' idea politica, un' idea per ciò complicata di molte idee, o un calcolo della sempre cupa prudenza. La regolarità finalmente a quel modo che noi l' abbiamo concepita non è che un mezzo per sottrarre gli uomini quanto più sia possibile alle tentazioni di infrangere la giustizia, e gli uomini pensano sempre prima al fine che al mezzo. Anzi egli è pur singolare quella spensieratezza che si osserva negli uomini e tardità nel curare i mezzi che possano assicurare il conseguimento di quei fini che pur desiderano conseguire: una certa inerzia da una parte e un divagamento della loro attenzione, una soverchia confidenza dall' altra in se stessi o in quei pochi mezzi che più ovvii si sono lor presentati fa sì che sebbene desiderosi d' arrivare a qualche splendido scopo, pure ignavamente il perdono pel non bastevole acquisto ed uso dei mezzi, o vero, rimanendo questi anzi scarsi che abbondevoli, conseguon lo scopo o tardi o debilmente. Ma egli avviene ancora che v' hanno talora de' mezzi ad ottenere qualche scopo che pur sommamente desiderano, i quali nè pur s' immaginano che possano esistere, e ai quali perciò non pensano deliberatamente fino che il loro pensiero spinto qua e là da una lunga successione di cose, e da un cumolo singolare di circostanze, non venga tratto sopra dei medesimi accidentalmente. Egli è fra questi mezzi obliati generalmente, e per lungo tempo nè pur sospettati, che io credo si debba mettere gli equilibri che abbiamo indicati nel fine della prima parte e che tutti insieme danno alla società il secondo carattere della sua perfezione, cioè la regolarità . Essi furono bensì talora traveduti quando le circostanze s' univano per aprire gli occhi agli uomini, e per mostrar loro ciò che l' istantanea esigenza delle cose addimandava. Ma erano traveduti alla sfuggita, e separatamente l' uno dall' altro, e quando il politico veniva indotto dalla natura delle cose a fare qualche disposizione a quelli consentanea, questi solea riguardarla come un rimedio utile ai mali pubblici, ma un rimedio solo di quel caso particolare, un buon tratto pel malore del momento; ma non si sollevava la sua mente a considerarlo con un po' più di generalità a vedere che in quella disposizione si conteneva uno specifico per tutti i mali dello stesso genere, e che quel malore era prodotto da una stessa causa onde provenivano tanti altri mali, e per ciò ad un genere solo appartenenti: che questi mali sociali in somma nascevano da un germe funesto della umana società, e che il rimedio, che aveva tolto via il malore particolare, rimoveva il germe stesso cagione di tutti gli altri malori. Quindi si può dire che i grandi sconvolgimenti delle società civili ed i mali a cui esse si trovarono continuamente soggette condussero talora i governatori delle medesime ad operare in un modo consentaneo ai principŒ della regolarità, e che perciò essi introdussero qualche parte di essa nella medesima, ma che questo fecero, per dir così, senza sapere essi stessi che si facevano, condotti dalla forza naturale delle cose; che perciò non operando dietro un principio, ma solo a tentone come pratici privi d' una teoria, hanno dovuto lasciare nelle società civili delle irregolarità innumerevoli, nel tempo stesso che vi lasciavano qualche traccia di regolarità; e tale si può dire che sia il presente stato delle medesime. Egli è da aggiungere ancora un' altra osservazione, che rende ragione di un fatto umiliante, a dir vero, per l' umana natura, cioè che si trovino traccie di maggiori regolarità in quelle società civili che sono state più crudelmente agitate da convulsioni intestine, e dove più frequentano i delitti e trionfa la scostumatezza. Di che la ragione è questa che la regolarità non è che i mezzi onde si prevengono le infrazioni morali, e si sottraggono agli uomini le tentazioni a turbare con esse la società: dei quali v' ebbe maggior bisogno nelle società più corrotte, e più agitate dalle fazioni: perciò doveva questo bisogno acuire maggiormente gl' ingegni degli uomini a inventare a mali sì grandi ripari e provvedimenti, e perciò ancora a cercare ciò che scemasse le occasioni di mal fare agli uomini, regolando la società in modo che nell' ordinamento della medesima il meno possibile se ne contenessero. E in fatti la regolarità , secondo carattere della società naturale, non è altro che quella disposizione della medesima, la quale dia il men possibile agli uomini gli impulsi e le tentazioni d' infrangere la giustizia e turbare la società, la quale disposizione viene espressa dai cinque equilibri che formano la teoria della medesima. Questa teoria per tanto non fu mai chiaramente veduta e stabilita, nè mai si cercò di realizzarla nelle società, sebbene il caso o l' unione di molte circostanze abbiano condotto sovente gli uomini politici ad agire senza avvedersene in un modo consentaneo alla medesima. Dovendo adunque noi adesso trattare di questa regolarità, ci è necessario di sostenere due fatiche egualmente rilevanti; cioè: 1 Descrivere una società perfettamente regolare, la quale sia come la regola e l' ideale a cui paragonare le società civili sussistenti, e conoscere i pregi ed i difetti della loro costruzione: 2 Indicare il modo prudente onde gli uomini senza offendere la giustizia, che è il primo e fondamentale carattere della società naturale, possano muovere la società, a cui appartengono, verso la sua perfezione, rivolgendo tutte le sue disposizioni che possono legittimamente fare ad ottenere che essa acquisti la regolarità sopra indiicata e che si accosti sempre più all' ideale proposto. Per formarci l' ideale della società regolare si debbe bensì usare del frutto dell' esperienza, poichè si debbono prender da essa le cognizioni intorno alla natura dell' uomo, e allo sviluppo delle sue passioni mediante la società, si debbono prender da essa le leggi a cui il cuore umano è sottoposto, le diverse trasformazioni ch' egli soffre sotto i colpi dei diversi accidenti, e le molte specie de' fenomeni che sortono dal contatto di più uomini e dall' accozzamento di più interessi. Ma dopo di ciò conviene elevarsi portando seco tali cognizioni ad una sfera più pura, a luoghi più spaziosi, e più sgombri da impedimenti accidentali dove potere fabbricare co' materiali seco portati un edificio caro all' intelligenza, nelle proporzioni del quale risplenda l' ordine e la bellezza, e che quand' anche non potesse giammai essere realizzato pienamente sulla terra, tuttavia rimanesse venerabile come un tipo di perfezione a cui avvicinarsi, da cui solo si può prendere tutto ciò che si può far di bene sulla terra, ed a cui si debbe raffrontare ciò che fatto si trova per conoscere se è retto o se è torto, se merita d' essere conservato, o distrutto e rifabbricato. Le utopie sì antiche come moderne furono derise, ed a ragione; ma non già perchè presentassero il tipo della perfetta società civile, ma perchè nol presentavano: non già perchè proponessero cose tutte degne d' imitazione, ma perchè ne proponevano di quelle che non sarebbe punto stato buono che fossero state dagli uomini imitate. Egli è vero che l' infermità degli uomini non permette che essi attingano in veruna cosa alla piena perfezione, ma egli è falso, che la perfezione non sia lo scopo a cui debbono tendere tutti i voti e le azioni degli uomini. Egli è falso che la perfezione non possa essere imitata: qualunque perfezione può essere imitata, sebbene non a pieno asseguita. Ciò che non può essere imitato è solo quanto è assurdo: ciò che non debb' essere imitato, è solo quanto è cattivo. D' altra parte la perfezione debb' essere presentata agli uomini in tutta la sua eccellenza, perchè non si sa qual parte ne imiteranno, o quale no: non si sa in quante maniere diverse i diversi uomini la imitino: e sebbene si possa credere impossibile che un uomo la imiti perfettamente, tuttavia non si può già sapere, se riunendo insieme tutto ciò che da un esemplare di perfezione proposto all' uman genere imitano gli uomini diversi, non riesca forse tale imitazione completa ed intera, sicchè l' esemplare vedasi tutto realizzato ed imitato dagli uomini, sebbene non tutto da un solo uomo, non in un solo luogo, non in un solo tempo. E parmi anzi questa l' intenzione della divina Provvidenza che non già nell' individuo, ma bensì nella specie umana si avverino tutti quei gradi e tutte quelle parti di una estrema perfezione di cui l' uomo è suscettibile. A tenore di queste idee abbiamo cominciato dall' immaginarci una società o per dir meglio una moltitudine di uomini, che vuole diventar società, nella quale non sia ancor successo alcuno di quei casi accidentali per cui viene accelerato il tempo agli uomini che si trovano nello stato di natura del passare a quello di società civile: i quali casi consistono nell' elevarsi che fa un uomo od una famiglia sopra gli altri per qualche sua virtù o prodezza o avvedimento. Ma invece di ciò abbiamo supposto che i padri di famiglia spontaneamente insieme assembrati pensassero di eleggersi di comune accordo un governo secondo le leggi della equità insieme e della prudenza. Questa moltitudine di uomini può ricevere quel governo qualunque che si crede migliore, perocchè ella non ne ha ancora nessuno, e non v' ha nessuna persona in essa che abbia ancora acquistato il diritto di comandare, la quale se già vi fosse sarebbe certamente un ostacolo allo stabilimento della migliore costruzione della società, perchè il suo diritto sarebbe rispettabile, e sarebbe perciò una condizione che impedirebbe la formazione del progetto di una nuova costruzione. Egli è appunto questa rispettabilità dei diritti già acquistati al governo sociale che rende necessario supporre una moltitudine non ancora associata, ma che vuol associarsi, perchè si possa dare a questa liberamente la forma miglior di governo, e sarebbe l' errore della più atroce tirannia filosofica quello, che è pur comune a' dì nostri, di credere che quando si ha immaginato una forma migliore di governo si sia ancora in diritto di realizzarla dove che sia, senza rispetto a' diritti di quelli nelle cui mani sta già per giusti titoli il regolamento della società. Supponiamo adunque che questi padri di famiglia congregati insieme per darsi quel migliore regolamento sociale che corrisponda il più alle leggi della equità e della prudenza, abbiano scelta una Commissione de' più stimati e de' più savŒ fra loro, incaricata di presentare un progetto, secondo il quale instituire un potere civile, che gli unisca in società. Quale sarebbe il progetto più savio ed equo che questa Commissione potrebbe presentare all' assemblea de' padri? Tal progetto è ciò che ora dobbiamo tentare di esporre. E primieramente per le cose già dette veggiamo di già quali siano le prime basi del medesimo. Perocchè tutto il potere civile dovrà certamente proporsi che venga distribuito in tre parti: le quali sono le seguenti: 1 Il Tribunale politico che abbiamo indicato e che per essere indipendente da qualunque altro potere forma il primo ramo del potere supremo. 2 L' Amministrazione incaricata di amministrare la modalità dei diritti di tutti i membri della società, che forma il secondo ramo del potere supremo. Questi due rami del potere supremo hanno tutti e due un potere proprio e non già delegato da verun altro potere. 3 La Magistratura , la quale non è già un ramo del supremo potere e non ha neppure un potere proprio, ma solo ha un potere delegato dall' Amministrazione della società: essa è la parte esecutiva, come l' Amministrazione è principalmente la parte legislativa, ma la seconda non è che una serva della prima. Queste tre branche in cui vien diviso dal progetto della Commissione il civile potere, esigono di essere da noi trattate partitamente. Ritorniamo alla nostra Assemblea dei Padri di famiglia. La Commissione da' Padri trascelta dopo aver formato o piuttosto abbozzato il progetto del Tribunale politico che venimmo di descrivere, non credette bene di presentarlo tantosto all' assemblea dei Padri, prevedendo che avrebbe incontrato delle grandi opposizioni, come quello che esigeva prima la cognizione di molti principŒ di giustizia, che tutti non potevano egualmente avere, e nei quali bisognava prima che ben insieme convenissero. Per ciò pensarono in quella vece di prendere un' altra via, e invece di presentare il progetto del Tribunale politico così staccato procurarono di condurli un passo dopo l' altro da sè stessi a rinvenire insieme e l' ottima forma della Amministrazione, e la necessità del Tribunale. Venuto adunque il giorno della sessione, in cui la Commissione doveva riferire ai Padri lo stato dei suoi lavori, essa si restrinse a farli convenire, che l' associazione che cercavano di fare insieme non era altro, che l' instituzione di una amministrazione della modalità dei diritti di tutti quelli uomini che dovevano convivere in detta società. Spiegata la parola modalità per i modi diversi nei quali può esistere un diritto senza perdere menomamente del suo valore, la Commissione dimostrò, che coll' avervi un Potere, il quale potesse variare questi modi dei diritti, secondo che più giovasse, nessuno perdeva, e invece altri guadagnava: poichè il socio al quale si cangiava il modo di essere del suo diritto, non perdeva nulla; mentre che il suo diritto, per essere piuttosto in un modo che in un altro, non veniva punto a perdere del suo valore, ma tutto era scrupolosamente a lui conservato; e che questo doveva essere il vantaggio principale dell' instituzione, a formar la quale s' erano ragunati. Dimostrò ancora che questo Potere, a cui si sarebbe commesso di stabilire la modalità dei diritti di tutti i socŒ, non che venisse a disporre dei diritti dei medesimi, cioè del loro valore, anzi veniva ad essere incaricato della loro difesa, mentre tutte le lesioni di diritto che i soci si facessero fra di loro appunto perchè alteravano i diritti, alteravano ancora quell' ottima modalità, che era dover del Potere in discorso di stabilire e di rendere anche colla forza rispettata. Questo discorso acquietò l' animo di molti dei Padri, i quali si erano con grandissima difficoltà indotti a venire all' assemblea: poichè sospettavano, non avendo idea chiara di ciò che si voleva fare, che la nuova instituzione non andasse a ferire i loro diritti, e che il nuovo Potere che si voleva erigere fra di loro, al quale fossero tutti subordinati, non venisse a comandare nelle loro famiglie e a disturbarli nel possesso dei loro beni. E questa era l' idea che era entrata nelle famiglie più doviziose e nella mente dei più vecchi, che riguardavano come una pericolosa novità l' associazione proposta: e che formavano insieme una fazione assai forte. Ma quando ebbero chiaramente intesa l' idea della cosa, e quando viddero che non si trattava di altro che di stabilire una amministrazione al solo fine che determinasse sempre l' ottima modalità dei diritti, e che lungi dal toccare i diritti di alcuno non avesse altro potere che di difenderli e di migliorarli, essi viddero subito il vantaggio della cosa, mentre l' esperienza avea loro fatto conoscere, quanti mali nascevano dal non aver una comune volontà che definisce la detta modalità dei diritti, e dal non aver una comune forza da difenderli. Laonde approvarono tutti l' idea dell' instituzione, riservandosi solo di vedere che il modo di eseguirla corrispondesse allo scopo, e che si avesse veramente tale instituzione che regolasse la modalità di tutti i diritti, senza ch' essa trapassasse i suoi confini. In altra sessione la Commissione pensò di tirare una inaspettata conseguenza dai principŒ posti nella sessione precedente, intorno la natura della società che si voleva stabilire, e ricevuti con universale applauso. E la conseguenza si fu, che dal punto che si era stabilito che l' instituzione che andavano a fare doveva avere per suo scopo la modalità di tutti i diritti, conveniva trattare con tutti quelli che avessero dei diritti: e perocchè dei diritti hanno tutti gli uomini senza eccezione, qualunque fosse il loro stato o condizione, tutti dovevano esser fatti entrare nella Assemblea, e con tutti egualmente si doveva trattare. Proponeva per ciò che anche le donne e i figliuoli di famiglia e i servi, e tutti quelli che avessero avuto l' uso di ragione, fossero chiamati ed uditi indistintamente, mentre l' instituzione che si andava a fare riguardava anche essi, perchè anch' essi avevano dei diritti, che si trattava di sottomettere quanto alla loro modalità al potere che si voleva instituire. Trovò tale proposizione la più grande opposizione nei Padri, ai quali pareva che con ciò si attentasse al loro potere sui figliuoli, sulle mogli e sui servi; e che fosse cosa la più contraria alla loro dignità chiamar questi nell' assemblea, e atta a dar loro una baldanza, che avrebbe alterato l' ordine delle loro famiglie. Qualcheduno dei più avveduti credette ancora di vedere nella proposta della Commissione conseguenze più lontane e più funeste, per le quali quella instituzione in luogo di unire le famiglie fra di loro, e di farle fiorire mediante questa unione, scopo della medesima, avrebbe portato lo scioglimento di ciascuna famiglia, e l' instituzione della società civile sarebbe finita anche colla distruzione della società famigliare. Tanto dava da temere il principio di considerare gli uomini come individui, ciascuno dei quali avesse dei diritti da sè, e con essi concorresse a formar come membro la civile società. La Commissione rispose che le obbiezioni che le si facevano, dimostravano ch' ella non era stata ben compresa o che non si era a sufficienza spiegata. Domandando dunque attenzione per ispiegarsi meglio, cominciò dal dimostrare, ch' ella è cosa innegabile, che ogni uomo abbia dei diritti, i quali, appunto perchè sono coll' uomo innati, si possono chiamare i diritti dell' uomo: che per questi però non si possono intendere dei diritti vaghi e generici, ma che debbono essere determinati e precisi: che si può bensì sbagliare nello stabilirli, ma che il negarli è impossibile; che l' opinione di alcun membro della Commissione restringeva i diritti dell' uomo a due soli, cioè: 1 la personalità, 2 la vita; che quando anche questo secondo potesse esser conteso pel diritto del padre anche sopra la vita del figliuolo, tuttavia non potrà mai essere conteso il primo; e che rispetto a questo secondo, se il padre ha diritto sulla vita del figliuolo, ha anche degli obblighi verso la medesima. Possono i padri far ciò che vogliono dei loro figliuoli? dato anche ad essi un diritto sulla lor vita nel caso di colpa, possono torla a loro capriccio? Non è egli il padre un uomo ragionevole che non può perciò far nulla, non solo verso i suoi figli, ma nè verso se stesso di ciò che offenda la dignità umana? L' autorità dei mariti sulle mogli e sui servi non debbe anch' essa esser ragionevole? non ha un limite messo dal suo stesso fine? non dovrà aver un freno contro alle passioni? Se la società che vogliamo stabilire debbe esser rivolta a difendere i diritti, tenderà essa a difendere i diritti dei forti, che non hanno bisogno di difesa, o pure quelli dei deboli che si rimangono indifesi? E se i diritti dei deboli, chi più deboli dei figliuoli rispetto ai padri, delle mogli rispetto ai mariti, dei servi rispetto ai padroni? Rammentiamoci che siamo tutti figliuoli prima d' esser padri, che il bene dei figliuoli non è che il bene dei futuri padri e delle future generazioni, e che la giustizia infranta dai padri verso i loro soggetti gli espone ad una reazione dei medesimi, o ad una punizione divina. Ma supponiamo pure che i figliuoli non abbiano giammai uno stretto diritto di richiamarsi contro i padri, prima d' essere emancipati: supponiamo (e questo al tutto non può sostenersi) che si possa fare lo stesso discorso della moglie e del servo: non ne verrebbe per questo che la società civile, che vogliamo istituire, non debba prendere cura anche di queste persone; perocchè dovendo essa, secondo la massima che abbiamo abbracciato, stabilire l' ottima modalità dei diritti, deve vegliare di conseguente perchè il padre, il marito, il padrone, non passino i loro confini; mentre il passarli è un guastare l' ottima modalità, se pur si dà qualche pregio all' onesto ed al giusto, e non si credono vani nomi. La proposizione adunque che nella instituzione che vogliamo fare della società civile sieno introdotti e sentiti tutti i generi di persone purchè giunti all' uso di ragione, non deve adombrarvi quasi tendesse ad indebolire le vostre legittime potestà, mentre non ha altro scopo che di giungere a riconoscerle con accuratezza, e stabilirne dei precisi confini, acciocchè nessuno si lasci trasportare dalle passioni ed abusare del suo potere, e non produca (ciò che una funesta esperienza dimostra pur troppo spesso avvenire) quei mali che desolano le famiglie, che le riempiono di atroci inimicizie fra figli e padri, mogli e mariti, servi e padroni, inimicizie che poi serpeggiano di casa in casa e passano d' una generazione infelice ad un' altra generazione ancora più infelice. L' introdurre alla vostra presenza gli altri membri delle vostre famiglie non è dar loro alcun diritto; mentre con ciò non s' istituisce ancora la civile società; ma solo si tratta della sua instituzione: e se questa per istituirsi secondo le basi dell' equità ha bisogno di prendere cognizione dei diritti e dei doveri di tutte quelle persone che debbono entrare in essa, d' altra parte essa non potrebbe giammai alterare questi diritti; mentre non ha altro scopo ed altro potere che di difenderli, e ben ammodarli. Egli è poi ancor meno ragionevole il timore di quelli che dubitano che colla proposta che abbiamo fatto si dia troppo risalto e troppa forza ai diritti individuali, per la quale perdano relativamente di forza quei diritti che legano gli uomini insieme, mentre anzi noi protestiamo aver in animo che la società di cui si tratta debba essere rivolta a difendere imparzialmente sì gli uni che gli altri, e perciò anche a rafforzare questi secondi, non dovendo essere veramente la istituzione che si vuol fare se non una maggiore fortificazione di tutti i diritti degli uomini. Per tali dichiarazioni e proteste consentirono i Padri a completare l' assemblea secondo la proposta della Commissione, e a dar luogo in essa a tutte le condizioni di persone come ad un buon espediente a riconoscere tutti i diritti e doveri, la modalità dei quali era lo scopo della instituzione desiderata. La Commissione cominciò in una terza sessione a dire, che si compiaceva di essere in caso di far conoscere a' Padri il vantaggio e la necessità della concessione da essi fatta nella sessione precedente, che l' assemblea fosse completata coll' ammissione in essa di ogni genere di persone. Poichè, disse, essendo lo scopo della società civile che volete stabilire la modalità dei diritti, questa è diversa secondo la diversità dei diritti stessi: per cui adesso che si deve procedere a stabilire un potere incaricato di amministrare questa modalità, si sente il bisogno di aver sott' occhio i diritti di tutti per definire gli offici di questo potere. Passò di poi a dare una nuova prova di ciò, stabilendo la proposizione importante: che nel potere civile dovevano entrare le diverse maniere di persone a quello stesso modo onde partecipavano dei diritti, essendo questa la maniera di deviare il meno possibile dallo stato di natura, e di erigere la società civile in un modo perfetto ad un tempo e colla menoma azione. Rivolta poi a quelli che nella sessione precedente avevano biasimata l' importanza data ai diritti individuali, mostrò loro che la proposizione che era per fare avrebbe fatto vedere la differenza del sistema di un eccessivo individualismo dal loro; poichè nel sistema dell' individualismo si suppone che ciascun uomo dovesse avere un egual diritto nella società civile ed un egual voto, mentre essi riconoscevano erroneo tale sistema, e non parlavano di individui, ma piuttosto di una classe intiera d' individui: non dell' uomo, quasi che bastasse nominarlo per intendere tutte le specie dei suoi diritti, ma dei diritti stessi dell' uomo provati non meno dalla sua natura che dai fatti; perocchè proponevano in quella sessione che di tutti gli uomini che dovevano formar parte della società si facessero quattro classi divise secondo la diversità dei diritti, e che si trattasse con ciascuna classe a parte per vedere come i diritti che formavano quella classe potessero dare alla medesima un titolo d' entrare in parte del civile potere che cercavasi d' instituire. E le quattro classi divise secondo i diritti che potevano dare una influenza diversa nella civile società erano le seguenti: La prima classe sarebbe stata composta di quelli che non possedevano il diritto sulle proprie azioni, quali sono i figliuoli, le mogli e i servi perpetui. 1) La seconda classe si doveva formare di quelli che erano affatto privi di beni di fortuna. Nella terza classe dovevano esser posti quelli che acquistavano beni di fortuna, ma precariamente e senza possedere un fondo; e questi erano i giornalieri e i mercenarŒ. Finalmente la quarta classe era composta di quelli che oltre avere i diritti dell' uomo, erano liberi e benestanti, cioè i capi di casa che possedevano un fondo, che dava loro il mantenimento senza bisogno del lavoro personale: intendendo per capo di casa qualunque uomo che facesse casa da sè, sia maritato o no. Questa divisione in quattro classi non incontrò difficoltà e si elesse una persona proba per ogni classe che dovesse trattare le ragioni della medesima circa l' aver parte al governo civile che volevasi instituire. Nella quarta sessione non potè la Commissione fare alcun passo innanzi coi suoi lavori, perchè molti membri insorsero contro una proposizione ch' essa aveva fatta sentire nella sessione precedente, ma che non era stata messa in deliberazione. La proposizione era « che le persone componenti la Società Civile dovessero entrare nel Potere Civile, che si trattava d' istituire, a quello stesso modo onde partecipavano dei diritti: »proposizione identica con quest' altra: - « Che tutte le specie di diritti e tutti i diritti in ciascuna specie dovessero trovare nella Società Civile una rappresentazione loro conveniente e possibile. » Si cominciò col richiedere una spiegazione della parola rappresentazione , la quale sembrava equivoca ad alcuni; e la Commissione disse che per rappresentazione di un diritto non intendeva altro se non una voce, la quale potesse perorare la causa di quel diritto, esporre i lagni nel caso che quel diritto fosse stato violato, e le pretese che egli poteva avere sul modo di essere considerato dalla Amministrazione sociale ed accresciuto. Mostrò qui la necessità di ciò e l' equità della cosa; perocchè in tal modo nissun diritto veniva obliato, ma ciascuno aveva quella forza che gli era necessaria per guarentire la sua esistenza e la sua prosperità. Disse, che non si poteva già aspettare che vi fossero degli amministratori che prendessero da se stessi in vista tutti i diritti, perchè ciò era sopra le forze della umana mente e della umana virtù; che, perchè la Società fosse costituita sulla Giustizia, che era la prima base su cui erano convenuti, si doveva nel fondarla attenersi irremovibilmente a queste due avvertenze: 1 che ciascun diritto avesse modo di lamentarsi, violato che fosse; 2 che ciascun diritto avesse modo di fare innanzi efficacemente le sue ragioni per essere migliorato dalla Amministrazione; e che questo non si poteva ottenere a meno che ciascun diritto avesse una voce o sia avesse alcuno che facesse sentire la sua esistenza nell' Amministrazione della società, influendo nella bilancia amministrativa con quel peso stesso che il diritto aveva rispetto agli altri diritti; ciò che si voleva esprimere con dire che ogni diritto fosse rappresentato nella società . Osservò, che quando anche l' Amministrazione della Società, fatta in un modo diverso, fosse così avveduta e così imparziale che sapesse avere in vista tutti i diritti, era però impossibile che gli avesse in vista tutti allo stesso modo, e con quella chiarezza, con quella estensione e con quell' impegno che ci poteva avere il particolare loro rappresentante e specialmente il suo possessore. All' incontro nell' Amministrazione proposta si chiamavano in tal modo tutti gl' interessi privati in società, e si facevano entrare tutti a formare un solo corpo che doveva riuscire necessariamente il più avveduto insieme ed il più attivo; perchè interessato quanto più esser poteva nella propria Amministrazione. Dimostrò finalmente, come questa massima evitava i gravi danni nei quali erano incorse altre nazioni che avevano abbracciato per mancanza di prudenza il principio vago ed indeterminato che fossero gli uomini e non i loro diritti rappresentati nella società; e conchiuse collo stabilire che gli uomini considerati privi dei loro diritti erano nulli in società; che la società civile non si potea fare per tali uomini astratti; ma ch' ella non si faceva se non per i loro interessi; che gl' interessi adunque e non gli uomini conveniva che avessero in essa una rappresentazione. A mal grado di questa spiegazione la Classe degli uomini liberi temette di venir forse confusa nella società con quella dei servi; e convenne che la Commissione protestasse di bel nuovo ch' essa non voleva già che tutti i diritti fossero rappresentati per essere confusi insieme, ma anzi per essere meglio distinti e tutti egualmente difesi; disse che essere rappresentati non volea dire essere distrutti, diminuiti, accresciuti, o mescolati; ma anzi essere provvedimento perchè non si violassero o mescolassero. I Commissari fecero osservare a tal fine che nella loro proposizione non si parlava già d' una rappresentanza per tutti i diritti uguale; ma d' una rappresentanza conveniente alla natura stessa dei diritti: sicchè sarebbe esclusa qualunque specie di rappresentanza , la quale non potesse convenire coll' indole dei diritti rappresentati senza alterarsi; poichè quest' era la prima condizione di ogni sociale stabilimento che cioè fosse conservato scrupolosamente a tutti il suo, e fosse esclusa qualunque arbitraria disposizione che potesse portar cangiamento nei diritti. Tranquillati con ciò i dubbŒ della Classe degli uomini liberi, sorse la Classe dei benestanti e protestò contro alla Rappresentanza proposta nel caso ch' essa portasse per conseguenza che essi dovessero pagare anche per quelli che non possedessero. Poichè, disse chi faceva le parti dei benestanti, se anche quelli che non possedono hanno parte nella società, cioè sono rappresentati, come potranno poi sostenere i pesi? chè non hanno da pagare le imposizioni. E se non possono mettere nulla insieme come potranno partecipare ai beni dell' Amministrazione, la quale non ha veruna forza, nè può far nulla se non ha un fondo da spendere? La persona delegata per trattar la causa dei non proprietarŒ rispose che la Società Civile è considerata presso molti popoli come una instituzione che si propone il bene universale; che nel bene universale entrano tutti gli uomini indistintamente, sieno benestanti o no, che dunque la Società Civile ha l' obbligo di mantenere i suoi membri poveri, e questi all' incontro hanno il diritto d' esigere dalla Società dei loro simili il proprio mantenimento; perchè il primo diritto di ciascun uomo è di vivere e perciò ai mezzi per conseguire questo fine che è insieme la prima legge del codice della natura. Qui fece una forte declamazione contro quelle nazioni mezzo barbare, presso le quali è aggravata la classe inferiore di eccessive imposizioni, mentre essa è quella che sostiene ancora le più gravi fatiche, e la classe dei ricchi si vive oziosa, immune dai pesi comuni della Società, e fracida nella scostumatezza. Tocca adunque, conchiuse, a pagare i pesi a quelli che hanno facoltà da pagare, ed è assurdo d' esiger nulla da poveri, cioè dai membri più sgraziati della società. La sola cupidigia insaziabile può esser sorda al loro diritto, e può impietrire il cuore a ricusare d' entrare con essi, quasi fossero uomini di una specie inferiore, nella medesima società. Quando sia così, rispose il delegato della classe proprietaria, la società che si propone d' instituire non conviene in nessun modo ai proprietarŒ; ed io non potrei giammai consigliarli di entrare in simile associazione. Essi sentono bensì la voce della natura verso a loro simili indigenti, ed è impossibile che v' abbia alcun uomo a cui questa voce sia totalmente straniera e che parlandogli al cuore non gli faccia intendere ch' egli è obbligato, essendo in uno stato di abbondanza, di satollare il suo simile che si vede languire innanzi dalla fame. I proprietarŒ anche senza essere uniti in società hanno più o meno corrisposto a questo dovere, secondo che ciascuno se ne sentì penetrato, fu più virtuoso, o meno dominato dall' avarizia. Ma nessuno, nè pure i più benefici, credette mai che gl' indigenti che soccorrevano avessero un diritto al loro soccorso, sicchè lo si potessero pigliare per forza: gl' indigenti stessi non hanno mai creduto di averlo, e la natura e la ragione mosse sempre le loro lingue ai ringraziamenti, ed i loro cuori alla riconoscenza dei beneficŒ che ricevevano, poichè sentivano che erano beneficŒ, e non debiti che fossero a lor pagati. 1) Se dunque fin qui i proprietari non ebbero che un dovere d' umanità verso gl' indigenti, e gl' indigenti nessun vero diritto verso i proprietarŒ, non conviene già a questi entrare in una società che muta le naturali relazioni fra gli uomini e che quei poveri che prima beneficavano innalza allo stato di creditori, i beneficanti abbassa a quello dei debitori, che priva questi di quella riconoscenza, venerazione ed amore, che ricevevano da quelli per unico risarcimento dei loro beneficŒ, e che all' incontro indurisce il cuore di questi, ed estinguendo in esso quelle naturali e dolci affezioni che gli avvincolavano coi soccorritori delle loro miserie, li cangia in esattori assidui, e li rende altrettante piante parassite che senza nulla produrre succiano gli umori vitali dal tronco della società. Non è dunque utile tale società che sovverte l' ordine della natura, che sommette i ricchi come debitori ai poveri resi creditori, e che dà a questi un diritto così esteso sopra di quelli quanto è estesa la povertà, la quale non ha confini mentre nessun bene necessariamente la satolla, potendo essere sempre riprodotta dalla volontà stessa degli indigenti. Consiglio adunque, disse, bensì i proprietarŒ a fare una società fra di loro, ma a non entrare in quella che si chiama società civile , e che si propone di fare insieme con tutti gli uomini ed anche perciò coi non proprietarŒ; poichè tale instituzione scioglie i vincoli più dolci che stringe i proprietarŒ ai non proprietarŒ per unirli insieme in quella vece con catene di ferro; scioglie i vincoli della natura per sostituirne di arbitrarŒ, i giusti per sostituirne di ingiusti; e costringe i ricchi a pagare per i poveri, non già col patto che questi li risarciscano mediante delle fatiche che posson prestare, ma col patto che restino poveri; mentre si pianta in principio, che la povertà stessa sia quella che dà loro questo preteso diritto. Se i proprietarŒ fanno un' associazione fra loro, non fanno nessun torto con ciò agli indigenti; poichè a ciascun uomo è lecito di associarsi coi suoi simili, per conseguire colla loro unione qualche fine onesto; e i non proprietarŒ possono parimenti fare se vogliono fra loro una simile associazione; poichè nessuno può loro impedirlo. Nè tampoco è vero che i proprietarŒ con ciò ricusino di riconoscersi simili dei non proprietarŒ. Essi riconoscono benissimo di appartenere ad una stessa società generale qual' è quella in cui sono gli uomini per la comunanza della natura. Ma questa non si dee confondere con altre particolari società. Essi anzi, come dicevo, conservano maggiormente in tal modo coi non proprietarŒ i vincoli delle naturali affezioni, vincoli spirituali che stringono una nobile società fra gli uomini, e che non debbono giammai essere sacrificati a dei vincoli materiali. D' altro lato nella società che io propongo di stringere ai proprietarŒ fra di loro, e che io sono indifferente che si chiami civile o con altro nome, perchè i vocaboli non formano la cosa, è impossibile che entrino i non proprietarŒ: poichè una società non si stringe se non per degli interessi comuni; ed è assurdo che entrino nella stessa società degli uomini, che non hanno dei comuni interessi: così i non proprietarŒ non possono avere interesse comune coi proprietarŒ, e non possono per ciò entrare in una società, il cui scopo è l' amministrazione della proprietà, poichè non avendone non potrebbono metter nulla insieme da amministrare, e l' entrare in essa per acquistarne è un entrarvi solo in apparenza; mentre non sarebbe un entrarvi per lo scopo della società, ma sarebbe un acquistare relazione con detta società per uno scopo a loro soli particolare. La Commissione prese a rispondere alle obbiezioni proposte: che primieramente conveniva con quelli che osservavano essere un errore fondamentale confondere la società generale degli uomini colla società civile; che questo errore tuttavia vigeva in molte menti, e che si era cercato con grave danno d' introdurlo nelle sociali costituzioni; che la società civile non era una società generale ma una società parziale: parziale disse, non pel numero degli uomini che racchiude, quasichè ne escluda dal suo seno qualche classe, ma per gl' interessi che si propone a suo fine immediato. Questi interessi non sono che i diritti nelle singole persone, ed il suo fine è di difendere questi diritti, e di farli fiorire non disponendo di altro che della loro modalità. Il potere civile adunque che si vuole instituire, sebbene debb' essere supremo nel suo genere, tuttavia è limitato nel suo oggetto. Quest' oggetto del potere, diciamolo di nuovo, è il regolamento della modalità dei diritti al doppio fine che sieno conservati ed accresciuti. Egli dunque aggiunge bensì qualche cosa allo stato di natura in cui si trovano presentemente le famiglie, ma non è già che distrugga questo stato di natura, o che lo assorba in sè stesso: si può dire ch' egli non sia altro se non un mezzo per cui si conservi lo stato di natura. I diritti sono nello stato di natura: e questi diritti son quelli che debbono sussistere egualmente nello stato di società. Le relazioni fra gli uomini che nascono da questi diritti, ovvero dalle loro scambievoli spontanee affezioni, appartengono pure allo stato di natura, poichè non hanno già bisogno di una legge civile per essere prodotte o permesse, e queste medesimamente rimangono le stesse nello stato sociale. Nello stato sociale adunque rimane intatto tutto lo stato di natura e non v' è di più che un potere, il quale lo difende e lo aiuta al bene degli uomini. Egli è dunque un grande errore, sebbene frequente, quello di non vedere nella società civile che diritti e relazioni creati dal potere civile, quasichè dipendesse da questo potere civile anche che gli uomini sieno uomini. Dirò di più, poichè il potere civile non è che un mezzo per difendere ed aiutare lo stato naturale, egli avverrà, che sia tanto più perfetto quanto meno apparisca; cioè quanto più insensibile sia la sua azione: poichè il miglior mezzo di ottenere un fine è quello di ottenerlo colla menoma azione. Egli è dunque un' insensatezza degli uomini moderni lo sforzo di distruggere lo stato naturale per non vedere da per tutto che il civile: lo sforzo di distruggere le affezioni ed i vincoli della natura per sostituire ad essi dei patti immaginarŒ: lo sforzo di distruggere il reale per sostituirvi l' ipotetico, e il dettame della giustizia naturale per sostituirvi la sanzione della forza, o sia l' arbitrio che essa dà a quelli che l' ha nelle mani. E` vero che questo errore avvicinò gli uomini necessariamente alla verità; poichè supposto che non vi fossero diritti se non sociali, cioè se non sostenuti dalla forza sociale, vale a dire supposto che i diritti non fossero distribuiti dai titoli naturali, ma dall' arbitrio fornito di forza, era impossibile che non iscorgessero l' assurdità nel sistema, quando quest' arbitrio fosse dato ad una persona particolare: mentre una tale persona sarebbe riuscita il più mostruoso dei tiranni. Quindi necessariamente ricorsero all' arbitrio del popolo, come un arbitrio che veniva tenuto in dovere dall' interesse generale, cioè dall' interesse dei più; ma che non cessava per questo d' essere radicalmente una tirannide, mentre la prima sua conseguenza era il sacrificio dei meno ai più: ed in fatti l' infallibilità del popolo fu proclamata nello stesso tempo che si vide disporre col maggior arbitrio, anzi col più crudele arbitrio, della sostanza e della vita dei più deboli; che si sentì giustificare qualunque eccesso collo specioso titolo del bene generale, e che si vide andare regolarizzandosi questo sistema mostruoso, e, ridotto a termini finanziari, stabilirsi, che le masse dovevano essere tutto, e nulla le individualità, e che un paese produceva in uomini tanta rendita annua da potere spendersi per la gloria dello Stato secondo il capriccio del più forte dei Generali nazionali. Ma la legge naturale è sacra indipendentemente dalla forza che la sanziona e dal potere civile che la promulga: ed essa è quella che fa quello stato di natura, cui il potere civile non può distruggere nè produrre: quello stato di natura umana in cui gli uomini sono legati fra loro per affezioni ad essi naturali, e per diritti e doveri morali. Conviene su questi principŒ definire la questione agitata fra i proprietarŒ ed i non proprietarŒ. Poichè primieramente egli è verissimo, che dalla legittima natura che abbiamo messo n chiaro della società civile risulta, che quand' anche il non proprietarŒ fossero escusi dall' associazione che insieme facessero i proprietarŒ, non si potrebbono punto chiamare offesi nei loro diritti che hanno comuni con tutti gli altri uomini: perciocchè non sarebbero esclusi per questo dalla società del genere umano, riterrebbero inviolati i diritti dell' uomo, e non sarebbe meno colpevole colui che li violasse in essi dopo l' associazione, di quello che fosse innanzi; conserverebbero le stesse relazioni coi proprietarŒ sociali; parteciperebbero degli stessi beneficŒ, e sarebbero a loro debitori della stessa gratitudine, e senza perder nulla di ciò che avevano come uomini nello stato di natura, non farebbero che non guadagnar nulla dal nuovo stato sociale dei proprietarŒ. Ma sebbene ciò sia vero, come osservò chi ha parlato in favore dei proprietarŒ, non è però da preferirsi la società particolare da lui proposta alla società civile, che per esser tale debbe abbracciare, come siamo convenuti, i diritti di tutti gli uomini. Non è, dico, preferibile rispetto al vantaggio degli stessi proprietarŒ, perocchè primieramente i non proprietarŒ, esclusi che fossero dalla società, non potrebbono essere sottomessi alle leggi della medesima per diritto, nè soggetti a' suoi tribunali se non mediante la forza. Nè potrebbe essere impedita giustamente una loro associazione, la quale verrebbe a formare due poteri egualmente supremi al contatto l' uno dell' altro; nei quali perciò non potrebbe nascere fra l' uno e l' altro che discordia e che l' uno non venisse sottomesso all' altro. Ora in questo caso di chi sarebbe la peggiore? dei proprietarŒ che arrischiano di perdere colle loro sostanze anche la loro libertà, o dei non proprietarŒ che hanno l' avidità e la speranza di diventare ad una girata di ruota ricchi e potenti, e dal più basso luogo che occupavano la sera fra gli uomini svegliarsi la mattina in cima della fortuna? Senzachè, quelli che non sono ancora proprietarŒ possono arricchire, ed essere prosperata anche in tal modo la loro associazione la quale non si potrà più rompere, e si dovrà temere. Egli è dunque meglio per tutti egualmente gli uomini, ma specialmente per li proprietarŒ che si costituisca una vera società civile senza esclusione di persona, nella quale tutti i diritti sieno rappresentati, e la modalità di tutti i diritti sia da un solo potere amministrata. - Ma i proprietarŒ dicono, noi non vogliamo pagare per li non proprietarŒ, ed è in questo che la Commissione dà loro tutta la ragione; mentre se non desse loro ragione in ciò, contraddirebbe a sè stessa, che ha posto come la prima base del potere che si vuole instituire, ch' egli non abbia veruna forza di trasferire i diritti d' una nell' altra persona; ciò che succederebbe se si facesse che i ricchi pagassero per i poveri, mentre con ciò si trasferirebbero i diritti di questi in vantaggio di quelli. Come adunque, voi direte, possono i poveri entrare in simile associazione, mentre non ne possono pagare le spese? Questo è quello che la Commissione si riserva di spiegare quando si tratterà di stabilire il posto che debbono occupare nella società ciascuna delle quattro classi in cui si divisero tutte le persone da associarsi: in tanto si contenta di far osservare che nella proposizione fatta, e sopra cui si rivolge la presente discussione, non fu già detto solo, che ciascuna specie di diritti dovesse ritrovare una rappresentanza conveniente , ma si aggiunse, e possibile; cioè possibile a conciliarsi colla giustizia e colla equità, ossia colla conservazione dei diritti di tutti; ed ancora di assicurare i proprietarŒ che l' associazione dovrà esser tale che essi non ispendano già per i poveri, o secondo la volontà di questi. Queste ragioni tranquillarono i due partiti; ma il delegato dei non proprietarŒ uscì con una nuova obbiezione dicendo che dal momento che si debbe scegliere una amministrazione della modalità dei diritti di tutti gli uomini, non si doveva già tanto cercare che in essa fossero rappresentati i diritti dei socŒ, quanto ch' ella fosse tale che amministrasse bene, e che per tal fine non si doveva aver altra regola nel formarla che quella di scegliere fra tutti le persone superiori alle altre per sapienza e per virtù, o sia di maggior capacità ad ottenere lo scopo proposto; che i ricchi solitamente sono inerti ed incapaci di governare, e che perciò non è utile che abbiano tanto peso nella società; che, se si accresce la loro potenza col dar loro in mano il governo civile, diventeranno più crudi e spietati che non sono colla plebe; che vedendo d' aver in mano tutto il potere lascieranno le cose pubbliche nella maggior dimenticanza, e il bene pubblico sarà immolato a' loro capricci: che il merito solo distingue l' uomo dall' uomo; e che il merito si debbe premiare coi pubblici onori, e colle cariche civili, e che è un indegno spettacolo il veder l' uomo probo e sapiente nella miseria e nell' avvilimento, mentre l' ignoranza fastosa ed il vizio potente si compiace mirarlo avvilito a' suoi piedi. La Commissione rispose che simili osservazioni avevano bensì una speciosa apparenza, ma che disaminate più addentro si trovavano inconcludenti. E di vero se la scienza o anche la stessa probità fosse quella che desse agli uomini il diritto di entrare nelle amministrazioni pubbliche, non ci sarebbe ragione perchè queste eccellenti qualità non dessero ancora a chi le possiede il diritto di entrare nelle amministrazioni private. In tal caso gli uomini savŒ e gli uomini probi, o quelli che tali si tengono, potrebbero giustamente mettersi nelle case dei proprietarŒ e dir loro: A noi spetta l' amministrazione delle vostre ricchezze perchè noi sappiamo meglio amministrarle di voi e con più rettitudine. Ma in tal caso i proprietarŒ li scaccerrebbero o come pazzi o come furfanti, anzichè li credessero probi e sapienti; giacchè non mostrerebbero di sapere che il diritto di proprietà dà il diritto ancora di amministrarla. Che se la sapienza, e la virtù avessero il diritto di amministrare la proprietà, non si potrebbe già negare loro quello sulla proprietà stessa ed allo stesso modo si potrebbe dire: Che indegnità è questa che l' ignorante ed il vizioso si vegga pieno di ricchezza mentre l' uomo dotto e virtuoso pena nella miseria? Le ricchezze appartengono agli uomini di merito, e non agli sciocchi, non ai tristi: si tolgano adunque a questi, ai quali non appartengono, e si distribuiscano meglio che non fece la cieca fortuna, a quelli che hanno il merito di possederle. Non è egli questo il ragionamento medesimo che fa il deputato dei non proprietarŒ a provare che l' amministrazione pubblica debbe essere distribuita anzi secondo il merito che secondo la proprietà? Questo discorso adunque nella sua estensione considerato autorizza la rapina, e distrugge la proprietà, tanto più che se uniti alla sapienza e alla virtù fossero tali privilegŒ nessuno potrebbe formare un giusto giudizio degli uomini, assai meno che ora possa, poichè ciascuno vorrebbe esser più probo e più sapiente degli altri, ed adoprerebbe tutti i suoi mezzi a corrompere quelli che dovessero giudicarlo: se non che il giudice in ultimo appello esser non potrebbe che la forza, e così la sapienza e la virtù dal momento che si sottraggono dalla giustizia distruggono ad un tempo sè medesime, e si mettono alla discrezione della forza materiale. Se si ammette adunque da noi il principio della proprietà; conviene che riconosciamo altresì ch' essa è indipendente dal merito personale, e che essa non è distribuita già secondo questo, ma solo secondo i titoli di giustizia. Supponiamo ancora che vi fosse il modo di rilevare il merito personale con sicurezza, ciò che è impossibile sì perchè molte volte è occulto, sì perchè quelli che debbono giudicarlo sarebbero nello stesso tempo anch' essi parti nella causa che giudicano; il possesso della ricchezza in tal caso dovrebbe variare ad ogni istante, mentre continuamente varia il merito personale, e l' uomo trascorre rapidamente sì le scale del vizio che quelle della virtù; e la ricchezza sempre in mano a nuovi padroni incerti di possederla a lungo rimarrebbe dilapidata anzichè amministrata; sebbene ciascuno che l' avesse una volta in mano, certo non se la lascierebbe più così di leggieri uscire: studierebbe il modo di accordarsi cogli altri proprietarŒ, ond' ottenere sicurezza alle proprie sostanze contro alla rapacità degli uomini di merito, e in tal modo formerebbe quella associazione che testè fu proposta fra i proprietarŒ e che, sebbene meno utile dell' associazione civile, nessuno però convincere la potrebbe d' ingiusta. D' altro lato che cos' è una declamazione generale, e gratuita contro i vizŒ dei proprietarŒ? il sofisma più pazzo del mondo: poichè qual' è il fine di tale declamazione? forse di mostrare che le ricchezze guastano i costumi ed i principŒ degli uomini? egli sembra che ciò sia; ma in tal caso la declamazione va contro le ricchezze: or dunque queste si dovrebbono distruggere ed annientare. E` egli forse questo il vostro parere? non già, anzi voi riponete la prosperità pubblica nel loro aumento. Voi non sostenete adunque se non che le ricchezze debbano mutar padrone: e perchè? perchè i ricchi sono malvagi. Ma togliete voi i ricchi quando avete fatto mutare di luogo alle ricchezze? non già; ma non avete che mutate le persone posseditrici; e fatto che quelle che erano povere divenissero ricche, e così viceversa. E` il merito delle povere, soggiungete voi, che a ciò ne spinge. Avvertite, dall' istante che vi arrogate l' autorità di giudici supremi ed usurpate l' ufficio della divina Provvidenza, avvertite che voi con ciò fate apparire una bene strana compassione verso a queste vostre persone misere ad un tempo e fornite insieme delle più alte virtù: la compassione vostra si occupa adunque tutta per corromperle: si occupa a farle divenire di quelli odiosi ed esecrati proprietarŒ coperti pure agli occhi vostri da capo a fondo di una lebbra la più obbrobriosa e la più insanabile. Allora quando adunque voi avrete rese in questa supposizione proprietarie quelle persone che or giudicate di merito (ed e' resta anco a vedere qual senso aggiungiate a questa parola) egli è ben naturale che sorgeranno immediatamente degli altri avvocati della Classe che rimane povera, i quali come voi col tuono di chi parla in nome della umanità, della virtù e dei lumi prenderanno il discorso stesso che voi fate presentemente e fulmineranno invettive contro gli eccessi obbrobriosi dei vostri nuovi proprietari, cioè contro la classe delle persone di merito da voi innalzata e coperta in tal modo di tutta l' invidia che seco portano le proprietà; la quale classe non è più quella di persone di merito, ma quella dei ricchi. Così distrutto il principio di proprietà, la società civile si rende impossibile. In fatti il suo scopo è appunto la proprietà, ed in primo luogo la difesa della medesima: e se appresso qualche nazione si è introdotto per breve tempo il principio opposto, che il merito dia un diritto sull' altrui proprietà ovvero sull' amministrazione della medesima, questo non s' è introdotto se non perchè le sue conseguenze non furono bastantemente vedute a principio: e solo gli effetti ne resero accorti gli uomini: perciocchè appena che i filosofi pretesero di avere essi il diritto di riformare la loro nazione, questa cadde nell' anarchia; fino a che tali uomini sapienti, il cui merito proclamato da se stessi diede loro la filosofica autorità di rapire l' altrui, si sono resi i proprietarŒ: ed allora, nuovi proprietarŒ, rialzarono la società dissipata in sugli antichi principŒ, lasciando di buon volere ormai il pallio e la barba, di che più non abbisognavano alla riforma dell' umanità. La maggior parte di quelli che formano questa assemblea posseggono qualche cosa del proprio: ora acconsentirete voi che quanto possedete passi in proprietà delle persone di voi più meritevoli? Tale è la assurda condizione che vi si propone: e che pure potè essere un sofisma alle menti di quelli che considerano gli uomini abitatori nelle regioni liberissime della lor fantasia. La logica del principio: l' amministrazione della proprietà debb' essere distribuita secondo il merito: è simile a quella che si ritrova in quest' altro: l' uomo debbe mangiare non in ragione delle forze del suo stomaco, ma di quelle del suo spirito, poichè il suo spirito è preferibile al suo stomaco. Accordo che sia lo spirito preferibile allo stomaco; ma la relazione del cibo è collo stomaco e non è collo spirito, ed è questa relazione che ora si cerca determinare. Così pure: Accordo che il merito personale sia preferibile all' accidentale diritto di proprietà; ma la relazione dell' amministrazione è colla proprietà, e non è col merito: e questa relazione si cerca determinare. Non si confondano adunque insieme due ordini di cose sì diversi fra loro, e volendo cercare le proporzioni dell' uno, non si ricorra alle misure dell' altro. Anche in questo mescolamento degli ordini sociale e morale si ravvisa quella confusione così nocevole della società civile colla società universale del genere umano. La società civile, come diceva, è una società parziale, ed ha uno scopo parziale: la conservazione, cioè, e l' aumento ordinato delle proprietà. La società del genere umano ha uno scopo sommo e generale: la virtù e la perfetta felicità. In questa immensa società dell' umano genere noi veggiamo un ordine di cose ben diverso da quello che è proprio della società civile. L' ordine della società universale abbraccia tutta intera la moralità; l' ordine della società civile è ristretto nel suo scopo immediato a quella parte di moralità che riguarda la giustizia esterna fra gli uomini. Nella società universale lo spirito si eleva a vedere come tutto debbe essere distribuito secondo il vero merito degli uomini; ma questa legge primaria ed inviolabile della società universale non si può già trasportare nella società civile; perchè non è a questa proporzionata e non trova in questa il modo di venire eseguita. Nella società universale essa viene eseguita perchè essa è presieduta da Dio, cioè dal solo giudice capace di giudicare il vero merito degli uomini e alieno necessariamente da ogni interesse in simil giudizio; presieduta ancora dal solo monarca che abbia tutti i mezzi opportuni per render a pieno giustizia a ciascuna delle sue creature. La società civile all' incontro non è che presieduta dall' uomo, cioè non è presieduta da chi giudica ma da chi è giudicato: da chi aspetta il giudizio più favorevole, se questo gli debbe apportare un esterno vantaggio, non da chi è indifferente al risultamento di tal giudizio. Conchiudasi: La società civile è ben altro dalla società universale; essa non è punto altro (bisogna a pieno intenderlo) che l' amministrazione della modalità dei diritti di tutti gli uomini associati nella medesima: non è perciò se non una separazione, che si fa nella amministrazione che ciascuno esercita dei proprŒ beni nello stato naturale, di quella parte d' amministrazione che riguarda i diritti e di quella che riguarda il loro modo di essere; l' amministrazione dei diritti particolari si rimane nell' istituzione della società civile divisa, come prima, nelle mani dei singoli proprietarŒ: la modalità all' incontro dei medesimi viene posta in comune e qui si cerca chi debbe comporre quest' amministrazione in comune. Ora egli è evidente che ognuno dei proprietarŒ ha diritto di concorrere nella medesima per quel tanto che egli pone in mezzo di modalità; e che nessuno può farlo rinunziare a tale diritto nel caso di una associazione spontanea come è la presente. Indarno e fuor di proposito ci si oppone che l' amministrazione anderà male perchè fatta da persone ignoranti e viziose; conciossiacchè, lasciando anche che nissun sapiente in generale vale più nell' amministrazione di quello che valgono i padroni stessi, risponderò: Se un proprietario amministra male il suo, chi potrà dunque rimprocciarlo? Egli fa male, ma solo a sè stesso, e tale sarà di lui, nè altro che un vano nome è il ben pubblico che si piange sacrificato: conciossiacchè il ben pubblico non è che la collezione dei diritti, ed il pubblico non è che la unione di quelli che li posseggono. Quando anco adunque gli amministratori di quella società civile, nella quale tutti i diritti sono rappresentati, l' amministrassero male; non seguirebbe da questo ch' essi facessero torto a persona: perchè amministrerebbono male l' avere loro proprio: la società civile non distruggerebbe già per questo la società universale: e la sua istituzione non impedirebbe che tutti i meriti fossero in questa ricompensati dal suo capo divino; a quel modo medesimo che se il ricco mercatante non si spoglia delle proprie ricchezze per premiare le fatiche del letterato, egli non toglie a lui per questo nè il suo merito nè la sua dottrina nè le sue aspettazioni; egli non impedisce che la sua scienza in altro ordine di cose e in altra società diversa dalla mercantile sia coronata e che rinvenga il mecenate generoso che lo protegga e che lo ricolmi di benefizŒ. Il discorso, onde la Commissione sostenne nella sessione precedente il principio di equità da essa posto come base dell' associazione civile che trattavasi di formare contro ai sofismi di una individuale filosofia, le conciliò l' animo di tutta l' assemblea, la quale conobbe non potersi meglio costituire la società civile che dando in essa a tutti i diritti una rappresentazione conveniente e possibile. Tal principio discendeva immediatamente dall' idea precisa della società civile; ed essendo ben compreso metteva tutte le menti in sicuro contro alle fallacie degli astuti e dei semidotti. Nello stesso tempo era quello che rendeva meno imbarazzante l' esecuzione della società meditata, e che mostrava la via più corta insieme e più naturale per arrivare alla medesima; conciossiaccè formandosi la società in tal modo gli uomini abbandonavano il meno che fosse possibile lo stato di natura; mentre non si spogliavano di nulla, nè pure della direzione della modalità dei loro diritti; ma non venivano a far altro che a variare il modo di dirigerla e regolarla; perocchè mentre prima la regolavano in separato, e ciascuno da sè regolava la propria, mediante la nuova instituzione venivano a regolarla in comune, e a regolare con una comune volontà la somma di tutte le modalità insieme raccolte. Restava dunque di vedere come tal principio si potesse ridurre alla pratica e qual fosse la rappresentazione conveniente e possibile che aver potesse ciascuna delle quattro classi di persone, che comporre dovevano la nuova società. La Commissione prese a trattare con ciascuna a parte; e primieramente colla prima, che fu quella che occupò la quinta sessione dell' assemblea. La prima classe delle persone componenti la società civile era quella delle persone non libere. La Commissione definì le persone non libere per quelle che non avevano diritto sulle proprie operazioni, essendo questo diritto in altrui possesso, e distinse tali persone in tre specie, cioè, 1 i figliuoli, 2 le mogli, 3 i servi perpetui; escludendo da questa classe quelli che avevano alienato il diritto sulle proprie operazioni a tempo, e non illimitatamente, come sono i giornalieri e tutti i mercenarŒ, i quali appartengono alla terza classe di persone componenti la società. Passò in appresso a mostrare le differenze che passano fra le tre specie di persone non libere, stabilendo che il diritto dei padri era il più esteso e più forte, perchè nasceva da un titolo fondato sulla vita stessa dei figliuoli; che poi veniva quello del marito, perchè aveva un titolo fondato sul corpo della moglie; e che finalmente veniva quello del padrone, il cui titolo non riguardava altro che l' operazione del servo a lui obbligato. Dimostrò che il diritto del padre era tale che non rimaneva al figliuolo nessun diritto verso il padre che ammettesse una reazione esterna all' ingiuria ricevuta: che all' incontro alla moglie rimaneva un diritto, ed era quello della vita e della incolumità da poter difendere anche contro il marito; che al servo rimanevano due diritti da poter difendere contro il padrone, cioè a dire quello della vita, e quello del proprio corpo. 1) Dimostrò finalmente che tutti tre questi diritti del padre, del marito, del padrone erano limitati egualmente dalle leggi della onestà universale, le quali leggi obbligavano il padre ad usare il proprio diritto sui figliuoli solo allo scopo della paternità per la quale Dio gliela aveva dato: obbligavano il marito ad usarlo solo allo scopo della coniugale amicizia: ed obbligavano il padrone ad usarlo allo scopo che può rendere onesta ed umana la servitù. Di questa dottrina la Commissione tirò una doppia conseguenza, cioè: 1 Che i figliuoli non avevano alcun diritto a rappresentare nella società civile, fino che il padre non li emancipasse; che le mogli avevano da rappresentare il diritto della vita e della incolumità; e che i servi avevano da rappresentare i due diritti della vita e del corpo. 2 Che dovendo la società civile stabilire l' ottima modalità dei diritti, doveva tuttavia provvedere contro all' abuso che potessero fare i padri della loro autorità sui figliuoli, non già perchè i figliuoli avessero un diritto da rappresentarsi; ma perchè il diritto dei padri doveva bene ammodarsi. Dopo di ciò essa fece osservare, che in tutto questo discorso considerava le tre specie di persone non libere come tali, senza definire però che la mancanza di libertà inabilitasse all' acquisto di altri diritti: mentre anzi la Commissione ammette la capacità dei non liberi all' acquisto di ogni altro diritto compatibile col diritto dei loro superiori, ovvero mediante l' assenso di questi, ovvero ancora di diritti relativi ad altre persone verso delle quali si considerano come liberi. Tutti questi diritti qui però si tralasciano, perciocchè in quanto fossero posseduti dalle persone non libere, queste verrebbero ad entrare in alcuna delle tre classi susseguenti: e di essi si debbe intendere tutto ciò che si dirà più sotto dei membri delle dette tre Classi. Considerando adunque i diritti delle persone non libere come tali non ne troviamo che due: 1 la vita 2 il corpo. Ora l' uomo che fosse solamente fornito di questi due diritti non potrebbe far nulla egli stesso, e dagli altri poi non potrebbe esigere se non se che nissuno violi in lui questi due sacri diritti. La difesa dunque dei medesimi è l' unica modalità che si possa pensare ad essi appartenente; poichè la vita ed il corpo sono due diritti semplici, e che per se stessi hanno un solo modo di esistere, sicchè quando essi fossero pienamente difesi dalle esterne ingiurie, non potrebbono altro desiderare. La rappresentazione adunque conveniente che possono esigere questi due diritti nella civile società non è se non di avere una voce mediante la quale reclamare contro alle ingiurie che vengono loro fatte da chi che sia, e l' aver modo che questa voce sia ascoltata e sia efficace nell' ottenere la giustizia domandata. La stessa voce propose la Commissione che sia conceduta ai figliuoli relativamente ai loro padri come il mezzo di comprimere l' abuso che questi potessero fare di loro autorità. Il Delegato delle persone non libere rispose, esser falso che i diritti della vita e del corpo non possano esigere che di essere guarentiti: la salute corporale si può trovare in uno stato migliore o peggiore secondo le pubbliche disposizioni sanitarie: quelli dunque che hanno diritto che la loro sanità si conservi nel miglior modo, debbono almeno poter pretendere, come tutti gli altri uomini, di avere anche una voce nel Comitato di sanità pubblica. Ma la Commissione rispose che il Comitato di sanità pubblica nulla poteva fare per la medesima se non mediante delle spese; che quindi, perchè si rendesse possibile una rappresentanza in tal Comitato, bisognava dimostrar prima che fossero proprietarŒ, e che in tal caso essi sarebbero entrati in questo Comitato come proprietarŒ, cioè come appartenenti alla quarta Classe; ma non come persone non libere; tanto più che apparendo, come tali, prive di ogni diritto sulle proprie azioni, non potevano neppure contribuire coll' opera a ciò che dar non potessero in denaro. Perciocchè, di nuovo, è un errore credere d' aver diritto d' entrare in una società senz' aver modo di pagarne le spese: e questo discorso vale per qualunque società, nè si debbe immaginarsi qualche cosa di diverso della società civile; non si debbe cioè immaginare, che la società civile abbia dei doveri senz' avere dei diritti, e che sia quasi un essere misterioso che abbia il potere di dare a tutti senza ricevere niente da veruno. D' altro lato il Comitato di sanità pubblica non offende punto le persone non libere, sebbene non le ammetta; anzi non fa che apportar loro gratuita utilità. La sesta sessione si occupò nel ricercare qual posto dovessero avere nella nuova società da istituirsi i poveri, cioè quelle persone che non possedevano alcun bene di fortuna, nè avevano una professione od un' arte che assicurasse il loro mantenimento, secondo il principio stabilito che ogni diritto trovasse nella detta società quella rappresentazione di cui è suscettibile, e che si può accordare colla giustizia. Per trovare questo posto secondo le leggi dell' equità o questa rappresentazione conveniente e possibile dei diritti dei non proprietarŒ erano state già nelle sessioni precedenti gittate le basi necessarie e superate le principali difficoltà. La Commissione proseguì adunque in questa a dimostrare che i non proprietarŒ liberi avevano tre diritti da rappresentare, e questi erano: 1 la vita e l' incolumità; 2 il corpo; 3 la libertà o sia il diritto sulle proprie operazioni. Dimostrò che tutti questi diritti non avevano una modalità che si potesse amministrare in comune tanto quanto l' avevano i beni di fortuna, perchè non si potevano permutare con altri nè si potevano dividere e contribuire parte di essi alla società, spendendoli così ad accrescimento della parte rimanente, e che perciò non era suscettibile la loro modalità di amministrazione propriamente detta, ma solo di difesa: che la società civile non poteva che difenderli da ogni ingiuria; e quindi che la rappresentazione loro conveniente si restringeva ad avere una voce efficace, mediante la quale potessero reclamare ad ogni ingiuria che ricevessero, e reclamare con sicurezza che sarebbe loro fatta giustizia, allo stesso modo come si disse delle persone non libere. Conchiuse che era necessario dare loro questa voce anche perchè essa era l' unico mezzo di tenere in freno i diritti dei proprietarŒ, ciò che era obbligata di fare la società civile, dall' istante ch' essa aveva per iscopo di bene ammodare tutti i diritti dei membri che la componevano. Il delegato per i non proprietarŒ non mancò di ripetere ciò che era stato detto nella sessione precedente dal delegato pei non liberi, cioè che era falso che il diritto della vita e della sanità, come pure gli altri due del corpo e della libertà, ammettessero solo una difesa comune e non una amministrazione comune; che 1 la sanità poteva crescere e diminuire secondo i provvedimenti sanitarŒ della società; 2 la moralità pure poteva ricevere o nocumento o vantaggio dalle disposizioni di pubblica istruzione e di polizia; 3 finalmente che la libertà poteva pure accrescersi, non solo difendersi; poichè quanto un uomo ha una sfera più estesa di agire tanto egli ha più di libertà: il perchè tutto ciò che accresce le abilità e fa andare innanzi l' incivilimento del paese, è sempre un aumento della libertà individuale. Ne può rispondere la Commissione che tutti i diritti dei non proprietarŒ sieno semplici ed indivisibili, sicchè non ne possano contribuire una parte al potere sociale e pagare in tal modo le spese di questo, come rispose al delegato dei non liberi, poichè avendo essi il diritto sulle proprie operazioni, possono pagare le spese necessarie alle suddette disposizioni intorno la sanità, la moralità, e l' incivilimento prestando la loro opera in luogo di denaro, e d' altri beni materiali. Domando adunque, aggiunse, che i non proprietarŒ non solo abbiano una voce onde reclamare efficacemente i torti che loro fossero fatti; ma che abbiano altresì una voce ed una rappresentazione in tutte le disposizioni che il potere civile credesse fare: 1 intorno la sanità; 2 intorno i buoni costumi e 3 intorno tutto ciò che riguarda l' incivilimento. Ma v' ha di più, egli proseguì: Non sono interessati i non proprietarŒ nelle guerre che possono esser mosse contro al paese dai nemici esterni colle loro persone tanto quanto tutti gli altri cittadini? vale forse la loro vita meno che quella degli altri uomini? o non sono forse capaci di portare le armi contro il nemico, e difendere la patria? perchè adunque non avranno anch' essi una voce ossia una rappresentazione in un affare così comune come è l' intimare una guerra od il conchiudere una pace? Anzi son essi, come l' esperienza dimostra, che di solito s' espongono ai maggiori pericoli e sostengono le maggiori fatiche per la salvezza e per la gloria comune nei più stretti frangenti: mentre i pingui ricchi snervati da una educazione ombratile assoldano in propria difesa quelli che hanno meno timore cioè quelli che hanno meno da perdere, e, come sono i non proprietarŒ, che nulla possedendo all' esterno sentono meno di attaccamento alla stessa vita. Finalmente, che ci si propone? di dare solo ai non proprietarŒ una voce, onde reclamino i loro diritti infranti. Ma quai diritti? quelli della vita, della pudicizia, della libertà. Richiameranno adunque la vita, dopo che a loro fu tolta? aspetteranno le figliuole che sia tolto loro l' onore, perchè poscia la società glielo restituisca? e potrà l' uomo libero, a cui è oiù cara la vita intellettuale della corporea, ritrovare un risarcimento innanzi alla coscienza della sua dignità corrispondente al valore di alcuni giorni di oppressione, o di alcuni atti di viltà? Finalmente, in quanti modi non si lede questa preziosa ricchezza dell' uomo, la libertà? in quanti modi non si diminuisce? in quanti modi non se ne impedisce l' accrescimento? modi talora insensibili, non evidenti e che non si possono perciò provare legalmente, ma che non fanno meno per questo onta e danno all' umana libertà? Egli non è adunque conveniente nè giusto che uomini liberi, sebbene non proprietarŒ, uomini cioè che hanno una vita cui nessun potere può loro restituire dopo tolta e dei costumi più preziosi ancora della vita ed una libertà vitale, avida di aumentarsi e tuttavia così facile ad esser ferita o ad esser compressa, ricevano solo, entrando nella società civile, il singolare diritto di fare delle inutili querimonie sopra la perdita irreparabile delle più care e delle più sacre proprietà dell' uomo; e sia loro assegnato qualche preteso risarcimento che in luogo d' essere veramente tale rassomiglia piuttosto a quei confetti che soglionsi dare ai bambini che piangono onde asciughino le loro lagrimucce fanciullesche, ed attutino le loro voci importune. E` adunque inutile la rappresentazione proposta dalla Commissione, è anche ridicola, perocchè non ottiene neppure lo scopo della difesa dei diritti dei non proprietarŒ, che fa pur vista di proporsi. Si direbbe che è piuttosto un mezzo termine per eliminarli in fatto dalla società, o di ritenerveli in apparenza. Ma senza entrare nelle intenzioni segrete della Commissione, che ciò propose, credo evidente per quanto ho detto che ove la giustizia debba essere la base della nuova nostra Società, i non proprietarŒ per essere tali non si debbano già lasciare spettatori indifferenti di quanto i proprietarŒ dispongono intorno le pubbliche cose, e che solo quando abbiano ricevuto un fiero colpo in sulla testa trovino pieno diritto di essere guariti come i cani percossi; ma bensì che essi sieno chiamati egualmente che gli altri uomini in tutte le pubbliche deliberazioni e possano veder tutto ciò che in esse si tratta, possano ponderarne le conseguenze, e se in esse rinvengono cosa che loro nuoca, possano a tempo impedirla. Laonde concesso ancora, se così si vuole, che non debbano i non proprietarŒ influire positivamente nelle pubbliche deliberazioni, nessuno potrà però negar loro il diritto del veto; quelli stessi che non attribuiscono ad essi se non il diritto politico di difesa. Perciocchè il diritto del veto è, non una troppo tarda voce di richiamo, ma il solo mezzo ad ottenere che i loro diritti sieno di fatto e non solo in apparenza tutelati. Potrei osservare ancora finalmente che non àvvi uomo che possa neppur dirsi veracemente privo al tutto di esterne proprietà. Negherete a quelli che la divina Provvidenza introdusse in questa mirabile abitazione del nostro pianeta l' aria che debbono assorbire per vivere, la luce che più di quello dei ricchi rallegra l' animo dei mendici, e la terra dove ogni corpo che pesa trova suo luogo? Di queste cose e dell' altre che il cielo ha rese comuni a tutte le umane creature, e che la miserabile cupidigia non potè mai rapire alla loro naturale pubblicità, nè sottrarle a tutti onde farle un possesso di pochi, debb' essere altresì comune il governo: e quest' è ch' io chiedo: questo è ciò che vuol la giustizia: che tutti egualmente i membri della civile Società partecipino al potere amministrativo della medesima, perocchè questo potere tratta gli interessi di tutti e a tutti può nuocere s' egli si rende esclusivo, come può a tutti giovare s' egli si conserva comune. La società civile, rispose la Commissione, l' abbiamo già stabilito, non è la società universale; e coll' entrare nella società civile non escono gli uomini dalla universale e non perdono nulla di quei beni che hanno nello stato di natura. Gli uomini debbono entrare nella società civile in quel modo che vi possono entrare, dal punto che abbiamo adottato come principio fondamentale, che nella Società civile ogni diritto debba trovare una rappresentazione conveniente e possibile . Questo principio suppone che non ogni uomo entri a formar parte della società civile in egual modo, ma in modo diverso secondo la indole dei diritti ch' egli possiede: quindi nasce che gli uomini partecipino più o meno allo scopo della società, cioè ai beni che essa si propone di conseguire. Ma se diversi uomini partecipano in diversa misura al bene della società civile, non viene lor fatto torto; poichè questo è conseguenza di quella solida base che abbiamo posta; e perchè finalmente non si tratta con ciò che nissun uomo perda cosa alcuna di quanto già possiede; ma, rimanendogli tutto ciò che possiede, si tratta ch' egli non acquisti in tale instituzione quel soprappiù di vantaggio che acquista un altro perchè non possiede i diritti che possiede un altro. Sebbene adunque la Commissione abbia proposto che i non proprietarŒ non abbiano altra rappresentazione nella società che quella consistente in una voce di difesa, perchè è persuasa che l' indole dei loro diritti non ammette di più; tuttavia non è già vero che per tale associazione i non proprietarŒ vengono a perdere qualche cosa mentre non fanno che un guadagno: cioè acquistano un aumento di sicurezza dei loro diritti che non avevano nello stato di natura, e non perdon nulla di quanto avevano in questo stato. Egli è vero bensì che i loro diritti sono di tal natura, che non si possono, infranti che sieno, a pieno risarcire, ma qualunque sia questo risarcimento, è però sempre un guadagno che loro manca nello stato di natura: è un risarcimento, che, se non restituisce la vita o l' onore, toglie però le funeste conseguenze, che cadrebbero altramente sulla famiglia priva del suo capo e provvede per esempio la zitella oltraggiata d' un collocamento; è un risarcimento in somma che è pur sempre qualche cosa e che è ancor più nel fatto che nella speculazione del nostro obbiettatore. Egli è poi al tutto falso, che una voce efficace di richiamo non giovi se non dopo che è avvenuto il male, e quando non è più riparabile: perocchè egli è solo il timore del castigo, che tien dietro con certezza al commesso delitto, quello che ritrae gli uomini dal commetterlo, e che difende i diritti personali non solo dei non proprietarŒ ma dei proprietarŒ stessi. Può aver forse la Società verun altro mezzo di tener lontani i delitti, e di difendere la vita e la dignità dei cittadini, se non le pene ch' essa stabilisce ai malfattori? Si ripeterà che questa risposta, se vale per le offese che i non proprietarŒ ricever potessero dagli altri membri della Società, non vale egualmente pel Potere supremo della medesima: perocchè questo potere supremo può ben essere costretto ad un risarcimento che, diviso fra i proprietarŒ che lo compongono, è insensibile a ciascheduno, ma non può già essere sottomesso ad un castigo che lo atterisca dall' abusare del suo potere. Ma che? il Potere Civile, o per dir meglio l' Amministrazione della società, si estende forse a disporre della vita o degli altri diritti personali dei membri della medesima? non già: egli non ha in ciò altro diritto di quello, che si abbia una forza fisica e non morale qualunque ella sia; quando ciò facesse egli non sarebbe più potere civile, ma bruta forza. Si pretenderà che la società guarentisca tutti i suoi membri da ogni forza, che, non curato il freno morale, infierisse sopra di essi? è impossibile ad essa di tor via al tutto questo male essenziale dello stato di natura, ma non può che restringerlo: nè pure i membri componenti l' Amministrazione sociale ne sono totalmente al sicuro; perchè il debile non è mai sicuro dal forte; e la minorità dell' Amministrazione sarà sempre a discrezione della maggiorità, se si suppone che questa abusi della sua prevalenza. Ma se di ogni maggiorità o prevalente potestà si potesse esigere d' essere garantiti fisicamente, come ciò si farà se non mediante una forza fisica maggiore? ed in tal caso non si toglie il pericolo che dei diritti vengano violati, ma solo si trasporta a quel modo stesso che si trasporta la forza; sicchè quegli che prima imponeva timore ora lo riceve imposto da quello che prima lo riceveva. Se ragionevole fosse di lagnarsi per ogni nuova forza comparente, per la sola ragione che quella ha la possibilità di nuocerci, noi avremmo occasione di lamento dovunque, la differenza nelle forze corporee, nelle proprietà, nei talenti, tutto sarebbe argomento di invettiva e di querimonia: ogni associazione finalmente sarebbe illegittima, come un atto ostile, perchè ogni associazione è comparizione di nuova forza; ed ogni nuova forza può nuocere 1). Non è dunque lo scopo della società civile, nè può esserlo, difendere i diritti dei membri suoi da tutte le ingiurie ma solo da quante ella può, nè diventa illegittima se non li tutela che dal maggior numero. Chi potrà impedire a ragion d' esempio che i proprietarŒ facciano a parte la loro società? che escludano quindi i non proprietarŒ da quei beneficŒ, che entrando in una società medesima, come la Commissione propone, ottener potrebbono? nessuno: a quel modo stesso che i proprietarŒ non avrebbono diritto, pel semplice pretesto d' una forza temibile che comparisce, d' impedire qualunque altra associazione o fra i non proprietarŒ o fra una parte di proprietarŒ. Ma via: concediamo che la società civile non debba nulla ommettere di suo potere per tutelare i diritti dei non proprietarŒ: concediamo che i diritti personali possano avere di loro natura un' amministrazione comune; concediamo che questa rappresentazione sia conveniente all' indole di tali diritti, ma è ella possibile? Questo è il passo che la Commissione trova al tutto insuperabile. Dico se è possibile, quando si voglia accordare colla stretta giustizia. Bisogna convenire che questa esige che nessun uomo possa sforzare un altro di pagare per lui: che perciò i non proprietarŒ non possono sforzare i proprietarŒ a pagare per essi; perchè non è qui di beneficenza che si tratta, la quale è volontaria, ma di giustizia, la quale può essere anche forzata, perchè non dipende dalla libera volontà ma da un titolo da questa indipendente. Perchè adunque i non proprietarŒ possano partecipare ai beni dell' Amministrazione, debbono corrispondere alle spese della medesima; e non possono esigere che i proprietarŒ contribuiscano per essi; il che, oltre essere ingiusto, sarebbe impossibile ad ottenersi. Poichè, si lascieranno essi i proprietarŒ imporre questo peso? Mai no, nè a questa condizione entreranno in una società così per essi disuguale. Che se mediante qualche sofisma alcuni a ciò si persuadessero, la illusione dura sempre poco ed il falso principio introdotto nella società, essendo contro la natura delle cose perchè trasforma la beneficenza in giustizia, cagionerà gravi mali nella società, la quale non cesserà d' agitarsi fino ch' essa non l' avrà evacuato. Ciò solo che si oppone a questo si è che i non proprietarŒ essendo liberi possono disporre delle loro operazioni e con queste pagare la Società, con queste difenderla dai nemici. Ma come potrà ricevere l' Amministrazione in pagamento l' opera stessa, se il non proprietario abbisogna della stessa per campare la vita? quest' è una derrata sporca, sopra cui nulla si può calcolare fino che non è stata appurata dall' uscita. E chi può fare questo calcolo generale, se il valore dell' opera dei non proprietari varia assaissimo prima in ragione della loro abilità, di poi in ragione della loro salute o delle peculiari circostanze nelle quali si trovano, finalmente in ragione delle ricerche? possono essi assicurarsi di provvedersi costantemente del puro loro mantenimento? non hanno nulla a temere nei tempi di sterilità, nelle calamità a cui può soggiacere l' industria, il commercio, e i mestieri, nello stato di guerra o di altre pubbliche calamità? quale ricchezza, se quella è ricchezza, più incerta e su cui meno debba appoggiarsi il provento di una generale Amministrazione di questa? d' altro lato che farà l' Amministrazione sociale di tanti operai? porrà ella delle fabbriche manufattrici, o pianterà degli stabilimenti di commercio? Non mai: perciocchè devierebbe dal suo scopo; ed entrerebbe nell' ufficio dei privati. Ella non può commettersi a tali incerte speculazioni, dipendenti dallo stato commerciale del mondo: non è già ad arbitrio che si possano instituire nuove fabbriche e nuove case di commercio; perchè non si può arbitrariamente nè mettere limite alla produzione, nè torlo al consumo. La amministrazione sociale adunque non può entrare in simile deviazione dallo scopo suo a particolari imprese. Ella è istituita per diriger la modalità dei diritti; ed ha bisogno di dirigerla con viste generali e calcolate: e per tale scopo ha bisogno altresì d' avere un mezzo generale e sicuro, il quale non può essere altro che la ricchezza materiale , perchè questa si converte con facilità in tutto ciò che le abbisogna. L' operazione stessa che si esibisce dai non proprietarŒ in pagamento (oltre che è una moneta continuamente mutabile di valore, di un valore sporco per cui si debbe detrarre dal medesimo il mantenimento dell' individuo e fors' anco della sua famiglia, a' cui bisogni egli può non bastare nè pure nel tempo del suo maggior prezzo: un valore che può qualche volta annientarsi) è finalmente ancora un valore inesigibile , perchè non garantito od ipotecato sopra nulla: giacchè la persona stessa pel nostro scopo si può contare per nulla. E di fatto, che si può torre all' individuo che ha nulla? Si può punire; ma con ciò invece di coprirsi d' un credito, si fa una spesa di più; giacchè si debbe mantenere il debitore carcerato. Si costringa a lavorare colla forza? ma oltrecchè i lavori forzati poco approdano, le guardie stesse sono nuovo carico alla società, ed il lavoratore rinunzia bene volentieri al diritto di dire la sua opinione nelle pubbliche cose quando ciò gli debba portare la conseguenza di una dura schiavitù. Che se i non proprietarŒ militano per la salute della patria ciò nè fanno nè far possono che ricevendone lo stipendio; giacchè del suo non hanno onde mantenersi; essi non danno dunque alla patria che quanto dà il mercenario al padrone al cui soldo lavora: è un contratto che fa colla sua patria: e se l' affezione vi aggiunge da parte sua, egli n' ha merito alla patria insieme e dovere; ma n' ha ancor la ragione sua propria, che colla patria difende se medesimo, i suoi, le sue speranze. Il diritto ch' egli ha sui beni comuni come l' aria, e la luce nessuno può toglierlo, nessuno può contenderglielo; ma di quanto vien disposto circa il regolamento dei medesimi egli, senza potersene incaricare, può goderne: non può, dico, incaricarsene perchè non ha il mezzo di cui parliamo, ma può goderne perchè l' Amministrazione che se ne incarica non può nè vuole privarlo dei miglioramenti ch' essa procura a tai beni. Finalmente aggiungerò tal ragione alla quale i più difficili dovranno arrendersi, e riconoscere l' equità della proposta che ha creduto fare la Commissione; e la ragione è questa. Su quale supposizione discorrono quelli che ci propongono d' introdurre i non proprietarŒ nell' amministrazione, offerendo in contribuzione l' opera dei medesimi? Sulla supposizione che questi lavorino; che ci sia quindi nella società da lavorare; che perciò questo lavoro abbia un prezzo. Or chi non vede che tale supposizione trasporta i non proprietarŒ strettamente detti, dei quali noi stiamo deliberando, nella classe dei mercenarŒ, della quale avremo a deliberare in appresso? Chi non vede che l' opposizione viene ad ammettere tacitamente con ciò il principio che vuol combattere, cioè che nessuno possa entrare a formare parte dell' amministrazione se non ha onde pagarne le spese? che perciò i non proprietarŒ propriamenti detti rimangono esclusi di loro natura, solo perchè tale rappresentazione è loro impossibile di conciliarla coi principŒ della giustizia, e della equità, cioè impossibile introdurli nell' Amministrazione senza far torto ai proprietarŒ? Rimane adunque che la rappresentazione conveniente e possibile dei non proprietarŒ non possa consistere se non in una voce efficace di reclamare i torti che potessero loro farsi: e questa è la proposta della Commissione; la quale si riserba di stabilire altrove quale altra rappresentazione convenire possa ai medesimi qualora appartengano alla classe dei mercenarŒ. In conseguenza di quanto fu discusso nella sessione precedente l' assemblea addottò un altro principio fondamentale: « Che si riconosceva la ricchezza materiale come l' unico mezzo generale dell' amministrazione della società civile. » La Commissione insistè molto sopra un tale principio, e il rese così evidente che fu generalmente approvato. Una delle ragioni radicali proposte dalla Commissione si fu, che tanto quelle persone che si trovavano prive di libertà, quanto quelle che si ritrovavano al tutto prive di proprietà materiali, non potevano per la loro condizione avere alcun diritto di regolare la modalità degli altrui diritti: poichè non avevano diritto neppure di regolare la modalità dei diritti proprŒ, dall' istante che erano al tutto dipendenti dagli altri uomini. In fatti era stato stabilito che il passaggio dallo stato naturale allo stato civile si facesse in tal modo, che ciascun uomo mettesse in comune la modalità dei proprŒ diritti, e mentre prima la regolava da sè, poscia la regolasse in comune, ritenendo una autorità proporzionale ai suoi diritti, o sia proporzionale a quella modalità che ei porta in comune. Or dunque l' uomo non libero non ha nessuna modalità da mettere in comune; poichè la modalità dei suoi diritti si ritrova interamente nelle mani del suo padrone, il quale non può già toccarlo nei diritti che egli ha, ma bensì far uso di tutte le sue azioni, per cui non resta più al servo alcun modo di provvedere a sè stesso, ma resta solo al padrone il dovere di provvedere al servo. Ed una cosa simile può dirsi di colui che è al tutto privo di proprietà; poichè questi se vuol vivere dipende totalmente da chi ne ha, ed egli è obbligato di dipendere, perchè è obbligato di usare tutti i modi onesti di campar la sua vita. Che cosa adunque porta questi in comune? nulla di certo: e perciò nissuna autorità a lui spetta nell' amministrazione di quel fondo, nel quale nulla egli mette. All' esistenza stessa non appartiene il diritto di usare l' altrui, se non dopo avere esaurito tutti gli onesti mezzi, e rimasto quel solo. Vi fu chi declamò contro la durezza dei proprietarŒ nel solo supporre, che si conservasse in mezzo ad essi una classe di uomini caduta in tanta miseria, e proponeva di votare tantosto di tenernela costantemente sollevata: ma la Commissione dimostrò che quello non era il tempo, che conveniva trattare a parte ciò che apparteneva alla beneficenza, e ciò che apparteneva alla giustizia; poichè, confondendo queste due cose, la stessa beneficenza sarebbe perita; che finalmente simili benefici provvedimenti dovevansi intavolare allorquando la società fosse costituita, e le famiglie della medesima legate insieme componessero un corpo solo. Non mancò chi credette cogliere la Commissione in contraddizione coi suoi principŒ; poichè dal momento che proponeva, che i non liberi ed i non proprietarŒ avessero una rappresentazione consistente in una voce, efficace quanto più esser poteva, di richiamo delle offese ricevute dagli altri membri della società, o dall' amministrazione della medesima; si doveva supporre che avessero il modo di soddisfare alle spese delle loro cause, e se ciò si supponeva, doveva supporsi egualmente, che avessero il modo di contribuire alle spese dell' amministrazione. Ma la Commissione rispose che l' amministrazione aveva l' obbligo di regolare la modalità di tutti i diritti; e che perciò le spese a tal fine necessarie entravano nelle spese amministrative, particolarmente poi in quella parte di offese che potessero provenire dall' amministrazione stessa; mentre essa aveva l' obbligo di non trapassare il confine della sua autorità, e di risarcire quanto poteva il danno, se per isbaglio lo trapassava. D' altro lato non è mai l' offeso che deve pagare le spese ma l' offensore. Che se questi non ne ha il modo, egli diventa uno di quei casi in cui la giustizia non ha il pieno suo effetto, non per mancanza della società, ma per l' impossibilità annessa alla cosa. Il qual caso non può avvenire mai, come dicevamo, riguardo a' richiami contro l' amministrazione; perocchè questa è sempre solvente, ove sia condannata. Appianate così le difficoltà, la Commissione conchiuse facendo osservare qual nuovo incremento di prezzo andava a ricevere la ricchezza materiale nella nuova società, dal momento ch' ella diventava il mezzo generale della sua amministrazione. Per far conoscere l' indole della nuova società civile fece notare la differenza che passava fra essa e la società famigliare, nel quale stato erano ricevute le persone assembrate, dimostrando che il mezzo dell' amministrazione famigliare era il servizio personale: e che il mezzo all' incontro della amministrazione civile era la ricchezza materiale , distinzione caratteristica delle due società. Di poi tirò pure la conseguenza da tutto ciò che era stato fatto, che relativamente alla instituzione della società civile i diritti degli uomini si dividevano in due classi: la 1 dei diritti personali; cioè diritti che l' uomo ha sulla propria persona, o su cose a lui strettamente unite, e questi sono tre: sulla vita, sul corpo, e sull' operazione; la 2 dei diritti reali; cioè sulla ricchezza esterna e materiale. I diritti personali danno a tutti gli uomini egualmente, in quella parte che li posseggono, una rappresentazione consistente in una voce di richiamo principalmente contro tutto ciò che può esser fatto in loro danno dalla amministrazione della società. I diritti reali all' incontro danno a quelli che li possedono una rappresentazione nella società civile consistente in una voce amministrativa , mediante la quale hanno nell' amministrazione della società una parte proporzionale a quella modalità dei diritti che mettono in comune nella medesima. Indi accordando a tutti indistintamente il nome di Cittadini, intendendo con esso di esprimere semplicemente membri della società civile, fece vedere come i cittadini venivano a distinguersi di loro natura in due ordini principali , l' uno dei quali era solamente governato, e l' altro ancora governava, cioè a dire quelli che non avevano se non diritti personali non potevano formare che un ordine governato e non potevano entrare a prender le redini della società: e quelli all' incontro che avevano anche diritti reali, ossia che erano forniti di ricchezza esterna e materiale, potevano e dovevano prendere parte alla stessa amministrazione. Questi due ordini venivano in tal modo costituiti dalle due specie di diritti a cui convenivano due specie di rappresentazione. In ogni specie di diritti si trovavano più diritti, e per ciò i cittadini appartenenti al primo ordine, cioè all' inferiore, avevano voce di richiamo per ciascuno dei tre diritti che possedevano, e i cittadini del secondo ordine cioè del superiore, avevano voce amministrativa proporzionata alla quantità della ricchezza loro esterna o materiale. Tutti egualmente i membri della società civile sono cittadini . A questa parola vien assegnato un nuovo senso dalla Commissione. L' essere cittadino consiste nel diritto di non esser offesi dall' amministrazione della società, e di più nel diritto, venendo offesi, di avere una voce di richiamo , per la quale ottengano risarcimento: voce che forma l' essenziale carattere della cittadinanza, che si adotta dalla società che va ad istituirsi. E prima di passare ad altro la Commissione volle che tutti convenissero nella chiara idea di questa cittadinanza , ossia di questa rappresentazione passiva comune a tutti i membri della società, la quale era ciò che li rendeva cittadini. 2) Fece dunque osservare che la prima base della società era che ogni diritto fosse rappresentato nella medesima, ma quando però potesse essere rappresentato. Or che cosa è ciò che rende rappresentabile un diritto nella società civile? Un diritto vien reso rappresentabile nella società civile da due condizioni. La 1 si è che il diritto che ha una persona sia congiunto alla sua modalità, perchè è la modalità che si porta in comune nella società civile, è questa che dalla società civile propriamente si amministra; nè la società civile viene per altro fine instituita, nè ad altro officio si estende: il perchè quegli che ha bensì un diritto in sua proprietà, ma che ha trasferito in altrui mani la modalità del medesimo, non ha diritto rappresentabile, perocchè non ha veruna cosa che possa consegnare per dir così alla società civile, perchè essa gliela amministri: non pigliando essa ad amministrare che modalità di diritti. La 2 si è che quegli che ha il diritto e insieme la modalità del medesimo, abbia ancora della ricchezza materiale: poichè questa è il mezzo generale dell' amministrazione civile, e però chi non ne ha, rimane privo del modo di pagare la spesa proporzionale che gli toccherebbe in detta amministrazione: senza di che non può ragionevolmente pretendere di essere accettato nella medesima. La mancanza principalmente della prima di queste due condizioni esclude gli uomini non liberi dall' avere una rappresentazione attiva nella società civile, che è quanto dire di aver parte nell' amministrazione della medesima. La mancanza principalmente della seconda condizione esclude dalla rappresentazione attiva i non proprietarŒ. Quelli adunque che possono aver parte nell' amministrazione sociale, o sia che possono avere una rappresentazione attiva nella medesima, sono i proprietarŒ. Or egli è necessario di vedere come la natura di questa rappresentazione attiva , lungi dal segregare i proprietarŒ dagli altri uomini, li congiunga con essi con tal vincolo, pel quale si possono a buon diritto chiamare membri della stessa società. In fatti l' amministrazione sociale si erige per regolare la modalità dei diritti dei suoi membri: e la modalità dei diritti, perchè sia ben regolata, conviene che costantemente si attenga dentro a termini della giustizia. Ora questa giustizia, prima condizione della buona modalità dei diritti, è quella che lega tutti gli uomini insieme, non già per un patto arbitrario, ma per una legge eterna, che gli uomini associati non instituiscono, ma di comune consenso riconoscono, perchè la debbono riconoscere. Or questa legge fa sì, che l' amministrazione sociale non possa giammai trattare esclusivamente i negozi delle persone che entrano in essa, ma debba riconoscere le relazioni, che hanno tali persone con quelle che rimangono fuori della detta amministrazione: debba in queste persone escluse dall' amministrazione, perchè non hanno nulla di proprio che possa essere amministrato, riconoscere e rispettare tutti i diritti che esse hanno: quindi ancora desiderando di realizzare questa debita riverenza pei loro diritti non debbe ricusare che sia messo ad esame tutto il suo operato: che sia ricercato in esso il giusto e l' ingiusto, o che di tutto ciò ch' essa avesse operato d' ingiusto essa renda soddisfazione a quelle persone qualunque sieno sulle quali è caduto il danno dell' ingiustizia. L' amministrazione civile, come persona morale, ha quelli stessi doveri verso le persone individuali che queste hanno fra di loro nello stato di natura. Ora nello stato di natura le persone individuali hanno scambievolmente i seguenti doveri: 1 Quello di non offendersi; 2 quello di esser pronte, nei casi controversi in cui l' una si richiama d' essere stata offesa dall' altra, a sottomettersi al giudicio di arbitri benevisi dalle parti. Quest' è la relazione che nello stato di natura la giustizia mette fra due persone individuali; relazione che avvincola gli uomini, e che li mette fra di loro anche in quello stato in una specie di società. Ora questa stessa relazione rimane nella società civile fra l' amministrazione della medesima e le persone singole comprese in essa o non comprese: ma con questa differenza, che l' amministrazione della società civile riconoscendosi obbligata di adoperar tutti i mezzi per ritener sè stessa nei limiti della giustizia, obbligo comune a qualunque persona, riconosce però insieme un obbligo morale che è proprio suo e non comune alle altre persone. E quest' obbligo nasce dal principio morale « che i mezzi perchè una persona ritenga sè stessa nei limiti della giustizia debbono essere tanto maggiori quanto la persona ha più di forze, cioè quant' essa ha più mezzi di offendere la giustizia. »Non v' ha principio più trascurato dagli uomini di questo, nè più importante per la loro tranquillità, nè di una necessità più fondata nell' esperienza. E` l' esperienza di tutti i secoli e di tutti i tempi che dimostra questa funesta verità « che gli uomini tanto sono più tentati di offendere la giustizia quanto più sentono avere una forza di farlo: »che la forza in mano dell' uomo lo innalza, lo inorgoglia, acuisce quella fierezza omicida, che nel suo cuore giace profonda insieme colla sua originale reità: e dove si crede sicuro nella malvagità, e impunito nella scelleraggine, persuaso che la ragione non gli sia più necessaria, s' abbandona cieco alla sfrenata irritazione che produce in lui il senso d' una potenza che nasconde i suoi limiti. Ma dietro all' esperienza che ognor più rafferma questo lacrimevole fatto, la voce della giustizia ognor più grida agli uomini: « O voi che avete in mano la forza e che amate la giustizia, tremate di voi medesimi: quella forza minaccia la vostra giustizia, e l' atterrerà senza un vostro sforzo di sostenerla: la forza nelle vostre mani tenta di estinguere in voi la ragione; voi siete tanto più obbligati di tenerla viva, e di non rivolgere gli occhi dai lumi suoi; quant' è più grande il pericolo della virtù, tanto maggiore sia il vostro timore, la vigilanza e la cautela per non esserle infedeli. »Secondo questo principio gli uomini, che mediante l' esperienza hanno imparato a conoscer sè stessi, sono in un obbligo morale di agire verso dei loro simili con una delicatezza, con una guardia di sè, e più ancora con una magnanimità che cresce in ragione della potenza che hanno sopra di quelli. Egli è per questo principio morale ed intrinseco insieme all' amministrazione sociale, che questa, come quella che costituisce una grande potenza, debbe riconoscere altresì in sè stessa un dovere morale di agire colla più grande circospezione, col più grande rispetto a ciascuna persona individuale, colla equità più luminosa, con una pubblicità che rimuova fino i sospetti, con una magnanimità che sia capace di abbandonare il proprio giudicio e sottomettersi a quello d' altrui in fatto di giustizia; rinunciando totalmente a quella sognata e crudele infallibilità politica: debbe riconoscere per ciò un dovere di deferire ad un tribunale di giustizia tutti i casi dubbi, che possono intervenire fra lei e ciascuna singola persona più debile di lei, appartenga questa all' amministrazione o no. Sembrerà che conceduta ancora l' esistenza di simile Tribunale, comune all' amministrazione sociale ed a tutti indistintamente i membri della società che hanno onde richiamarsi di lei, non sia bastevole per poter affermare, che tutte le persone individuali entrino veramente in una stessa società civile; ma che quelli della amministrazione formino una società a parte da quelli che rimangono fuori. E in fatti non è la comunanza di questo tribunale il solo vincolo dei membri della società civile; ma v' è un altro vincolo il quale associa gli uomini senza cangiare le loro relazioni anteriori a questo civile associamento: ed ecco qual' è. La società civile consiste nell' instituzione di un potere che regola la modalità di tutti i diritti. Nulla impedisce dall' accordare, che ogni diritto abbia una modalità: ma queste modalità talora sono separate dal diritto come sarebbe nei servi, i quali hanno bensì i due diritti che lor abbiamo accordato, ma non hanno all' incontro in propria mano la modalità dei medesimi, che resta nelle mani dei loro padroni. Ora i servi non avendo in propria mano la modalità dei proprŒ diritti, non possono portarla nella società civile e metterla in comune: all' incontro i padroni nello stato di natura hanno in propria mano tanto la modalità dei proprŒ diritti quanto quella dei diritti dei servi. Quindi sono essi che portano nella società civile da amministrarsi in comune insieme colla modalità dei proprŒ diritti anche la modalità dei diritti dei servi: ed in tal modo la società civile diventa amministratrice della modalità dei diritti di tutti gli uomini, ed anche dei diritti dei servi: ma senza mutare le relazioni che questi hanno coi loro padroni, cioè la società civile amministra la modalità dei diritti dei servi, ma essa facendo ciò non viene già a far le veci dei servi stessi; ma sì bene a far le veci dei padroni dei servi: poichè nello stato di natura non erano già i servi quelli che amministravano la modalità dei proprŒ diritti, ma ciò facevano i loro padroni. Se dunque si facesse che i servi entrassero nell' amministrazione della società, avverrebbe ch' essi facessero ciò che non facevano nello stato di natura: e che all' incontro i padroni venissero privati di fare ciò che facevano nello stato di natura: in tal modo questi entrando nella società verrebbono spogliati di un diritto che avevano nello stato di natura; ed ai servi verrebbe dato gratuitamente un diritto che nello stato di natura non avevano. Il passaggio dunque dallo stato di natura allo stato di società civile non si farebbe più restando intatte le relazioni degli uomini; ma in tal passaggio verrebbero alterate, e mentre ad alcuni uomini si darebbero dei diritti che prima non avevano, ad altri se ne torrebbe di quelli che prima avevano. Conviene adunque perchè la giustizia non venga alterata, come succederebbe se avvenisse trasferimento di diritti, che i servi abbiano coll' amministrazione della società una relazione simile a quella che prima avevano coi loro padroni; che l' amministrazione non sia se non l' unione di quelli che nello stato di natura amministravano, e che le persone escluse dalla medesima non sieno che quelle che nello stato di natura non amministravano. Conviene concepire il piano della società civile non già come una istituzione mediante la quale le persone che non amministravano nello stato di natura passino nel numero di quelle che amministrano; ma bensì come una istituzione mediante la quale le persone, che nello stato di natura amministravano in separato, si uniscano insieme per amministrare in comune. Ora ciò posto non riesce per tutto questo men vero che la società civile si proponga di amministrare la modalità di tutti i diritti, o sia dei diritti di tutti gli uomini. Quindi riesce altresì vero che ella abbraccia nel suo seno gli uomini tutti, sebbene senza alterare le loro relazioni, e che tutti governino: tutti adunque soggetti alla stessa amministrazione con ragione vengono detti membri della società medesima, sebbene non già membri eguali, o, per essere più accurati, non già membri che godano della ugualianza costituente , ma bensì membri che godono della uguaglianza giuridica: membri che convengono tutti nell' essere amministrati da uno stesso potere e che hanno un eguale diritto di non essere dallo stesso offesi, sebbene membri che non hanno eguale diritto di essere da quel potere vantaggiati: membri in somma che si dividono in due ordini, l' uno dei quali non è che amministrato, mentre l' altro è anche amministratore. Quand' anche non si considerasse nei non proprietarŒ l' ostacolo della mancanza della ricchezza materiale, mezzo dell' amministrazione, tuttavia soggiacerebbero allo stesso discorso fatto pei non liberi; poichè non potendo essi sussistere senza trovar il loro nutrimento, dovrebbero o passare alla classe dei mercenari o vivere d' accatto. Nel primo caso toccherà ad essi nella società civile lo stato conveniente ai mercenarŒ, nel secondo caso essi dipendono totalmente dalla volontà degli altri uomini che li beneficano, e che perciò non lasciano loro che quella libertà che loro piace: mentre questi poveri sono obbligati per un diritto naturale di far tutto ciò che è necessario per acquistarsi il vitto, e non può esser loro lecito di torre l' altrui, se non dopo d' avere tutto tentato, e d' esser venuti alle ultime estremità: 1) i poveri adunque sono essenzialmente persone non libere: e quella libertà precaria che godono di fatto non è fondata in alcun loro diritto, ma nella bontà dei loro benefattori, i quali li soccorrono senza esiger da essi servitù. La Commissione si era appianata la via alle cose fino a quest' ora trattate per proporre l' articolo riguardante lo stato che dovevano avere nella società civile i mercenarŒ, e l' articolo che essa propose fu il seguente: « I mercenarŒ che possono provare di esercitare un' arte od un mestiere qualunque, che apporti loro un sufficiente mantenimento senza bisogno di sovvenzioni caritative, non debbono entrare nell' amministrazione della società individualmente come i proprietarŒ che hanno fondi, ma debbono entrarvi mediante una rappresentazione del loro corpo. »Cioè i mercenarŒ non hanno nella società civile una rappresentazione attiva, come persone singole, ma bensì debbe essere rappresentato nell' amministrazione della società il corpo dei mercenarŒ. Quest' articolo incontrò difficoltà dalla parte dei proprietarŒ. Il delegato per questi si sforzò di provare che i mercenarŒ erano di loro natura totalmente dipendenti dai proprietarŒ, perocchè non avendo essi nessun fondo da cui ritrarre con sicurezza il loro mantenimento ed indipendentemente da quelli, essi non potevano vivere, se non lavorando a discrezione dei proprietarŒ. Questi all' incontro come quelli che possedevano un fondo che dava loro onde vivere erano da sè i soli indipendenti e liberi: perciocchè questi avrebbero potuto lavorare da se stessi il fondo e cavare dal medesimo il mantenimento, senza chiamare altri in aiuto. La esistenza dunque dei mercenarŒ è precaria, e dipendente dalla volontà di quelli che li assoldano: da questi dipende totalmente la modalità dei loro diritti; e se questi s' accordassero insieme di non dare a mercenarŒ lavoro, ma di lavorare essi stessi; questo sarebbe forse un atto d' Œnumanità, ma non offenderebbe ancora i diritti dei mercenarŒ; i quali ridotti all' estremo dovrebbero rendersi servi dei proprietarŒ. Ora questa specie di monopolio non fanno nè far debbono i proprietarŒ; ma nol fanno e far nol debbono per altro che per atto d' umanità, e di commiserazione; ciò che nei mercenarŒ non mette diritto alcuno d' aver a forza lavoro, se quelli nol facessero a volontà. Vero è dunque che i mercenarŒ non sono al tutto alla condizione dei servi; ma quella poca libertà ch' essi godono non l' hanno da sè, ma viene loro lasciata dalla generosità dei proprietarŒ: i quali torre gliela potrebbero senza toccarli nei loro diritti: sono adunque i mercenarŒ simili ai poveri o non proprietarŒ, che si contan per liberi fino a che la beneficienza dei ricchi mantiene loro la libertà, ovvero simili a quei servi verso dei quali il padrone non usa il suo diritto di signoria. Non possono adunque aver voce i mercenarŒ nelle pubbliche deliberazioni, ma i loro padroni per essi; quantunque abbiano quelli il diritto di patteggiare nella mercede, che danno loro i padroni, anche la qualità del voto ch' essi debbono portare nella Sociale Amministrazione. La Commissione rispose ch' essa conosceva benissimo, che i mercenarŒ avevano una dipendenza dai benestanti: che aveva esaminata la natura di questa dipendenza: e che avendola trovata tanto lontana dalla servitù , quanto dalla benestanza , aveva stimato che loro convenisse nella società un posto di mezzo fra i servi ed i benestanti; e che perciò nè fossero privati interamente di una rappresentazione attiva come quei primi, nè l' avessero intera come questi secondi: al che avea creduto di soddisfare coll' articolo proposto. Infatti la Commissione riconosce che non v' ha nessun mercenario preso individualmente, la cui esistenza non sia precaria, e la cui libertà non sia dipendente dal corpo dei benestanti, da cui sono pagate le mercedi, sicchè se i benestanti volessero, potrebbero privarlo del lavoro, nel qual caso egli rimarrebbe nello stato dei poveri e successivamente dei non liberi. Egli è per questo che la Commissione ha creduto che nessun mercenario possa individualmente ottenere secondo l' equità una rappresentazione attiva nell' amministrazione sociale; per le stesse ragioni per le quali viene negato ai poveri ed ai servi; cioè perchè il mercenario individuale egualmente che questi non ha una modalità propria e certa da portare in comune nella società, e perchè non ha assicurata ricchezza, mezzo necessario all' amministrazione della medesima. Ma la Commissione all' incontro non giudica allo stesso modo di tutto il corpo dei mercenari, ed anzi sostiene: 1 Che tutto il corpo dei mercenarŒ quale egli esiste nel fatto ha un' esistenza assicurata tanto quanto quella dei benestanti: che detto corpo se ha qualche dipendenza dai proprietarí è questa però tale che rimane una semplice dipendenza speculativa, o sia una possibilità di dipendenza che non si esercita nel fatto giammai, e che perciò non può avere un effetto calcolabile. 2 Che i benestanti non hanno punto il diritto di escludere il corpo intero dei mercenarŒ dai lavori che portano loro le mercedi, e che perciò il corpo dei mercenarŒ non può essere senza ingiustizia eliminato per un accordo o per un monopolio che facessero fra di loro i benestanti. A dimostrare la prima di queste due proposizioni basta un fatto, che è uno di quei pochi comunemente ricevuti e sui quali non cade più controversia; cioè che la divisione del lavoro aumenta la ricchezza dei benestanti, appunto perchè perfeziona le arti, cioè migliora la produzione, la rende più celere e meno costosa. Egli fu questo effetto della divisione del lavoro, che venendo vie più sentito ed inteso dagli uomini li persuase a dividere sempre più i lavori, e che così si moltiplicarono le arti. Da ciò nacque, che mentre nell' antichità si esercitavano tutte le arti necessarie nella famiglia stessa, in essa per esempio si mantenevano le greggi, si preparavano le lane, le si filavano, le si tessevano, le si riducevano a vestimenti; si comprese più tardi che era più economico e che rendeva un lavoro più perfetto dividendo tutte queste incombenze fra varie famiglie, alcune delle quali si restringessero per esempio alla cura del gregge, altre alla filatura delle lane, altre alla tessitura, ed altre alla facitura delle vestimenta. Egli fu in tal modo che si moltiplicarono i mercenarŒ: fu in tal modo che una famiglia si rendette dipendente dall' altra di propria volontà. Colla cognizione dell' utile, col gustamento del piacevole si moltiplicarono i desiderŒ ed i bisogni, e questi diedero origine a quel gran numero di arti e mestieri onde presentemente è ricca la società fra le nazioni, che rende la vita umana agiata e soave e fornita di tutti quelli aiuti che sono necessarŒ ad un maggiore sviluppo dello spirito. Egli è vero che il genere umano non sarebbe giammai venuto a tale stato di floridezza nel quale possede tanti mezzi di lieto ed onesto vivere, se in esso la religione non avesse temperato i fieri costumi e la corruzione delle passioni raccendendo nelle menti il lume della verità; ma senza cercare le cagioni di questo stato confortante dell' umanità, basta a conoscere che egli è tale, che l' uomo si trova oggimai sul cammino della propria utilità, e che è divenuta una legge inalterabile dell' umanità, che questa sia sollecita di cercare ciò che le è vantaggioso, e presto o tardi lo ritrovi quasi avesse verso di ciò un' involontaria gravitazione; legge che si è resa così forte ed evidente che è difficile il conoscere che fu introdotta nell' umanità, e di cui non porta in sè medesima la necessaria esecuzione: il conoscere dico, che l' umanità si potesse trovare in tale stato, nel quale incapace fosse di pensare all' acquisto d' un suo bene per poco lontano ch' ei fosse ed impotente di muoversi verso il medesimo, per una inerzia che non riceve movimento se non dei pungoli di un dolore corporeo o di un istinto brutale. Da questo stato di degradazione è già lontanata per sempre l' umanità, e ha ricevuto una spinta che la porta per tutti i veicoli del bene, per così dire, anche più lontano, e non può venire meno il suo movimento. Egli è dunque contro questa legge di perfettibilità che andrebbero gli uomini togliendo via la divisione del lavoro, e per ciò la classe dei mercenarŒ: giacchè, se i padroni si dividessero fra loro le arti, verrebbero ad accumulare in sè due officŒ, o sia due lavori, cioè l' amministrazione della propria sostanza e l' arte prescelta: e si renderebbero in tal modo servi essi stessi senza che a loro restasse il modo nè il tempo di godere i frutti dei beni da loro posseduti, nè quelli dalla loro avidità guadagnati. Il benestante adunque pagando il mercenario redime sè stesso: giacchè egli è libero quando è padrone del suo tempo e della sua opera: quando cioè quest' opera non è occupata dalla necessità di un lavoro determinato. Colla mercede che paga il benestante, cangia un po' della sua ricchezza con altrettanto tempo e fatica, il quale è pur sempre un cambio vantaggioso; mentre fonda in tal modo una forza ed una porzione di vita che egli può occupare alla cultura del suo intelletto e del suo cuore, e al godimento degli onesti piaceri: i quali beni sono di un pregio inestimabile sopra la materiale ricchezza. Il corpo dei mercenarŒ adunque è sommamente utile ai benestanti, e attesi i suoi presenti bisogni necessario: ed essendo gli uomini soggetti alla legge della perfettibilità e da essa inclinati a mantenere ciò che hanno provato per bene e ad accrescerlo, è impossibile che il corpo dei mercenarŒ sia abolito: ed una tale proposizione è così assurda, che il solo enunciarla desta le risa. Nè si può dire che i benestanti con un comune accordo potessero costringere i mercenarŒ a più dure condizioni fino alla servitù; perciocchè questa stessa prostrerebbe le arti, solito effetto della umanità, e le richiamerebbe dentro alle famiglie onde sono uscite, cioè farebbe retrogradare la società: il che, come dicemmo, essa non può fare generalmente parlando, od al meno non può farlo ad occhi aperti; perocchè ad occhi aperti è assurdo che faccia un male a sè stessa. L' esistenza adunque del corpo dei mercenarŒ non è precaria, ma è tanto ben assicurata quant' è assicurata la legge della perfettibilità: e, se non fosse assicurata, noi dovremmo assicurarla con una civile sanzione, mentre la società in costituirsi non debbe far danno a sè medesima, ma mettere tutte quelle basi che da essa il male allontanano. 1) Per la stessa ragione il corpo de' benestanti commetterebbe una ingiustizia cercando di distruggere il corpo dei mercenarŒ: perocchè nessuno ha diritto di restringere l' altrui libertà senza che ciò torni in bene di sè stessa. Ora il corpo dei mercenarŒ è utile, come abbiamo veduto, ai benestanti: dunque oltrechè sarebbe stolto distruggerlo, e di una stoltezza che si è resa impossibile al genere umano, sc“rto sulla via della perfezione, sarebbe anche ingiusto, perciocchè nessuno ha diritto di nuocere altrui senza ragione, nessuno ha diritto al male ed alla stoltezza. La società civile adunque, sì per principio di utilità che per principio di giustizia, debbe riguardare il corpo dei mercenarŒ come fornito di un diritto al mantenimento, e debbe conoscere che il provento del medesimo è assicurato sopra un fondo stabile quanto il provento dei benestanti, mentre è assicurato sul bisogno, sui piaceri, sulla felicità, e sulla moralità degli stessi benestanti. La sola differenza che passa fra il fondo sul quale è assicurato il provento dei benestanti, ed il fondo sul quale è assicurato, per dir così, il provento dei mercenarŒ, si è questa, che ciascun benestante ha in mano il suo fondo, ed è legato colla sua individuale persona: mentre ciascuno dei mercenarŒ non può già dir tanto, poichè il suo travaglio è condizionato alla volontà di chi lo prende al lavoro: e ciascun mercenario non può sempre assicurarsi di trovare questa volontà disposta costantemente ad usare l' opera sua: mentre tutto il corpo dei mercenarŒ può benissimo assicurarsene; giacchè abbiamo fissato per base, che la volontà collettiva dei benestanti non può mai volere lasciare totalmente privo di lavoro il corpo dei mercenarŒ. Alcuno chiese se con ciò s' intendeva che la società civile prendesse l' obbligo di mantenere costantemente un numero fisso di mercenarŒ. A cui la Commissione rispose: che no: che il corpo dei mercenarŒ non poteva mai fissarsi: che questo doveva crescere o scemare, secondo le ricerche dei benestanti; ciascuno dei quali coll' istituzione della nuova società restava libero come prima di prendere o di licenziare i mercenarŒ secondo i suoi interessi ed i suoi bisogni: che se finalmente si potesse suppore il caso di una tale carestia e penuria di tutte le cose più necessarie, che nissun benestante avesse più il modo di mantenere un solo mercenario, supposto questo caso impossibile, ne seguirebbe, che il corpo dei mercenarŒ per qualche tempo disparirebbe; ma senza che questa distruzione dei mercenarŒ fosse punto contraria ai principŒ sopra esposti, perocchè essa non seguiva per un arbitrio stolto dei ricchi, nè per un principio di assurda politica; ciò che solo col discorso precedente si è combattuto. Ma dunque, alcun altro oppose, se il corpo dei mercenarŒ diminuisce ed aumenta, come avrà una rappresentazione stabile? Non fu parlato di una rappresentazione stabile, rispose la Commissione; ma solo di una rappresentazione attiva, la quale certamente debbe cangiare nella stessa proporzione che cambia il corpo dei rappresentati. Il modo poi di questo cangiamento è ciò che la Commissione si riserva di spiegare, quando sarà tempo opportuno; pregando intanto chi avesse da dire contro la medesima, di riservare per allora che se ne farà di proposito trattazione. Ciò che fu detto, e che fu fin qui accordato dalla Assemblea, diede la via alla Commissione di presentare il principio generale, secondo il quale doveva esser formata l' amministrazione della società civile. Il principio fu enunciato così: « Il potere amministrativo debbe esser messo in equilibro colla proprietà materiale di ciascun membro della società civile; »che equivale a quest' altra proposizione: « Ciascun membro della società civile debbe partecipare all' amministrazione della medesima nella proporzione della ricchezza materiale ch' egli possiede. » Tale principio veniva come conseguenza naturale dalle cose dette, o piuttosto era una recapitolazione delle medesime. In fatti egli discendeva da quell' altro più generale già prima adottato, che ogni specie di diritti ed ogni diritto nella stessa specie trovasse nella società civile una rappresentazione conveniente e possibile. Le specie di diritti s' avevano trovate essere due, chiamate de' diritti personali e de' diritti reali. S' era pure trovato ed accordato che a queste due specie di diritti corrispondevano due specie di rappresentazioni; cioè la rappresentazione passiva e la rappresentazione attiva: la prima delle quali, corrispondente ai diritti personali, era formata da una voce efficace di richiamo contro alle offese, e la seconda, corrispondente ai diritti reali, era una voce influente nell' amministrazione della società. Per diritti reali s' era inteso diritti sulla ricchezza materiale, e dopo aver trovato la rappresentazione conveniente a tale specie di diritti, cioè la rappresentazione attiva, conveniva stabilire il principio, che fissasse la rappresentazione conveniente a ciascun diritto della stessa specie, o sia alla quantità proporzionale dei diritti reali: e tal principio era quello enunciato dalla Commissione: « che il potere amministrativo dovesse esser messo in equilibrio colla proprietà materiale di ciascun membro della Società civile. » Non poteva dunque rifiutarsi l' Assemblea dell' ammettere tal principio, se non voleva venire in contraddizione con sè stessa. Ciò ammesso fissò la Commissione l' infimo grado di tale rappresentazione che doveva essere proprio di quelle persone, che avessero tanta ricchezza materiale quanta bastava ad assicurare ai medesimi una vita indipendente dagli altri uomini: in tal modo acquistava una rappresentazione attiva quella persona che aveva dei diritti per se stessi esistenti, giacchè i diritti personali per se stessi non possono esistere nell' uomo se non coll' aiuto di diritti reali: questi due diritti insieme uniti danno alla persona un' esistenza politica garantita in faccia alla società degli altri uomini, i quali ragionevolmente possono entrare con essa in un contratto stabile. I possessori delle terre fecero però sentire che non sembrava loro giusto d' esser messi alla stessa condizione dei possessori di fondi industriali, o commerciali, o bancarŒ, e dissero tutte le ragioni che dir si sogliono dai partigiani dei fondi terrieri: si sforzarono di mostrare principalmente due cose: 1 che tutte le altre ricchezze erano dipendenti dalla terra, e che veramente questa sola, somministrando il nutrimento agli uomini e le materie prime alle arti, era indipendente; 2 che i fondi d' altra specie non erano così assicurati come le terre, le quali non potevano mai esser distrutte nè mancare di prezzo; mentre tutta la ricchezza affidata alla volubile fortuna del commercio poteva da un' ora all' altra perire; e variava mobilissima ad ogni circostanza politica e ad ogni varietà nel costume e nell' opinione degli uomini. La Commissione oppose alla prima difficoltà quello stesso ragionamento, col quale aveva dimostrato che i mercenarŒ dovevano considerarsi come indipendenti dai benestanti: mentre questi non si sarebbero mai indotti ad abbandonarli giacchè ciò non voleva il proprio interesse, il quale interesse non poteva non essere seguito dal corpo dei benestanti perchè l' umanità, di fatto e per una legge a cui irrefragabilmente obbedisce, non può ad occhi aperti nè lasciare un bene nè fare un male a se stessa. Le arti ed il commercio sono di somma utilità ai possessori delle terre: dunque questi quando anco potessero abbandonarli non lo faranno mai; poichè ciò supporrebbe la perdita della ragione, o la perdita dell' amore a' proprŒ vantaggi Dall' istante adunque che i proprietarŒ delle terre non vogliono nè possono volere rinunziare ai vantaggi che a loro apportano le manifatture ed il commercio, avviene ch' essi si costituiscano di fatto dipendenti da questi rami industriali, come questi rami industriali sono dipendenti da essi. La dipendenza adunque è scambievole, ed è anche pari; poichè, lasciando di considerare se l' agricoltura potesse sussistere priva di qualunque maniera di arti, egli non è più cosa controversa, che l' industria manifattrice ed il commercio aumentano la produzione, e moltiplicano il valore di ciò che rende la terra più volte per se medesimo. Ella è questa moltiplicazione di valore, che produsse le arti ed il commercio. E chi la poteva produrre, se non i possessori delle terre somministrando le materie prime? Le arti dunque ed il commercio vennero ad esistere mediante una loro speculazione: allo stesso modo come il frutto della terra venne a prodursi mediante il lavoro ch' essi fecero della medesima. Come dunque il benestante dipende dalla terra per cavare della ricchezza, allo stesso modo dipende dalle arti e dal commercio per cavare dell' altra ricchezza. Che se potesse darsi il caso, che i benestanti rinunziassero pazzamente a questa seconda ricchezza, forse mossi dall' invidia del guadagno di quelli che si applicano esclusivamente alle arti ed al commercio, e che comperano da essi i prodotti primi, ciò sarebbe un fatto stolto ed ingiusto: sarebbe un abuso del diritto della proprietà, e non dovrebbe essere riguardato come legittimo nella fondazione della civile società: anzi questa dovrebbe proclamare e sancire una dichiarazione in contrario, riguardando i possessori di fondi terrieri, industriali, e commerciali come parti cointeressate nello stesso negozio, come socŒ tendenti allo stesso scopo, dei quali gli uni si aiutano cogli altri scambievolmente dividendosi gli offici dell' azienda comune: perciò tutti egualmente gli uni dagli altri dipendenti, o in un altro senso tutti egualmente indipendenti; indipendenti cioè dato per impossibile che si rompa tal compagnia, e che qualche parte della medesima cessi da' suoi officŒ. Alla seconda obbiezione, colla quale i proprietarŒ delle terre pretendevano che solamente i loro fondi fossero bastevolmente assicurati ed all' incontro i fondi industriali e commerciali fossero abbandonati alla sorte sui quali perciò non si poteva contare, la Commissione fece una risposta convincente presentando i seguenti riflessi. Ella è la legge che regola il prezzo delle cose, quella che può dileguare la difficoltà proposta. Per conoscere la legge che regola il prezzo delle cose bisogna prendere per regola una misura comune del prezzo, una materia che abbia qualche valore a cui paragonare le altre; e il danaro generalmente introdotto nelle società costituite somministra la misura del prezzo più acconcia di tutte. Valutiamo dunque il prezzo delle cose in danaro, o per dir meglio consideriamo la valutazione loro nel fatto. Quali sono dunque gli elementi che costituiscono questo prezzo, o questa valutazione delle cose? Sono due: 1 La ricerca delle medesime corrispondente ai bisogni che si hanno di esse, presa la parola bisogna nel senso più generale, nel quale si comprendono ancora i bisogni fattizŒ, i desiderŒ in somma. 2 L' acconciezza che hanno le cose a soddisfare questi bisogni, calcolando la facilità d' acquistarle, la loro quantità, la loro durata rispettiva ecc. ecc.. Egli bisogna ben intendere che questo prezzo delle cose appunto perch' egli risulta dal rapporto fra la somma de' bisogni delle medesime e la loro acconcezza a soddisfarli, non è già stabilito da qualche persona particolare (escluso il caso di monopolio) ma da tutta la società, nella quale le cose valutate sono in corso. Ciò posto, se i fondi industriali e commerciali sono soggetti al pericolo della sorte, egli è evidente che nella loro valutazione questo viene calcolato: e se non viene calcolato vuol dire ch' egli è realmente compensato dal valore della speranza di guadagno che gli accompagna. Nè i proprietarŒ delle terre possono già dire: che il prezzo che viene loro assegnato, e nel quale resta necessariamente calcolato anche il pericolo della sorte, non abbia che una giustezza approssimativa; poichè ciò ammesso non possono tuttavia cavarne conseguenza in loro favore; giacchè lo stesso si può dire della valutazione dei fondi terrieri e del prezzo di tutte le altre cose mobili e stabili che sono poste in circolazione nella società. Egli è impossibile adunque trovar altra via di valutar la ricchezza se non riportandosi al prezzo relativo delle cose, cioè al prezzo che acquistar possono messe in cambio con altre cose; del quale prezzo per conoscere la proporzione bisogna riportarsi ad una specie sola di cose, fra le quali la più comoda e la più usitata è il denaro. Trovato questo prezzo relativo, non v' ha più luogo a sconto; poichè questo prezzo è il risultato delle qualità stimabili dell' oggetto apprezzato, meno le qualità deterioranti, come sarebbe appunto la sua breve durata, la sua fragilità, la probabilità della sua perdita ecc. ecc.. A tale discorso taluno disse che, dato anche tutto ciò che la Commissione viene ad esporre, non ne seguirebbe punto altra conseguenza pei fondi industriali e commerciali che quella tirata per li mercenarŒ: cioè che dovessero avere una rappresentazione comune e non individuale; conciossiacchè la loro esistenza indipendente si provava collo stesso argomento che s' era usato a provar quella dei mercenarŒ. Ma la Commissione ne dimostrò la differenza; poichè supposto che un mercenario venga abbandonato dai committenti, egli che vive su suoi lavori non ha oggimai più onde vivere; mentre all' incontro, supposto anche lo strano caso che il possessore d' un fondo industriale o commerciale venga abbandonato a tale che debba desistere dalla sua professione, gli rimane ancora il suo fondo, il quale egli può vendere, e tramutare o in un fondo stabile o in un capitale fondato sopra un fondo stabile. Laonde rimane il diritto a ciascuno, che abbia un fondo capace di produrgli un sufficiente mantenimento, di essere rappresentato individualmente nell' amministrazione della civile società. Malgrado che i ragionamenti della Commissione fossero stati riconosciuti per giusti, e le sue proposte fin quì approvate, v' erano nulla ostante molti che si ridevano di ciò che si faceva, e che andavano mettendo in discredito i principŒ stabiliti ccol dichiararli impossibili di produrre un risultato pratico, i quali perciò sarebbero stati abbandonati ben presto, quando i negoziati si avvicinassero a conchiudere qualche cosa di fatto, e non si trattenessero come finor facevano nelle imaginarie regioni di un' aerea speculazione. Egli fu a costoro, i quali coi loro discorsi indisponevano gli animi dell' Assemblea, che prese a rispondere la Commissione nella sessione presente. Come è possibile, dicevan essi, che ogni menoma ricchezza materiale venga rappresentata nell' amministrazione? In che modo si potrà ottenere una proporzione giusta fra le persone che debbono comporre l' amministrazione? Si vuol forse fare una nuova divisione delle ricchezze materiali in un modo regolare, sicchè una persona abbia precisamente il doppio, il triplo, o il quadruplo dell' altra nè più nè meno? Ovvero (giacchè questo sembra contraddire ai principŒ rigorosi di giustizia stabiliti dalla Commissione) si lascierà da parte le frazioni che sortono nella valutazione della ricchezza? In tal caso la Commissione devierebbe da quello stesso rigore di giustizia che essa vanta fino alla noia. Ma poi, i fondi rimangono sempre gli stessi? Non si pretenderà mica di rendere immobili e stagnanti tutte le ricchezze della società? E se son esse soggette ad un continuo movimento, dovrà soggiacere alle stesse mutazioni anche l' amministrazione della Società? Che governo sarà allora cotesto, che muta tutti i giorni, e che è commesso all' aura della cieca fortuna alla guisa stessa della ricchezza? O vorranno forse quelli, che, essendo in possesso del governo, per qualche sventura impoveriscono, cedere bonariamente il posto a quelli che sulla loro disgrazia si sono arricchiti? Per quanto adunque sieno speciosi i principŒ della Commissione, debbono terminare col partorire del vento. La Commissione contrappose a questi e consimili mormorii un' ampia dottrina del diritto, su cui opinava doversi formare la civile società: disse, che quelle obbiezioni provenivano dall' essere stata l' Assemblea finora informata de' principŒ di naturale giustizia risguardanti il fine propostosi da conseguire, e non de' principŒ di giustizia riguardanti il mezzo onde ottenere quel fine. Riguardo al fine la legge naturale vuole, che gli uomini viventi nello stato di natura si raccolgano in una Società civile, come quella che è utile a tutti, e che perciò ciascuno ha diritto di domandarla agli altri; a quello stesso modo che ciascun uomo ha diritto di domandare agli altri una convenzione ragionevole intorno ai proprŒ interessi ogni qualvolta questi vengano in collisione cogli interessi degli altri e non si possa senza una convenzione cavare giustamente quella utilità che si caverebbe mediante un' equa convenzione. 1) La Società civile dunque è una specie di convenzione generale riguardante tutti gli interessi di tutti gli uomini conviventi; la quale diventa un obbligo della legge naturale ogni qualvolta, sentendone alcuni uomini la utilità, dimandano a' loro compagni che vengano a simile convenzione ed associamento. Ma questo associamento debbe essere posto sopra le basi della equità, e queste basi di equità furono dall' Assemblea riconosciute esser quelle che la Commissione propose. Or dunque si tratta di formare la società sopra queste basi. Ma queste sono impossibili, si risponde. E come, ripete la Commissione, non sono esse necessarie? Rimossa l' equità e la giustizia, che cosa rimane per principio formatore della società, se non l' arbitrio, o la forza, o il caso, quasi formare la società dovesse considerarsi come un gittamento di dadi? Bisogna dunque vedere fino dove si estende l' obbiezione, che il formare la società civile secondo l' equità sia impossibile: mentre finalmente dall' equità non si può recedere, e se l' equità, come si dice, fosse al tutto impossibile da ottenersi, bisognerebbe convenire, che impossibile fosse la società stessa: che questa lungi dall' essere un dovere morale fosse il frutto o del cieco accidente o della prepotenza, o di un inconcepibile accordo nella medesima stoltezza. Ma l' obbiezione stessa non ci si presenta in tal modo. Essa non dice, che le basi dell' equità già proposte sieno al tutto impossibili da praticarsi: dice solamente, che esse non sono possibili a praticarsi con tutto il rigore, e che praticate a rigore assai male conseguenze trarrebbero seco. Or via, qual' è dunque la forza dell' obbiezione? Ella sta in questo; che dovendosi l' equità osservare nella composizione della società civile, debbesi praticare in tutte sue parti: e che se si concede di deviare dalla medesima in qualche parte, non si vede più la ragione perchè medesimamente non possa concedersi di lasciare l' equità anche nelle altre: dall' istante che l' arbitrio è qualche cosa, non si vede la ragione, perchè non possa esser tutto. Se l' equità è la suprema legge, perchè si può in parte abbandonare? Se non è la suprema legge, perchè non si propone a dirittura la legge suprema, e dietro a quella non si forma la società? Ma tutta questa obbiezione non è che apparente; perchè se gli uomini sono obbligati a seguire l' equità, essi non sono però obbligati di seguirla se non in quel tanto, che essi la conoscono, e che hanno il potere di seguirla. Non è già con questo che essi abbandonino una parte della equità; mentre è coll' animo cioè con una vera volontà che essi sono obbligati di seguirla tutta. Se malgrado di questa loro piena volontà, per mancanza di cognizione o di potere, avviene che in qualche sua parte esternamente non la pratichino e non la realizzino; questa non è che una mancanza materiale, e non già morale; non seguono per questo meno tutta intera la equità. Ma v' ha di più. Siccome nissuno uomo è obbligato moralmente all' impossibile, così nissun uomo ha il diritto di chiedere l' impossibile dall' altro uomo. Se due facendo insieme una convenzione non possono trovare il giusto punto dell' equità, non debbono per questo venire a discordia, ma bensì sono obbligati di stringere la convenzione stessa secondo un' equità approssimativa. Questo è ciò che nasce continuamente nella vita umana. Supponete, che più persone debbano dividersi egualmente una grande eredità: egli sarà tante volte impossibile di fare le parti giuste di una esattezza matematica: le stime dei fondi non possono giammai essere che approssimative, perchè sono l' opera degli uomini; il credito dei debitori della massa anche esso non somministra che un dato di approssimazione; e può cagionare dei gravi sbagli. In somma l' eguaglianza matematica non si ha mai, nè si potrebbe conoscerla avendola: il diritto delle parti adunque non si estende ad esigerla; perocchè i diritti debbono essere sempre ragionevoli, e non possono esigere se non ciò che è possibile: e ciò appunto è quello che propriamente si chiama equità, per distinguerla dalla giustizia, colla quale si vede essere da questo esempio intimamente connessa. L' equità dunque si può dire che non sia se non se la giustizia in pratica; giacchè la giustizia speculativa si può rare volte ottenere nella pratica, e non potendo gli uomini d' altra parte chieder giammai l' impossibile, sono obbligati dalla ragionevolezza che debbe accompagnare i loro diritti, e che è pur essa un principio di giustizia, a restringere i medesimi a tutto ciò che è possibile, che è quanto dire, a cangiare ciò che è giusto in ciò che è equo, mentre il sommo diritto cessa d' esser diritto; ma, secondo il proverbio antico, diventa somma ingiuria. Or come nella giustizia propriamente detta consiste ciò che secondo la legge naturale si può prefiggersi per fine , così nella equità viene indicato quel mezzo onde secondo la legge naturale si debbe ottenere quel fine. Giusto è adunque il fine di una giustizia stretta , giusto è il mezzo di una giustizia che propriamente si chiama equità . Gli uomini sono obbligati da una legge morale di prefiggersi nelle loro convenzioni quel fine giusto; e perchè se lo debbono prefiggere efficacemente per ciò sono obbligati altresì di ottenerlo con questo mezzo giusto: la giustizia stretta nel fine: la equità nel mezzo di ottenerlo, ecco ciò che rende possibili fra gli uomini le convenzioni giuste. Applichiamo questi principŒ alla convenzione più estesa di tutte che possano far gli uomini, ossia alla formazione della civile società. Conviene prima di tutto nella formazione della medesima vedere quale sia il diritto che può reclamare in essa qualunque persona che si assembra e tratta insieme per parteciparne. Giacchè nessuna persona può essere costretta senza ragione a rinunziare ai proprŒ vantaggi, quindi è necessario prima di tutto vedere quali sieno i vantaggi che ciascuno può avere in detta società, quale il posto che ciascuno può convenevolmente occupare. Noi abbiamo fatto questa ricerca ed abbiamo riconosciuto che la parte che si può avere in detta società può essere di due specie che abbiamo contrassegnato coi vocaboli di rappresentazione passiva e di rappresentazione attiva: che la rappresentazione passiva conviene indistintamente a tutti gli uomini; mentre ragione vuole che non partecipino della rappresentazione attiva se non quelli che vivono sopra dei fondi di ricchezza materiale e ciò in proporzione di detti fondi. Questo pertanto è il fine giusto della società; fine nel quale debbono ragionevolmente convenire: e dico fine giusto perocchè nessuno dei membri sociali potrebbe esser costretto senza ragione a rinunziare ai vantaggi che a lui apportano le basi soprafissate: conciossiacchè sono ragionevoli e venienti come conseguenze dai diritti di ciascheduno. Questo fine pertanto debbe ciascun membro della società futura prefiggersi di ottenere nella istituzione della medesima, e non perderlo giammai dallo sguardo. Ma debbe tenersi in esso così costante lo sguardo per ottenersi pienamente? Non già: ma per ottenersi quanto più si può: mentre quand' egli si ottiene nel miglior modo che si può, si ottiene pienamente: giacchè la perfezione morale non consiste se non nell' uso di tutte le proprie forze per la consecuzione di ciò che è giusto, non già nell' ottenimento materiale di ciò che è giusto: questo si potrebbe ottenere senza aver fatto la giustizia. E` dunque un dovere della legge naturale la formazione della Convenzione civile nel caso da noi proposto: è un dovere della legge naturale volerla formare secondo le basi della giustizia di sopra da noi stabilite: finalmente è un terzo dovere della Legge naturale recedere dal proprio diritto in quella parte nella quale non si può ragionevolmente esigerlo dagli altri soddisfatto, perchè ciò sarebbe loro impossibile, come è impossibile esigere la esattezza matematica nella divisione di una possessione, di una casa, di uno stato. Ciò solo adunque che possono esigere scambievolmente gli uomini, che vogliono comporre insieme una civile società, si è che sia adoperata la maggiore esattezza possibile nella divisione del potere civile: ma nulla più: e per la maggiore esattezza possibile non altro debbesi intendere che quella che risultar può dai lumi comunicati di tutti i membri, e messi a profitto mediante l' esame dei SavŒ universalmente reputati per forza di mente, per provetto consiglio, e per integrità. Qualunque adunque sieno per essere nella pratica esecuzione degli articoli sopra esposti le deviazioni dai medesimi , queste debbono essere sempre accordate dalla Assemblea dopo che è stato dimostrato: 1 che esse sono necessarie per l' ottima consecuzione del fine sociale, cioè pel comune vantaggio; 2 ch' esse sono le deviazioni menome che far si possano, dati i lumi suggeriti dalle persone, che concorrono nella società civile da istituirsi. La esecuzione del sopraesposto progetto viene pienamente giustificata, quando avendo tutti i sozŒ ampia facoltà di comunicare i loro lumi nessuno di essi ha saputo suggerire di meglio: suggerire cioè degli espedienti che più dappresso s' avvicinassero all' esecuzione delle basi sopra poste di giustizia, e che diminuissero le deviazioni necessarie dalle medesime. Egli è da questo ragionamento che risulta la consolante verità « che l' uomo amatore della giustizia non debbe punto atterirsi dallo stabilire delle regole difficili all' esecuzione, ma che tutto ciò che è giusto per difficile ch' egli sia debbe essere tratto alla luce, ed ampiamente e coraggiosamente esposto: giacchè, perciò che abbiamo detto, tuttociò che è giusto è altresì possibile: purchè l' equità sia quella che s' interponga quasi mediatrice fra esso e gli uomini nell' esecuzione: quell' equità che consiste nel concedere le menome deviazioni da quelle regole: e che coll' accrescimento dei lumi concede sempre meno; perchè ritrova ognora degli espedienti migliori che minorano indefinitivamente quelle deviazioni, e conducono la pratica sempre più vicina indefinitivamente alla teoria. » Riassumendo le cose dette, la Commissione presentò in un nuovo aspetto quella parte di progetto della società civile da istituirsi, che finora aveva presentato all' Assemblea, e che difendendo passo per passo avea fatto adottare dalla medesima. Fece osservare che le due rappresentazioni proposte, cioè la passiva e l' attiva, la prima delle quali corrispondeva alla specie di diritti che è comune a tutti gli uomini, l' altra a quella specie di diritti che è propria dei benestanti, erano d' un' indole totalmente diversa: la prima aveva per iscopo la sicurezza , o difesa dei diritti; la seconda la ricchezza o l' aumento dei diritti, i quali erano quei due scopi a cui finalmente tendeva ogni civile società. Mostrò come la sicurezza o la difesa dei diritti era cosa partenente alla giustizia , e come la ricchezza o l' aumento dei diritti era cosa appartenente all' utilità : giustizia dunque ed utilità erano i due scopi suddetti della società che si trattava di istituire. Un potere adunque che trovasse o difendesse dove che sia la giustizia, ed un potere che cercasse e procacciasse l' utilità, erano i due perni su cui si volgeva tutta la società civile, a quel modo che la Commissione aveva creduto di progettarla. Questi due scopi erano al tutto necessarŒ da conseguirsi, e per l' umana dignità il primo più necessario ancora del secondo: dunque i due poteri che presiedevano a questi scopi erano supremi tutti due, e tutti due dovevano coesistere. Il potere che presiedeva alla giustizia non poteva avere altra forma che quella d' un Tribunale: il potere che presiedeva all' utilità non poteva avere altra forma che quella di un' Amministrazione: un Tribunale politico adunque ed un' Amministrazione erano i due poteri supremi della società; erano le due parti essenziali del governo della medesima. Questi due poteri, queste due parti essenziali del governo, il Tribunale politico e l' Amministrazione, corrispondono ai due modi dell' esistenza umana, cioè al modo di esistere come essere morale e al modo di esistere come essere sensibile: l' uomo esiste in tutti e due questi modi contemporaneamente: la società dunque degli uomini non può che avere anch' essa due modi di esistere, cioè un modo morale, ed un modo materiale e fisico: essa debbe essere mezzo che armonizzi queste due esistenze dell' uomo, e che nel mentre che essa procaccia di fare la felicità di lui come essere sensibile, non lo deteriori come essere morale. L' esistenza morale dell' uomo riguardo alle cose esterne che possono essere oggetto della civile società, viene conservata nella sua integrità mediante la giustizia, e per ciò mediante un Tribunale politico che a questa presiede; l' esistenza sensibile dell' uomo viene conservata e migliorata da una saggia amministrazione dei suoi beni, e perciò anche da una Amministrazione sociale che regola la modalità dei medesimi. L' esistenza risulta da una forza: come adunque v' ha esistenza morale ed esistenza sensibile dell' uomo, così vi ha una forza morale ed una forza sensibile. La forza morale si manifesta nell' uomo dalla reazione ch' essa fa contro tutto ciò che tenta di deteriorare nell' uomo l' esistenza morale: la forza sensibile si manifesta nella reazione che fa a tutto ciò che tenta di nuocere alla sua esistenza sensibile: nella società giocano le stesse forze, e reagiscono in tutte le direzioni: fa dunque bisogno di regolarizzarle perchè non la turbino, e questa regolarizzazione s' ottiene coll' instituire due centri delle medesime, i quali possano agire regolarmente ed ordinatamente: e questi due centri delle due forze elementari dell' uomo e della società sono le due parti elementarŒ del supremo potere: Tribunale politico, centro della forza morale nella società: Amministrazione, centro della forza sensibile o fisica nella medesima: nel primo si esercita ordinatamente, ma colla sua maggior attività la forza morale; nel secondo si esercita colla sua maggior attività la forza sensibile o fisica. Ecco la società civile corrispondente ai bisogni indeclinabili della natura umana. Da ciò la Commissione ne trasse come conseguenza massima: che la maggior cautela dovesse essere conservata, perchè nel Tribunale, centro della forza morale, non si mescolasse di nulla la forza sensibile e fisica: e finalmente credette venuto il punto da presentare all' Assemblea il Progetto del detto Tribunale già precedentemente apparecchiato (Lib. I) il quale progetto diligentemente esaminato da una Giunta apposita e dall' Assemblea stessa, fu finalmente ammesso. L' articolo delle elezioni per la composizione del Tribunale, che si doveva discutere, tornava più difficile a stabilire, che quello sulle elezioni dei membri dell' Amministrazione, poichè per costituire un membro dell' Amministrazione si aveva un dato materiale, qual' era la ricchezza materiale che bastava verificare: all' incontro per eleggere un membro al tribunale politico, nella cui elezione non si doveva riguardare ad altri dati che alla virtù ed alla scienza, non si aveva nulla di esterno, che potesse prestare una certezza fisica, e che escludesse ogni controversia; per cui anzichè ai dati esterni conveniva rimettersi in tali elezioni all' opinione, o sia all' intimo senso degli elettori. Nulla di meno la ricognizione della ricchezza come titolo del diritto di rappresentazione attiva, o sia come titolo al potere amministrativo, ammetteva naturalmente molte frodi, ed eccitava infinite controversie, mentre tutti i benestanti aspiravano ad acquistar la maggior parte possibile del potere civile. Ciò vedendo la Commissione, e dalle dissensioni che nascevano assai chiaramente scorgendo che non era possibile di farli convenire fra di loro, anzi che avanzandosi le discordie minacciava di sciogliersi l' Assemblea senza far nulla, prese il partito di proporre all' Assemblea la seguente proposizione: « Sieno sospesi tutti i negoziati per instituire l' Amministrazione sociale, e si proceda prima all' instituzione del Tribunale politico, innanzi al quale ognuno potrà poscia presentare le ragioni ch' egli ha di partecipare al potere, o sia lo stato della ricchezza ch' egli possiede, e dietro la ricognizione che farà della medesima il Tribunale, ciascuno prenderà il posto che gli spetta nell' Amministrazione sociale. » Essendosi riconosciuta l' equità della proposizione si rivolse l' animo alla composizione del Tribunale politico, che si realizzò secondo il metodo preso dietro alle successive proposte della Commissione. La sola qualificazione che si richiedeva, secondo i principŒ posti, per essere membro del Tribunale politico, consisteva, dopo la libertà, in un grado universalmente riconosciuto come eminente d' integrità e di scienza. In tal modo l' uomo il più misero poteva essere sollevato a quella parte del supremo potere che consisteva in un tal Tribunale. Nè solo tutti i liberi, proprietarŒ e non proprietarŒ, potevano esser chiamati a questo genere di dignità: ma ben ancora questo Tribunale era fatto per tutti egualmente: proteggeva i diritti di tutti, ed in cospetto a lui tutti erano eguali. 1) Ciò premesso, gli elettori dei membri di questo Tribunale doveano dare il loro voto come uomini, e non come ricchi, o come forniti di qualche accidentale differenza dai loro simili; dovevano darlo come esseri morali, e in stretta coscienza, sotto il più grave giuramento. Ma quali dovevano essere questi elettori? Tutti quelli di lor natura che potevano considerarsi come esseri morali, tutti gli uomini giunti all' uso di ragione. Questa fu l' idea generale seguita dalla Commissione, e suggerita dalla natura del detto Tribunale. Ma nel tradurla in una legge fu cauta di non obbliare le relazioni naturali, che legavano insieme gli uomini, e dalle quali, in qualunque circostanza questi si trovassero, non potevano prescindere: che perciò dovevano conservarle anche nello stato di elettori dei membri al politico Tribunale. La legge adunque proposta dalla Commissione sugli elettori del Tribunale politico fu distinta negli articoli o paragrafi seguenti: 1 I voti sono tanti quanti gl' individui nella società: quelli che non sono in possesso dell' uso della ragione lo danno mediante i genitori, od i tutori, o i curatori. 2 Ciascuno che è ammesso a dare da sè il voto elettivo non può delegare alcun altro a questo ufficio, senza stretta necessità. 3 Tutti i capi di famiglia hanno il diritto e il dovere di dare il voto elettivo. 4 Le mogli ed i figliuoli non emancipati non danno il voto elettivo, perchè la loro volontà si considera contenuta in quella dei mariti e dei padri: i mariti danno, oltre al proprio, un voto per la moglie; ed i padri e le madri vedove oltre il proprio danno altrettanti voti quanti sono i loro figliuoli di qualunque età sieno. 5 Dopo instituito il Tribunale le mogli ed i figliuoli non emancipati possono essere abilitati dal Tribunale medesimo al diritto di voto, quando ciò esigano per giuste cause contro i mariti ed i padri, o le madri vedove. del voto. Discutendosi il primo articolo di tal legge taluno disse che sembrava dover essere necessario negli elettori non solo l' uso della ragione, ma l' età maggiore. La Commissione osservò contro tale obbiezione che nell' uomo non si esigeva già egual grado di ragione per qualunque operazione ch' egli facesse: che coll' età maggiore veniva dichiarato abile ad amministrare il suo patrimonio: il che richiedeva maggiore cognizione e capacità che non sia a dare il voto di cui si tratta; poichè lo scopo di questi voti non è solamente quello di ritrovare le persone più scienziate e virtuose, ma oltre di ciò di trovare in particolare le persone più ben amate, le più benevoli, le persone cioè che non abbiano particolari avversioni ed inimicizie: quindi il voto si debbe considerare anche come una dichiarazione, che la persona votata si riguarda come benevola e affezionata: su di che può recar giudizio chi che sia in possesso dell' uso della ragione. Fissandosi l' età maggiore per qualificazione dell' elettore si escluderebbero molti arbitrariamente di quelli che pur avrebbero diritto di votare, e la deviazione dalla rigorosa giustizia non sarebbe la menoma: non sarebbe dunque equa tale arbitraria esclusione. In conferma del secondo articolo la Commissione dimostrò il danno che ne avverrebbe, se si rendesse possibile di accumulare arbitrariamente molti voti in una stessa persona: accumulazione contraria all' intima natura della istituzione; poichè essa è basata sul principio che tutti gli uomini sono giuridicamente eguali; cioè che tutti gli uomini sono egualmente esseri morali. Il voto che si dà è fornito di tre caratteri, e fa tre ufficŒ diversi: 1 rappresenta l' essere morale , ossia i diritti essenziali dell' uomo; 2 esprime un giudizio sulla scienza e virtù dei candidati ed esprime insieme il desiderio , o affezione generale dei candidati: affezione che è il segno della mutua loro benevolenza; 3 finalmente è un atto di autorità e di forza morale, che ha le sue conseguenze esterne, nel modo onde segue l' istituzione. Ora egli è da tenersi qual principio fondamentale « che il perdere alcuno di questi tre effetti del voto senza ragione è dannevole alla società, e rende difettosa l' istituzione. »Ciò posto, se non s' impedisce l' accumulazione arbitraria dei voti, si vanno a perdere i due primi ufficŒ del voto e a guastare il terzo. In fatti il primo suo officio, come diceva, è quello di rappresentare l' essere morale , o sieno i diritti essenziali dell' uomo. Ora in quanto a questo officio egli è assurdo che un uomo possa dare due voti; mentre non è che un solo essere morale. Non è dunque possibile che un uomo deleghi un altro a dare il voto per lui; mentre qualunque voto desse questo secondo non sarebbe che l' espressione del proprio giudizio e non quello dell' altrui; egli è dunque necessario che ciascuno che dà il voto lo dia da se stesso; come è necessario che un uomo che pensa, pensi da sè stesso: e sarebbe assurdo affermare che si pensa per la ragione che v' ha un altro che pensa. Medesimamente il voto per delegazione non supplisce al suo secondo ufficio e in quanto a questo ufficio è pure di natura sua inalienabile. Questo voto riguardo al suo secondo effetto è un giudicio che si dà sui candidati. Ora il giudicio di una persona non può essere che uno. Quando io ho ricevuto da una persona il suo consiglio in un affare, è assurdo il pretendere ch' esso me ne dia un altro; mentre sarebbe pur un consiglio solo ripetuto due volte, e non mai due consigli. I voti adunque degli elettori sono tanti consigli o giudicŒ, e perciò niuno di essi può avere il diritto di darne più che un solo; perchè ha una mente sola, una volontà sola, ed è un uomo solo. Finalmente egli è vero che considerati i voti come meri atti di autorità si possono di loro natura accumulare, ciò che la Legge riconosce riguardo ai padri, ai mariti ed ai tutori. Ma questa accumulazione quando fosse arbitraria porterebbe alterazione nella Costituzione sociale; perocchè i ricchi potrebbero comprare in tal modo i voti dei poveri, e gl' ignoranti sacrificare se stessi alla altrui avidità: in tal caso il Tribunale politico non otterrebbe più il sacro suo scopo di opporre una forza morale agli abusi della forza fisica; di difendere cioè tutto ciò che è debole nella società contro tutto ciò che in essa è forte. Il terzo articolo incontrò opposizione in ciò che parve aggravarsi di un peso i capi di famiglia coll' obbligarli a dare il voto. Ognuno, fu detto, debbe poter rinunziare quand' egli voglia al proprio diritto. Rimane forse offeso qualcheduno perchè altri rinunzia al diritto che possiede? Se alcuno rinunzia al proprio diritto, gli altri lungi dal perdere ne guadagnano; perocchè approfittano del diritto abbandonato. Ma quelli che così parlavano non si accorgevano, come fece osservare la Commissione, che non si trattava di una società civile a quel modo ch' ella si trova instituita presso varŒ popoli, in cui vi fossero già delle persone che s' incaricassero di tutte le incombenze che la società civile porta con sè, sicchè il resto dei cittadini ne rimanesse al tutto scarico. Nella società civile all' incontro che volevasi instituire era necessario, che fosse stabilito parimenti fra i membri un corpo di persone che assumessero sopra di sè, come dovere, le incombenze della medesima, perchè queste non fossero lasciate ad arbitrio, o commesse alla ventura. Che riguardo a quest' incombenza particolare di eleggere il Tribunale politico era necessario di stabilire un corpo di elettori stabile: ed era necessario che questi s' obbligassero a ciò: affinchè per una continua titubanza nel numero e nella qualità degli elettori la società stessa non perisse, o almeno il Tribunale politico riuscisse a non essere più l' espressione della volontà di tutti, ma l' espressione della volontà casuale di pochi. In questo secondo caso egli potrebbe fors' anco esistere il diritto, giacchè col non venire all' elezione di molti, questi si rimetterebbero tacitamente al volere dei pochi, quando ciò fosse da principio accordato: ma egli non esisterebbe veracemente di fatto: egli non potrebb' essere nè amato nè venerato; giacchè per esserlo, tutti i cittadini debbono veder in esso l' opera propria. Finalmente che cosa si cerca in tal' elezione? si cerca forse l' instituzione di un Tribunale solamente? non già, ma si cerca di ottenere l' instituzione del Tribunale il più sapiente, il più integro, il più ben voluto, il più autorevole, il più rispettabile. Questo si può egli ottenere, se non mediante il parere della maggior parte al meno della nazione? se adunque vengono a mancare dei voti dei padri di famiglia, vengono a mancare insieme dei lumi per ciò ottenere: vengono a mancare dei pareri e dei voleri; viene a mancare insomma parte dell' opinione pubblica. Ciò nuoce di certo allo scopo dell' instituzione: si rende adunque necessario che la società non sia privata dei voti dei capi di famiglia, e questo è un obbligo che si debbono assumere dal punto che vogliono unirsi in una società civile equamente ordinata, altrimenti sarebbero in contraddizione con se stessi. Si domandò che cosa dovevasi intendere per capo di famiglia; e dopo varie proposte fu convenuto, di estendere la definizione del capo di famiglia a qualunque persona libera che non fosse soggetta all' autorità paterna o materna, maritale, o tutelare o curatoria. 1) Maggiore dibattimento cagionò il quarto articolo, col quale si escludevano dal dare il loro voto a parte le mogli ed i figliuoli, perchè si consideravano i voti di questi compresi in quelli dei mariti e dei padri; e si dava all' incontro al marito il voto della moglie, al padre i voti dei figliuoli. Le ragioni di questo articolo altre riguardano la prima parte, ed altre la seconda del medesimo. Cominciando dalla seconda parte essa dice, che i mariti « oltre il proprio, danno il voto per la moglie, ed i padri, oltre il proprio, danno altrettanti voti quanti sono i loro figliuoli. » Il voto, considerato come un atto d' autorità, spiega questa seconda parte, supposto la prima ammessa: poichè non conveniva che una famiglia numerosa avesse un solo grado di potere (giacchè un atto d' autorità è un grado di potere) come una famiglia formata da una sola o da due persone. Poichè nella famiglia numerosa vi sono tanti più diritti da difendere e da rappresentare quanto è maggiore il numero delle persone che la compongono. Perchè adunque gli uomini fossero trattati con quella eguaglianza che richiede la natura della istituzione conviene che i voti stieno in ragione del numero delle persone componenti la famiglia. Si oppose che i padri poveri, i quali non hanno da alimentare i loro figliuoli, non debbano avere il vantaggio di dare i voti pei medesimi. Ma si osservò ancora che ciò che dava al padre simil diritto era l' esser padre, e non l' esser ricco: e che come la società civile non poteva fare che non fosse padre, così non doveva neppure negare al medesimo ciò che nasceva dalla sua paternità; il pieno diritto sopra i suoi figliuoli. La prima parte dell' articolo quarto diceva: « che le mogli ed i figliuoli non emancipati non danno il voto elettivo, perchè la loro volontà si considera contenuta in quella dei mariti e dei genitori. » L' opposizione esagerò il pericolo, che i padri e i mariti abusassero di tale autorità, disse che riunendo nei padri e nei mariti i voti dei figliuoli e delle mogli si privava la società di un maggior numero di consigli; e si accumulava in un solo uomo, cioè nel capo di casa, troppa autorità ed inadatta, perchè il Tribunale doveva essere costituito anche contro gli abusi della potestà paterna, e della maritale; che si deviava con ciò dal principio che rispetto a questo Tribunale tutti gli uomini fossero uguali, giacchè con tale accumulazione di voti si considerava il padre fornito di più voti, ed i figliuoli privi di tutti. Ma la Commissione all' incontro: Non si debbe intendere nel modo degli opponenti il principio che il Tribunale considera gli uomini tutti eguali. Questa uguaglianza comincia solo allora che due parti vengono fra di loro in discordia: prima di questo tempo le persone nulla hanno a fare col Tribunale; ed elle sono rispetto al medesimo come se non fossero. Il Tribunale adunque non altera punto le relazioni naturali fra gli uomini: e se li suppone eguali ciò è nel solo punto della discordia, innanzi cioè che si sappia a cui delle due parti appartenga il diritto conteso. Se dunque il Tribunale non altera punto le relazioni naturali degli uomini, che pacificamente si riconoscono e si conservano; ma solo interviene allorquando accade che qualche punto non sia riconosciuto o venga messo in questione, sarà da vedere quale naturale e riconosciuta relazione soglia trovarsi tra i genitori ed i figli, tra le mogli ed i mariti; e secondo il detto d' un savio antico, ciò che è naturale dovrà cercarsi non già nella depravazione, ma anzi nella integrità della natura. 1) Ora considerata l' indole della famiglia non depravata, noi troveremo la volontà dei figliuoli essere al tutto indivisa da quella dei padri, e la volontà delle mogli essere al tutto indivisa da quella dei mariti. E` l' amore che di più volontà ne forma una sola: e questo amore non solo è naturale, ma ben anche è doveroso. La società civile adunque debbe riconoscerlo, la società civile debbe sancirlo: egli è uno stretto dovere del figliuolo di convenire fino agli estremi della onestà col volere dei suoi genitori, come è un dovere della moglie di uniformarsi al volere del marito. D' altro lato i genitori, come fu già osservato, hanno sopra i loro figli un diritto, non già arbitrario, ma tuttavia illimitato, cioè che dalla parte dei figli non ha coazione reattiva. Se dunque viene istituito il Tribunale per tenere nei suoi doveri gli stessi genitori, questo tuttavia non viene ad istituirsi che mediante la ragionevolezza degli stessi genitori: questi sono quelli che da un prudente timore della propria fragilità sono indotti a sottomettersi a un Tribunale: prendendo nel tempo di calma una tale risoluzione, che può raffrenarli nel tempo dell' agitazione, e contenerli dagli eccessi. Egli è dunque conforme alla natura della cosa che i voti dei figliuoli sieno dati dai padri, il qual discorso, sebbene non si possa applicare con tutto rigore alla condizione dei mariti, perchè le mogli hanno almeno il diritto sulla propria vita, tuttavia può applicarsi in parte per la strettezza del nodo maritale. Che se i padri ed i mariti operando contro la loro naturale relazione tiranneggiassero i figliuoli e le mogli, questi dopo l' instituzione del Tribunale potrebbero secondo il quinto articolo far riconoscere dal medesimo la propria causa ed acquistare il diritto di voto separato: poichè in questo caso di disunione comincierebbe l' azione del Tribunale, e dall' istante che comincia quest' azione le persone legate insieme diventano relativamente alla medesima uguali. Egli è vero che ciò non può aver luogo nella prima instituzione del Tribunale, nel qual tempo il Tribunale ancora non esiste a cui richiamare; ma questa piccola irregolarità, di natura sua inevitabile, non è che una di quelle deviazioni che si fanno dalla rigorosa giustizia per mezzo della equità, la quale, come dicevamo, è la sola giustizia pratica. La proposizione all' incontro fatta dagli opponenti, che i padri raccogliessero i voti dei loro figliuoli ed i mariti quel delle mogli, costituirebbe e autorizzerebbe legalmente una falsa posizione dei padri rispetto a' figliuoli, e dei mariti rispetto alle mogli: perocchè i figliuoli che vedono costantemente il padre aver bisogno de' loro voti, si formerebbero e con ragione, un' idea di eguaglianza fra sè ed il padre, e la moglie fra sè ed il marito, mentre l' idea che i figliuoli debbono avere del padre è, come dicevamo, quella di una superiorità, arbitraria no, ma sì illimitata: cioè tale che non vi sia nessun caso in cui essi credano: d' avere all' esterno qualche diritto, qualunque egli sia, indipendentemente dal padre: e così pure l' idea che la moglie debbe formarsi del marito si è di un' autorità amorevole, dalla quale essa non avvenga che mai dissenta in nessuna delle esterne relazioni. Coll' introdurre adunque nella famiglia un tal simbolo di eguaglianza fra il padre ed i figliuoli, la moglie ed il marito, si altererebbe la costituzione naturale della famiglia, si introdurrebbe in essa una eguaglianza costitutiva in luogo dell' eguaglianza giuridica: e l' elemento democratico, che nel Tribunale politico debbe apparire soltanto in quel punto che nascendo una discussione o dissensione fra due parti, queste debbono comparire al suo cospetto per riceverne la sentenza, ciò che è quanto dire, che debbe comparire soltanto nelle accidentali irregolarità, si trasporterebbe e pianterebbe nello stesso corso regolare alterando in tal modo l' ordine legittimo e naturale. A mal grado di tutto questo ragionamento il principio che fosse meglio prevenire i disordini anzichè emendarli dopo avvenuti, faceva impressione sull' Assemblea, e la inclinava dalla parte degli opponenti; giacchè pareva che col dare a' figliuoli ed alle mogli un voto separato, si evitasse l' abuso che potevano fare i mariti ed i padri della loro autorità. Per il che la Commissione, movendo da più alti principŒ il suo discorso: Pretenderete voi, disse, di esser più savŒ o più potenti dell' autore della natura, il quale stabilendo l' autorità paterna e la maritale le ha fatte di una tanta estensione di quanta voi essere la scorgete? si è egli trattenuto dal concedere ai padri ed ai mariti tanta autorità quanta essi hanno pel timore che ne facessero abuso? E se a malgrado del pericolo che v' era di questo abuso, tale e tanta la diede loro, non è ciò segno che doveva più giovare assai questo forte grado di autorità, che non nuocere tutta quanta la possibilità degli abusi? sì, nuocono gli abusi: ma nuoce anche diminuire il grado dell' autorità di cui s' abusa: conviene ricercare quale più nuoca. Dio l' ha deciso: ha permesso gli abusi anzi che togliere l' autorità. Questa l' ha lasciata in tutta la forza del suo diritto: quelli li ha raffrenati con una legge morale, ma non giuridica. Imitate dunque l' autore della natura. Potrete anzi non imitarlo? avrete autorità di derogare a ciò che egli ha stabilito? Non sapete voi che contro alla legge naturale tutta la legislazione umana è nulla e irrita per sè stessa? Orsù accingetevi della vostra autorità, e fate se potete, che il padre non sia padre, e il marito non sia marito. Se voi convenite insieme di dichiararli decaduti dai loro diritti, la vostra dichiarazione arbitraria varrà al più al più fino che voi vivrete: i padri ed i mariti che succederanno dopo di voi, riprenderanno il loro potere, e non si crederanno, con ragione a dir vero, obbligati ad una disposizione arbitraria dei loro precessori. Introducendo adunque una tale disposizione contro natura nella costituzione della società, non fareste che render fragile questa costituzione, e di una esistenza momentanea, come è momentaneo l' arbitrio degli uomini, mentre dovete procacciare di renderla ferma e stabile quanto è stabile la natura. Non gettate adunque nella costituzione sociale quei semi che fruttano la dissensione fra i vostri posteri e le turbazioni dello Stato. Per quello che voi dite, che i mali si debbono anzi prevenire che emendare dopo avvenuti, questo è vero fino che si può: ma havvi un limite oltre al quale non si può. Vorreste voi prevenire i mali col fare voi stessi dei mali, o almeno coll' occasionarne degli altri in futuro? Ecco il limite che aver debbe la vostra proposizione, che sia meglio prevenire colle istituzioni i mali, che emendarli dopo avvenuti. Le istituzioni sociali, che non hanno di lor natura altro scopo che di prevenire i mali, sono eccellenti; perchè lo scopo loro è lodevolissimo, e tali sono le leggi, ed i Tribunali criminali. Ma quando si vuol piegare al fine di prevenire i mali quelle istituzioni che di loro natura hanno anche un altro scopo, allora si va bene spesso a pericolo, che volendo con queste ottener due fini, non se ne ottenga nè pur uno, e che lusingato l' autore di quella instituzione da questo fine accessorio di evitare tutti i mali che l' instituzione può nel suo andamento produrre, perda interamente di vista lo scopo stesso della instituzione. Le instituzioni civili di questo secondo genere sono tutte quelle che si propongono di regolare i diritti scambievoli degli uomini pel massimo vantaggio possibile dei medesimi. Il maggior vantaggio possibile che ciascuno può trarre dai suoi diritti è lo scopo naturale di tale instituzione. Ora se il legislatore troppo minuto o troppo materiale in luogo di tener sempre fisso col pensiero questo scopo si ferma ad ogni istante a considerare tutti i pericoli possibili che l' instituzione trae seco, e se vuole a tutti mettervi un riparo, egli avverrà indubitatamente che un poco alla volta leghi i diritti di tutti gli uomini, ed anzi continuamente li diminuisca e li distrugga; perocchè non v' è nè pure un diritto che non porti seco il pericolo del suo abuso. Le instituzioni di un tale legislatore riescono tutte false: alterano tutta la naturale posizione degli uomini, e la società civile acquista un organizzazione complicata, e tutta angustiata da vincoli inesplicabili; le leggi si moltiplicano immensamente senza necessità; perocchè ciascuna legge ne chiama delle altre all' infinito, giacchè nel mentre ch' essa vuol rimediare ad un disordine, contorce il naturale stato delle cose, e ne produce infiniti altri. Questo disordine nell' organizzazione sociale, questa falsità nelle istituzioni si scorge da per tutto dove la società sia caduta in una grande corruzione. In tal caso la corruzione sociale strascina lo stesso legislatore, per quanto avveduto egli sia, a delle instituzioni totalmente false; perocchè non v' ha uomo d' ingegno, che posto in una posizione falsa, non sia costretto di fare dei passi falsi. Nella società corrotta gli abusi che gli uomini fanno dei loro diritti si rendono assai frequenti, sì che chiamano con gran forza a sè il legislatore; la loro frequenza arriva a segno che se non viene compressa, minaccia di sovvertire la stessa società, ed è allora il caso che richiama a sè la principale sollecitudine del legislatore: allora è il caso in cui il legislatore concentra il suo studio nel prevenire mediante le sue instituzioni gli abusi, e crede di aver toccato l' apice della sapienza politica, quando è arrivato a persuadersi che il suo ingegnoso ritrovato soddisfi a questo fine. Egli é però impossibile che vi soddisfi pienamente; perciocchè quel mezzo ingegnoso con cui egli ha pensato di ovviare ai disordini, quelle sue instituzioni, che ha tutte ad un simile fine ordinate, sebbene partano dal principio che gli uomini per cui sono fatte sieno cattivi, tuttavia non possono mai supporre una perversità illimitata; tutta la loro lode consiste nell' esser formate da un uomo esperimentato che ha saputo ben conoscere fino al fondo gli uomini del suo tempo, e che ha vedute e calcolate tutte le loro malizie. Non poteva però vedere né immaginare quelle malizie che gli uomini non avevano ancora inventate, giacché il germe che produce tali frutti é di una fecondità inesausta. Egli é per questo che non v' ha istituzione o legge che non possa essere ben presto elusa da un maggior grado di corruzione. Ed egli é da attribuirsi a questa crescente corrutela in gran parte il continuo assottigliarsi dei politici dei nostri tempi, ed il continuo mutar di sistema, condotti da una speranza che continuamente gl' inganna, di giungere all' invenzione di un' organizzazione sociale, che antivegga e preoccupi tutta l' umana perversità. I sistemi politici foggiati su tale principio relativi al tempo in cui sono fatti, ed al grado di corruzione di cui sono arrivati i loro autori a formarsi l' idea, durano un breve tempo, cioè fino che subentra una politica ancora più diffidente, la quale o si rende odiosa, se gli uomini prendendo un andamento favorevole alla moralità trovino infine di vivere sotto instituzioni che li superano nella malignità, ovvero diventa inutile se procedendo gli uomini nella malizia lasciano a dietro in questo miserabile corso la legge che li governa. Ma intanto, come diceva, che le leggi e le istituzioni politiche sono unicamente occupate nel prevenire i mali eventuali che può opporre contro di esse la umana perversità, insensibilmente si snaturano e perdono di vista totalmente lo scopo sostanziale della loro esistenza. Vorrete voi rimediare ai mali eventuali dell' unione maritale? Se soverchiamente siete di ciò solleciti, stabilirete il divorzio, ecco snaturata l' unione maritale. Volete voi prevenire tutti i mali dell' abuso dell' autorità paterna? legherete le mani al padre: ed ecco snaturata la relazione fra padre e figlio. Se un Maestro insegna ai suoi discepoli una scienza, v' é il pericolo ch' essi deferendo troppo alla autorità del maestro apprendano più colla memoria che coll' intelletto. Voi eviterete questo male se ordinerete che ciascuno debba imparare da se stesso senza maestro; ma nello stesso tempo renderete ignoranti tutti gli uomini. Vi dà soverchio timore che il Generale abusi del suo potere sull' esercito? Se voi farete un' instituzione che metta disunione o diffidenza delle armate verso i loro generali distruggerete l' effetto delle militari ordinanze. Il ricco può abusare delle sue ricchezze: prescrivetegli l' uso ch' ei ne debbe fare: voi avete violato il diritto di proprietà: si può dire la stessa cosa analizzando tutti i diritti grandi e piccoli, che sono in mano degli uomini, perchè non ve n' ha alcuno di cui essi non possono abusare. E` dunque da osservare diligentemente qual sia la natura delle instituzioni sociali. Sono esse tali che determinano in se stesse la relazione che hanno gli uomini fra di loro, e determinandola la corroborano, ed è egli questo il loro scopo? In tal caso non si debbono esse contorcere e guastare per ovviare agli abusi a cui sono soggette tali relazioni per altro naturali degli uomini: esse si debbono lasciare intatte, sicchè sieno espressioni fedeli di dette relazioni naturali, e non si alterino punto: e quando ci sia il caso per levare gli abusi delle medesime, si debbono attorniare di altre instituzioni rivolte a questo fine particolare senza che guastino quelle e le contraffacciano. Generalmente parlando adunque sono da distinguere le instituzioni sociali, le quali contengono un' espressione fedele dei diritti naturali, ed hanno per iscopo la prosperità dei medesimi, dalle instituzioni sociali, che sono rivolte unicamente a prevenire i disordini: questi due scopi di far fiorire i naturali diritti fra gli uomini e di prevenirne i disordini, non si debbe congiungerli insieme, non si debbe pretendere di conseguirli con un solo genere di instituzioni, mentre è ben raro che un' instituzione sola possa conseguire ambidue questi scopi, e di solito conviene proporsi di conseguire il primo scopo, cioè quello che sostiene e fa fiorire i diritti naturali degli uomini con un genere di instituzioni, le quali si potrebbero nominare stabilitive: e di conseguire il secondo scopo, cioè di evitare gli abusi dei diritti umani, con un altro genere a parte d' instituzioni le quali si potrebbero chiamare preventive e repressive , che sono d' un carattere totalmente diverso dalle prime. Le instituzioni false dunque nascono allorquando si contorcono le instituzioni stabilitive 1) dal naturale scopo di far fiorire e di dar risalto, anzichè di reprimere i diritti degli uomini, ad ottenere lo scopo proprio delle instituzioni preventive o repressive; cioè a prevenire i delitti degli uomini. Egli è vero, come diceva, che quando la società trovasi estremamente corrotta, il legislatore è costretto di fare delle instituzioni false; 1) è costretto di confondere quei due generi d' instituzioni in un solo: quei due scopi delle medesime in un solo; cioè in quello tendente colla repressione degli abusi a salvare la società. Egli è costretto a ciò perciocché le instituzioni stabilitive sono di loro natura non solo inutili per una tale società, ma ben ancora nocevoli: conciossiacchè esse danno risalto ai diritti degli uomini, e dando risalto ai loro diritti non fanno che accrescer loro le occasioni di abusarne. In una tanto deplorabile posizione gli uomini vengono ad essere giovati coll' esser privati dei loro beni: ed è il tempo in cui la tirannia si proclama come la benefattrice del genere umano! Le instituzioni false esprimono o suppongono che gli uomini sieno in relazioni false fra loro: se gli uomini non hanno fra loro queste false posizioni, le instituzioni false a poco a poco ve le introducono; se queste relazioni false già vi sono fra gli uomini, esse producono a vicenda le false instituzioni e le false leggi. La schiavitù antica era una falsa relazione fra gli uomini: essa doveva produrre tutte quelle false leggi e quelle false instituzioni, che si rendevano necessarie per farla fiorire e per invigorirla: quelle che mettevano in salvo il padrone dalla disperazione dei suoi schiavi: quelle ancora che dalla morte degli schiavi autorizzavano di cavare dei giuochi e delle pubbliche ricreazioni. Non v' ha nessun falso diritto, o sia nessuna falsa relazione degli uomini fra di loro che non abbia portato in conseguenza delle false instituzioni e delle false leggi. All' incontro delle false leggi e delle false instituzioni producono sempre delle relazioni false fra gli uomini, se essi vivono per lungo tempo soggetti alle medesime; ma rare volte sono durevoli, mentre quando la instituzione non va d' accordo colle relazioni fra gli uomini, se questi hanno qualche energia nel loro carattere, si ribellano alle medesime e le distruggono: ed è questo che vi diceva quando avvertiva, che portando voi l' eguaglianza costitutiva nelle famiglie colla legge proposta fareste una instituzione che non poteva durare a lungo, e che avrebbe portato il turbamento nella società, giacchè nissuna instituzione fondamentale viene mutata senza scossa: ma la società stessa vien tirata nella rovina della instituzione che si vuol distruggere fino che sulle proprie rovine di bel nuovo si costruisca. Egli è vero, lo ripeto, che i legislatori sono costretti a delle istituzioni false, allorquando la società è estremamente corrotta; in tal caso tutta l' attenzione del legislatore viene tratta a difendere la società dal suo esterminio, e non a costruirla a norma della sua naturale perfezione: a quello stesso modo che la regola di vita migliore per la salute dell' uomo, nel suo stato naturale, non può esser già quella che si usa con un uomo corroso in più parti da fare cancrene. Ma, se tali instituzioni, che si possono dir false ogni qualvolta si applicano a regolare una società di uomini nel suo stato naturale e non nello stato di corruzione, sono in quest' ultimo stato necessarie, esse però non possono giammai essere che temporanee, cioè fin che dura il morbo della società, il quale nelle nazioni cristiane non è incurabile giammai, conciossiacchè il carattere proprio di queste nazioni è quello di essere sanabili. 1) Ora io spero che non si tratti di fare fra di voi una instituzione temporanea, ma costante com' è l' umana natura. Lo stato di questa gente che si vuole insieme associare non è già quello di corruzione sociale; ma è uno stato di natura in cui gli uomini non sono legati insieme per falsi vincoli: in cui la ragione non è ottenebrata da vizŒ, o non è per una somma ignoranza impotente: 2) in cui finalmente l' onestà e la giustizia non sono voci vane che si usino come mezzi ad ingannare od a tradire, ma sono voci che parlano al cuore di tutti, mediante le venerande idee che in quelli risvegliano. Se adunque i mariti ed i padri abusano della loro autorità, questi abusi non possono essere che accidentali e minori di numero dei casi in cui non abusano: questi casi dunque particolari di abuso non danno diritto alla società civile di legare la stessa autorità (ciò che d' altronde far non potrebbe validamente) ma lasciando quella sussistere, danno il solo diritto di ovviare gli abusi con delle instituzioni particolari ed a tal fine appositamente ordinate. Se delle instituzioni costituissero l' autorità dei padri e dei mariti in un modo diverso da quello che tale autorità è costituita dalla natura, queste sarebbero instituzioni false: cioè sarebbero instituzioni, stabilitive , ossia che stabiliscono una relazione fra gli uomini, le quali si rivolgerebbero ad un altro scopo diverso da quello della loro natura, allo scopo vale a dire di ovviare gli abusi della detta relazione fra gli uomini e così si snaturerebbero, mentre per ottenere un tal fine verrebbero a stabilire la detta relazione fra gli uomini in un modo diverso da quello che la stabilisce la natura: si allontanerebbero in tal modo dal fine proprio per conseguire il fine delle instituzioni di un altro genere cioè delle instituzioni preventive e repressive . Ad ovviare dunque gli abusi dell' autorità paterna e maritale debbono rivolgersi delle instituzioni apposite, le quali non apportino un colpo sopra dette autorità, la cui natura in somma consiste appunto nell' essere preventive e repressive, senza essere stabilitive, o almeno senza stabilire nissuna relazione falsa fra gli uomini, e queste nel caso nostro sarebbono il diritto dato ai figliuoli ed alle mogli di richiamarsi dei loro torti al Tribunale ogni qualvolta li soffrono, e più ancora tutte quelle instituzioni morali che rendendo buoni i padri ed i mariti, li mettono in istato di usare bene il loro potere, seguendo con ciò l' indicazione della natura che ha lasciato questo potere in tutta la sua pienezza dalla parte delle persone soggette, ed all' incontro ha dato ai padri ed ai mariti la legge naturale per moderarlo. Egli è dunque inconveniente e contro la natura delle cose stabilire che il padre abbia il dovere di raccogliere i voti dai proprŒ figliuoli, ed il marito di prenderlo dalla moglie: poichè la natura dei figliuoli richiede ca volontà loro sia quella del padre, e la congiunzione maritale rende il marito capo della moglie: tutto ciò che succede contro queste relazioni non può formare l' ordine, ma non sono che eccezioni dell' ordine. Nè per questo debbesi ridurre ad un voto solo tutti i voti della famiglia, perocchè le famiglie verrebbero costituite con una sproporzione fra di loro; sproporzione cioè di forza politica, mentre il voto, come dicevamo, è anche di sua natura un atto di autorità e quindi un mezzo di difesa. Egli è per questo che si è stabilito il principio, che tanti sieno i voti quante sono le persone componenti la società: al quale coll' articolo che discutiamo non si deroga punto; ma anzi questo articolo non fa che stabilire il modo onde convenevolmente si riduca alla pratica il detto principio: modo che fa sì che si consideri ciascun membro della famiglia compreso virtualmente nel padre, e che perciò in tempo che si riconosce nell' unica volontà del padre tutte le volontà dei membri della famiglia, si fa sì che quest' unica volontà si ripeta per dire così in tanti atti autorevoli, o sia in tanti voti, quanti sono i membri nella famiglia. Dileguate le difficoltà intorno all' articolo quarto, l' articolo quinto dovea venire ammesso come una conseguenza od un perfezionamento del medesimo. Ma diede occasione di maggior dibattimento l' articolo sesto, le ragioni del quale erano le seguenti: Non si potea dare ai padroni il voto dei servi, come si era dato ai padri quello dei figliuoli, o ai mariti quello delle mogli; perocchè mentre questi due vincoli, cioè il paterno ed il maritale, avevano per loro base essenzialmente l' amicizia, il vincolo all' incontro di mera servitù non aveva di sua natura altra base che la utilità: quindi non portava per conseguenza della sua natura che la volontà del servo ordinariamente fosse inchiusa in quella del padrone; anzi piuttosto che fossero due volontà opposte. Oltre di ciò la società paterna e maritale è così stretta che di più esseri se n' ha uno solo, mentre la società che ha il padrone col servo non consiste essenzialmente in alcuna comunanza d' interessi, ma piuttosto in una contrarietà dei medesimi: il vincolo paterno e maritale è tanto fondato in natura che dopo fatto la volontà umana nol può più rompere, il padre nè pur volendo può cessar d' essere padre; mentre il vincolo signorile dipende dall' umana volontà, e il padrone può emancipare quand' egli vuole il suo servo che si rimane d' esser servo. Se dunque è assurdo che l' autorità umana intervenga nei diritti fra padre e figlio, non è ugualmente assurdo ch' ella intervenga nei diritti fra padrone e servo, mentre la volontà dell' uomo può mutare questi, ma non quelli. Le ragioni adunque dell' articolo quarto dove si tratta dei padri e dei mariti non possono applicarsi all' articolo sesto dove si tratta di padroni; e la società debbe ammettere i servi stessi a votare, e se sono mariti anche per le mogli, se sono padri anche per li figliuoli. Non è però necessario che i servi sieno obbligati a dare il loro voto, sì perchè può essere che per essi sia più vantaggioso il non darlo, giacchè tale funzione consuma loro un tempo prezioso se l' hanno in libertà, sì perchè se non l' hanno in libertà, ma l' hanno obbligato a loro padroni, essi non possono disporne, ne possono con facilità aver chi li rappresenti. Finalmente essi non sono necessarŒ, giacchè la società ha un numero di elettori costante e determinato nei padri di famiglia liberi. D' altro lato il caso dei servi non può essere che temporaneo in una società civile cristiana; ed una delle prime cure della medesima, quando sarà instituita, debb' essere di pensare ai modi prudenti onde far passare i servi gradatamente dalla condizione servile a quella di mercenari. Prevedendo la Commissione che in quelli, nelle cui mani veniva a riporsi la pubblica autorità, potevano facilmente entrare dei falsi principŒ per non conoscere ben a fondo le basi su cui si veniva erigendo la civile società, si avvisò di fare adottare il principio del diritto politico imperscrittibile , consistente in questa proposizione: « La rappresentazione politica dei diritti è imperscrittibile. » Essa ben conosceva che ciò che poteva turbare l' ordine sociale si era l' alterazione che poteva esser fatta nella rappresentazione politica dei diritti, non già tanto per prepotenza dei più forti, quanto per un sofisma che facilmente illude le menti dei governanti, e che consiste appunto nella troppa sollecitudine di ovviare ai disordini possibili la quale come era stato dimostrato nella sessione antecedente conduce a fare delle false instituzioni. E che cosa è altro questo sofisma che quello studio che tanto riscalda le menti dei politici per trovare un equilibrio fra i poteri dello Stato? Questo problema che così posto è insolubile, e quando anche fosse solubile non sarebbe che per un istante, per l' istante cioè che dura l' artificioso equilibrio; non ha importanza se non supposto che il principio che debbe determinare la costituzione sociale debb' essere unicamente quello di ovviare a tutti i possibili disordini della medesima: ma la costituzione appartiene alle instituzioni stabilitive, ed il fine proprio delle instituzioni stabilite non è già quello di evitare i disordini ch' esse stesse producono, ma bensì di stabilire le vere relazioni fra gli uomini. Ed in vero, se si vuole che una istituzione si cauteli contro la propria azione, la propria azione dunque è diversa dall' azione con cui si cautela, e questa viene dopo di quella: questa perciò non debbe nè mutar nè distrugger quella. Se dunque volendo dare la costituzione ad uno Stato si si propone per iscopo principale di evitare i disordini ch' essa stessa genera, si cade in una specie di contraddizione, e in uno strano circolo; e si va ad alterare l' indole naturale della costituzione facendo ch' essa invece di una instituzione stabilitiva qual debb' essere, diventi una costituzione preventiva o repressiva, quello che non debbe essere, ed in tal modo essa riesce la più mostruosa cosa, e non ottiene il suo fine, nè il fine che si è usurpato, appartenente ad altre instituzioni al tutto d' altra natura dalla sua. Il falso principio adunque che quella sia la costituzione migliore della società, la quale prevenga tutti i mali della propria azione, è quello che produce tante assurde costituzioni degli Stati, ed è quello da cui la Commissione temette con ragione che potesse venir alterata quella forma di società ch' essa avea disegnata, come la più equa e la più perfetta. Condotta da questo timore fece osservare all' Assemblea che conveniva fino d' allora determinarsi a seguire, nel ripartimento dell' autorità politica, l' uno o l' altro dei due principŒ, cioè o seguire il principio della rappresentazione de' diritti, il quale d' altro lato era stato abbracciato dall' Assemblea; o vero lasciando al tutto simigliante principio costituire un governo sopra questo altro principio che fosse quello la cui forza per la divisione ingegnosa della medesima in diverse persone ovviasse al maggior segno gli abusi possibili di se stessa. Noi siamo persuasi, disse la Commissione, che lo scopo di questo secondo principio non si può conseguir meglio che conservandosi perpetuamente fedeli al primo; ma non a tutti parrà così. A costoro pertanto sembrerà che talora possa esser più utile se si devia dalla più rigorosa rappresentazione di tutti i diritti, e che senza badar alla medesima, il solo principio dell' equilibrio dei poteri debba servir di regola a fare od a riformare la costituzione dello Stato. Voi dunque dovete esaminare con diligenza l' opinione di questi Signori, che tali due principŒ sieno diversi fra loro, e che convenga meglio tenere per unica regola il secondo anzi che il primo, affinchè dopo costituito lo Stato non siate forse condotti a fare delle riforme che alterino le prime basi su cui è costituito, o per dir meglio non siate costretti a distruggere ciò che avete edificato, e ad edificare di nuovo. Vi faccio pertanto osservare che l' applicazione del principio dell' equilibrio dei poteri o sia quello d' una costruzione della società, che antiveda tutti gli abusi, non può dipendere che da un calcolo conghietturale di quegli uomini politici ai quali fosse commessa la formazione della società dietro tali principŒ. Il loro calcolo poi è conghietturale, tanto più che precede l' esperienza, e solo questa potrebbe dare al medesimo una prova di qualche valore. Già che dunque si tratta d' un calcolo di estrema difficoltà per li molti elementi, che in sè racchiude, e per la mancanza dell' esperimento, questo non può che riuscire vario, secondo le diverse menti calcolatrici. Havvi però di più. La estrema difficoltà di un tal calcolo debbe far conoscere a priori ch' egli non può essere che adattato a pochi ingegni, e non, di certo, argomento in cui si possa esercitare con isperanza di riuscita la maggior parte degli uomini. Ciò posto ne verrà che nella costruzione della Società civile la maggior parte degli uomini non potrà proferire veruna sentenza; ma dovrà sottomettersi ciecamente a ciò che determinano i pochi sapienti, che sono co' loro intelletti al livello dell' argomento. Nel caso adunque che vorreste adottare un tal principio egli è certo che la maggior parte di voi dovrebbe ritirarsi al tutto dalla deliberazione, ed abbandonare al giudizio dei pochi ingegni più eminenti tutti i vostri interessi. Ma siccome io credo che non v' indurreste giammai a farlo, così pure io non vedo in qual modo si potrebbe convenire nel definire quali sieno questi ingegni più eminenti, mentre ognuno vorrebbe forse esserlo od apparire. E tuttavia supponiamo che l' ingegno si potesse misurare colla canna, e fosse fissata una misura per la menoma grandezza degl' ingegni prescelti a tant' opera: questi ingegni, come dicevamo, non converrebbero fra loro od almeno non avrebbero dovere di convenire, perocchè essendo il calcolo puramente congetturale, nissuno potrebbe dimostrare all' altro con evidenza, che il proprio calcolo va bene e il suo è errato. Il perchè rimarrebbe indeciso quale dei diversi progetti di società si dovesse seguire; e volendone pur seguire alcuno, non si potrebbe che chiamare giudice la sorte. Nondimeno quando ancora questi sapienti convenissero nell' abbracciare un progetto solo, non si avrebbe, come diceva, che un tal risultato di cui nessuno saprebbe il vero valore pratico; mentre nè l' esperienza lo ha provato, nè v' ha ragione di credere, come cosa certa, che l' ingegno di quei politici sia d' una forza proporzionata alla difficoltà dell' argomento; mentre che gl' ingegni sono al tutto accidentali, ed i più o meno forti nascono a caso, e non dipendono punto dalla volontà degli uomini. Ma ciò che merita più osservazione in tale ipotesi si è, che quando ancora ottenuto s' avesse che la maggiorità sottomettesse il proprio giudizio nella instituzione della Società civile, che è quanto dire sopra tutti i proprŒ interessi, alla opinione di alcuni pochi uomini di ingegno, il che non sarà mai; allora si potrebbe dire, che essa si sarebbe già di fatto sottomessa a quei legislatori; e nelle loro mani abbandonata. Quegli uomini, a cui è commesso il progetto di società, non sono solamente forniti di un forte ingegno pel quale certo sarebbero più atti degli altri a trovare la verità; ma sono ancora circondati da tutte le passioni umane: non sono pure menti, sono anch' essi uomini forniti degli stessi interessi degli altri, che desiderano le stesse cose e subiscono le stesse tentazioni. Oltre dunque il dubbio che può ragionevolmente cadere sul grado di forza dei loro ingegni, la comunanza degli uomini dovrebbe assicurarsi della loro volontà. E chi la assicura che nel progetto di società che propongono alla medesima, non abbiano provveduto almeno altrettanto al bene di sè stessi, che a quello della società? Dall' istante che la comunanza degli uomini nell' instituire la Società civile prende una strada così difficile, ch' essa stessa non può seguire quei pochi che la percorrono, essa si è interamente abbandonata all' arbitrio dei medesimi. Ma di più, nel caso che voleste organizzare la Società civile secondo questo principio, quale disposizione d' animo non dovreste voi tutti avere? Voi dovreste esser disposti a commettervi interamente all' altrui direzione. Nel caso che seguiate il principio della rappresentazione politica, siete voi stessi quelli che vi governate; perocchè ognuno di voi ritiene, se l' ha, trapassando alla Società civile, la modalità dei proprŒ diritti, e non fa che amministrarla in comune, mentre prima l' amministrava in separato. Nel caso all' incontro che abbandoniate questo principio, molti di voi debbono spropriarsi della modalità dei proprŒ diritti per metterla in mano di quelli che fossero scelti al governo, costruito secondo il progetto della utilità o dell' equilibrio dei poteri. Io vorrei sapere in tal caso chi di voi dovrà essere spogliato della modalità e chi dovrà ritenerla: vorrei sapere come vi accorderete insieme su questo punto: vorrei sapere come potrà essere utile l' introdurre arbitrariamente questa disuguaglianza nella Società civile: vorrei sapere qual garanzia verrebbe data a quelli che venissero spogliati della modalità dei proprŒ diritti da quelli che la ricevessero da amministrare; e perciò vorrei sapere come si possa progettare un governo capace di ovviare agli abusi, dall' istante che questo governo si diparte dalla rappresentazione politica, il quale dipartirsi è per se stesso un aprire il varco agli abusi, mentre si spoglia una porzione degli uomini della modalità dei proprŒ diritti, per accumularla in mano d' un' altra porzione; mentre in somma molti membri della società si rendono debili, e si danno in balìa di altri resi forti col pretesto di renderli utili. In somma dall' istante che nell' instituzione della Società civile si abbandona il principio della rappresentazione politica , la Società civile non si instituisce più sullo stato di natura; ma si dà agli uomini uno stato arbitrario per instituire sopra il medesimo la civile società pure arbitraria: in tal caso il principio delle instituzioni sociali è l' arbitrio. Egli è vero che si dice, che un tale arbitrio è sapiente e rivolto all' utilità; ma quando anche ciò potesse essere, non si potrebbe provare: un' asserzione sarebbe quella che farebbe passare questo arbitrio per sapiente; una negazione egualmente lo renderebbe stolto: poichè non è ingiuria negare gratuitamente ciò che gratuitamente si afferma. Intanto il principio dell' arbitrio è fecondo, come dimostra l' esperienza, di infinite costituzioni, le quali hanno la vita d' un giorno, cioè durano fino che sorga un altro uomo che abbia l' audacia di spacciarsi per saggio, di negare la precedente costituzione, e di asserirne una seconda. Non vale già il dire, che la massima di fare una costituzione immune dagli abusi è un principio evidentemente buono. Certo: e noi non lo neghiamo. Diciamo solo, che questo non è un principio fecondo se non di chimere: diciamo che egli non è un principio determinato; diciamo che l' adottare questo per unico principio determinante la costruzione sociale è lo stesso, che abbandonare la formazione della medesima all' arbitrio degli uomini; mentre tal principio non può dare che dei risultati congetturali o almeno dei risultati, le prove dei quali non sono a portata del comune degli uomini, intorno ai quali perciò questi bisognerebbe che credessero all' asserzione altrui, il che è propriamente commettersi all' altrui arbitrio. Diciamo perciò ch' egli è necessario per formare la società ricorrere ad un principio più determinante, e capace della necessaria pubblicità, capace d' essere inteso e discusso da tutti, mentre tutti hanno degli interessi da difendere in tale società, e mentre nessuno di quelli che ha degli interessi può essere obbligato dalla legge morale ad entrare ad occhi chiusi nella convenzione la più importante di tutte quale è la convenzione sociale civile, la quale diventerebbe impossibile se gli uomini che vi debbono entrare non fossero in caso d' intenderne le condizioni. Finalmente diciamo che è appunto il principio della rappresentazione politica quel principio luminoso suscettibile della maggiore pubblicità, perchè nissun uomo mediante di esso fa una convenzione inintelligibile, ma sa ciò che fa; e perchè esclude l' arbitrio determinando la parte che tocca a ciascuno del civile potere. Infatti il principio dell' utilità pubblica o dell' equilibrio dei poteri è difficile, perchè mette a calcolo tutte le forze sociali tutte insieme prese, senza aver riguardo alle individualità: il principio all' incontro della rappresentazione politica è facile, perchè nella sua applicazione non racchiude già un calcolo del tutto, ma piuttosto risulta da altrettanti calcoli quanti sono gl' individui. Ciascun individuo che entra nella società, secondo tal principio costituita, non ha già da pensare al tutto, ma solo alla convenzione particolare che egli fa cogli altri uomini; egli vede subito se tal convenzione è giusta od ingiusta, se gli è utile o gli è dannosa: sa ciò che mette e sa ciò che riceve. All' incontro nella società costituita secondo il principio dell' utilità l' individuo che vi entra sa ciò che mette, ma non sa ciò che riceve: egli vede che è spropriato della modalità dei proprŒ diritti; ma egli non è in caso di calcolare il vantaggio che gli viene promesso in compenso; perocchè questo vantaggio gli è promesso come un effetto di tutta la macchina ingegnosamente composta; macchina che va senza di lui, e che è così complicata per la moltitudine delle sue parti che gli riesce impossibile di calcolarne l' azione; ma che però vede essere quest' azione di una forza irresistibile quando prendesse una direzione contro di lui. Finalmente la società civile instituita mediante il principio della rappresentazione politica, edifica senza distruggere: la società civile costruita col principio della utilità distrugge prima, come vi diceva, lo stato di natura in cui siete presentemente, per edificare tal cosa di cui nessuno può prevedere con sicurezza le conseguenze. Or via s' ammetta, che sì coll' uno che con l' altro principio s' instituisca la civile società: lo scopo è il medesimo: mediante quale dei due sistemi s' ottiene tale scopo con una azione minore? Certo con quello della rappresentazione politica: poichè le mutazioni che voi andate a subire per questo sistema le vedete tutte entro confini determinati. All' incontro dove sono i confini del sistema dell' utilità? egli non ne ha veruno. La sua azione è infinita come l' arbitrio: egli suppone, che far si possa una riforma dopo l' altra nella società fino all' infinito, senza però mai sapere di certo se si sia andati avanti o indietro. Dovendo dunque voi fare una mutazione di cui l' esito vi fosse incerto per ottenere un fine, qual' è l' instituzione della società, non sceglierete voi quella che contenga il minor pericolo? E quale conterrà il minor pericolo se non quella che esige una mutazione minore, e che ottiene lo scopo con una azione minore? Tutti s' accordarono pertanto a queste ragioni, che non era prudente d' introdurre una grande alterazione nelle cose, mentre l' esito non poteva esser certo. Che d' altro lato nessuno nè voleva nè poteva esser costretto di rinunziare alla modalità dei proprŒ diritti, e alla parte che questa gli dava diritto di avere nella civile autorità: quindi si confirmava, che la rappresentazione politica già precedentemente adottata, era irrevocabilmente il principio secondo cui doveva la società stessa instituirsi. Quando sia così, proseguì la Commissione, egli è necessario altresì di riconoscere come questo principio sia il più sacro di tutti quelli che esistono nella società civile come tale, perocchè è il principio che determina il modo di esistere della medesima. Siccome la società civile non può esistere che in un dato modo, così il suo modo proprio d' esistere è altrettanto rispettabile quanto la sua esistenza: ed è solamente ciò che indica il modo onde la società civile può esistere quello che dà la esistenza alla società. Ora il principio della rappresentazione politica non è altro che un' attribuzione di diritti ai membri della società, cioè consiste in quella massima « che ogni diritto abbia nella società civile una rappresentazione conveniente e possibile. » Dunque un tal diritto che ricevono i membri della società civile mediante la sua istituzione è così necessario, come è la società stessa, e sarebbe al tutto contradditorio, che si volesse la società, e che si riconoscesse nel tempo stesso potervi aver un caso in cui un diritto dei suoi membri venisse privato della rappresentazione che a lui sarebbe conveniente e possibile. E` necessario adunque dichiarare che la rappresentazione politica è un diritto imperscrittibile ed inalienabile: cioè a dire che chi possiede nello stato di natura la modalità dei diritti debba anche possedere il corrispondente potere: e non debba verificarsi verun caso in cui il potere civile sia scompagnato dal possesso naturale della modalità. L' obbiezione che alcuni fecero, che prima di dichiararsi un tal diritto imprescrittibile bisognava fare la dichiarazione dei diritti dell' uomo naturali, diede occasione alla Commissione di stabilire la distinzione fra il diritto politico ed il diritto naturale, e fra l' imprescrittibilità politica e la imprescrittibilità naturale. La Commissione dimostrò che la comunanza degli uomini, o la civile società dopo instituito il governo, poteva bensì dichiarare validamente i diritti politici imprescrittibili: ma non poteva all' incontro dichiarare validamente i diritti naturali imprescrittibili, ma solo riconoscerli. Supponiamo disse, che la comunanza degli uomini facesse una dichiarazione de' diritti naturali imprescrittibili. Che forza avrebbe tale dichiarazione? quella stessa che avrebbe una carta su cui un uomo qualunque, od anche un fanciullo, avessero scritti quelli che fossero secondo la loro opinione diritti naturalmente imprescrittibili. L' essere scritti o non scritti non toglie ne aggiunge autorità a tali diritti, poichè essi ne hanno tanta che non ne possono aver di più; è così ferma che non può essere diminuita. Se la carta riferisce i diritti quali sono, sarà una buona memoria per chi l' ha scritta: se non riferisce i diritti quali sono, non vale nulla: e quando venisse a sostenerla la forza, ciò non sarebbe che un atto di tirannia. La dichiarazione dunque dei diritti naturali dell' uomo fatta dall' autorità civile è inutile, ma bensì l' autorità civile debbe riconoscere i detti diritti e dirigere secondo i medesimi la sua condotta. La differenza fra il riconoscerli e il dichiararli si è che nel primo caso ella fa un atto di sommissione e nel secondo di autorità: e per ciò le conseguenze di questi due atti sono diverse: nel primo caso, ciascun uomo che sia in grado di farlo può recare in mezzo dei lumi che rischiarino la natura di tali diritti: nel secondo caso, sarebbe un delitto parlare contro diritti dichiarati già dalla società; giacchè la dichiarazione di diritti suppone i diritti certi, e l' autorità, che li ha dichiarati, infallibile. Il potere civile dunque non debbe già arrogarsi di essere l' autorevole maestro degli uomini: non debbe innalzarsi ad una sfera che a lui non appartiene; ma lasciare il magisterio della verità morale ad una società morale, ad una società di diversa natura dalla sua, cioè alla Chiesa cristiana, che è la maggiore autorità in simil genere di cose. Egli è vero che le disposizioni civili della società s' appoggiano sui principŒ morali e sui diritti naturali; ma è vero altresì che questi sono anteriori a lei, e da lei indipendenti; essa dunque, rispetto a questi debb' essere discepola e soggetta, non maestra e sovrana. Se poi per dichiarazione di diritti s' intende un promemoria mutabile che si fa da sè ciascuno dei suoi membri o un promemoria di ciò in cui tutti convengono, non contendo di parole: questa dichiarazione sarebbe ciò che io intendo per ricognizione, sarebbe ancora la scienza modesta di un discepolo, e non la sentenza di un' autorità. Dove adunque comincia Œl magisterio, dove l' autorità del civile potere? Comincia con se stesso: egli ha l' intrinseca autorità e necessità di parlare di se stesso, di dichiarare che sia, e quali diritti e doveri provengano da lui agli uomini. Or egli appunto esiste con un diritto che vien dato agli uomini. Dal momento che questi convenuti insieme dicono: I nostri diritti abbiano una rappresentazione conveniente e possibile, la società civile è formata: questo è quel fiat che la crea. Dunque essa è in necessità di dichiarare imprescrittibile questo primo diritto della rappresentazione politica, tanto quanto è in necessità di esistere, ed ecco quale sia la dichiarazione dei diritti che può fare la comunanza, o la società civile degli uomini; ecco qual sia il diritto politico, dal quale comincia il civile potere. Dopo ciò la Commissione, riassumendo quanto fin qui aveva fatto l' Assemblea, propose alla medesima la seguente Dichiarazione dei diritti politici imprescrittibili dei membri della Società civile. «Il diritto imprescrittibile consiste nella rappresentazione politica dei diritti conveniente e possibile. Art. 1 Ogni uomo ha diritto di dare il voto nella elezione del Tribunale politico. Art. 2 Ogni uomo ha diritto di ricorrere al medesimo. Art. 1 I mercenarŒ hanno diritto d' essere rappresentati nell' Amministrazione sociale in corpo. Art. 2 I benestanti hanno diritto d' essere rappresentati individualmente. Art. 3 La rappresentazione è in ragione della ricchezza materiale, fissando il menomo a quel tanto che è necessario pel mantenimento d' un uomo. La proposta dichiarazione fu ammessa ad unanimità. » Gli elettori stabiliti dalla dichiarazione dei diritti politici (Tit. I art. I) formarono il Tribunale politico a maggioranza di voti. La forma di questo Tribunale, per non dilungare qui il leggitore dall' idea generale della società civile regolare, fu da noi anticipata e descritta nel Libro Primo di quest' opera; dalla quale descrizione apparisce maggiormente la reale possibilità del medesimo. Intanto anche le basi qui dettate sono tali, pare a noi, a cui non si può ripugnare, perchè dedotte dalla rettitudine, e non possono aver contro di esse se non se quella ripugnanza, e quasi incredibilità, che gli uomini portano a cosa che loro par nuova: ma ciò che abbiamo detto all' Art. XI debbe provare a qualunque uomo sia ragionevole, che il piano che proponiamo non è una chimera; mentre v' ha un modo di eseguirlo con quell' approssimazione che ivi abbiamo descritto, che è ciò che richiede appunto quella equità che si può dire a giusto titolo la perfezionatrice della giustizia. Proseguiamo dunque lo sviluppo del medesimo piano, torniamo all' ipotesi della nostra Assemblea, ed alla instituzione che supponiamo fatta dalla medesima, secondo gli ordini voluti dall' equità. Il primo lavoro adunque del Tribunale politico si fu di preparare la via alla formazione dell' Amministrazione sociale, coll' instituzione della quale si compiva l' instituzione della società. Giacchè per la dichiarazione dei diritti politici (Tit. II articolo 3) la rappresentazione amministrativa doveva essere in ragione della ricchezza materiale, il Tribunale politico passò a riconoscere successivamente lo stato di tutti gli individui e di tutte le famiglie, e a tal fine fece le seguenti operazioni. 1 Fece un ruolo di tutte le persone, le quali non potevano dimostrare di possedere dei fondi nè esercitare verun' arte mercenaria. 2 Fece un ruolo di tutte le persone che non avendo fondi esercitavano però un' arte mercenaria che dava loro un sufficiente mantenimento, e fornì le medesime di un brevetto, che le collocava nella classe dei mercenarŒ, e dava loro i diritti politici annessi a questa classe. 3 Finalmente rilevò la sostanza in fondi di tutti i benestanti sulle prove da loro offerte, e consegnò loro pure il brevetto della ricognizione di ciò che possedevano. 1) Con queste tre operazioni fatte dal Tribunale politico venivano determinati i diritti politici di tutti i membri della società. Si trovarono distinti quelli che non possedevano altri diritti politici se non la rappresentazione dei diritti dell' uomo; quelli che oltre la rappresentazione dei diritti dell' uomo avevano ancora la rappresentazione dei diritti reali, ma non essendo questi diritti in fondi, ma nell' opera delle loro mani, l' avevano solo in corpo, e non in individuo quali erano i mercenarŒ; e finalmente quelli, che possedendo dei fondi avevano la rappresentazione dei diritti reali completa quali erano i benestanti. Or dovendo venire alla reale formazione dell' amministrazione, s' incontravano necessariamente molti ostacoli, ed i principali erano i seguenti: 1 Se l' amministrazione avesse ricevuto realmente nel suo seno tutti i benestanti, i quali avevano diritto di entrarvi e di più i delegati del corpo dei mercenarŒ, essa sarebbe divenuta così numerosa che non avrebbe potuto senza confusione, o almeno senza una dannosa tardità, spacciare gli affari. 2 Di poi, ciò supposto, non si vedrebbe modo di rendere il peso dei voti di ciascheduno proporzionale alla richezza posseduta. La Commissione, per non confondere l' Assemblea, si restrinse a far osservare alla medesima solo la prima delle due difficoltà sopraddette, e in conseguenza di essa a dimostrare la necessità di restringere il numero degli amministratori. Di che venendo riconosciuto il bisogno evidente, propose come unico mezzo di evitare sì grave inconveniente, che i benestanti ed il corpo dei mercenarŒ non amministrassero già da sè stessi, ma mediante dei loro abili ministri o delegati forniti dei loro poteri e delle loro instruzioni, i quali potevano essere ridotti a quel numero discreto che meglio convenisse alla più spedita ed alla più utile amministrazione degli affari. La proposta di un' Amministrazione delegata ricevuta da principio con favore, aveva poscia eccitato le più gran difficoltà nell' Assemblea, la quale s' era disciolta senza ammetterla nella sessione precedente. Tali difficoltà nascevano perchè sembrava generalmente impossibile, che delegandosi un piccolo numero di persone rispetto a tutti quelli che avevano diritto di entrare nella amministrazione, potesse conservarsi la proporzione fra la forza del voto e la ricchezza. In che modo, si diceva, un delegato il quale rappresenta per necessità molti proprietarŒ di diversa fortuna potrà sostenere così la piccola proprietà come la grande? egli è costretto di trattare la causa di tutto il corpo che rappresenta: nella collisione perciò delle grandi colle piccole proprietà egli non abbandonerà mai quelle per sostener queste; mentre se fossero due i rappresentanti l' uno per esempio piccolo proprietario e l' altro grande, le due cause sarebbero trattate in separato; e sebbene il voto del piccolo proprietario sarebbe più debile, tuttavia unito ad altri piccoli proprietarŒ potrebbe sostenersi anche contro i proprietarŒ più forti, laddove se sì l' uno che l' altro vien rappresentato da un solo delegato questi non potrà giammai essere in contrasto con se stesso, e non potranno perciò formarsi quelle alleanze che sono appunto ciò che garantisce il piccolo contro il grande della società. Tali ragioni erano forti ed erano state prevedute dalla Commissione, la quale nel suo progetto si era proposta di evitare tutte le due summenzionate difficoltà, e s' era riservata di rispondere ai timori dell' Assemblea col progetto che avrebbe presentato nella prossima sessione. Venuta adunque la sessione presente, cominciò dallo stabilire un limite ossia una somma menoma di rendita, la quale considerar si potesse come l' unità nella rappresentazione amministrativa; e ciò a tenore della dichiarazione dei diritti politici. (Tit. II art. 3). Dimostrò che bisognava prendere per quest' unità un termine basso più che si poteva; poichè dovendosi trascurare tutte le frazioni, cioè tutto ciò che era minor di quel termine; questa deviazione dalla rigorosa giustizia doveva esser la minima che si potesse, e l' Assemblea convenne di fissare questo termine alla somma di lire cento. 1) Dimostrò in secondo luogo che ciascun mercenario, qualunque fosse il suo guadagno, si doveva supporre che portasse a lui nè più nè meno di lire cento annuali; perocchè essendo questa la somma menoma, onde si stimi che possa un uomo ordinariamente vivere, qualunque cosa il mercenario guadagna, nulla più guadagna del vitto, che viene ad essere appunto rappresentato nella somma di lire cento. Infatti qualunque sia il guadagno d' un mercenario o lo consuma nel proprio mantenimento o lo mette in fondi. Se lo mette in fondi, egli trapassa ben presto alla classe di benestante; giacchè qualunque suo fondo che gli renda più di cento lire, lo rende anche benestante. Se all' incontro ciò che guadagna lo consuma, egli è alla stessa condizione di quello, rispetto alla ricchezza materiale, che vive con cento lire di entrata; mentre alla fine della giornata, del mese, o dell' anno, ciascuno ha consumato tutto, e sì dell' uno che dell' altro si può dire egualmente, che il loro avanzo è nullo: e che il loro fondo produce il puro vitto senza crescere nè calare. Ciò premesso, la Commissione passò ad indicare il modo, ond' ella credeva che si potesse passare alla formazione dell' Amministrazione delegata, evitando la prenotata difficoltà. Disse che conveniva che si congregassero in altrettante Assemblee separate secondo i gradi della ricchezza; che questi gradi potevano essere determinati così: Tutti quelli che possedevano dalle cento fino alle lire mille d' entrata formavano un' Assemblea. Tutti quelli che possedevano dalle lire mille di entrata fino alle dieci mila formavano la seconda Assemblea. Tutti quelli che possedevano dalle dieci mila lire fino alle cento mila lire d' entrata formavano una terza Assemblea. I possessori di cento mila lire d' entrata fino ai possessori d' un milione, formavano una quarta Assemblea. I possessori d' un milione fino ai dieci milioni di lire d' entrata formavano la quinta Assemblea; e così via, se vi fossero persone individuali o morali che possedessero maggior somma. Nella prima Assemblea ogni cento lire si aveva un voto; e il più che una persona potesse avere erano nove voti; tali erano quelle che possedevano dalle novecento fino alle mille lire. Nella seconda Assemblea le mille lire davano un voto; e il maggior numero di voti, che una persona aver potesse era quello di nove; tali erano le persone possidenti dalle nove mila fino alle dieci mila lire d' entrata. Similmente nelle tre altre Assemblee un voto corrispondeva sempre a maggior somma; nella terza a diecimila, nella quarta a centomila, nella quinta a un milione di lire d' entrata, e il maggior numero di voti che una persona in tutte queste Assemblee potesse avere, era medesimamente nove: tali erano le persone che nella terza Assemblea avessero un' entrata dalle novanta fino alle cento mila lire; nella quarta quelle che avessero un' entrata dalle novecento mila lire fino a un milione, nella quinta quelle la cui entrata fosse dai nove fino ai dieci milioni. Ora vedete a che poco nell' ordinamento di tali Assemblee si riduca la irregolarità o deviazione dalla teoretica giustizia; cioè quanto poca sia la proprietà che rimanga senza rappresentazione; ed anche quella poca vi rimane, perchè non è veramente capace del diritto di essere rappresentata. Osservate in fatti che in qualunque fortuna anche enorme, la ricchezza che rimane senza rappresentazione è sempre minore delle lire cento. Supponete in fatti un proprietario di mille e cinquecento lire d' entrata: questi apparterebbe alla seconda Assemblea. Egli è bensì vero che non può avervi che un voto; poichè i voti in tale Assemblea equivalgono a mille lire; ma egli colle sue cinquecento lire ha diritto ancora di farsi rappresentare nella prima Assemblea e di farsi rappresentare con cinque voti; perchè in essa il numero dei voti equivale al numero delle centinaia di lire. Laonde questi non resta senza rappresentazione se non per quella frazione che avesse fra le mille cinquecento e le mille seicento lire. Così parimenti colui che avesse un' entrata di 12 .350 lire entrerebbe nella terza Assemblea con un voto, nella seconda con due voti, e nella prima con tre voti, e ciò che resterebbe senza rappresentazione non sarebbero che le cinquanta lire, le quali non sono rappresentabili, perchè non arrivano a formare il mantenimento di un uomo. Nel medesimo modo ancora colui che avesse d' entrata 123 .450 lire, egli entrerebbe con un voto nella quarta Assemblea, con due nella terza, con tre nella seconda, e con quattro nella prima; e ciò che rimarrebbe anche qui non rappresentato sarebbero le sole lire cinquanta. Finalmente supponiamo che una persona traesse annualmente d' entrata dai suoi fondi 1 .234 550 lire: questa comparirebbe con un voto nella quinta Assemblea, con due nella quarta, con tre nella terza, con quattro nella seconda, con cinque nella prima e di tutta la sua grande fortuna rimarrebbero necessariamente sole cinquanta lire non rappresentate; giacchè formano una frazione dichiarata irrappresentabile. Distribuiti in tal modo tutti i cittadini che hanno diritto all' amministrazione rappresentativa in altrettante decurie secondo i loro beni di fortuna, e secondo questi assegnato loro il numero proporzionato di voti, ecco in qual modo si potrebbe procedere alla formazione dell' Amministrazione delegata, evitando la difficoltà che l' Assemblea ha saviamente preveduto. La prima Assemblea ogni dieci voti, ossia ogni decina di centenaio elegge un delegato alla seconda Assemblea. In fatti dieci voti nella prima Assemblea suppongono la corrispondente somma di mille lire: e mille lire equivalgono ad un voto della seconda Assemblea. La seconda Assemblea parimenti ogni dieci voti elegge un delegato della terza Assemblea; perocchè dieci voti della seconda Assemblea rappresentano dieci mila lire; che equivalgono appunto ad un voto della terza Assemblea. Allo stesso modo ogni dieci voti della terza Assemblea essa ha diritto di eleggere un delegato alla quarta Assemblea; poichè dieci voti della terza Assemblea rappresentano cento mila lire, e cento mila lire è appunto un voto nella quarta. Finalmente ogni dieci voti che la quarta Assemblea abbia in sè medesima, essa manda un delegato nella quinta; perocchè dieci voti della quarta Assemblea, supponendo un milione d' entrata, danno appunto il diritto di aver un voto nella quinta. Vediamo adesso un poco quanta sia l' irregolarità dalla giustizia teoretica, che ammette un tal piano in tale esecuzione pratica quale da noi fu descritta. Ciò che nell' ultima Assemblea rimane privo di voto è tutto ciò che rimane al di sotto di un milione; ma egli è da osservarsi che la somma al di sotto di un milione esercitò però la sua forza nella quarta Assemblea; come nella terza influì quanto stava al di sotto di cento mila; nella seconda quanto stava al di sotto di diecimila e nella prima quanto stava al di sotto di mille. Così parimenti se noi imaginiamo una sesta Assemblea, nella quale ciascun voto rappresenti dieci milioni: egli è vero che rimarrebbero nove e più milioni nella nazione senz' essere rappresentati direttamente in essa: ma questi sono stati tuttavia rappresentati quando si trattò dell' elezione di quest' ultima Assemblea, ed hanno esercitata tutta l' azione che potevano esercitare. D' altro lato la non rappresentanza nell' ultima Assemblea di questi nove milioni non porta nissuna disuguaglianza politica fra i cittadini; poichè questi nove milioni non appartengono già a questa o a quella famiglia determinata, ma solo a tutta la nazione, e perciò in questi nove milioni, non rappresentati, ciascun cittadino ha una rata per così esprimermi proporzionata, sicchè, nessuno sconcio ne nasce alla politica proporzione. Stabilite queste basi, noi vedremo subito quanti saranno i componenti dell' ultima Assemblea, cioè della Delegazione dell' Amministrazione sociale , che viene ad essere la suprema magistratura della nazione. Suppongo che la somma di tutta la rendita rilevata dal Tribunale Politico ascenda a quattro miliardi di lire. Or questi darebbero quattrocento delegati nazionali, ciascuno dei quali rappresenterebbe dieci milioni di lire di rendita. Ecco pertanto formata l' Amministrazione delegata, esistendo la quale sarebbe già instituita la civile società, o sia ridotta alla sua attuale esistenza. Ora considerate di grazia come la formazione di una tale Amministrazione delegata eviti lo scoglio da voi temuto, che le piccole fortune sieno dalle grandi oppresse senza che abbiano nella società alcuna voce distinta. Nel piano proposto le fortune sono tutte distinte l' una dall' altra secondo la loro grandezza mediante i voti. I componenti la prima Assemblea, o sia i voti della medesima, rappresentano tanti proprietarŒ tutti eguali di cento lire l' uno. Il delegato che questi mandano alla seconda Assemblea non rappresenta già fortune di diverse specie, ma rappresenta fortune tutte eguali, giacchè rappresenta una decina di voti della prima Assemblea. Così il delegato che la seconda Assemblea manda alla terza non rappresenta allo stesso modo che fortune eguali, cioè dieci stati tutti di mille lire l' uno: parimenti non vi ha delegato nella quarta, nella quinta, e finalmente nella sesta Assemblea ch' egli rappresenti contemporaneamente grandi e piccole fortune, ma tutte d' una stessa misura le rappresenta. Rimane solo da avvertire primamente che se egli v' avesse taluno nell' ultima assemblea il quale possedesse egli solo i fondi necessari per ritrarre l' entrata dei dieci milioni, egli sarebbe membro della medesima, come rappresentante il proprio, e non come delegato delle Assemblee antecedenti. In tal caso l' Assemblea dei quattrocento, cioè quella che amministra realmente la società, verrebbe ad esser mista, cioè composta parte di rappresentanti di beni proprŒ, parte dei delegati delle Assamblee precedenti, i quali non sono che ministri delle Assemblee stesse. La Commissione propose « che ciascuna Assemblea fosse riconosciuta nelle proprie attribuzioni indipendente dall' altra. » Questa era una conseguenza della imprescrittibilità politica già adottata. In fatti l' imprescrittibilità politica consisteva nel riconoscere annesso ad ogni diritto posseduto dall' uomo nello stato di natura un diritto di rappresentazione nella società civile, il quale doveva essere inviolabile come la stessa società e qualunque attentato contro di lui diventava un delitto di lesa sovranità. Perciò ognuno nel modo di farsi rappresentare nell' Amministrazione rimaneva perfettamente libero a differenza della rappresentazione passiva, il primo diritto della quale, cioè il diritto di elettore al Tribunale, era nello stesso tempo un dovere a cui si obbligavano i padri di famiglia. Nella rappresentazione all' incontro attiva, essendo questa un diritto che non aveva nessuna relazione colla giustizia verso gli altri, ma che conteneva solo una utilità propria, ognuno rimaneva libero di esercitarlo o non esercitarlo, sebbene nessuno poteva alienarlo, appunto perchè l' alienazione sarebbe un contratto invalido trattandosi d' un diritto imprescrittibile. Le Assemblee adunque dovevano rimaner libere nella elezione dei deputati da mandarsi alle Assemblee più elevate, sebbene l' Assemblea più elevata potesse citare al Tribunale politico l' Assemblea meno elevata per negligenza nel mandare i deputati, ogni qualvolta potesse provare che ciò fosse nocevole ai suoi membri: non ammettendo il Tribunale petizioni quando non fossero presentate da un accusatore interessato nella causa. Ciascuna Assemblea inferiore dunque aveva essenzialmente ed imprescrittibilmente i seguenti diritti: 1 Di mandare il numero di delegati, che a lei apparteneva secondo la legge, all' Assemblea prossimamente superiore: e questi delegati poteva sceglierli a suo piacimento, a quel modo stesso che un padrone può scegliere i suoi servi. 2 Di fare il contratto con questi delegati secondo le condizioni da convenirsi fra essa e il delegato, e da esprimersi nel mandato del medesimo: condizioni che potevano riguardare: a) Le istruzioni date al medesimo intorno al modo di eseguire il suo ufficio; b) Il tempo della delegazione in quanto può stare in arbitrio dell' Assemblea; c) Lo stipendio da assegnarsi al delegato. Le cause fra il delegato e le Assemblee sono di competenza del Tribunale politico. Così pure ciascuna persona (morale ed individuale) che potesse dimostrare d' essere realmente danneggiata dal delegato, come sarebbe nel caso, in cui si potesse provare o la intenzione di nuocere col suo potere o il tradimento contro l' Assemblea nell' esercizio del potere ricevuto, può richiamarsi al Tribunale politico ed ottenere la mutazione del delegato. Ogni Assemblea inferiore debbe eleggersi un Ministro, le cui attribuzioni sono le seguenti: 1 di convocare l' Assemblea nei casi prescritti dalla legge: 2 Di essere l' organo permanente dell' Assemblea medesima. La Commissione propose, che conveniva stabilire i casi in cui le Assemblee inferiori si dovessero convocare, e fu adottata sopra di ciò la legge seguente: 1 L' Assemblea debb' essere convocata ogni qualvolta muore un suo delegato all' Assemblea superiore per rieleggerne un altro. L' Assemblea superiore è obbligata di dar la notizia della morte al Ministro dell' Assemblea inferiore, il quale appena ricevuta debbe proclamarne la convocazione. 2 Il Ministro debbe pure convocare l' Assemblea ogni qualvolta spira il tempo della delegazione assegnato ad un delegato, perchè sia fatta una nuova elezione. 3 Debbe convocarla ancora ogni qualvolta gli sia dimandata da una maggiorità de' voti componenti l' Assemblea. 4 Finalmente è obbligato di convocarla ogni qualvolta un membro della medesima ottiene dal Tribunale politico, per cagione dei proprŒ interessi, un decreto di convocazione. I membri invitati dal Ministro all' Assemblea, che non compariscono, dichiarano con ciò di assentire ai comparenti: e tuttavia possono essere citati al Tribunale politico se la loro assenza sia pregiudicievole. Rimanevano le difficoltà sull' instabilità dei rappresentanti nelle Assemblee, giacchè il diritto di rappresentazione nelle medesime doveva sempre conservarsi in equilibrio colla ricchezza materiale: la quale è soggetta a continui mutamenti. Ma la Commissione aveva indebolita anche questa difficoltà col principio stabilito, che la giustizia teoretica doveva nelle sue applicazioni pratiche dar luogo all' equità; e tutti gli uomini erano obbligati dalla stessa giustizia a declinare alquanto dal proprio diritto rigoroso, quando ciò era necessario, perchè i diritti di tutti potessero avere contemporaneamente luogo. Essa dunque credette, che si potessero ottenere le deviazioni menome mediante una legge sui mutamenti del numero dei voti a ciascuno appartenenti, esposta nel modo seguente: 1 Ognuno al quale scemino le sue fortune può ricorrere quand' egli voglia al Tribunale politico, perchè gli sia scemata la rappresentazione politica corrispondente. 2 Ogni persona morale o individuale può far una causa simile verso un' altra persona, a cui sieno scemati i beni di fortuna. 3 Ciò che è detto nei paragrafi precedenti per lo scemamento delle fortune, vale anche per il loro aumento; e perciò ciascuno, dato quest' aumento, può domandare per sè o per altri l' aumento corrispondente di rappresentazione politica. 4 L' Assemblea ha diritto e dovere di domandare una nuova ricognizione delle fortune di quelli che sono negligenti nel pagare le imposizioni. 5 I lavori del Tribunale e delle Assemblee sono indipendenti, e quelli dell' uno non possono rallentare quelli dell' altro, per modo che, pendente la causa, ognuno rimane a suo luogo; e nella sentenza è fissato il tempo preciso in cui s' intende cominciata la mutazione. Dopo aver data un' idea del Tribunale politico e dell' Amministrazione, che sono le due parti del Potere Supremo della società civile, mi resterebbe a parlare della Magistratura che è il terzo corpo che forma parte della organizzazione sociale, sebbene egli non sia parte del Supremo Potere. Ma prima di passare a descrivere la Magistratura della società civile, che fingo d' erigere da' suoi fondamenti, mi sembra necessario di chiamar l' attenzione del leggitore sulle traccie del Progetto fin quì da me descritto, sia che si ritrovino negli scrittori antecedenti, o sia nelle costituzioni delle nazioni che fin quì sulla terra sono esistite. Questa disgressione, ben comprendo, che travia qualche poco il leggitore dal diritto cammino, e gli ritarda di poter concepire tutta intera l' idea di Società che io prendo a descrivere: ma questo interrompimento, che nuoce invero al filo delle idee, sarà forse compensato da un maggior avvicinamento che prenderà la Teoria esposta alla pratica, e quindi ella forse gli diverrà più reale nella sua mente, e l' indurrà a prestare più agevolmente fede alla possibilità della medesima. In fatti la prima difficoltà che si presenta alla mente, di chi sente proporsi un' astratta teoria si è la seguente. Com' è possibile che ciò non abbiano mai veduto gli uomini precedenti? come sfuggì a tutte le nazioni e a tutti i loro savŒ, che pure hanno posto i più profondi pensieri ad escogitare tutto ciò che giovar potea l' uman genere, se egli fosse cosa possibile od utile? Io non risponderò già, che dove tale obbiezione dovesse aver luogo in tutta la sua estensione, ella supporrebbe, che non fosse oggimai possibile verun ulteriore progresso al genere umano; perocchè io non penso che uomo me la possa proporre a tempi nostri con tanta estensione. Risponderò piuttosto che anch' io concedo dover incontrare con ragione una prevenzione sfavorevole quella istituzione così nuova, di cui nessuna traccia si rinvenga esser stata prima dei tempi nostri nelle menti e nei costumi degli uomini; ma non essere all' incontro ragionevole di credere che ogni egregia cosa dagli uomini traveduta e cominciata nell' opera sia stata già altresì perfettamente conosciuta e in tutta la sua perfezione eseguita. Ed or questo io credo che sia avvenuto del Supremo Potere della società civile da me descritto. Parmi ch' egli sia stato sempre più o meno chiaramente dagli uomini avvertito; parmi che sempre l' abbiano desiderato, come cosa di cui la natura umana provava il bisogno; parmi che egli sia stato lo scopo d' infinite ricerche politiche, d' infiniti sforzi ed agitazioni della società tendente di conformarsi a quella forma regolare. Parmi insomma che tanto la natura delle cose, quanto le menti degli uomini ci si sieno aggirate d' intorno: queste per formarsene l' idea compiuta, quella per trovare in essa la propria naturale posizione e quiete: ma che sì le menti che la natura non abbiano perfettamente asseguito il termine dei loro sforzi; perchè è legge fermissima, a cui le umane forze soggiacciono, che non ottengano la perfezione dello scopo se non dopo gran tempo, grandi errori, grandi urti: dopo una molteplice insomma e dolorosa esperienza. Del Tribunale politico sono minori le traccie istoriche che dell' Amministrazione. La ragione di ciò si è, che egli si può dire l' ultima perfezione della società, e suppone gli uomini già pervenuti a un grado assai grande di coltura. Oltracciò l' ultima riflessione che fa l' uomo è quella sopra sè stesso: egli è di prima giunta portato a pensare agli altri; questa è la direzione naturale della sua mente: il ritorcersi sopra di sè è una conversione difficile: egli opera senza dubitare di sè, senza pure pensare a sè operante. Perciò vi dovevano essere prima le Amministrazioni della società che il Tribunale politico. Poichè il Tribunale politico non può venire che allorquando l' Amministrazione è arrivata a riflettere sopra sè stessa, a dubitare dei suoi proprŒ giudizŒ; sia che questo dubbio ella giunga a fare spontanea per propria sapienza, sia che ella sia costretta di farlo per le scosse che ella riceve dalle reazioni che ritruovano le sue ingiustizie. Così in fatto troviamo nella storia. Questa ci presenta da per tutto Amministrazioni che operano con gran franchezza e fidanza del proprio fatto, che non dubitano punto di errare, che procedono come fossero infallibili; e che sostengono per gran tempo di esserlo, quando viene loro contrastata questa infallibilità. E se un tale contrasto singolare dura per molto tempo, non è già da credersi che ciò nasca dall' opera sola delle passioni degli uomini: egli si prolunga anzi per l' imbecillità umana come per l' umana malizia: perocchè quella è che impedisce agli amministratori della società di riflettere sulla propria incapacità, e sulla fallacità dei loro giudizŒ e delle loro operazioni. Se noi veniamo osservando la storia delle nostre moderne monarchie, cominciando dalle loro origini nei secoli di mezzo, e giù venendo dietro i loro passi; noi veggiamo come il loro potere si sia venuto rendendo sempre più assoluto, ed indipendente: e veggiamo ancora che ciò è avvenuto per opera di molti abili uomini di Stato, che affezionati ai loro Principi gli hanno serviti del loro avvedimento e della loro destrezza nel maneggio delle pubbliche cose. Si grida contro alla costoro improbità: ma, per quanto io sono persuaso, al tutto senza ragione. Io credo in quella vece, che a questa concentrazione del regio potere abbiano contribuito degli uomini sommamente probi, e forniti delle più pure intenzioni. - Ma essi, si dice, hanno rinserrate le catene dell' uman genere. - A bell' agio! Tornate su loro passi: esaminate le intenzioni dei loro fatti, e muterete opinione. Il potere supremo non era fissato; egli ondeggiava in varie mani: lo Stato era per cadere ogni istante nell' anarchia: la morte del principe, l' ambizione offesa di un nobile, l' ardire di un condottiero, un accidente impreveduto, bastava per rovesciare col trono la società. Questi mali cadevano sotto gli occhi, come cadono sotto gli occhi tutti i disordini delle amministrazioni di più persone, sieno grandi o sieno piccole: sieno le sette, nascenti all' elezione di un sovrano, sieno i tumulti dell' elezione popolare di un curato, ed i piccoli partiti, le discussioni, e gli stravizi, che la accompagnano. L' Amministrazione della società, che si credeva incaricata di difendere la società da tutte le turbolenze e da tutti i mali, ai quali può soggiacere, era ben naturale che si credesse ancora, non dirò autorizzata, ma in dovere di riparare a tutte quelle inquietudini. Ora quale era la strada più breve che a questo fine si presentasse? Quella di far guerra a tutte le amministrazioni collettive, e stabilire un sistema di centralizzazione dei poteri; perocchè ridotto il potere nelle mani di uno, e ridottovi così forte a cui nessuno possa resistere, tutti quei disordini son tolti via, che nascevano prima dall' ondeggiar egli incerto nelle mani di più. Ecco pertanto un esempio luminoso dello scambiare che fanno gli uomini le istituzioni stabilitive colle istituzioni preventive e repressive . Quand' essi nell' istituzione che ha una natura stabilitiva scuoprono alcun abuso, non pensano già di metter a lato della medesima un' altra istituzione preventiva o repressiva che corregga quel difetto; ma si mettono piuttosto ad alterare e snaturare la istituzione stessa stabilitiva perch' ella non si presti all' abuso osservato; non accorgendosi in ciò che l' abuso non nasce da essa stessa, ma è alla medesima estrinseco, cioè nasce dalla malvagità degli uomini che di essa abusano, il perchè a questa si dee por rimedio, e non guastare l' istituzione per sè buona e retta. Ma or ecco come il potere dell' Amministrazione sociale andò per mancanza di lumi rinforzandosi, e tendendo alla maggior possibile indipendenza, anzichè pensare di sottomettersi ad un Tribunale; e ciò fece, pensando forse fare cosa necessaria e buona, credendo eseguire la sua missione, quella di difendere la società. - Ma si ripete, chi tolse via quei mali dalla società, rendendo più fermo ed indipendente il poter supremo, rese questo più arbitrario e più insopportabile. - Appunto: ma ciò senza accorgersi. - In che modo? - Perchè l' Amministrazione nel tempo ch' ella vedeva i disordini, che si credeva in debito di torre via; non sospettava menomamente di sè stessa: non rifletteva sulla propria fallacità; gli amministratori insomma della umana società non pensavano d' essere uomini, ma solo d' essere amministratori. - Ma non è questa stessa una colpevole ignoranza? - Piuttosto un inganno della stessa natura umana, che ha bisogno d' essere scossa replicatamente e fortemente prima che dubiti di sè stessa. Gli amministratori della società accorrono a porre rimedio ai mali che veggono cagionarsi da' soggetti, all' incontro i soggetti si lamentano con altrattenta prontezza dei falli degli amministratori. E` facile ai soggetti lamentarsi degli amministratori, appunto perchè essi sono collocati in luogo da vederne i vizŒ altrettanto quanto poco sono in istato da vedere i proprŒ. Per quella stessa ragione che dicevo l' uomo non portare lo sguardo sopra di sè per dubitare di ciò che fa, se non tardi e trattovi quasi a forza. Il perchè è al tutto indiscreta la severità con cui si giudica dei superiori; esigendo ch' essi veggano i proprŒ errori altrettanto come li vede chi è da loro diviso: perocchè ciò è contro le leggi della umana natura. Egli è da ciò stesso che si spiega il seguente fatto. Il soggetto si lamenta dell' amministratore sociale. L' amministratore riguarda questo lamento come una colpa, come un' insubordinazione. Ma il lamento non è già portato contro l' autorità dell' amministratore, ma contro il male ch' egli fa colla medesima. Tuttavia l' amministratore non è disposto a considerarlo sotto questo aspetto, per quella stessa ragione, che non è disposto a considerare sè stesso come un uomo fallibile, essendo per accidente amministratore; ma è anzi disposto a considerarsi solo come amministratore. Qualità questa che astrattamente presa non annette già l' idea di imperfezione e di fallibilità, che resta tutta propria dell' uomo che amministra. Egli è inclinato a considerarsi piuttosto nella sua qualità d' amministratore che nella sua natura di uomo, perchè l' amministrazione è cosa esterna, che termina fuori di lui, per vedere la quale non ha bisogno, dirò così, che di uno sguardo del suo occhio in direzione naturale. Mentre a considerare sè stesso come uomo amministrante ha bisogno di ritorcere lo sguardo quasi contro natura, ed a fissarlo in sè stesso. Il perchè nel lamento dei soggetti contro di lui egli vede più facilmente e più naturalmente una opposizione ed una reazione alla sua autorità, che non sia un' avvertenza dell' errore ch' egli prende come uomo soggetto a fallire. Egli è vero, che le passioni umane, l' amor proprio, e l' avidità si mescolano da per tutto; ma non si può negare che le stesse leggi dello spirito umano conducano l' uomo a dubitare anzi di altrui che di sè stesso. Ed é perciò, che un amministratore della società nello stato naturale può essere inclinato di tutta buona fede ad aumentare ed afforzare l' autorità nelle proprie mani, persuaso di tor via in tal modo molti disordini con un' autorità piena ed assoluta, senza accorgersi nè sospettare de' mali ch' egli stesso per ignoranza o per passione, e quelli che a lui subentreranno nell' Amministrazione, possono produrre colla detta autorità. Vedete quello che nasce nel caso di una rivoluzione: prescindendo dai secondi fini che operano nella medesima. Si dice che il Sovrano era colpevole, che la sua Amministrazione era pessima. Se ne instituisce dunque un' altra, ma ben presto, atterrata anche questa, ne sorge una terza per vendicare i delitti della seconda. Nel fermento delle opinioni e nella prontezza e temerità dei giudicŒ si condanna ben presto la terza, come si condannò le due prime, per instituirne una quarta; e si succedono incessantemente i riformatori della nazione agitata. Ora onde viene questo gioco e questa vicenda, se non da un simile corso d' idee che fa lo intendimento umano, per cui l' uomo assai prima di giudicare di sè stesso giudica degli altri, e trovando sempre i difetti in quelli che amministrano la società non sa neppure dubitare ch' egli stesso trovandosi nel loro posto potrebbe cader negli stessi errori; ma anzi si lusinga che tutte le sue idee sull' Amministrazione sociale sieno giuste, che porterebbero la felicità nazionale, e che corrisponderebbero ai doveri dell' Amministrazione? Si sono veduti sempre quelli che prima di arrivare all' Amministrazione sociale gridavano contro il dispotismo e gli sforzi degli amministranti per aumentare il grado di potere nelle loro mani, pervenuti essi stessi all' Amministrazione aver fatto assai di più, non avere il menomo dubbio di far bene a tirare nelle proprie mani la più gran potenza, ed a comprimere colla più gran forza arbitraria che aver potessero tutti quei movimenti che venissero fatti contro all' Amministrazione. Egli non debbe adunque far meraviglia se si è quasi sempre veduto nelle società cercare da quelli che avevano in mano il potere la più piena indipendenza, mentre ciò non solo è conforme alla passione di dominare, tanto propria dell' uomo; ma all' indole stessa dell' umana natura, per cui l' uomo crede non esserci niente da temere da parte sua, ma solo da parte degli altri; e così gli amministratori nulla credono che vi sia da temere se l' Amministrazione è forte. I Principi nulla credono che vi sia da temere se la loro potenza sempre più si rende indipendente; anzi non la riguardano se non come un mezzo di fare un bene maggiore, senza pensare neppure alla possibilità che essa potesse essere istrumento di male. Per venire a quest' ultima riflessione, che può solo dar luogo al Tribunale politico, si esige dunque non solo che i Principi sieno retti e buoni, ma ben ancora che sieno ammaestrati da una lunga esperienza, la quale li faccia pensare sopra sè stessi. E non fa però meraviglia, se fino a qui solo delle incerte traccie si ravvisino essere state di consimile instituzione. Ed anche queste poche ed incerte traccie dalla parte del popolo si osservano. E così doveva essere, perchè il Tribunale politico è per il popolo; egli è necessario unicamente per difendere il debile contro il forte, la minorità contro la maggiorità. Prego il leggitore di considerare come tutto si trovi legato nel sistema da me proposto, e come i principŒ sieno conformi alla natura delle cose. Io ho cercato un sintomo che ci faccia conoscere quando venga leso il diritto in un uomo; e l' ho trovato nel risentimento morale; il quale risentimento quando gli uomini sono nello stato di natura porta la pretesa di risarcimento, cui l' offeso verifica per le vie di fatto se l' offensore non si muove spontaneamente a dargli soddisfazione. Il risentimento adunque, sintomo del diritto violato, è la ragione per cui gli uomini vogliono che sia resa loro giustizia; egli è dunque la causa movente della giustizia privata nello stato di natura, e della giustizia pubblica o sia dell' istituzione dei Tribunali nello stato di società civile. Applichiamo il risentimento al Tribunale politico; e veggiamo se il popolo risentitosi delle offese degli amministratori abbia chiesto e resosi com' ha potuto contro di essi ragione. Egli è evidente che questa è la cagione vera o pure il pretesto di tutte le ribellioni: queste nascono perchè il popolo si risente delle offese che vengono a lui fatte dagli amministratori della società, o che gli si dà ad intendere che gli vengono fatte: egli chiede giustizia; ma non trovando alcun Tribunale che gliela renda fa al modo stesso che fanno gli individui fra loro fino che si trovano nello stato di natura; decide e si rende ragione da sé. Esiste adunque sempre nel fatto e per la natura delle cose un Tribunale per gli affari politici, come esiste sempre per la natura delle cose un Tribunale per gli affari privati. La sola differenza fra il Tribunale politico istituito appositamente, e il Tribunale politico naturale, per dir così, si è quella che passa fra il Tribunale per gli affari privati nello stato di natura, e lo stesso Tribunale nello stato civile: nel primo stato è l' individuo o la famiglia quella che giudica in propria causa e che eseguisce la sentenza, mentre nel secondo stato il giudice è distinto dall' offeso, è comune a tutti, e dell' esecuzione della sentenza s' incarica la forza comune. Così pure fino che il Tribunale politico non è istituito, il popolo è il giudice di fatto, egli è giudice in propria causa ed esecutore della sentenza: quando s' instituisce un Tribunale politico apposito, allora il giudizio è dato ad un terzo a cui di concordia le parti si rimettono. Un tribunale adunque sempre esistette di fatto, come mostrano tutte le storie per gli affari pubblici; come sempre esistette un Tribunale per gli affari privati, mentre sì l' uno che l' altro è fondato nell' umana natura come in essa è fondato il risentimento all' offesa , risentimento che è un effetto immediato dell' idea di giustizia , così necessaria dell' umana natura come necessaria è ad essa la ragione . Ho già osservato che il governo preso nella sua nozione astratta, è un benificio comune, e non un aggravio, che perciò ciascuno può prenderne il possesso se trova il posto vacuo, alla stessa guisa come ciascuno può occupare un disoccupato terreno. Ma riducendo questo principio alla pratica difficilmente si verifica, perchè nella pratica vi si mescolano le ignoranze e le passioni umane. Perciò sono assai rari i casi di popoli sottomessi all' occupante, senza che questi abbia avuto bisogno della forza. Questa difficoltà a lasciarsi governare, in popoli non guasti ancora da idee filosofiche, ma forniti solo della filosofia della natura, è il risentimento , sintomo dell' offesa ricevuta. Ho ancora osservato nella prima parte la cagione per cui l' antichità amava tanto le Repubbliche. Non si era giunto a distinguere la modalità dei diritti dai diritti stessi: non si conosceva adunque il preciso oggetto del governo: governare la società non era per essi regolare la modalità di tutti i diritti, ma era regolare i diritti di tutti: o almeno queste due cose si confondevano nel fatto; e contribuiva a tale confusione l' estensione che prendeva la modalità stessa dei diritti 2) in un tempo, che il fine delle guerre ognor minacciate era l' esistenza, o la distruzione di un popolo. [...OMISSIS...] Anzi perciò appunto era Sovrano e Legislatore perchè estendendosi tanto la sovranità, 2) questa sarebbe stata insopportabile, concentrata nelle mani di un solo, ad un popolo che ritenesse qualche vita morale: il risentimento morale adunque questo naturale giudice delle offese era quello che determinava la stessa forma repubblicana di governo, e colla forza comune realizzava nel fatto la sua sentenza. Quando un uomo solo si fece arbitro dell' imperio romano, si può dire che la virtù era per annientarsi e con essa la luce della verità. La mancanza della prima rendeva gli uomini atti alla schiavitù, e non erano più suscettibili, si può dire, di offese morali, ma solo di offese fisiche poco diversamente da' bruti. Perduta colla morale la intelligenza, in luogo di un Tribunale e di un giudizio politico, si vede un atroce irritazione di tutti gli elementi della società, che non tendono nè di fare altrui nè di rendersi a sè giustizia, ma di distruggersi scambievolmente. Ricomparisce il Tribunale politico ancora in uno stato naturale, cioè unito al risentimento della società offesa, all' uscire che fanno dal caos del medio evo le moderne società. Ma la religione ha diminuite le passioni dei governanti, e ha dato, sì ad essi come al popolo, idee più esatte di giustizia. In tal modo diventa possibile la Monarchia: il Cristianesimo solo rese questa forma di governo tollerabile non solo, ma carissima alle nazioni. In che consiste questa mutazione della Monarchia, la quale era tanto odiosa all' età pagana nella sua parte più colta, e tanto cara all' età cristiana nella colta Europa? Un grand' uomo n' ha notata la differenza con gran verità: « « I re abdicavano il potere di giudicare da per se stessi. »1) » Fu questa l' opera della Religione divina. Ed il principio che adoperò questa Religione per operare un tanto mutamento di cose fu quella massima: « « Per me regnano i re: »2) » la massima che fa conoscere avervi sopra tutti i re della terra un Tribunale, una giustizia, un Monarca, a cui rendere il conto delle arbitrarie sentenze. Conviene concedere in fatti che questo è un principio fondamentale della Religione cristiana, che questo principio lo fa sentire incessantemente: che l' ha già impresso in tutti gli uomini di Europa. Ma saremmo assai lontani dal vero, credendo che questo fecondo principio abbia ricevuto tutto il suo sviluppamento, che la sua influenza abbia ottenuto tutto ciò che egli può ottenere. Si può ben dire ch' esso sia ridotto quasi interamente nella pratica dei negozŒ civili, ma siamo ben lontani da ciò nei politici; questo è quanto gli rimane di fare. L' autore citato dopo aver indicato il carattere della presente Monarchia europea nell' abdicazione che fecero i re del potere di giudicare per sè stessi, osserva che i popoli in contracambio dichiararono i re infallibili ed inviolabili. Così è in fatto. E sarà pienamente, quando pienamente i Re avranno abdicato un potere che esclude essenzialmente l' arbitrio; e che è tanto venerabile e divino quant' è più sicuro interprete e sacerdote della giustizia un potere che è augusto non pel ministro che lo esercita, ma per sè stesso. I popoli non avendo da temere più nulla dai re, abdicano anch' essi naturalmente il potere di giudicare da sè e di farsi giustizia: in tal modo i re ed i popoli pienamente cristiani eseguiranno il precetto: «Non giudicate e non sarete giudicati. 1) » Ma giova vedere il lento corso pel quale la società cristiana tende a tanta perfezione. Il primo passo fu quello di rendere possibile la Monarchia fondandola sulla giustizia, e restringendola per conseguente a non disporre che della Modalità dei diritti. Ma questa Monarchia ancor bambina doveva essere educata, e fino che nol fosse, doveva ritenere degli antichi costumi. La società parimenti doveva nella stessa ragione tenere presso di sè il Tribunale politico. Vediamo come ne faceva uso nei casi ordinari. Le parti del popolo, dice il Sismondi parlando delle forme di governo dei popoli settentrionali del medio evo « « erano quelle di sanzionare o rigettare le proposizioni del principe colle acclamazioni. »2) » Ecco il passo dall' antica alla nuova forma di governo: nell' antica non poteva essere legislatore che il popolo: nella nuova il popolo non è più legislatore ma il Monarca, egli si riserva solo di approvare le instituzioni se sono tali che non suscitino in lui il risentimento morale; e se all' incontro sono tali che il suscitino, di manifestarlo e di riprovarle. Ed ecco la Monarchia europea nella sua prima età: essa non é propriamente limitata nel suo potere di regolare la modalità dei diritti, che è ciò che forma la sua natura; ma vi intervengono gli abusi; le passioni e le ignoranze operano ancora e spingeranno talora il sovrano a passare il suo confine: il popolo adunque dovea risentirsene. Alcuni teoristi crederebbero che tale costituzione fosse concertata. Niente affatto. Ella nasceva dalla natura della cosa. La società si lascia governare (quand' ella non sia corrotta da false dottrine) ma non si lascia offendere: la sua reazione, adunque, o sia l' esercizio dei giudizŒ politici, è tanto maggiore quanto essa viene più frequentemente offesa; e l' autorità del governante per conseguente è più libera ed indipendente quanto meno offende, e più rigorosamente opera la giustizia. Egli è anche inutile ricercare se la società ha il diritto di reagire contro chi la governa: perchè basta sapere come sta la cosa nel fatto; e si potrà conoscere che così fu sempre, e che sarebbe contro la natura delle cose supporre il contrario. In fatti la natura si risente quando viene offesa: potrebbe egli darsi il caso che un popolo venisse tutto intero distrutto senza ch' egli mostrasse il minimo risentimento? Or non è già questo un caso ipotetico: un popolo naturalmente sta quieto quando può vivere, ma si risente per buttare da sè quelle leggi, e quegli ordini sotto dei quali egli non potrebbe vivere: per quanto possa essere grande il suo eroismo nella tolleranza, quando non possono più andar le cose, debbono cadere. Le modificazioni adunque della Monarchia assoluta cristiana sono tutte da ripetersi dalla sua propria imperfezione; la sua natura rimane sempre la medesima cioè quella di essere un potere supremo ed universale, e per ciò stesso illimitato fino che non esce dal suo oggetto, ed i temperamenti che si trovano posti alla medesima nel medio evo non consistono che nel giudizio popolare ecclesiastico dato in diverse forme; cioè o tumultuosamente o in Assemblee stabilite, o da tutto il popolo, o dalla classe dei Nobili. Sulla bontà della Legge, od istituzione sovrana, si riconobbe con ciò, che l' unico temperamento che poteva ricevere la Monarchia assoluta senza snaturarla non dovea essere già uno smembramento della sua autorità; ma bensì un Tribunale che lasciandola libera di fare quelli atti ch' essa credeva, li giudicasse: giudicasse cioè s' essi si contenevano nell' oggetto del Potere monarchico, o se il trapassava: se si contenevano in quello non era d' aggiungere altro: se feriva all' incontro i diritti, potevasi contro all' atto posto reclamare. 1) Più tardi alcuni s' occuparono del progetto di una pace perpetua che doveva appunto eseguirsi mediante la instituzione di una specie di Tribunale politico: e sono noti i progetti di Enrico IV e dell' abate di Saint7Pierre. Leibnizio che credeva la cosa possibile fece delle eccellenti osservazioni sul progetto di Saint7Pierre. 1) Questi proponeva due modi di fare il Senato cristiano o il Tribunale di cui parliamo; nell' uno l' Imperatore coll' Impero romano allora esistente doveva formare un solo membro ed avervi una voce sola; nell' altro si proponeva di torre via l' Impero romano, e all' Imperatore si dava parte in quel Senato unicamente come Sovrano ereditario, e ciascuno elettore aveva pure la sua voce a parte. Leibnizio ritrova il primo modo più secondo la giustizia, conservandosi per esso i diritti ben fondati dell' Impero. 2) Ognuno però vede che simile progetto è ben altro dal Tribunale politico da me proposto. Egli lo voleva fatto per regolare i negozŒ fra' Principi e togliere le guerre; e non aveva in vista la protezione dei popoli o il miglioramento delle costituzioni degli Stati. Bensì dei due modi proposti, cioè in quello, in cui l' impero veniva conservato, i popoli pure conservavano a cui avere ricorso ne' loro mali, cioè la Camera imperiale; e perciò trovavano qualche specie di Tribunale contro ai loro Sovrani; nuova ragione perchè il buon senso di Leibnizio preferisce questo all' altro piano. 1) E qui è osservabile nuovamente il progresso che aveva effettivamente fatto la società cristiana, coll' istituzione dell' Impero romano7germanico, verso il Tribunale politico di cui parliamo, e che noi grazie alle false teorie politiche dei nuovi tempi abbiamo perduto: voglio dire appunto quel principio di Tribunale politico, che si trovava già presso l' Imperatore in favore dei popoli. Questo era certamente un passo notabile verso l' erezione del politico Tribunale, ed una nuova prova che questo Tribunale lungi d' essere una chimera è anzi quel fermo scopo a cui tende continuamente la cristiana società. Tuttavia nell' Impero, ai nostri giorni estinto, non era ancora il Tribunale voluto. Egli aveva il difetto d' essere un Giudizio posto nelle mani di un uomo che era insieme Amministratore della Società, e fornito di fisica forza; unione contraria, come vedemmo, all' indole del Tribunale proposto. Poichè l' essenza di questo Tribunale è tutta morale; e colla forza morale egli debbe sostenersi; ed i giudizŒ suoi debbono essere puramente regolati dalla religiosa coscienza. Nell' Impero all' opposto gli interessi della famiglia imperiale erano troppo mescolati coll' ufficio di rendere una tanta giustizia. 1) Leibnizio conobbe assai bene quanto era necessario che un simile Tribunale godesse piena libertà, e non dovesse appoggiare i suoi giudizŒ che sulla pura coscienza; e quest' era altra ragione di tenersi fra i due modi difettosi, come al meno imperfetto, piuttosto al Tribunale dell' Impero, che ad una Dieta od Assemblea di Ministri dei Sovrani della cristianità. Anzi questa Dieta non potrebbe essere al tutto un vero Tribunale: non sarebbe che una unione di avvocati, ciascuno dei quali perorerebbe in favore del Principe che lo stipendia; e si converrebbero insieme per accidente, cioè secondo le istruzioni ricevute dai loro mandanti, e secondo il carattere loro personale di difficile o di buona volontà. L' amovibilità pure di tali ministri basterebbe a sconciare ogni buon avviamento; i quali difetti si evitavano col Tribunale della Camera imperiale, almeno in parte; ma essa stessa poi dipendendo dall' Imperatore non si rimaneva dall' essere ragionevolmente sospetta. 1) Fra tutti i concepimenti politici fin qui fatti dagli scrittori o dai Principi, quello che più si avvicina al Tribunale da me proposto, per quanto è a mia notizia, è di Giovammaria Ortes. Non sarà forse discaro ch' io esponga brevemente il pensiero di quest' acuto ingegno, meno forse ch' egli non merita conosciuto. 1) Egli muove il suo ragionamento da una analisi della natura della società civile; ed ecco com' egli ragiona intorno alla medesima. Nell' uomo havvi una ragione comune ed una ragione particolare . La ragione comune risulta dalle verità salutari che tutti gli uomini debbono unanimemente ammettere ed assentire per la comune loro felicità: verità morali, ossia di giustizia, per le quali vengono assicurati i diritti di tutti gli uomini egualmente senza parzialità a veruno: giacchè il vero ed il giusto è cosa comune ed indipendente da' particolari interessi. La ragione particolare all' incontro consiste in quegli ingegni ed argomentŒ che ogni uomo adopra in favore del suo peculiare interesse, giacchè ciascuno per l' innato amor proprio, parte della propria essenza, cerca la propria felicità. 2) Ora la ragione particolare è soggetta a venire in collisione assai volte colla ragione comune: giacchè l' uomo talora per troppo amore di sè stesso cerca il proprio bene senza ricercare quello degli altri uomini, e perciò infrangendo le leggi della giustizia e della ragione comune che i diritti di tutti egualmente protegge. La ragione particolare la quale assaliva in tal modo la ragione comune, faceva ciò con una forza particolare, cioè colla forza dell' individuo che ingiuria i suoi simili, e in essi la comune ragione. Era dunque necessario che si pensasse di riunire insieme le forze particolari e di formare in tal modo una forza comune per venire in sostegno della ragione comune che veniva continuamente assalita e violata dalla forza particolare. Ma dove esiste ella la ragione comune? come si può ella conoscere? non già col giudizio di ciascuno uomo particolare; perocchè non si saprebbe giammai se il suo giudizio provenisse dalla ragione sua particolare o dalla comune: oltre di che i particolari non vanno giammai d' accordo fra loro: e qui trattasi appunto di difendersi contro la ragione particolare. [...OMISSIS...] Ora la difesa della ragione comune è lo scopo della società civile: ella dunque viene formata dalle due parti necessarie per ottenere tale scopo, l' instituzione di un Tribunale che stabilisca la ragione comune, e la instituzione di una forza comune che la difenda. Ma potrebbe darsi un Ministero che simulasse di rappresentare la ragion comune, ed una forza comune, che simulasse difenderla; ma che veramente quel ministero non avesse in vista che di difendere e promuovere la ragione particolare, e abusasse a tal fine della forza comune. In tal caso, dice l' Ortes, non si avrebbe un governo vero ma un governo falso; perocchè simulerebbe di proteggere la ragione comune e non lo farebbe. Che cosa è dunque necessario per assicurarsi quanto è più possibile che il governo sia vero? E` necessario che questi due ministerŒ della ragione e della forza comune sieno divisi l' uno dall' altro, indipendenti l' uno dall' altro, supremi sì l' uno che l' altro. 1) Ma sentiamo come ragiona sopra di ciò l' Ortes medesimo. [...OMISSIS...] Nasce come corollarŒ di questi principŒ, che questi due ministerŒ sieno due parti essenziali del governo civile indipendenti fra loro e supreme egualmente, e che dalla loro concordia solamente possano i popoli giudicare se è vero o falso il governo. E` impossibile tor dal mondo tutte le violenze, tutte le usurpazioni. Quanto mai si può desiderare si è solo di avere un criterio ragionevole e più certo che sia possibile per conoscere quali atti sieno violenze ed usurpazioni: i popoli non possono pretendere di più; e non v' ha mezzo migliore per ottener ciò quanto è possibile, che la dichiarazione di un Tribunale appositamente stabilito per rappresentare e dichiarare la comune ragione. Ammessi tali principŒ passa l' Ortes ad analizzare le varie società civili e conchiude esser questa divisione di potere morale e fisico scopo del vero cristianesimo, e trovarsi ben avviata nelle società cattoliche; retrocessa e distrutta all' incontro nelle protestantiche e nelle altre accatoliche nazioni, dove la Chiesa non è libera o non divisa dal principato, ma ad esso soggetta o con esso incorporata. Perocchè la sua opinione sarebbe, che questo Tribunale politico riconoscer si dovesse nelle mani della Chiesa, la quale sembra fatta a ciò dalla sua stessa natura, mentre la sua natura è certo quella di esser il centro regolatore della forza morale; nè certo v' ha altro corpo a cuì meglio possa convenire tale incombenza che a lei. Egli è per questa natura della Chiesa, assai profondamente da lui intraveduta, che spiega l' occasione di quella calunniosa imputazione che a lei danno i suoi nemici, ch' essa si mostri ambiziosa di dominare e di disporre nelle cose temporali. Egli è vero che la Chiesa per sua natura ha un' influenza nelle cose temporali, ma l' Ortes vuole che accuratamente si distingua in che consista questa tendenza, la quale fu occasione fino dal nascere della Chiesa delle calunnie che a lei diedero i pagani. I cristiani, dice l' Ortes [...OMISSIS...] Egli è mediante quest' osservazione che si può giudicare con equità la condotta tenuta sempre dai Papi verso i Sovrani. Vi sono due partiti divisi nelle opinioni le più contrarie sopra tale condotta. Un partito grida: « l' ambizione e l' avidità dei Papi vorrebbe ingoiare tutti i regni della terra. »Un altro partito grida al contrario: la « magnanimità e il disinteresse dai Papi mostrato costantemente nei negozŒ temporali, che hanno trattato coi principi, è così nobile e sublime che non si può attribuirlo, considerando le occasioni che ebbero d' ingrandirsi, se non alle forze morali di una religione divina. »Onde sì grande differenza di opinioni in giudicare degli stessi fatti? la sola empietà, o il solo fanatismo religioso può acciecar tanto gli uomini? La ragione d' una tanta varietà di giudicŒ sui fatti stessi è la seguente. La sovranità ha riunito in sè medesima o ha voluto ritener uniti i due poteri supremi: 1 di giudicare sulla giustizia nella propria condotta politica; 2 di realizzare quella condotta politica che le sembrava migliore, ossia di amministrare la società. Ora così distinte queste due attribuzioni, o per dir meglio questi due rami del supremo potere, s' instituisca la questione così: « Hanno tentato i Papi di tirare a sè l' Amministrazione delle società civili? »Convien rispondere: « Non mai: egli è in questo che hanno costantemente dimostrato il più grande disinteresse e la più sublime generosità di operare, lasciando ai principi tutta intera la civile loro amministrazione. »Si domandi ancora: « Hanno ì Papi voluto giudicare della giustizia delle azioni politiche, o sia hanno essi voluto entrare in questo ramo del supremo potere politico? »E si risponda: « Sì, lo hanno sempre e costantemente voluto: questo doveva risultare dalla natura della religione cristiana a cui essi presiedono: di una religione cioè che ha fissato un centro della forza morale distinto al tutto dal centro della forza fisica. »Egli è questa distinzione che sparge la più gran luce sulla condotta dei Papi, e che fa giudicare rettamente di essa. [...OMISSIS...] Ecco il carattere naturale in politica del Capo della Chiesa: non è già quello di essere amministratore dei popoli, cosa che i Papi non hanno mai cercata, e spesso rifiutata, o tenuta a studio lontana da sè; ma bensì di essere Giudici dei Principi cristiani. La malignità e la malafede dei nemici della Chiesa può confondere queste due cose l' una coll' altra; ed è mediante questa confusione che diffonde tenebre per coprire agli occhi dei popoli la luminosa condotta dei Papi, e per ingannare i Principi cristiani. Dio voglia che questi ritornino alla sapienza dei loro avi, da cui hanno ricevuto le loro corone gloriose e santificate. Sono poche le verità di pubblico giovamento che non sieno state intravedute dalle nazioni. Ma non basta che sieno intravedute all' occasione di qualche fatto particolare, se non sono ancora generalizzate, e ben distinte per modo che non si possano confondere le une coll' altre. Fino che le utili verità non ottengono questa distinzione, direi quasi questo isolamento dalle altre verità affini, e che non si sollevano dai casi particolari, non possono divenire fondamentali principŒ della Civile Società. Prima di questo stato di distinzione le verità sono percepite dalla mente umana confuse insieme, per modo che di molte si fa una sola percezione oscura e molteplice, la quale però è l' embrione che bel bello si spiega e discioglie in tutte sue parti. Ma fino che più verità sono percepite come fossero una sola, queste si fanno occasion di sofismi e di perniciosi errori attribuendo ad una verità quello che è proprio di un' altra. Di errori prodotti per una simile cagione noi troviamo esempio appunto nel concetto del supremo potere della città, e per una naturale conseguenza ancora nel concetto della cittadinanza . Fino che il supremo potere si percepisce come una potestà sola , si cadrà sempre nei falsi ragionamenti; poichè quando nel caso particolare se lo considererà come giudice nel campo della giustizia politica, allora si attribuirà a questo potere giudiciale ciò che è proprio del potere amministrativo , e viceversa; per cui non s' avrà mai la chiara distinzione fra i due poteri. E da ciò si vedrà come sieno nate le diverse opinioni sulla natura della cittadinanza. Voi sentite alcuni che dicono: « « Le donne, i ragazzi, i servi, gli abitanti a tempo ed i forestieri, non sono cittadini. 1) » Voi sentite altri all' incontro volere ammesse le femmine alla cittadinanza, ed altri portare tanto innanzi la cosa da volere « che tutto ciò che spira sia rappresentato nella città. »2) La ragione di queste due sentenze non è che questa: quei primi considerano il supremo potere solo come una amministrazione: questi secondi lo considerano solo come un giudizio politico. Ma schiarite un poco l' idee. Dividete i due poteri, giacchè sono essenzialmente distinti; e riconoscete nella società: 1 Un' amministrazione della modalità di tutti i diritti; 2 Un Tribunale politico che giudica fra gli amministratori , e gli amministrati , e che difende la minorità contro la maggiorità . Cessa allora tutto ciò che v' ha di oscuro e di dubbioso in quella questione. Ed in fatti: Per chi è fatto quel Tribunale politico? Per tutti quelli che possono essere offesi. Dunque tutti quelli che possono essere offesi, e che entrano nella convivenza, sieno anche donne o fanciulli, ne hanno interesse, e debbe pender anche da' loro voti, o di chi fa per loro, la formazione del medesimo. All' incontro per chi può esser fatta l' Amministrazione? Non per altro, come abbiamo dimostrato, che per quelli che hanno dei beni amministrabili in comune, e per i quali l' Amministrazione può mantenersi. Dunque nell' Amministrazione non può aver voto che chi possiede di tali beni. Consegue da ciò che come due sono i supremi poteri della Società, così sono parimenti due le specie di cittadinanza, o i modi di entrare nella comunanza civile, alla prima delle quali « tutto ciò che spira, fornito che sia di ragione »appartiene. Noi però lasciando a questa qualità civile, che abbiamo indicata anche col nome di rappresentazione passiva , il titolo di cittadinanza; chiameremo l' altra con quello di Amministrazione; e il membro della medesima potrà dirsi cittadino amministratore . Sembra che Solone abbia traveduta la natura diversa che ha un tribunale di giustizia , ed una Amministrazione; poichè mentre volle che non si potessero eleggere i magistrati che dalle prime tre classi del popolo, nelle quali aveva collocati i cittadini agiati; permise che i giudici si potessero prendere egualmente dalla quarta, nella quale si trovavano i cittadini più poveri. 1) Ma egli non applicò quest' idea a nessun Tribunale politico, perchè egli non era arrivato a concepirlo. I Romani pure non seppero sollevarsi a quest' idea essenzialmente morale, che non poteva essere che suggerita dal Cristianesimo. Dico che l' idea del Tribunale politico è una idea essenzialmente morale; perchè non può essere il frutto che dell' amore della pura giustizia. Perchè gli amministratori e gli amministrati si sottopongano unanimamente ad un Tribunale, bisogna che amino il giusto, e abbiano sinceramente rinunziato a tutto ciò che potrebbe loro approdare la frode, la perfidia la violenza. A tanto non possono pervenire che nazioni rigenerate alla giustizia dell' Evangelio. Tutto ciò a cui si sono potuti elevare i romani si fu di staccare l' elemento intellettuale dall' elemento sensibile e individuale . Ciò fecero collo stabilire un Senato che fosse come la mente della Repubblica: e come tutto ciò che fecero nella Società civile il portarono ancora nella società domestica che era presso di loro secondo Livio una piccola Repubblica 1) così divisero pure le famiglie in patroni , e clienti; perchè quelli aiutassero questi coi loro lumi, e fossero quasi i consiglieri e direttori di questi: ma dopo di ciò non giunsero a staccare l' elemento morale dall' intellettuale; ma il lasciarono confuso coi due primi. 2) Egli è vero che il Senato romano divenne ben presto l' arbitro delle questioni che insorgevano fra i Re; ma quest' era piuttosto un effetto della sua prevalente potenza unita ad una fama ben meritata e sostenuta per gran tempo di naturale giustizia anzi che il Tribunale di cui parliamo: perciocchè il primo scopo del Tribunale di cui parliamo sta tutto nell' interno della Repubblica, essendo il giudizio fra gli amministratori e gli amministrati. Egli è così lungi che i romani pensassero che il governo dovesse essere giudicato, che il riputavano anzi il fonte della giustizia, ed il padrone delle sostanze e di tutti gli altri diritti privati dei quali egli disponeva liberamente, secondo il costume degli antichi governi come fece a ragione d' esempio colla legge Voconia colla quale si privavano le figlie della eredità, eccetto il caso della figlia unica. 1) Ma veniamo all' Amministrazione; cerchiamone le traccie storiche. Spero che queste confermeranno la teoria espressa presso gli spiriti non prevenuti; e la riconosceranno non già come un' aerea fabbrica quale suol uscire da una mente che spazia fra gli immensi campi del possibile senza fermarsi a nulla di reale, ma bensì come un risultato di serie meditazioni portate sulle istorie di tutti i tempi e di tutti i popoli, come un voto, un' intenzione uno scopo della natura, a cui incessantemente tende di condurre gli uomini, e che non si può acquietare fin che ella non vi sia riuscita. La mia teoria è nata dall' osservazione dei fatti; de' fatti completi, fecondi, perchè presi in gran numero ed in una grande estensione e, per quanto può assicurarsi l' uomo di se stesso, da un' osservazione non prevenuta da predilezioni e da pregiudizŒ: da una osservazione finalmente non intesa a rilevare ciò che fu, per adorarlo come l' ottimo, ma a rilevare ciò che fu per conoscere l' umana natura, gli umani bisogni, e quelle tendenze originarie e naturali che senza esser l' ottimo, menano all' ottimo, perchè sono gli avviamenti della natura, contro alla quale niuno può vincer giammai. Potrei dividere in alcuni articoli separati le traccie istoriche che mostrano l' Amministrazione da me esposta essere stata sempre dalle nazioni veduta, e la natura della società e degli uomini che la compongono con una azione incessante avere sospinti verso della medesima i civili governi; la perversità e l' ignoranza umana avere bensì combattuto, rallentato, oppresso a tempo, la forza della natura; ma questa non essere stata giammai distrutta; poichè ciò sarebbe impossibile per quella legge che l' umanità rifugge dalla propria distruzione. Ma dividendo in articoli separati le dette traccie istoriche dovrei interrompere ad ogni istante, minuzzare e soverchiarnei fatti. Preferirò adunque di mettere sott' occhio le dette proposizioni che dalla storia risultano come leggi o fatti costanti, e poscia riferirò le osservazioni che li provano non secondo l' ordine di quelle proposizioni, ma secondo quello che la storia stessa somministra. La storia adunque delle civili società presenta costantemente i fatti generali ossia le leggi seguenti: 1 La Società civile nella sua infanzia rimane alquanto soggetta alla legge della Società domestica 1), ma ben presto si spiega in essa un' altra legge consistente nell' equilibrio fra il potere civile e la ricchezza: che diventa la legge prevalente dell' Amministrazione civile. 2 La natura della Società civile mediante la detta legge dell' equilibrio fra il potere civile e la ricchezza ha chiamato a sè l' attenzione dei popoli, i quali per amore della quiete e della sicurezza hanno fatto sempre delle disposizioni favorevoli alla detta legge. 3 Le grandi mutazioni nella distribuzione della ricchezza hanno sempre cagionato grandi mutazioni nella distribuzione del potere; e specialmente i nuovi fonti di ricchezza, cioè il fonte industriale e commerciale, hanno prodotto novità politiche. 4 Quando il potere politico è dato in mano a quelli che non hanno la corrispondente proprietà, allora non è sicura la proprietà, e nasce di frequente, che quella proprietà che realmente non ha l' Amministratore, gliela si attribuisce con una finzione che pure è fonte di disordini. 5 La mancanza del Tribunale politico ha fatto sì che i popoli non potessero avere fin' ora un' Amministrazione dove fosse perfettamente equilibrata la ricchezza ed il potere politico: cioè che la Società civile non sia pervenuta alla sua perfezione. Questi cinque fatti costanti nella storia provano ad evidenza, che lo stato regolare o tranquillo della Società civile consiste nell' equilibrio fra la ricchezza ed il potere, e conferma l' Amministrazione sopra descritta. Il primo fatto segna il tempo che è necessario perchè la ricchezza nella Società civile manifesti la sua prevalenza: il secondo fatto dimostra le nazioni che s' accorgono di tal prevalenza irresistibile, e che o la secondano, e in tal modo perfezionano le costituzioni dello Stato, o vero vogliono cozzare con essa e si gettano in tutti i mali dell' anarchia: il terzo fatto dimostra come ogni grande mutazione nella ricchezza abbia sempre portato una mutazione nel potere, o pure una lotta perpetua col medesimo: il quarto fatto dimostra come se il potere prevale debba portare una mutazione nella distribuzione delle ricchezze; il quinto fatto finalmente dimostrando che non è possibile un perfetto equilibrio fra il potere e la ricchezza fino che il Tribunale politico non è diviso dall' Amministrazione, mette il legislatore in questa alternativa o di dividere il Tribunale politico dall' Amministrazione, o di avere un' Amministrazione in cui ci sia il detto squilibrio, e perciò di conservare nella società un germe necessario d' interna inquietudine ed agitazione che presto o tardi debbe svilupparsi, e sovvertire l' ordine sociale. Mettiamo adunque in luce questi cinque fatti, mentre essi rinserrano le traccie istoriche dell' Amministrazione da noi progettata, ed insieme ne dimostrano la necessità. La società domestica sussiste agiatamente colle ricchezze naturali , ma la società civile è quasi impossibile che sussista agiatamente senza il danaro 1). Le ricchezze naturali apportano delle derrate che non si conservano a lungo, e alle quali perciò non si attacca altro prezzo che il naturale , cioè quello che nasce dal vantaggio che si trae col consumarle: mentre il danaro si conserva, si ammassa facilmente e produce dell' altro danaro che pure si ammassa. Le ricchezze naturali ancora non si trasportano così agevolmente come il danaro, e non possono servire come serve questo al cambio, nè prendere un eguale acconcezza di rappresentare la misura comune dei valori. Per tutte queste ragioni le ricchezze naturali possono bastare ad una piccola Società come la famigliare, ma per una molto estesa come la civile il danaro è quasi indispensabile. Egli è dunque naturale che nella Società civile si passi ben presto a dare una grande importanza al danaro, come la forza più potente, la forza che ha un' attività più estesa, più celere e più molteplice di tutte le altre. Questa è la modificazione a cui soggiace la Società umana passando dallo stato domestico e ristretto, allo stato civile ed esteso. E quanto più si osserva, tanto più si vedrà, come la forza prevalente nelle Società civili viene ben presto ad essere la ricchezza, mentre nella Società domestica è la forza personale. Non essendo nello stato di Società domestica tanto necessario il danaro, ed essendo la ricchezza, che più vi si conosce, la naturale, non può con tale ricchezza formare la famiglia da sè stessa una forza; ma essa non ha altro prezzo come diceva, che quello che risulta dal mantenimento delle persone. Lo scopo dunque dell' affezione nella Società domestica sono le persone stesse e non v' è già qualche cosa che si possa amar più di esse mentre tutto si ama in quanto serve ad esse. Si attenda a questo progresso importante: Società umana sotto due forme: prima forma; Società domestica: secondo forma; Società civile. Progresso delle forze prevalenti nella Società umana: forza prevalente nella Società domestica, personale, consistente nella robustezza e nel numero degli individui: forza prevalente nella Società civile, reale, consistente nella ricchezza rappresentata dal danaro. Ora si veda lo stesso progresso nello spirito dell' uomo. Quali sono i primi oggetti che vengono sottoposti alla sua attenzione? le persone: il padre, la prima cosa ferma l' attenzione sulla sua famiglia. Qual' è la prima forza che l' uomo trova per difendersi dagli aggressori? la robustezza corporea. La prima forza adunque che trova il padre per difendere la sua famiglia consiste nel numero e nella robustezza dei membri della medesima. Ma questi membri conviene alimentarli: quindi il bisogno della ricchezza naturale, e il desiderio dei molti membri porta il desiderio di molta ricchezza. La forza di questi membri ben presto si conosce che può accrescersi mediante degli instrumenti delle arti; quindi si porta l' attenzione e il desiderio sopra questa nuova specie di ricchezza. Moltiplicando le riflessioni sopra gli usi che presta questa ricchezza, questo mezzo di alimentare molti uomini, di procacciarsi dei comodi e di ben armarsi 1) per difendere il godimento di questi comodi, si viene a mettere un pregio sempre maggiore nella ricchezza, la quale d' altro lato si rende sempre più necessaria quanto più sono cresciuti i bisogni fattizŒ, quanto i membri della Società sono diventati più numerosi, e quanto hanno fatto più di progresso le altre società contro le quali bisogna difendersi. Il prezzo delle ricchezze così va crescendo fino a tale, che la ricchezza che di natura sua non è che un mezzo, acquista la maggiore importanza e viene considerata come la forza prevalente: allora è il caso in cui le contese non hanno più un oggetto personale, ma un oggetto reale, vale a dire in cui non si questiona e non si guerreggia se non per la ricchezza. Tale è lo stato delle Società civili bene avanzato. 1) Le Società civili all' incontro che non hanno ricevuto tutto questo sviluppo, che non hanno percorso tutta questa gradazione d' idee; che non sono pervenute a conoscere pienamente l' uso della ricchezza, e quindi a conoscere come la ricchezza possa essere realmente la forza prevalente fra tutte le forze fisiche della Società; si possono considerare ancora in uno stato d' infanzia; non ancora escite pienamente dallo stato di Società domestica, e per ciò soggette alla legge della famiglia, che consiste nella forza personale. Perciò le instituzioni delle società civili che non hanno riguardo alla ricchezza, ma bensì alla forza fisica o personale, appartengono alla prima età della Società civile, o sia alla sua infanzia. Le instituzioni all' incontro che hanno riguardo alla ricchezza, e che la considerano come la forza prevalente, appartengono alla seconda età delle Società civili, o sia alla loro virilità. Quasi tutte le Società civili antiche ritengono ancora dello stato di Società domestica, ossia mostrano dei segni della loro infanzia; e ciò tanto più quanto più si considerano nei loro esordŒ. Rousseau stesso ciò travide. Dopo d' aver detto che la sovranità fondata sulle terre è la più ferma, soggiunge: « « vantaggio che non pare fosse ben sentito dagli antichi monarchi, che non appellandosi se non re dei Persiani, degli Sciti, dei Macedoni, sembravano riguardarsi come i capi degli uomini anzichè come i signori del paese. Quelli d' oggidì s' appellano più accortamente re di Francia, di Spagna, d' Inghilterra ecc.. In tal modo tenendo il terreno sono ben sicuri di tenerne gli abitanti »1) » La division che fece Romolo del popolo romano fu un' istituzione famigliare; poichè essa ebbe riguardo alle persone, o sia alla forza militare, e non alle ricchezze. Egli divise il popolo romano in tre tribù, chiamate i Ramensi, i Taziensi, e i Luceri, che esprimevano, non già quanto possedevano ma la loro origine, cioè gli Albani, i Sabini, e gli Stranieri. Ciascuna tribù fu divisa pure in dieci curie, e ciascuna curia ebbe la sua cappella per la celebrazione dei sacri riti, ciò che pure s' accorda coll' indole della Società domestica. Ogni tribù dava mille pedoni e cento cavalieri, che era la forza regolare dello Stato. Una tale divisione famigliare era tanto più possibile in quanto che non si conosceva ancora diseguaglianza nella ricchezza, ed il terreno acquistato in corpo potè esser diviso regolarmente: la Religione e lo Stato poteva averne una parte per le spese pubbliche senza bisogno delle contribuzioni private; e l' altra parte potè dividersi in trenta parti, come trenta era il numero delle curie. Ma egli era impossibile che questa instituzione famigliare sussistesse a lungo, come a lungo non può conservarsi la perfetta eguaglianza delle ricchezze: doveva manifestarsi ben presto la legge della Società civile, doveva presso i Romani conoscersi ben presto la loro importanza politica: e la manifestazione di questa legge, tosto che fosse successo lo squilibrio delle fortune, avrebbe potuto dare la più grande scossa alla repubblica, e metterne in pericolo la esistenza, s' essa fosse stata guasta dalle passioni delle Società invecchiate e corrotte, e se non avesse avuto degli uomini prudenti capaci di seguire la natura delle cose, e di modificare le antiche instituzioni a tenore delle nuove forze che si manifestavano e si rendevano prevalenti nella Società. L' uomo prudente che seppe accorgersi della legge delle Società civili appena che si manifestò in Roma e che diede delle instituzioni in armonia colla medesima fu Servio Tullio, institutore della divisione del popolo romano in centurie. Dalla divisione di Romolo erano trascorsi centottanta anni circa fino a Servio Tullio sesto re di Roma: nel qual tempo la divisione delle fortune private aveva soggiaciuto a grande varietà. Quindi se i cittadini poveri avessero continuato ad avere nelle pubbliche deliberazioni un suffragio di egual valore de' cittadini ricchi, il diritto avrebbe pugnato col fatto, poichè la maggioranza nelle ricchezze dava di fatto una prevalenza nelle pubbliche deliberazioni: 1) prevalenza che se non veniva legalizzata dalla costituzione dello Stato, era già essa stessa un attentato contro la medesima costituzione, la quale sarebbe forse crollata contro una tal forza con grave pericolo della repubblica. Servio Tullio adunque distribuì in sei classi tutto il popolo romano, secondo i gradi della ricchezza. Il censo sotto di lui non fu solamente la numerazione del popolo: fu ancora l' estimo delle sostanze di ciaschedun cittadino. La prima classe era composta di quelli, i beni dei quali ascendevano al valore almeno di centomila assi, corrispondenti allora a 774. franchi, o intorno. La seconda classe aveva per censo 75 mila assi: la terza classe conteneva i particolari d' una sostanza almeno di 50 mila assi: la quarta quelli che ne avevano 25 mila: la quinta i cittadini di 12 mila e cinquecento assi, e la sesta finalmente abbracciava tutti i rimanenti i quali non avessero sostanze bastevoli per entrare nella quinta, o ne fossero al tutto sprovveduti. Diviso così il popolo romano in sei classi secondo l' estimo della ricchezza si attribuì a ciascuna classe un numero di voti nelle pubbliche deliberazioni, che fosse approssimativamente in equilibrio colle ricchezze che possedevano, e ciò si fece in questo modo. Ciascuna classe si divise in un dato numero di centurie, ed ogni centuria aveva un voto. Ma la prima classe dei più ricchi si partì in ottanta di queste centurie, con più diciotto centurie di cavalieri, che nella somma portava un numero di novantotto centurie, e perciò di novantotto voti. Ora un simil numero di voti non avevano nè pure tutte le altre cinque classi prese insieme; poichè non formavano più fra tutte che novantacinque centurie, e però novantacinque voti: ventidue centurie era la seconda classe, venti centurie la terza, ventidue centurie la quarta, trenta centurie la quinta ed una sola centuria formava la sesta classe. In tal modo, sebbene il popolo romano fosse il sovrano, tuttavia non partecipava già secondo le teste ma bensì secondo le sostanze: le ricchezze venivano rappresentate nella repubblica romana e non le persone. La sesta classe per esempio conteneva un maggior numero di persone che tutte le cinque classi precedenti, e formava perciò più che la metà del popolo romano: e tuttavia non aveva nell' Amministrazione che un voto solo, vale a dire la centonovantatreesima parte di sovranità, o sia d' influenza nella pubblica Amministrazione. Se la prima classe sola rendeva i voti uniformi, la cosa era finita, poichè il numero di voti di tutte le altre cinque classi restava minore dei soli voti della prima classe, ed essendo questa un centesimo circa dell' intera popolazione 1), mentre l' ultima classe era più della metà, si può calcolare che un votante della prima classe aveva un voto equivalente almeno a cinquemila persone dell' ultima classe. Si può dire che questa fosse la più sapiente instituzione che avessero i Romani, com' essa era la più fondamentale di tutte, e quella che diede a Roma una costituzione tanto ammirata pei suoi effetti e così poco nella sua intima natura. Vediamo come questa idea si presenta nei libri dei politici romani; giacchè si può dire formare il nucleo della romana politica. Cicerone non finisce d' ammirarla: ed attribuisce ad essa la grandezza romana. Egli pone come assioma politico, « Quod semper in republica tenendum est; ne plurimum valeant plurimi . » E ne rende la ragione; « « debbe, » egli dice, «prevaler sempre il suffragio di quelli che hanno il maggior interesse, perchè la città si conservi in ottimo stato »2). » Paolo giurisconsulto espone la stessa ragione della politica romana con altre espressioni: « « L' avere, » dice, «e la ricchezza delle famiglie è una specie di ostaggio e di pegno ch' esse danno alla repubblica »3). » E` comune presso a' politici romani ancora quest' altra ragione che « « se si dà potere nella repubblica ai bisognosi, essi fanno preda la repubblica per soddisfare a' propri bisogni: 1) » »ciò che è quanto dire, che il potere che hanno in mano, quasi per una natural forza attiva, rapisce a sè la ricchezza. Il peso che ha la ricchezza nell' Amministrazione sociale è un fatto indipendente dagli ingegni degli uomini. Se adunque esaminando le costituzioni di certi popoli si truova che esse sono foggiate a tenore di questo fatto e di questa forza naturale non si debbe già maravigliarsi della sapienza dei popoli e dei ligislatori, perchè non sono stati condotti a quelle savie disposizioni già per delle teorie, ma per la forza della natura: il loro merito sta nell' essere stati obbedienti alla natura, come la sventura di altre nazioni venne dall' abbandonare temerariamente la guida della natura, ed abbandonarsi ad una speculazione priva dell' appoggio dei fatti. Noi veggiamo adunque che la natura delle cose ha indicato ai popoli la legge da noi indicata che l' Amministrazione sociale sia distribuita in proporzione della ricchezza: e che i popoli docili alla voce della natura hanno fatto delle instituzioni favorevoli ad una tal legge. Ma come noi dicevamo, questa legge non si poteva manifestare al primo stabilirsi del popolo: perchè allora non possede ricchezze se non comuni: bisognava dar tempo perchè le terre si dividessero, perchè le famiglie parte assai moltiplicate, parte poco o nulla, od estinte, e gli altri accidenti producessero una notabile diseguaglianza fra i proprietarŒ, e finalmente bisognava dar tempo perchè questa diseguaglianza passasse nella bilancia del pubblico potere, o sia manifestasse la sua influenza: per ciò non è negli esordi delle nazioni, ma dopo ch' esse sono bastevolmente costituite, che la detta legge si manifesta, che i popoli se ne accorgono, e che la secondano colle istituzioni. La distinzione di questi due tempi delle nazioni non si può veder meglio che tenendo dietro ai passi delle nazioni conquistatrici; perocchè quando esse si stabiliscono sul terreno conquistato, allora si può dire che cominci la loro organizzazione sociale. Sentiamo in che modo riconosce questa verità nella storia dei primi governi Greci un Autore della nazione che ha il governo conformato più che tutte le altre in forma di una Amministrazione, e che perciò era scorto in sulla via del considerare l' instituzione dei governi sotto questo punto di vista importante. 1) [...OMISSIS...] Ciò che nacque ai tempi eroici della Grecia, in cui cominciò l' organizzazione sociale mediante una militare autorità, cioè mediante una prevalenza personale che è la legge della società domestica, cui susseguì la divisione delle terre, e venne ben presto la ricchezza a far sentire la sua preponderanza fra le forze sociali, che è la legge delle Società civili avviate; si rinnovellò nelle nazioni conquistatrici del medio evo, mentre, come diceva, date le stesse cause debbono aversi gli stessi effetti. Consideriamo questo fatto in Francia: vedremo ciò che presso a poco successe in tutta l' Europa; vedremo due tempi del potere personale e del potere reale . La maggiorità degli interessi deve sempre prevalere in quel modo che questi stanno nell' opinione degli uomini, e quindi si fa sempre sentire il bisogno di omologare la volontà del principe colla volontà della nazione stessa: ma nel primo tempo non vi sono che interessi personali , e quindi vediamo che la assemblea nazionale ai tempi di Clodoveo non è che il campo di Marte: un' assemblea di guerrieri che a cavallo deliberano in mezzo ad una vasta campagna sugli affari della nazione. Ma ben presto i conquistatori si dividono a sorte 1) i terreni, e quella parte di popolazione indigena che è sfuggita alla distruzione si fa schiava dei vincitori, la quale col perdere la libertà perde insieme la proprietà, e con questa perde ancora ogni politica esistenza. D' allora comincia a manifestarsi l' equilibrio della proprietà col civile potere: i piccoli proprietari erano scomparsi ed i vincitori poco numerosi in proporzione delle terre divise, erano divenuti possessori di latifondi. Quindi le assemblee nazionali sotto Carlo Magno non compariscono che dei gran proprietari, cioè i due stati della nobiltà e del clero, che erano soli quelli che avevano la ricchezza di un peso sensibile nella sociale amministrazione. La nobiltà non eccedeva forse la quintamillesima parte della nazione, come una quintamillesima parte della nazione si può dire che fosse la prima classe di Servio Tullio; se non che le altre classi nei romani ComizŒ avevano pure un lor voto; mentre ai parlamenti di Carlo Magno non aveva influenza alcuna l' immenso popolo rimaso privo di proprietà. Ma comincino a nascere i piccoli proprietari, comincino queste piccole proprietà tolte insieme a diventare una somma notabile: noi vedremo che insieme con questo acquisto di proprietà verrà ben anco la rappresentazione politica, questo fatto si sviluppò sotto la terza razza. Ed ecco in che modo. La proprietà dei Nobili è quella che mette talora in pericolo la corona la quale ha bisogno di trovare un terzo potere che la sostenti. A tal fine Luigi il Grosso comincia a francare le città dei suoi possedimenti, le quali città erano a punto composte dei vassalli, che è quanto dire di servi; ed i re suoi successori proseguono a moltiplicare gli uomini liberi in ragione che potevano unire ai regii dominii qualche terra dei signori. Filippo Augusto che riunì alla corona la Normandia, l' Anjou, la Maine, la Touraine, il Poitou, il Vermandois, l' Artois, la contea di Gien, concesse il diritto di comune a tutte le città di tali provincie e così le francò, e sul fine dello stesso secolo XIII Filippo il Bello con ordinanza fatta al parlamento d' Ognissanti abolì interamente nella Linguadocca la corporal servitù cangiandola in una imposizione annuale. Questo era creare molti piccoli proprietarŒ; e dar la esistenza a molti piccoli proprietari era introdurre nello stato un nuovo potere politico che tantosto comparve. Nel 1301 fu ammesso per la prima volta agli stati generali della nazione da Filippo III sopranominato l' Ardito, oltre il clero e la nobiltà, l' ordine altresì dei liberi cittadini. Il terzo stato vi comparve realmente a dare il suo consiglio, ma sotto la forma di supplica (requˆte) , che presentava in ginocchio. La tassa annuale che veniva messa ai nuovi liberati, si può dire l' origine dell' imposta. Ma dopo ch' essi furono liberi, i proprietari divennero i soli che portavano il carico dello stato, mentre il clero e la nobiltà rimaneva esente dalle imposizioni, come era prima; e ancora in parte da quei sacrifici straordinari che precedentemente far doveva nei bisogni dello stato; mentre non c' eran altri, che pagar potessero, nè altri interessati nella pubblica Amministrazione. Ma si riconosceva però conforme all' equità di consultarli sulle nuove imposizioni, e che fossero da loro acconsentite. Negli stati generali del 1345, sotto Filippo di Valois essi diedero il consenso alla prima imposta di soccorsi e gabelle , e in quegli del 1355 furono scelti fra essi dei commissarŒ, per la riscossione della pecunia accordata al re in uno coi commissarŒ degli altri due ordini. In tal modo si formò la costituzione francese: fu la proprietà che determinò il governo per una forza della natura, secondata dalla saviezza dei reggitori. Al dividersi della proprietà si divise con essa il governo, e se non si fosse diviso sarebbe nata la turbolenza della Società, ed il monarca per trovare un sostegno contro i nobili non avea che a creare dei piccoli proprietarŒ, poichè con questi creava una forza tendente continuamente da se stessa a prender posto nel governo, al quale scopo presto o tardi sarebbe riuscita o con una concessione savia di quelli che già governavano, o certo in ultimo per un' aperta violenza. Egli è dunque falso ciò che vien comunemente creduto, che il governo francese rappresentasse di sua natura dei principŒ, e non delle cose, a differenza della costituzione inglese rappresentante delle cose e non dei principŒ. Non vogliamo già dire che l' antica costituzione francese avesse perfettamente soddisfatto alla legge dell' Amministrazione, e conseguito un perfetto equilibrio fra il potere civile, e la proprietà: noi diciamo solo che lo ha conseguito approssimativamente: mentre anzi assegniamo per quinto fatto somministrato dall' istoria: « Che la mancanza del Tribunale politico presso tutti i popoli ha impedito ancora l' esistenza di un' Amministrazione perfetta, in cui la proprietà sia perfettamente equilibrata col potere amministrativo. »Per ciò nè pure in Francia la costituzione ebbe mai toccata questa perfezione amministrativa: e si può anche concedere, che si tenne sempre più lontana da ciò che non sia la costituzione inglese; poichè in Francia spiegò maggior forza l' elemento morale che in Inghilterra, come viceversa in Inghilterra spiegò maggior forza l' elemento amministrativo che in Francia: quantunque sì nell' una che nell' altra nazione, prevalse l' elemento amministrativo all' elemento morale. E in fatti l' elemento amministrativo debbe sempre avere maggior forza, nelle costituzioni in cui questi due elementi rimangon confusi, dell' elemento morale: poichè l' elemento morale non riguarda che la difesa della minorità; mentre la maggiorità rimane difesa coll' organizzazione in forma amministrativa. Perciò egli è assurdo il dire che l' antica costituzione francese rappresentasse solo dei principŒ; mentre i principŒ non potevano aver in essa che la minor influenza, e nella sua massima parte doveva esser formata dalla maggiore somma degli interessi, o sia dalla proprietà: idea quanto vera, tanto ripugnante al presente modo del pensare dei francesi. Ma per convincersene essi non avrebbero, che ad osservare quanto avvenne allorquando si dipartirono dalla legge della natura: quando vollero atterrare la loro costituzione che si appoggiava sulle cose, per sostituirne una che rappresentasse dei principŒ: quando in somma violarono la legge dell' equilibrio fra la proprietà e il potere; legge che non si può violare senza che la natura delle cose non ne punisca l' imprudenza severamente, fino che non sia a pieno vendicata, e la sua legge di bel nuovo ristabilita. In fatti i mali della rivoluzione francese non hanno altra cagione prossima che la violazione di una tale legge. Se lo stato delle cose pubbliche era difettoso, se le imposte pesavano soverchiamente sopra quel genere di persone che era più oppresso dalle fatiche, e le odiose esenzioni, il soverchio lusso, e le dilapidazioni della Corte e delle finanze mal disponevano gli animi: qual era il rimedio efficace e sapiente a tali mali? Bisognava formare un più comodo riparto delle proprietà, e quindi appresso una distribuzione dell' Amministrazione governativa equilibrata colle medesime. Un più comodo riparto delle proprietà non si potea far che in due modi: il primo con violenza e con ingiustizia; e questo era celere, se pur non avesse incontrato una reazione che lo rendesse impossibile: il secondo colle instituzioni; e questo era lento verso all' impazienza dei francesi; ma poteva esser giusto. Egli è appunto quel modo, di cui, come abbiamo detto, si servì Luigi il Grosso: egli vide la corona in pericolo, e lo stato stesso straziato dai disordini dei nobili: e cercò di porvi rimedio col promuovere una nuova distribuzione della proprietà in un modo giusto, qual fu quello della francazione delle città appartenenti ai dominŒ della corona, promovendo e creando in tal modo i piccoli proprietarŒ, e dando l' esistenza così ad un terzo stato, che allargasse la base del potere, e collegato colla corona facesse fronte alle soperchieriere della nobiltà. Ma solo con delle instituzioni che avessero messe in esecuzione con maggior esattezza la legge dell' equilibrio fra la proprietà ed il potere, io credo che la Francia sarebbe stata alleggerita dei mali che la aggravavano dopo la metà del secolo scorso: poichè egli è impossibile, che se avesse potuto parlare e in conseguenza prevalere la maggiorità degli interessi, non sarebbero più potute sconcertarsi le cose pubbliche per la prevalenza delle opinioni, o sia dei principŒ, mentre le parole la perdono sempre quando si mettono a fronte delle cose. Ma invece di ciò, che si fece? I mali di cui era aggravata la Francia erano reali: si disse di volervi porre un rimedio: nulla fino quì di male. La sapienza per ritrovare questo rimedio mancava; e quelli che avevano ottenuta celebrità di sapienti erano i filosofi . Poichè i mali erano da tutti sentiti, la necessità del rimedio era pure da tutti sentita: v' era dunque la disposizione degli animi a ricevere ciò che si presentava come rimedio dei mali. E poichè è naturale di cercar sempre il rimedio da quelli che hanno l' opinione d' essere sapienti, così era naturale che i filosofi che avevano saputo usurpare l' opinione di sapienti, fossero anche i legislatori. Questi stolti che riguardavano come « una idea vana e una fatica ingrata lo studio « delle antiche costumanze, »presso i quali tutto ciò che era passato era barbaro, e tutto ciò che si ritrovava nel fatto era ingiusto; si ritrovavano ben lontani dall' esser disposti dall' applicarsi a consultar l' esperienza; ed alla noia di fissare con un lungo studio dei fatti le leggi della natura, preferivano ben volentieri le istantanee creazioni della loro mente, alle cui decisioni con una inconcepibile presunzione e cecità, sembravano persuasi che avrebbe obbedito docilmente l' universo. Con queste disposizioni si aprirono gli stati generali del 5 Maggio 17.9. L' antica legge dell' equilibrio della proprietà col potere fu disconosciuta: la distinzione dei tre stati, che era l' effetto dell' esperienza dei loro antenati, e l' espressione della detta legge, fu tolta: i principŒ furono sostituiti alle cose; e il terzo stato pretese, che non si dessero più i voti nelle tre assemblee divise, come si era fatto per tanti secoli; ma rovesciando queste rancide costumanze, che i poteri si verificassero in comune senza distinzione d' ordini: che l' assemblea fosse una sola, e i voti fossero dati per testa. Invano si resistette alquanto dai due altri ordini, non immuni dalla vertigine delle teorie, e il giorno 17 di Giugno i Comuni, che così si chiamarono quelli del terzo stato, uniti ad alcuni deficienti degli altri due ordini, abolirono ogni distinzione d' ordini e si costituirono in assemblea nazionale; e il 27 di Giugno il Re stesso intimidito, avendo scritto a quella parte del clero e della nobiltà, che non s' era ancor aggiunta ai Comuni, di farlo, tutti i deputati siedono insieme confusi sulle medesime panche. La rivoluzione con quest' atto era già fatta. Il Clero avea 290 Deputati, la Nobiltà 270, il terzo stato 59.. Il terzo stato adunque, avea 40 voti di più. In tal modo il potere si ritrovava nelle mani di quelli che non avevano la proprietà: gli interessi non erano rappresentati, ma le persone: la Società aveva retrogredito al primo stato sociale, con questa differenza, che le Società che sono nel primo stato hanno una rappresentazione personale, perchè la proprietà non è divisa o è divisa equabilmente, mentre le Società avanzate, dove è introdotta la disuguaglianza della proprietà, ricevendo una rappresentanza personale vengono ad avere un fatale squilibrio fra la proprietà ed il potere, che debbe produrre in esse l' agitazione. In tal modo ricevuto nelle mani dei non poprietarŒ il potere, togliendolo dalle mani dei proprietarŒ, essi avevano con ciò assalita la proprietà stessa. Invano molti rivoluzionari protestarono di non voler assalire le proprietà: la rivoluzione le assalì di fatto, dall' istante che il maggior potere fu dato in mano di quelli, che non erano proporzionati proprietarŒ, dall' istante che fu introdotta la teoria della rappresentazione personale. Il potere tira a sè la proprietà, specialmente un potere nuovo e rapito ai proprietarŒ; poichè egli ha bisogno della proprietà per sostenersi. Per ciò egli è verissimo, che nella rivoluzione francese i principŒ non furono che il pretesto: mentre essa si può a pieno definire, chiamandola una guerra fatta alle proprietà. Basta considerarla in tutti i suoi passi perchè si veda continuamente in essa una forza, che si aggrava continuamente adosso degli antichi proprietarŒ; che prima non agisce apertamente che contro i più deboli, e poscia ancora contro i forti: sono i beni del clero quelli che prima vengono divisi; intanto i nobili sono costretti di fuggire spaventati e di lasciare le loro sostanze preda ai nuovi conquistatori: che che si dica contro agli emigrati, qualunque ingegnoso ragionamento s' instituisca, per ritorcere in loro colpa la loro infelicità, non si potrà giammai oscurare il vero, che risplenderà lucido più che il Sole agli occhi della posterità, quantunque annebbiato ai presenti da tante pestifere esalazioni. I nobili non avevano più la forza in mano da poter difendere la loro proprietà: questa forza era in mano dei minori proprietarŒ, da cui avrebbero dovuto temere, quando anche non si fossero stati per gli principŒ dichiarati loro nemici: non restava dunque ai nobili che di lasciar la preda delle lor proprietà, e di mettere in salvo colla fuga le loro persone, eccitando con ciò stesso la commiserazione ed invocando l' aiuto di potenti stranieri. Invano si fa colpa al debile di essere ricorso al forte per sorreggersi contro i colpi degli oppressori: questo non era che una conseguenza naturale della debolezza a cui s' erano ridotti; non fu difficile spogliare i ricchi indeboliti, spaventati, fuggiti. Successo in tal modo un grande squilibrio tra la proprietà e il potere, lo stato delle cose pubbliche era tale, che il diritto al potere non nasceva già dalla proprietà, ma dall' abilità personale. E come questo potere, portava seco il dispotico dominio delle proprietà, poichè non v' era più nessuno che le potesse difendere; per ciò tutti quelli che si credevano d' avere dell' abilità sufficiente, dovevano disputarsi in nome dei principŒ proclamati un governo, che di sua natura era così ricco quanto era ricca la nazione. Di che dovevano nascere quelli accaniti dibattimenti e quelle atrocità orrende che nacquero. A chi si poteva appellare nel contrasto delle abilità personali? alla forza; secondo la legge del primo stato della Società, nel quale prevale la forza fisica. L' anarchia per ciò durar doveva fino che una forza fisica prevalente soggiogasse tutte le altre; cioè fino all' epoca dell' impero. Il comando militare doveva tener il luogo del governo civile; e non è meraviglia se Napoleone che operò questa ultima rivoluzione considerasse la forza militare come l' unico vero sostegno del suo, come di ogni altro potere 1); egli sapeva di quanto andasse debitore a questa forza. Si considerino dunque i progressi della Società nella Francia; e si vedrà, che tutta la storia conferma questa legge uscente dalla natura delle cose; che la proprietà ed il potere tendono ad equilibrarsi: 1 dei conquistatori ascendendo fino all' epoca di Clodoveo, presso il quale prevale la forza fisica, e la abilità personale, primo stato della Società. 2 noi vediamo, la proprietà influire un poco alla volta nella forma del governo civile fino ch' essa diventa una forza prevalente; vediamo il potere civile tener il luogo del potere militare e distribuirsi a quel modo stesso che si distribuisce la proprietà, prima in due stati, e poi in tre, perchè un terzo stato diventa proprietario: quest' è il secondo stato della Società che dura fino alla rivoluzione francese; ed esso è l' opera delle forze della stessa natura. La rivoluzione sostituisce alla natura la teoria, ed ecco ciò che fa: 1 Produce lo squilibrio fra la proprietà ed il potere; cioè a dire rimette in piedi il principio della rappresentazione personale, ed eseguisce questo principio col far sì che il terzo Stato dei minori proprietari acquisti un potere prevalente e quindi sia spogliato del potere civile il clero e la nobiltà, cioè i maggiori proprietarŒ. 2 Il potere civile messo nelle mani del terzo stato, e quindi resi i minori proprietari arbitri delle fortune della nazione, diventa un oggetto della cupidità di ciascuno che vuol arricchire: e d' altro lato non essendovi che una maggiore abilità personale, che fornisca in tale stato di cose un titolo per aver in mano il potere civile, tutti quelli che possono se lo contendono, presumendo di esser più abili, e d' aver teorie migliori da far valere, per le quali ognuno si vanta chiamato dal proprio genio a salvare la patria. 3 L' abilità individuale non avendo nessun tribunale che la determini si appella alla forza fisica, e la forza fisica distrugge il potere civile insieme con tutte le antiche istituzioni, e getta lo stato nell' anarchia. Qui finisce la storia della Società in Francia: la quale ha due periodi: il primo di una Società che si forma, e che comincia dal VI secolo fino all' anno 17.9; il secondo di una società che si distrugge, e che comincia il 13 giugno 17.9 fino al 1. Maggio 1.04. In quest' anno ricomincia un' altra Società, giacchè il potere militare si è legalizzato e stabilito. Ella è nel primo stato tale Società, o più tosto ritiene del primo stato, mentre è ancora prevalente la forza fisica nella Società. Ma la legge del secondo stato si manifestò immediatamente; poichè la distruzione della Società troppo rapida per distruggere le idee morali degli uomini, non era stato tanto una rapina del potere civile, quanto pel rapito potere civile una rapina delle proprietà. Delle grandi fortune erano sorte sulla distruzione delle antiche; e quelli ch' ebbero in mano prima il potere civile e successivamente il militare, non mancarono d' avere ben presto in mano anche le corrispondenti ricchezze. In tale stato di cose le turbolenze dovevano finire di lor natura, perchè era stato restituito l' equilibrio delle proprietà e del potere, ed in tal modo doveva apparire il potere civile allato del militare in equilibrio colla ricchezza e dovevano formare insieme un governo civile bensì, ma che rammentasse ancora un origine militare. Così la rapina del potere civile fatta ai proprietarŒ avea cagionato la rivoluzione, e la rapina delle proprietà l' aveva finita; perchè aveva restituito l' ordine della natura, sebbene non l' ordine della giustizia: aveva ritornata la Società regolare, sebbene non giusta. Ciò è tanto vero che i nuovi proprietarŒ, i quali avevano cagionato la rivoluzione, erano appunto quelli che rendevano solida la proprietà nel nuovo stato di cose, perchè non si turbasse, come esperimentò Napoleone quando tornò a usare di quelli di cui avea fatte le fortune: tanto è vero, che i proprietarŒ sono quelli che usano del potere che hanno in mano, perchè le cose restino tranquille; mentre volendo fare una rivoluzione, basta prendere il potere dalle mani dei proprietarŒ ed affidarlo ai non proprietarŒ; poichè questi, un poco di mal umore che sieno, saranno tentati di metter lo stato a turbolenza. In pruova di ciò sieno questi passi del Manoscritto del 1.14 pel Baron Fain, segretario di gabinetto a quell' epoca. [...OMISSIS...] Il terzo fatto è il seguente: « Le grandi mutazioni nella distribuzione della ricchezza hanno sempre cagionato grandi mutazioni nella distribuzione del potere; e specialmente i nuovi fonti di ricchezza, cioè il fonte industriale e commerciale hanno prodotte novità politiche. » Gli economisti avendo per oggetto della loro applicazione la ricchezza potevano essere più in grado di tutti gli altri di conoscere e di fissare la legge dell' equilibrio fra la ricchezza ed il potere civile. In fatti considerando essi la ricchezza nella sua relazione politica travidero la detta legge, ma non poterono fissarla con nettezza, perchè non era ancora stato diviso il Tribunale politico dall' Amministrazione, e la detta legge quanto vale per questa seconda parte del potere civile, altrettanto male si applica alla prima. Oltre di ciò una parte di essi non videro la cosa che imperfettamente, perchè imperfetto era il loro sistema: parlo di quelli che riguardando per unico fonte di ricchezza il terreno a questa sola specie di proprietà attribuirono i diritti politici. Egli è vero che la ricchezza industriale e commerciale dipende come da suo primo fonte dalla ricchezza territoriale. Ma non è già per questo vero, che i possessori di quelle due specie di ricchezza mobiliare, sieno in una vera dipendenza di fatto dall' arbitrio dei possessori di terreni, poichè questa dipendenza di fatto viene esclusa dall' interesse stesso dei possessori dei terreni. Come a questi non è utile ribassare l' industria ed il commercio, perchè sono i mezzi onde s' accresce il valore di ciò che produce il terreno: quindi l' esistenza della ricchezza mobiliare vien ad essere altrettanto assicurata, quanto l' esistenza della ricchezza territoriale; conciossiacchè tanto è lungi che l' arbitrio dei possessori delle terre voglia distruggere quella ricchezza, che anzi questo arbitrio stesso è quello che la incoraggia e sostiene, mentre per la stessa ragione che il ricco terriere vuol cavar molta entrata dalle sue terre, per la ragione stessa debbe volere che vi sia molta industria e molto commercio. Per ciò contro questi economisti che vorrebbero restringere la rappresentazione civile solamente alla ricchezza terriera, sta la storia delle Società civili, la quale dimostra il fatto qui sopra indicato; cioè che non solo la ricchezza territoriale tende ad equilibrarsi col potere politico, ma ben anche la ricchezza commerciale e la ricchezza industriale. Ciò che dimostrano l' istorie costantemente nelle Società civili si è, che quando esse passano dalla legge famigliare alla nazionale, e perciò dall' avere una rappresentazione personale all' avere una rappresentazione reale, che sono i due stati sopra distinti delle Società, la prima ricchezza che si manifesta è la territoriale; e solamente dopo qualche tempo, migliorando l' agricoltura e aumentando la popolazione, comincia a conoscersi la ricchezza commerciale e industriale. Prendendo a considerare la storia delle nazioni conquistatrici cioè di forse tutte le nazioni, si ritrova di più che la ricchezza commerciale e industriale tarda un buon pezzo a manifestarsi dopo la ricchezza agricola, anche perchè passa alcun tempo fino che sortano i piccoli proprietarŒ, l' origine dei quali, come abbiamo veduto, nasce dagli schiavi messi in libertà, e questi sono quelli che diventano poscia i mercenarŒ, gli uomini d' industria, i commercianti. Il progresso per ciò nelle nazioni conquistatrici è il seguente: 1 conquista, e rappresentanza personale con beni indivisi; 2 divisione di terreni, e degli schiavi fra i vincitori, possessori di latifondi: quindi ricchezza agricola , e rappresentazione della ricchezza agricola mediante i gran proprietarŒ; 3 liberazione degli schiavi, francazione dei borghi, o comuni; e quindi nascita dei piccoli proprietarŒ, e rappresentazione delle proprietà mediante il terzo stato; 4 Comparsa del commercio e dell' industrìa: e quindi della ricchezza commerciale e industriale, specialmente per opera del terzo stato: quindi rappresentazione politica, non solo della ricchezza agricola, ma ben ancora della ricchezza commerciale e industriale mediante il terzo stato , il quale viene ad acquistare con ciò una gran forza nella Società. Chi leggerà le istorie con attenzione vedrà che tutte d' accordo non danno che questi stessi risultati. Di quì avviene. che la teoria degli Economisti di attribuire la rappresentazione politica al solo terreno, ha benissimo luogo; ma solo in quell' epoca nella quale non è comparsa ancora nella nazione la ricchezza commerciale ed industriale: ma la sola ricchezza agricola. Sentiamo uno istorico: [...OMISSIS...] Ma come la sola proprietà territoriale viene rappresentata, dovunque ella sola esiste, così dovunque una forte ricchezza commerciale e industriale apparisce, esercita ben tosto un peso nella bilancia politica, e spinge dirò così per intromettersi nel governo, o per altrui consenso o per forza. La proprietà commerciale e industriale viene in mano, come diceva, del terzo stato, e perciò dove questa si rinforza, la plebe acquista maggior grado d' autorità: di che nasce che le città marittime commerciali e industriali inclinino ben tosto ad un reggimento repubblicano. Le prime repubbliche d' Italia furono quelle delle coste del Regno di Napoli, fra le quali è celebre quella d' Amalfi [...OMISSIS...] Le città marittime dell' Istria e dell' Illirico, governate liberamente, Venezia e Genova, provano il medesimo. La ricchezza commerciale tanto potè in Firenze che vi dispose per buon tempo quasi esclusivamente dello stato. La forma di governo stabilita da' Fiorentini nel 12.2, e che sottosopra durò fino alla caduta della repubblica, era democratica, e composta sulla massima « « che d' una repubblica mercantile dovevano avere l' Amministrazione i soli mercanti: i membri di quella magistratura avevano il titolo di priori delle arti » » per indicare, dice il Sismondi, « « che l' assemblea dei primi cittadini d' ogni mestiere rappresentava tutta la repubblica. » » [...OMISSIS...] Da ciò che abbiamo detto si può vedere, che quella stessa ragione per cui la ricchezza terriera viene ad influire nel governo, vale per la ricchezza mobiliare. Il governo si può considerare come una forza, che regolando la modalità dei diritti li difende e li accresce: questo è l' uso legittimo di una tal forza: ma in mano agli uomini havvi di fatto anche un abuso di questa forza, e in tal caso il governo si può considerare come una forza di tirare a sè un maggior numero di diritti. Giacchè questo secondo effetto che si può ottenere dall' autorità governativa è comune egualmente ai ricchi ed ai poveri; perciò rimane che quelli sieno più interessati di tirare a sè il governo, i quali hanno più diritti da difendere e da promuovere. Per ciò i poveri non possono ambire il governo se non per una malvagità, cioè a dire per la voglia di tirare a sè le proprietà, mentre i ricchi vogliono tirare a sè il governo per difendere col medesimo i proprŒ diritti da chi vorrebbe rapirli e per amministrarli utilmente: il qual desiderio è giusto e secondo natura; mentre il primo è ingiusto e contro natura, e perciò non può essere nè cosí universale nè così forte; tanto più che i poveri non hanno i mezzi da farlo valere. Questo avviene nel fatto; ma considerata la cosa nella teoria si verifica il medesimo. Supponiamo che il Governo sia in mano di persone non proprietarie: in tal caso egli può essere giusto , purchè le persone non proprietarie lo abbiano ottenuto per alcuno di quei titoli giusti che abbiamo enumerati 1); ma egli non sarà tampoco regolare ; poichè non esisterà in esso l' equilibrio tra la proprietà ed il potere. Or avranno essi diritto i proprietari di voler entrare a parte del governo e spogliarne le persone governanti non proprietarie? Non mai: questo è quello che si debbe rispondere se si parla di diritto. Ma se si chiede che cosa avverrà probabilmente nel fatto, si potrà rispondere con una fondata conghiettura, che un tal governo non durerà lungamente: poichè le persone governanti hanno bensì il diritto di governare, ma il loro diritto rimane indifeso e non garantito per mancanza della proprietà. Che cosa dunque succederà? Se le persone governanti vengono prese in sospetto d' ingiustizia e di malvagità, i proprietarŒ si ribelleranno e chiederanno di governar essi. E sebbene sia difficile che un tal sospetto non nasca sulle persone governanti, supponiamo tuttavia, che la loro riputazione sia tale, che le salvi da ogni sospetto d' iniquità. In tal caso le persone governanti saranno imbarazzate a governar con sapienza; poichè ci vuol una sapienza sovraumana a regolare la modalità di tanti diritti nel miglior modo, senza conoscer da vicino l' Amministrazione dei diritti stessi, o per dir meglio senza amministrarli. Non governando adunque con tutta la sapienza avverrà che i proprietarŒ in danno dei quali cadono i difetti dell' Amministrazione, se ne risentano, e sdegnino di essere in tal modo amministrati: e ciò tanto più, quanto più hanno di lumi, per li quali sieno in caso di conoscere i difetti del governo. Ma facciamo una supposizione ancora più larga, cioè supponiamo, che un governo non proprietario (cosa al tutto impossibile) governi con perfetta sapienza. Cercheranno meno per questo i proprietarŒ di entrare nel governo? non già, poichè non basta che il governo operi con tutta sapienza: bisognerebbe che i proprietarŒ fossero di ciò a pieno persuasi. Ora quando sarà mai possibile, che i proprietarŒ si persuadano, che la modalità dei proprŒ diritti sia meglio amministrata da altri che da se stessi? Ma dato anche ciò rispetto ad un particolare governo, non saranno essi solleciti di assicurarsi anche per il futuro? E qual miglior garanzia di quella di essere essi stessi quelli che dispongono delle cose politiche? Il perchè si può ragionevolmente dire, che i proprietarŒ avranno sempre una tendenza ad intrudersi in quel governo dal quale essi fossero esclusi, e che la Società perchè sia quieta conviene non solo che sia giusta , ma ben ancora che sia regolare , altramente il fatto pugnerà col diritto fino che le leggi naturali non si trovano d' accordo colle leggi morali. Noi abbiamo ricapitolato questo argomento per far osservare, che egli si applica ad ogni sorta di proprietà e che non solo la ricchezza terriera, ma ben anche la ricchezza mobiliare, tende di sua natura ad intromettersi nel governo. Egli è quello, come dicevamo, che le istorie mostrano costantemente. Appena che in una nazione comparisce la ricchezza mobiliare, e cresce ad un certo grado si vedono altresì le contese politiche dei mercatanti possessori della ricchezza mobiliare coi nobili possessori della ricchezza territoriale. I nobili sono gli antichi posseditori del governo: i mercatanti sono i nuovi proprietarŒ, la cui esistenza ha reso irregolare la forma del governo: perchè ha introdotto nella società una proprietà non rappresentata: quindi tendono a conseguire la rappresentazione della medesima, perchè la necessità vuol di nuovo regolarizzarsi. - Ma i proprietarŒ delle terre trovandosi già in possesso del governo, se in vece di essere persuasi o trattati con arte dai mercatanti, vengano assaliti violentemente, allora nasce una lizza per la quale l' impulso naturale, che tende a regolarizzare la proprietà si perde di vista: i proprietarŒ delle terre, ossia i nobili 1) credono d' essere ingiuriati dal partito opposto, e sono veramente, o sempre poi ve n' ha tutta l' apparenza. Quindi non si contratta più fra questi due partiti: non si cerca più concordemente il bene dello stato: ma invece di ciò si tende a screditarsi a vicenda: i mercatanti rinfacciano ai nobili il loro orgoglio, i loro vizŒ, la loro ambizione, l' avidità la voglia di dominare, e di tiranneggiare: i nobili all' incontro rinfacciano ai mercatanti l' insubordinazione, la voglia di disordinare la Società, lo spirito sedizioso, il disprezzo delle potestà costituite da Dio, il democratismo, l' empietà. In tal modo non è più la forza naturale delle cose che opera, ma le sollevate passioni, e l' accanimento delle due parti passa ben presto ogni termine. In tale stato di cose nè l' una nè l' altra parte pensa di dare allo stato un equilibrio fondato sull' equità, ma l' una parte non pensa che a divorar l' altra s' ella può; e ciascuna parte maneggia d' avere in mano il governo, non più perchè lo consideri come una forza di proteggere e di promuovere tutti i diritti; ma perchè lo considera come una forza di proteggere e d' accrescere i diritti proprŒ, distruggendo quelli della parte contraria. Tale è la celebre ed infelice istoria delle repubbliche italiane del medio evo. Ascoltiamo ancora qualche passo dell' istorico delle medesime. Abbiamo veduto che la forma di governo stabilita in Firenze nel 12.2 fu interamente mercantile, giacchè i sei Priori delle Arti eran quelli che componevano la signoria. Ma l' esclusione dei gentiluomini ben presto andò più avanti. [...OMISSIS...] Lo stesso caso veggiamo avvenire in Siena. [...OMISSIS...] Qual fu l' effetto di questa forma di governo nella quale non entravano che mercanti, essendo esclusi assolutamente i nobili? Udiamolo: [...OMISSIS...] In Arezzo era successo il medesimo. Ma non durò per una controrivoluzione, che tornò i gentiluomini insieme col partito ghibellino al reggimento della città. [...OMISSIS...] [...OMISSIS...] I nobili esclusi dal reggimento dovevano risentirsi; ma in Firenze non avevano forza di reagire per le loro discordie. Non restava loro che disprezzare il nuovo governo, e sdegnare di sottomettersi ai mercanti. Questo disprezzo il manifestarono con un impotente orgoglio, col ricusare di sottomettersi ai Tribunali, di fare ciò che volessero e di proteggere gli scellerati con che non ottennero se non che fosse raggravata l' oppressione sopra di loro, e che nascessero gli ordini posti da quel severo Giano della Bella, che di gentiluomo s' era fatto popolano. Egli arringò il popolo, ed ottenne una commissione per rendere la signoria più forte mediante il potere militare contro dei nobili. [...OMISSIS...] Il Macchiavelli paragona le dissensioni di Firenze fra il popolo ed i nobili a quelle di Roma, e le distingue dai loro diversi fini così: [...OMISSIS...] E chi vorrà sapere la ragione di queste differenze fra le dissensioni di Roma e quelle di Firenze, anzi di tutte le repubbliche del medio evo, le troverà in questo: che il popolo di Roma fino dal principio ebbe proprietà, e parte corrispondente nel governo; sicchè non si trattava in quelle dissensioni che del modo di fare le parti giuste fra due padroni, o di rendersi scambievolmente giustizia. Presso i Romani non si conobbe si può dire altra ricchezza che la territoriale, e per questo prima che cadesse il governo nel dispotismo militare, le tribù rustiche erano le più stimate, e le arti meccaniche vi erano temute: il commercio non vi era promosso 1); e nessuno forse si è accorto della ragione politica di questa umiliazione, in cui si tenevano l' arti e i commerci. Dagli antichi proprietarŒ e governatori della cosa pubblica si temeva che non comparissero dei proprietarŒ di nuova specie, che aspirassero all' Amministrazione dello stato. All' incontro nel medio evo le dissensioni successero così. Le proprietà come pure il governo era interamente in mano dei nobili, e il popolo non esisteva nè come proprietario, ne' come amministratore delle cose pubbliche: egli era schiavo dei nobili. Dopo il mille nacque la sua liberazione per quelle cagioni che abbiamo dette, in tal modo comparve una popolazione libera: il primo passo che fece questa popolazione fu di diventar proprietaria: il secondo passo fu di presentarsi agli antichi padroni, pretendendo di avere anch' essi parte nel governo. La questione adunque non riguardava come a Roma nel doversi fare le parti eque di un bene posseduto in comune: ma si trattava di torre questo bene a chi per innanzi tranquillamente lo possedeva, e di farselo cedere per amore o per forza. Quelli che si presenta per avere la roba altrui non si presume già che si contenti di una sola parte, ma di ottenerne più che può; giacchè non è la giustizia ciò che lo conduce ad operare, ma è l' avidità. La questione in questi termini prendeva nelle opinioni quel carattere che ha la pugna tra il viandante e l' assassino: l' uno e l' altra non mira a meno che a sgozzarsi. Sembra che la popolazione schiava, a fare il primo passo, cioè ad acquistare la libertà e la proprietà, impiegasse due secoli, e che nel secolo XIII, facesse il secondo, cioè pugnasse per l' acquisto del potere politico. 2) [...OMISSIS...] In un secolo si resero prevalenti anche nei governi, sicchè come vedemmo negli ultimi vent' anni del secolo XIII i mercatanti ebbero la somma delle cose pubbliche, esclusa la nobiltà. La lotta delle parti che sostiene, anche presentemente, il governo d' Inghilterra non è parimenti che una lotta d' interessi, la ricchezza industriale che combatte colla ricchezza territoriale. Dovunque le forze della natura hanno libera azione, questa lotta si debbe manifestare, e non può finire se non allorquando tutti i membri della società sieno convenuti nell' equità dell' Amministrazione da noi proposta, nella quale ciascuno si appaghi di avere un voto corrispondente alla sua ricchezza di qualunque genere questa sia, o territoriale o mobiliare. 2) Per altro l' istoria della società civile in Inghilterra presenta gli stessi fatti che l' istoria della società civile in tutti gli altri paesi d' Europa: anche colà si vede passare la società da una rappresentanza personale ad una rappresentanza reale: e datare da questo secondo stato della società l' epoca di una esistenza civile non più solo militare, ma di una costituzione formata: anche colà la rappresentazione reale che dà la forma al governo subisce le stesse modificazioni della ricchezza: prima non esiste che una ricchezza terriera divisa in grandi masse, e quindi non hanno mano nel governo che grandi signori: anche là vengono poi francati gli schiavi e quindi sorgono i piccoli proprietarŒ; quindi ancora s' introduce nelle assemblee politiche il terzo stato: anche là comparisce in appresso accanto della ricchezza territoriale la ricchezza industriale e commerciale: ed anche là questa ricchezza dimanda ben presto ed ottiene di aver parte nel pubblico reggimento, non senza sdegno e reazione della nobiltà, sicchè queste due ricchezze territoriale e mobiliare seguitano a guardarsi pure come due rivali. I recenti democratici francesi come pure i radicali inglesi hanno fatto di tutto per contraffare la storia d' Inghilterra, e per trovare nelle antiche croniche qualche traccia di rappresentazione personale: ma i loro sforzi non hanno fatto che mettere in maggior evidenza la natura della Costituzione Inglese fondata sulla ricchezza. « « Ogni rappresentazione, » dice Arturo Joung, «che ebbe luogo negli antichi tempi, fu una rappresentazione di proprietà non mai di persone »1) » Riguardo all' Inghilterra, a confirmare ciò, egli cita l' opinione dei più riputati scrittori inglesi. Il dottor Squire nel suo esame della Costituzione Inglese dice [...OMISSIS...] [...OMISSIS...] Così l' Inghilterra dunque come gli altri stati d' Europa vide i piccoli proprietarŒ ascendere al governo nel secolo XIII ed avere adoperato i due secoli precedenti per acquistare la libertà e la proprietà; giacchè « « dal libro dei registri Doomsday7Boock apparisce che l' Inghilterra era piena di villani e di schiavi al tempo di Odoardo il Confessore (1066). » » Non si può parlare con più mal senso delle modificazioni che Odoardo I ha dato alla Costituzione inglese di quello che abbia fatto il Sig. Raynal nella sua « Storia del Parlamento d' Inghilterra . » Il suo modo di parlare manifesta la mancanza dei principŒ di una vera politica, se non forse dei principŒ di qualunque politica. Dopo aver detto che montando Odoardo sul trono aveva dissimulato le usurpazioni fatte dai Comuni nella sua assenza, che poi, quando si credette bastevolmente amato e temuto, tolse a ricuperare i diritti del trono, cominciò a regnare senza parlamento, e senza dar bada ai privilegŒ della Gran Carta, impose egli stesso dei sussidŒ straordinarŒ, chiama questo partito, preso dal re, generoso , e non gli fa altra colpa se non ch' egli non avea esaminato innanzi s' egli aveva un carattere abbastanza fermo contro gli ostacoli, le pretensioni orgogliose, e il genio altiero dei suoi popoli. [...OMISSIS...] Non è così che si debba portar giudizio della condotta di Odoardo, dove la si riscontri coi principii d' una savia politica. I diritti del trono di Odoardo saranno stati incontrastabili; ma non è già per questo che egli li dovesse ostinatamente difendere. La costituzione della società era giusta come nel secolo precedente; ma al tempo di Odoardo, rimanendo giusta, cominciava a rendersi irregolare; mentre erano comparsi recentemente dei corpi di persone libere quali erano i Comuni, che pur nel governo politico non erano rappresentate. Non è dunque da chiamar generoso il partito preso di difendere a tutto rigore i diritti del trono: ma piuttosto si debbe lodare Odoardo per la sua moderazione nell' aver desistito dal conservare a rigore l' antica costituzione, nel cedere qualche cosa per rendere regolare la società: è da lodarsi per la sua saviezza nell' avere assecondato la legge della natura e nell' avere riguardato le usurpazioni dei Comuni piuttosto come uno sforzo della società, che voleva rimettersi in equilibrio, che come un peccato dell' umana perversità. Il suo partito fu generoso, perchè rimise dei diritti proprŒ, perchè la costituzione dello stato riuscisse più solida: il suo partito fu anche avveduto, poichè è regola certissima di prudenza di non volere ostinatamente « opporsi ad una resistenza che nasce da una legge della natura delle cose, e non dagli uomini ». Il dire che ciò nacque più da timidità che da saviezza, non toglie la verità delle cose dette, non toglie che se fosse stato sul trono inglese un principe o troppo tenace del sommo diritto, o troppo presuntuoso delle sue forze, non avesse operato assai peggio, e per lo meno ritardata la perfezione della società in Inghilterra. Invano Odoardo più tardi tornò al pensiero di riprendere i diritti ceduti: la legge della natura la vinse, e la costituzione data, appoggiata sulla medesima, vie più si confermò. Il Sig. Raynal fu spettatore delle conseguenze funeste della rivoluzione francese, vide il frutto dei principii ch' egli stesso avea pubblicati, e ne fu inorridito, manifestando il suo orrore colla Lettera che scrisse il 31 maggio 1791 all' Assemblea costituente e coll' opuscolo degli « AssassinŒ e Furti politici . » In quest' ultimo libretto si riscalda contro le confische e mostra come il toccare la proprietà è lo stesso che il sovvertire la società intera: vede come un fatto generale, attestato da tutte le istorie, « « che le nuove divisioni di terreno quando non sono liberamente fatte e col consenso del primo proprietario, non produssero che dissensioni orrende e guerre civili, sempre collo stabilimento di qualche tirannia terminate: » » parla contro le leggi agrarie, ed espone i sentimenti di Cicerone sulle medesime, che le riguardò sempre come il mezzo dei sediziosi per conturbare l' ordine pubblico. Quest' era quanto vedere la relazione che la proprietà ha costantemente col potere civile, per la quale relazione non si può toccare la proprietà senza alterare insieme il potere civile: questo era un andar vicino a conoscere la natura della società civile. Qual passo mancava per arrivare a ciò? quello d' invertere l' ordine della proposizione: e dopo d' aver detto: non si può toccare la proprietà senza alterare insieme il potere civile; dire parimenti: non si può toccare il potere civile senz' alterare la proprietà. Come alzar la voce contro le confische ed i furti politici, come gridare contro l' alterazione delle proprietà particolari, mentre prima si ha dato licenza, si ha esortato a metter le mani nel potere civile? Ella è una contraddizione quella di voler che il popolo metta le mani nel governo, e che poscia le raffreni dalle ricchezze dei privati: egli è un pretendere una virtù eccessiva e soprannaturale dagli uomini: voi date loro tutte le occasioni e gli incentivi di fare il male, e poi intimate loro la più severa morale. « « Oggi ricompaio come un' ombra di me stesso, » dice il Sig. Raynal, «non per avvertirvi di alcuni errori in politica, ma per rimproverarvi di molti delitti in morale » ». Non è più il tempo di rimproverare i delitti di morale ad una nazione la quale ha precedentemente guastata la sua politica: gli errori in politica sono appunto quelli che tirano seco i più enormi delitti in morale: chi ha predicato quelli si è reso colpevole anche di questi. Così il Sig. Raynal si è dimostrato una testa riscaldata e superficiale più tosto che un uomo cattivo, come tutti quelli che avendo contribuito pei loro falsi principŒ politici alla rivoluzione francese, quando poi videro che tutto andava a ruba, e a sacco, e che la proprietà era altrettanto mal sicura quanto la vita in mano degli assassini, si scusarono con dire ch' essi non avevano punto intenzione che fossero manomesse le proprietà; ed invece di riconoscere la causa di questi mali in un vizio intrinseco degli stessi principŒ politici, si contentarono di trasformarsi subitamente da politici in moralisti, e di declamare contro l' umana perversità: contro questa perversità che essi stessi avevano suscitata. I principŒ del Sig. Raynal sulla popolazione da noi altrove esaminati mi chiamano a far osservare in fine di quest' articolo, la relazione che passa fra la Legge della società famigliare e la Legge della società civile; e a sciogliere nello stesso tempo l' obiezione che si suol fare contro di questa coll' esempio degli Stati Uniti d' America. La Legge che mantiene l' ordine nello Stato di Società famigliare abbiamo detto consistere nell' equilibrio fra la popolazione e la ricchezza . La Legge che mantiene l' ordine nello Stato di Società civile diciamo consistere nell' equilibrio fra la ricchezza ed il potere civile o propriamente parlando il potere amministrativo. Si vegga ora la stretta relazione fra queste due Leggi. La Legge della Società domestica può essere alterata in due modi, per difetto di popolazione, e per eccesso . Se si trova alterata per difetto ne patisce la famiglia ; perchè essa non ha una forza proporzionata alla sua ricchezza sicchè questa è in pericolo. Non così nello stato di Società civile; perchè la società civile s' incarica essa stessa di difendere la ricchezza della famiglia; giacchè le famiglie coll' entrare nella Società Civile hanno mutato le vie di fatto nelle vie di diritto, e se questo non basta hanno rinunziato alla forza privata, prendendo in difesa dei proprŒ diritti una forza comune e pubblica. In tal modo la disuguaglianza proporzionale colle ricchezze della popolazione nelle famiglie è un pericolo di pubblica inquietudine che vien5 tolto o certo scemato coll' Istituzione della Società civile, nella quale non si considera più la forza famigliare, perchè riesce infinitamente piccola rispetto alla forza nazionale istituita per difesa della ragione comune. Ma non si può fare il medesimo discorso dell' alterazione della Legge famigliare che nasce per eccesso di popolazione. Questa popolazione che eccede la ricchezza delle famiglie, e che forma la classe dei poveri, è quella che ricade sulla società civile, come abbiamo veduto nel primo libro, e che la mette in pericolo. Posciachè la popolazione povera cresciuta a gran numero forma una forza considerabile, perciò in ragione che questa popolazione sarà maggiore essa potrà più facilmente assalire quelli che hanno il potere civile e tirarglielo dalle mani. In tal caso la povertà guidata dai facinorosi è quella che spesso altera la Legge della Società civile cioè l' equilibrio fra la ricchezza ed il potere civile . La relazione adunque fra la legge della società domestica e la Legge della Società Civile consiste in questo che se la prima si altera per eccesso di popolazione tale alterazione prepara e facilita l' alterazione della seconda. Ora i principŒ del Sig. Raynal sulla popolazione sono al tutto falsi: egli non conosce il male dell' eccesso: d' altro canto il suo diritto di natura incoraggia la popolazione povera a nutrirsi colle altrui sostanze, dando per primo diritto all' uomo quello di vivere, senza ben limitarlo colla legge della proprietà che ho sviluppata, la quale obbliga il povero a non vivere dell' altrui se non nell' estremo bisogno, e quand' egli non abbia nè col suo lavoro, nè con altro mezzo onesto, via di procacciarsi l' alimento. Perciò il vero diritto di natura obbliga i poveri dal temperarsi nella generazione dei figliuoli, mentre il principio del Sig. Raynal incoraggia la popolazione senza limite alcuno, e senza riflessione portata sulle sue conseguenze. Il Sig. Raynal dunque con insegnare l' aumento indiscreto della popolazione prepara nella società una turba di gente, che, stimolata dai bisogni, è disposta ad ogni occasione d' impossessarsi del potere civile per impossessarsi quindi delle proprietà. I principii dunque del Sig. Raynal menavano appunto ai furti politici, contro a cui invano ultimamente declamava. Aveva egli diritto quest' uomo alla vista degli orrori della rivoluzione, frutto dei principii che avea predicato in tutta la sua vita, di sostenere ancora il suo tuono di filosofo e di maestro dei popoli scrivendo: [...OMISSIS...] Era passato il tempo degli avvisi: non era più la stagione di moralizzare sulle conseguenze dei proprŒ principŒ: bisognava riconoscere d' avere sbagliato i principŒ stessi, d' essere stato non già un filosofo, lume delle nazioni, ma un cieco caduto nella fossa coi ciechi da lui condotti. Noi abbiamo veduto che i proprietarŒ non sono mai quelli che amino i turbamenti politici, perchè temono di perdere nei medesimi le loro proprietà: che all' incontro quelli che nulla possedono amano che le cose sieno mutate, perchè sperano d' acquistare nella mutazione: che perciò se il potere civile sarà nelle mani dei proprietarŒ essi lo useranno a tener le cose ferme nel loro stato: mentre se sarà in mano dei non proprietarŒ essi lo useranno a mutarle. Contro di questo argomento si accampa un sofisma pernicioso di Rousseau che fu poi messo in bocca dal Sismondi alla parte dei mercatanti aspiranti al civile reggimento: La ricchezza, dice Rousseau, è la madre della schiavitù; poichè i ricchi per non perdere i loro beni si rendono facilmente servi di chi loro comanda. Il Sismondi restringe quest' argomento alla ricchezza territoriale; poichè non potendosi questa specie di ricchezza nascondere e sottrarre agli eserciti, essa, messa in pericolo, rammollisce alla servitù l' animo del padrone che non vuol perderla. Io accordo a Rousseau che il selvaggio privo di bisogni, perchè privo di desiderŒ, preferisca la sua libertà corporale e la sua vita ferina, a tutte le ricchezze del mondo; giacchè nè sente nè conosce i beni di una vita comune e ordinata. Ma mi sia lecito di protestare, non essere mio intendimento di far una teoria sociale per li selvaggi di cui non hanno bisogno. Scrivendo dunque per gli altri uomini tutti come sono, noi veggiamo per un fatto costante ed universale che il povero ama di acquistare della ricchezza, e che è egli che si sottomette alla servitù e fin anco alla più obbrobriosa schiavitù prima per vivere e poscia per arricchire. Il fatto adunque è precisamente l' opposto di quello che Rousseau ci reca in prova della sua teoria; e la differenza sta quì: che egli l' ha osservato nei selvaggi, e noi l' abbiamo osservato in tutti gli altri uomini: nei selvaggŒ cioè nella porzione del genere umano degradata egli ha osservato, che l' amore della libertà individuale fa loro disprezzare la ricchezza, ossia tutti i beni della vita civile: in tutti gli altri uomini noi abbiamo osservato succedere un fatto contrario, cioè che l' amore della ricchezza o sia dei beni della vita civile fa disprezzare e sacrificare la libertà individuale. Quale di queste due specie di uomini ha ragione nel suo giudicio? la specie degradata allo stato quasi dei brutti, o tutto l' altro uman genere colto? Se non vogliamo ricavare la risposta a questo quesito dal confronto delle due autorità che portono sulle cose giudicii così opposti, ricaviamola da un' altra osservazione. E` certo che il selvaggio non è in istato nè di sentire nè di giudicare dei vantaggi della vita colta e civile. Gli altri uomini all' incontro che per godere i beni di questa vita colta e civile sono contenti che venga limitata la loro libertà individuale, possono fare il confronto di tutti due questi stati; poichè tutti due li provano. I due giudicŒ adunque non sono di egual valore, poichè il selvaggio preferisce la libertà individuale, perchè non conosce nè è in caso di conoscere altro; e gli altri uomini preferiscono i beni della vita colta, perchè sono in caso di gustarli e di conoscerli. Ma che giova tutto questo discorso? Nulla monta chi abbia ragione dei due al nostro proposito: si tratta di sapere se tutto il genere umano debbe esortarsi a fare la vita dei selvaggi: si tratta di sapere, se a ciò sarebbe possibile di persuaderlo: si tratta di sapere se nel genere umano, il quale non si sia ancora reso selvaggio, esista questo fatto costante, che preferisca cioè la ricchezza, o sia i beni della vita colta alla libertà individuale. Se questo è un fatto costante ne verrà in conseguenza, che sia altresì un fatto costante, che la gente povera sia assai più arrendevole alla servitù che la gente ricca; che perciò non sono mai i ricchi quelli da cui si debba temere la servitù, ma bensì i poveri, i cui animi sono domati dal bisogno, e comperati con facilità da promissioni di ricchezze. Egli è vero che se un capitano minaccia di devastare le terre dei ricchi, questi prima di venire ad una guerra, nella quale le loro ricchezze vanno a pericolo, accetteranno delle condizioni gravose. Essi ricevono queste condizioni per quel fatto stesso di tutta la parte colta dell' umano genere che dicevamo, cioè perchè preferiscono la ricchezza ad una libertà illimitata: questo fatto non è possibile di mutare, e su questo fatto, come dicevamo, il politico debbe fondare l' organizzazione della società. Or dunque crederassi di evitare a questo supposto disordine col dar in mano il governo alla gente povera? non già: poichè per quello stesso fatto ne verrà che questa gente povera userà del governo per farsi ricca, e per coprire le sue usurpazioni contratterà se fa bisogno anche coll' inimico della patria: lo desidererà, lo chiamerà. Gli usurpatori nell' interno dello stato hanno sempre avuto bisogno dei nemici esterni per sostenersi. D' altro canto se potranno compire la loro usurpazione senza bisogno di esterno soccorso, questa gente povera che governa sarà divenuta la proprietaria: e saremo tornati in sullo stato di prima. Fino che si parla di una nazione che ha dei grandi terreni, questi o bisognerà che restino incolti; il che è tanto impossibile, quant' è impossibile persuadere all' uman genere colto di farsi selvaggio; o pure bisognerà che sieno di qualcheduno; ed in tal caso giova che chi li possiede abbia nelle cose pubbliche proporzionata influenza. Se si parla poi di nazione al tutto povera, essa avrà vantaggio benissimo d' una certa libertà energica che la compenserà della sua povertà. Ella dovrà giovarsi di questo vantaggio; il legislatore suo particolare dovrà farne conto: ma le massime politiche, che varranno per essa non si dovranno giammai credere i fondamenti di una politica generale. Dopo queste considerazioni sulla povertà e sulla ricchezza in un rispetto politico considerate, si può convenire col Sig. Sismondi, che la ricchezza mobiliare si sottrae più facilmente alle minaccie degli inimici della patria: ma non avviene già per questo che sia alla patria una garanzia maggiore, che non i terreni, amore dei proprietarŒ. Dopo di ciò è facile sciogliere l' esempio che ci recano in favore della rappresentanza personale di un recente governo quale è quello d' America. In una nazione che comincia, in cui le proprietà sono presso a poco eguali, come sarebbe in una nazione conquistatrice che divida in porzioni eguali il suo terreno, la rappresentanza reale si confonde colla personale, e perciò essa non fa danno nella nazione. Sebbene nell' America vi sieno delle grandi e delle piccole fortune, tuttavia non v' è quella sproporzione che, come dicevamo, è la più pericolosa, cioè quella che consiste nell' esservi accanto dei proprietarŒ un gran numero di miserabili, come si trova in tutte le nazioni d' Europa; perchè vi è grand' abbondanza di terreni, e relativa scarsezza di popolazione. Il solido pensatore Arturo Joung dopo aver recato un passo dai CommentarŒ sulla Costituzione americana del Sig. Wilson, nel quale dice che in quel governo il popolo può tutto sopra la costituzione, tanto di fatto che di diritto, in questo modo si esprime: [...OMISSIS...] Finalmente osservo che gl' Inglesi si sono più avvicinati di tutti gli altri a conoscere la vera teoria della società civile. Prova ne sia la bilancia territoriale di Harrington, colla quale stabilisce la proporzione de' terreni colle forze della famiglia. Questo politico sarebbe stato in caso di dare la vera idea della società civile, se non si fosse limitato a considerare la sola ricchezza territoriale, se avesse saputo distinguere il Tribunale politico dall' Amministrazione, e se avesse avuto la nostra esperienza. A conferma di ciò che ho detto contro Rousseau circa la relazione della libertà colla proprietà soggiungerò alcuni aforismi di Harrington, che conferma il fatto da me osservato nell' uman genere colto. [...OMISSIS...] [...OMISSIS...] Il quarto fatto è il seguente: [...OMISSIS...] La potestà amministrativa della società non è mai affermata nelle mani di quelli che l' hanno ottenuta, se questi non sono i proprietarŒ. V' è però un caso, in cui lo squilibrio fra la proprietà ed il potere amministrativo si mantiene per lungo tempo, e questo è il caso del principato assoluto, unico caso somministrato dalla storia. Per ciò il principato assoluto è il più saldo fra tutti quei reggimenti nei quali si trova squilibrio fra la proprietà ed il potere, per cui lasciando tutti gli altri stati di squilibrio, i quali anzi che veri reggimenti non sono che fluttuazioni della società, mi fermerò a dimostrare il fatto enunciato nel reggimento del principe assoluto. Sembra che le teorie intorno al principato dei giureconsulti, sebbene ancora incerte, si riducano a due. Alcuni considerano il principe come la persona che ha ottenuto il governo della società civile per modo che è divenuto sua proprietà; sicchè nissuno e neppur la nazione stessa può toccarla senza violazione d' un sacro diritto. Alcuni poi considerano il principe come il supremo magistrato della nazione, nel qual caso il diritto di governare resta una proprietà della nazione, ed essa lo esercita mediante il principe come mediante un suo ministro, o vero impiegato. Per quante prerogative riceva questo ministero, quantunque sia egli dichiarato infallibile, inviolabile ecc. egli non muta di natura, ma resta il primo officio dello stato, la prima magistratura. Solo nel primo caso il principato è un potere assoluto, mentre nel secondo è un potere delegato. La questione che si agita fra i giureconsulti, che seguono queste due teorie, sebbene sia antica, duri tuttavia, e vorrà probabilmente ancor durare, tuttavia è una misera questione, che nasce per l' equivoco che produce un vocabolo. Il vocabolo principato è quello che produce l' equivoco; poichè si applica a due sorta di reggimenti diversi, i quali per parlar chiaro e senza fallacia, debbon esser nominati con due parole. Non si debbe dimandare che cosa è il principato, e quindi questionare se egli sia un potere assoluto o delegato. Col proporsi quella dimanda già l' errore è commesso; poichè essa suppone che colla parola principato si esprima una cosa sola. Non si questioni adunque sulla definizione di quella parola equivoca, ma si cominci a stabilire, che in una nazione può accadere che una persona tenga il primo posto e governi di fatto in due maniere; cioè o autorizzata da un diritto proprio, o come esercente un diritto altrui per delegazione del proprietario. Nel primo caso si dica ch' essa è un principe assoluto , nel secondo che essa è un principe delegato . E` vero che nell' un caso come nell' altro nella società non si trova che una persona che governa: ma i poteri di questa persona nell' un caso e nell' altro sono ben diversi. Perciò invece di far una domanda sola: Che cosa è il principe? se ne facciano due: Che cosa è il principe assoluto? Che cosa è il principe delegato? Rispondendo alla questione così divisa, la questione è svanita. Fissate queste due forme di governo, si debbe passar ad applicarle. A tal fine non è bastevole di sapere, che quello stato a cui si vogliono applicare è governato a principe; ma bisogna di più osservare se sia governato a principe assoluto o a principe delegato: e questo rilievo non si fa, che esaminando storicamente i titoli della persona o della casa reggente. Egli è dopo questa verificazione che si possono definire i diritti scambievoli dello stato e del reggitore. Se si fosse proceduto con quest' ordine logico si avrebbero risparmiate innumerevoli dispute e discussioni. Abbiam dovuto fissare l' idea del principato assoluto per chiarezza del discorso: ora dobbiamo noi verificare questo fatto: che « trovandosi nel principato assoluto, unico amministratore della società, lo squilibrio fra la proprietà ed il potere civile; esiste una tendenza di queste due cose a mettersi in equilibrio o col scemare l' autorità politica al principe o coll' accrescergli le sue ricchezze, o finalmente coll' attribuirgli per finzione quella proprietà, che di fatto non possiede, e che gli è necessaria pel sostenimento della sua autorità. Il principato delegato, specialmente fornito di prerogative che lo avvicinano all' assoluto, come sarebbe dire la inviolabilità, e la ereditarietà ecc. sebbene più remotamente dimostra lo stesso fatto che il principato assoluto. Questa fu la prima cosa di cui Dio ammonì gli Ebrei, quand' essi vollero un re. Egli comandò a Samuele di predir loro ciò che porta con se la dignità reale, cioè la tendenza di equilibrare questo potere personale con altrettanta proprietà. Ecco come Samuele si espresse: [...OMISSIS...] Questo non è altro che predir loro la legge della Società civile, cioè l' equilibrio fra il potere civile e la ricchezza: questo non è che un dire « se voi volete concentrare in un uomo solo il potere civile, sappiate che ne verrà per conseguenza che vengano a concentrarsi in un uomo solo anche le ricchezze; perchè queste due cose tendono a mettersi in equilibrio. » Se però questa legge non si verifica tante volte rapidamente, ciò nasce per la virtù e per la giustizia dei principi; i quali resistono all' impulso naturale, e preferiscono il giusto ai più grandi vantaggi: e di questi esempŒ di magnanimità sono piene l' istorie dei principi cristiani; specialmente nei secoli di mezzo quando la religione aveva su loro gran forza, e non era entrata nelle corti quella politica che tutto corrompe, e che ha finito col confondersi nella incredulità. Ma ogni qualvolta il principe assoluto sarà privo di un grado eminente di virtù e di magnanimità, cederà agli impulsi di usare l' Amministrazione che è in sue mani per tirare a sè la ricchezza, cioè preferirà il vantaggio suo proprio, e anderà male l' Amministrazione della maggiorità degli interessi. Non così però sarebbe se egli possedesse più che la metà delle ricchezze della nazione; poichè in tal caso la maggiorità degli interessi sarebbe bene amministrata. E quest' è che osserva Harrington, il quale non considera lo stato che come un' Amministrazione. Ecco due dei suoi aforismi politici. [...OMISSIS...] Egli è certamente falso il dire che ciò formi la monarchia assoluta; ma si rende vero il pensiero di Harrington, quando invece di monarchia o di governo si dice Amministrazione. In fatti supporre che il governo non sia che un' Amministrazione è un materializzarlo di soverchio. Noi crediamo che ci sia a questo proposito due errori opposti assai perniciosi: l' uno dei quali consiste nel materializzare le cose spirituali; e l' altro consiste nello spiritualizzare le cose materiali. Noi abbiamo creduto di evitarli tutti e due col guardarci bene dall' attribuire al governo l' uno solo di questi elementi con esclusione dell' altro; e quindi col considerare il governo risultante dai due poteri essenzialmente distinti, l' uno amministrativo e l' altro giudiciale, l' uno centro della forza fisica, l' altro della morale: l' uno che provede agl' interessi, e l' altro alla dignità dell' uomo, e che provedono insieme ai diritti sì reali che personali. Questa idea che acquisterà maggior luce, mediante ciò che noi diremo sul quinto fatto, è da ritenersi presente, acciocchè non sembri che noi parlando dell' Amministrazione, cadiamo nell' errore tanto comune a' dì nostri di materializzare il governo. La povertà del principe assoluto, rendendolo inetto a sostenere la potestà amministrativa, diventa la sorgente della politica falsa: la quale mette in opera tutti gli artificŒ, le simulazioni, le frodi, le perfidie, e le viltà più obbrobriose per conservare un potere di sua natura vacillante. Non si nega già che di tutti questi neri raggiri, di tutta questa arte di raffinata perversità non sia cagione l' umana malizia: certo la malizia umana è la cagione generale di tutti i mali che fa l' uomo: ma questa malizia opera più o meno secondo le occasioni che si presentano alla medesima. Non basta dunque per render ragione dei mali che avvengono al mondo ricorrere a quella causa generale: bisogna ancora indicare le occasioni per le quali quella causa ora fa più male ed ora ne fa meno. E medesimamente non basta predicare agli uomini la virtù, ma bisogna ancora aiutarli a praticarla col disporre le cose in modo che abbiano meno occasioni di far male, e più che sia possibile occasione di far bene. Ed è per questa ragione che la politica giova alla morale. Se voi provvederete che gli uomini sieno nutriti, voi diminuirete con ciò i furti: se renderete i tribunali così savi e così forti che possano amministrare pubblicamente la giustizia, voi diminuirete le vendette private: se porrete i cittadini in uno stato di avere i loro diritti difesi con modi onesti, essi non penseranno a difenderli con modi inonesti: finalmente se il principe avrà tanta ricchezza da poter sostenere la propria dignità civile, egli lascierà stare la ricchezza dei sudditi, e non avrà più bisogno di una politica tenebrosa, ma si appoggerà ad una politica leale, nobile, ed anche benevola. Il principe assoluto povero, quando anche sia onesto e rifugga da una politica scellerata, se vorrà sostenersi non potrà tuttavia a meno di prendere una politica cavillosa, o finalmente vacillante. La politica dell' equilibrio dei poteri si può dire che sia nata così. Come ella consiste nell' unirsi o coi comuni o coi nobili o col clero per abbassare le altre due classi, ella è obbligata ad avvilirsi con frequenza per mendicare il favore del suo alleato; essa diventa naturalmente sospettosa e trepidante dal momento che è sempre in dubbio di essere abbandonata dalla forza alleata, ed ha sempre da temere che l' opposizione prevalga: finalmente ella è una politica ostile, perocchè lavora sempre una guerra secreta fra i diversi poteri della nazione, ciascuno de' quali spera di soverchiare; non perchè abbia forze bastevoli in sè stesso, ma perchè maneggia un' alleanza colle forze altrui; e nello stesso tempo teme di essere soverchiato; poichè non avendo forze proprie bastevoli da sostenersi, può sempre avvenire che le forze altrui l' abbandonino. Egli è dunque una cattiva costituzione quella nella quale nessuno ha bastevole forza da difendere i proprŒ diritti. Una tale debilezza porta la strana conseguenza che ciascuno per potersi difendere cerca di mettersi sul piede di assalitore; e tutti gli animi timorosi d' essere ad ogni istante spogliati del proprio, facciano di tutto per poter prevenire ed assalire l' altrui. Ciò nasce, come diceva, quando il governo è povero, e debbe adoperare la ricchezza altrui per difendere la propria autorità. Ma all' incontro nel caso in cui il potere civile sia equilibrato colla ricchezza, allora succederà che la maggiorità nel potere civile sia congiunta colla maggiorità della ricchezza: e come la maggiorità di potere civile e di ricchezza forma una forza a cui non ve n' ha nissun' altra che possa tener fronte: quindi questa maggiorità è difesa per sè stessa, e non ha bisogno di cercare delle alleanze per sostenersi, come pure è priva di timore d' essere soverchiata. Ella dunque è priva di quella tentazione d' assalire l' altrui che nasce dal bisogno di difendere il proprio. Ha dunque una tentazione di meno: una occasione di meno da far male: è dunque questa la costituzione da preferirsi. In tutta l' Europa vi fu un tempo in cui il Monarca si unì per sostenersi col terzo stato. 1) Posteriormente in Inghilterra la nobiltà s' unì coi comuni per limitare il sovrano potere: come in Francia i comuni e la corona fecero per lungo tempo fronte alla nobiltà. In Italia dove il sovrano potere fu ben presto annullato, non cessò la pugna tra la nobiltà e la plebe, ed essendo stata di quest' ultima la vittoria, la forza italiana fu divisa in minute parti, mediante il democratismo, e quasi ridotta in polvere, fu dissipata con essa la nazione. La storia politica delle diverse nazioni dell' Europa non è che la storia di questi quattro poteri; rse nazioni dell' Europa non è che la storia di questi quattro poteri; Primo, il sovrano: 2 il clero: 3 la nobiltà: 4 il terzo stato. Osservando le diverse alleanze e aggruppamenti di questi poteri, mediante le quali si riducevano sempre a due partiti le mutue pugne, sconfitte, e vittorie; il potere umiliato, sconfitto, distrutto, ed il potere vincitore, e prevalente; si viene a render ragione delle costituzioni dei diversi stati d' Europa. La povertà del principe o sia del governo è ciò che produce tutti questi giochi di politica; poichè se il principe non arriva a sostenersi in tal modo, o pure se non perviene ad arricchirsi, egli rimane in continuo pericolo di cadere. Le costituzioni del medio evo prodotte dalla natura delle cose, e dalla docilità degli uomini nell' arrendersi a ciò che tale natura additava, senza perdersi in vane teorie, e ostinarsi nel volere che la natura obbedisca a' proprŒ sofismi, erano piantate sopra solide basi. Ma non basta che la costituzione sia buona e solida, se le azioni degli uomini non si accordano colla medesima. Perchè la costituzione si formasse bastava quasi direi una prudenza passiva: la costituzione era l' opera del tempo, veniva formata un poco alla volta dalle naturali circostanze. Ma per operare conforme alla costituzione non basta una prudenza passiva, bisogna avere dei principŒ, questi mancavano ai sovrani del medio evo, e questa mancanza portava, che colla loro irregolare condotta, lungi dal cavare i vantaggi che loro offeriva la bontà delle costituzioni, venivano a distruggere le costituzioni stesse. Erano sapienti nel fare le costituzioni, e mancavano di prudenza per conservarle. Come la costituzione veniva loro strappata un poco alla volta dalla natura delle cose, così essi la formavano pezzo per pezzo senza però conoscere i principŒ sui quali tutta intera la medesima s' appoggiava. In fatti l' errore comune dei governi del medio evo era la mancanza d' economia. Per questo errore che andava a ferire le costituzioni ne' loro visceri, cadevano i governi, ed erano frequenti le rivoluzioni. Abbiamo già sentito l' osservazione del Machiavelli, che le guerre in Italia si perpetuavano, perchè non avevano mai cura i condottieri d' impoverir l' inimico, e d' arricchire se stessi. La mancanza d' economia nei sovrani nasceva anche da un principio morale: essi erano tutt' altro che disposti a considerare il governo come un' amministrazione e l' officio di reggere come un officio di computisteria: elevati colle loro idee riguardavano la sovranità come l' officio di render giustizia e di sparger beneficenza, come un' immagine della divinità sulla terra; e quindi non sapevano conoscere degli stretti limiti alla loro generosità: consideravano come la più bella loro prerogativa quella di donar a tutti largamente. S' ingannavano nell' abbracciare questo principio, senza porvi una giusta moderazione e nell' escludere dal loro officio l' Amministrazione economica; giacchè questa avrebbe dovuto formare realmente la forza della costituzione dello stato. L' ultimo dei Carolingi non possedeva più nulla in proprio; e questa fu la ragione, perchè egli non potè più sostenere la sua dignità. I nobili sempre avidi di acquistare de' feudi, o delle donazioni, li sollecitavano continuamente dalla corona. La corona che non era ricca abbastanza per sostenersi contro de' nobili cercava di cattivarseli col dar loro ciò che chiedevano continuamente. In tal modo s' impoveriva sempre di più, e non le restava che la speranza ingannevole di esser difesa dagli altri, anzi che di aver il potere di difendersi da sè stessa. [...OMISSIS...] Si considerino ancora i passi seguenti dell' autore dello spirito delle Leggi: [...OMISSIS...] I feudi resi ereditarŒ, l' introduzione de' suffeudi, pur essi fatti poscia ereditarŒ, s' aggiunsero cagioni pure possenti d' indebolire i diritti della corona sulle proprietà. La sostituzione della terza stirpe alla seconda, non nacque se non per forza della proprietà. Si ascolti ancora Montesquieu: [...OMISSIS...] Nella mutazione della prima stirpe ebbe dunque influenza l' abilità personale, giacchè il Prefetto del palazzo era anche il capo della Milizia; ma la mutazione della seconda stirpe fu operata dalla prevalenza della proprietà. Ugo Capeto era conte di Parigi e d' Orleans; ciò che formava un possedimento molto considerabile, mentre il figlio di Luigi V non aveva nulla se non il ducato della Bassa Lorena posto fuori della Francia ricevuto dalla liberalità dell' imperatore Ottone, di cui s' era con ciò reso vassallo. Egli è ben naturale che i nobili s' attenessero a chi aveva di più che a quello che non potea più donar niente. I successori di Ugo Capeto sostennero la forza e la dignità della corona col migliorare l' economia dello stato, e col riunire i gran feudi alla corona. La stessa ragione della mancanza d' economia si può assegnare alla caduta dell' impero Germanico, il quale appunto per la mala Amministrazione si era reso ultimamente anzi un vano fantasma, che una realità. Leibnizio vedeva questa causa della sua debilezza: [...OMISSIS...] Anche lo stesso presidente Montesquieu osserva l' analogia che passa fra il regno di Francia al fine della seconda stirpe, e l' imperio germanico degli ultimi tempi. Parlando di quello dice: « « Trovossi il regno senza dominio, sì come è al presente l' Impero. Si conferì la corona ad uno de' vassalli più potenti. » » - E a proposito dei Normanni che devastavano in quel tempo il regno di Francia dice altresì: « « Le città d' Orleans e di Parigi troncavano il corso a questi malandrini, sicchè non potevano inoltrarsi nè per la Senna, nè per la Loira. Ugo Capeto, che queste due città possedeva, teneva in mano le due chiavi degli sventurati avanzi del regno: se gli conferì una corona ch' egli solo era in grado di difendere. In questa guisa appunto venne dippoi conferito l' Imperio alla famiglia che è capace di custodire le frontiere dei Turchi. » » E` osservabile come gli Elettori dell' Imperio Germanico, dovendo eleggersi un capo, nol volevano mai troppo ricco, e questa fu la ragione per cui dopo il grande interregno si determinarono di dar la corona imperiale a Rodolfo d' Habsburg. La loro era certo una politica falsa, mentre per i privati vantaggi neglessero il bene generale della società cristiana. La caduta dell' imperio Germanico è dovuta in gran parte ad una tale politica. D' altra parte v' era un vizio radicale nella costituzione: poichè non sono mai buoni elettori d' un principe quelli che si eleggono con ciò uno che limita il loro potere e che non lo può accrescere: quelli insomma che già potenti possono assai più amare l' indipendenza che non la protezione. Per dimostrare compiutamente il fatto enunciato mi resta a mostrare come s' inventò di supplire alla mancanza di proprietà del principe con una finzione che gliela attribuisce: dirò in appresso quanto sieno dannose tutte le istituzioni appoggiate sulla finzione e non sulla realtà. Per altro la finzione di cui parlo fu universale di tutta Europa: e sembrerebbe a dir vero strano che tanti popoli appoggiassero le loro instituzioni sopra una base così falsa se non esistesse una legge nella natura delle cose che ve li spingesse, la legge che il potere civile debb' essere equilibrato colla proprietà. Già si si accorge che io parlo del feudalismo. Ecco come parla di questa istituzione il Sismondi: [...OMISSIS...] Per conoscere quant' era illusoria la proprietà che si attribuiva al principe sopra le terre dei feudatarŒ, basta osservare la storia de' feudi di ripresa . Si cercava di mutar gli allodi in feudi: il che si faceva donando al re la propria terra, e dal re poscia ricevendola in feudo. Ciò si faceva per i vantaggi e privilegi di cui godevano i feudi rispettivamente ai beni allodiali. Con questa mutazione di allodi in feudi si accrescevano forse le proprietà della corona? si accrescevano in apparenza: ma non già in realtà. E per provar ciò basta osservare che queste mutazioni in Francia furono più frequenti in ragione che la corona era più povera: e la ragione n' è chiara. Quanto era più povera la corona, tanto era più forte la nobiltà feudale, e tanto più perciò i proprietarŒ liberi desideravano di appartenervi. [...OMISSIS...] Il sistema feudale nacque dalla conquista, cioè dalla distribuzione delle terre conquistate fra i vincitori. In alcune nazioni però non vi fu introdotto in questo modo, ma mediante un' istituzione legale. In tal caso tutta la giurisprudenza riposava sul falso, poichè si supponevano essere state le terre in antico conquistate e divise; laddove non erano. In questo modo sembra che si sia introdotto in Inghilterra nel secolo XI. Prima però che tocchiamo questo fatto, procuriamo di render più facile a concepire il modo come una tale finzione di proprietà principesca, potesse dalle circostanze essere suggerita. Se noi consideriamo noi stessi, o vero uno de' nostri popoli colti d' Europa come si trova nello stato presente, noi non potremo già formarci l' idea del modo onde una persona poteva mettersi alla testa di un popolo semplice ancora e rozzo. Le nazioni presenti sono diventate caute e sospettose dall' esperienza, e non sarebbe già facile che ricevessero un capo che loro si presentasse per occupare un trono, o vero una supremazìa vacante, senza molti trattati e condizioni. Ciò nasce perchè la nazione vede tutte le conseguenze che può fare della sua autorità, e vuol garantirsi contro l' abuso. Ma non procede con eguali sospetti una nazione nuova e semplice; e se un uomo stimato e valoroso si mette alla sua testa, essa lo riceve come un benefattore. Essa non sa considerare ancora il governo che come un beneficio: lo considera in se stesso e non nelle sue conseguenze. Così ascesero al governo i condottieri ed i giudici dei popoli, con quella facilità con cui si prende posto in un luogo vacante, o si occupa una proprietà disoccupata. Essi non avevano che ad ispirar confidenza alla nazione col dimostrarsi forniti di eminenti qualità, e la nazione li seguiva, come chi viaggia, e non sa la strada, segue colui che gliela insegna. I due offici che essi esercitavano erano combattere e giudicare: sì per l' uno che per l' altro la nazione li riguardava come persone sommamente utili: trovando chi sapeva guidarla alla vittoria, considerava il suo capitano come l' autore della gloria e della grandezza nazionale, e trovando chi amministrava la giustizia, consideravano il Giudice come quello che conservava la pace interna e la comune sicurezza. Il buon esito delle armi, od anche la speranza del medesimo giustificava la condotta del capitano; e le ingiustizie che commetteva come giudice o per ignoranza o per arbitrio di passione pochi sapevano conoscerle nè il risentimento delle parti per cui era seguita l' ingiusta sentenza poteva muovere la nazione a sdegnare il proprio capo; poichè si trattava d' ingiustizie particolari, e la nazione considerava la pubblica tranquillità che colla amministrazione della giustizia veniva conservata, e che faceva dimenticare tutti i mali particolari. Consideriamo il capo di una nazione conquistatrice esercitante questi due ufficŒ: noi vedremo che la sua potestà è in tale stato illimitata; poichè fino ch' egli non esercita che questi due uffici, la nazione non ha cagione di limitargliela, purchè gli eserciti discretamente bene. La nazione non ha cagione di limitare la potestà governativa di questo capo fino che egli non fa qualche disposizione, la quale: 1 offenda i suoi governanti: 2 sia generale, e perciò gli offenda in massa, e non singolarmente. I due poteri di combattere e di giudicare, che sono, come dicevamo, di una natura da non offendere la nazione in massa, fino che vengono discretamente sostenuti, terminano in due altri poteri, per li quali con assai facilità si può offendere la nazione ed offenderla in massa. E questi due poteri sono: 1 il potere sulle terre conquistate, e 2 il potere legislativo. Sì l' uno che l' altro vanno a toccare le fortune private e a toccarle in un modo generale. Se il condottiere di una nazione conquistatrice, dopo conquistato un paese, avesse detto alla medesima: « Sappiate che queste terre son mie: voi già non le goderete come vostre, ma voi le lavorerete come miei servi, ed io vi manterrò »; la nazione non si sarebbe mai arresa a questi patti; poichè l' autorità del suo condottiere cessava d' allora d' essere un beneficio: egli non avrebbe fin allora governata la nazione, ma usato d' essa come d' un istrumento per formare la propria grandezza. Non era già con questo intendimento ch' ella lo aveva riconosciuto per suo capo e per suo condottiere. Ma all' incontro dicendo: « Voi avete conquistato sotto la mia condotta questo paese: ora egli è tempo che il vostro valore sia premiato: io dividerò con giustizia i terreni a tenore del merito di ciascheduno; »tutti dovevano assentire ad un simil discorso, il quale era secondo l' equità, secondo lo scopo della loro intrapresa, e secondo l' idea ch' essi eransi formata del loro capo. In tal caso egli esercitava un governo, e faceva loro un beneficio, giacchè amministrava la giustizia, metteva ordine colla sua autorità nel riparto dei terreni, e non venivano defraudati delle aspettate ricchezze. Che cosa nasceva mediante una simile operazione? che tutti i compagni d' armi del capitano supremo, e tutti i soldati ricevessero la loro porzione di terra dalle mani del loro duce; giacchè era egli quello che la divideva e che l' assegnava a ciascuno. Egli era naturale ancora che riconoscendosi per una legge conforme all' equità, che i terreni fossero divisi secondo il merito e la dignità di ciascun soldato, secondo che cioè ciascuno aveva influito a conquistarli, così pure ritenessero il concetto d' un premio o di una mercede; e di più che come gli avevano ricevuti dal loro capo, così restasse al medesimo capo la facoltà di ritirarli se si rendessero infedeli e se perdessero con ciò il titolo primitivo di fedeltà e di bravura. Come non bastava aver conquistate le terre se non si continuava a difenderle contro gl' inimici; quindi le terre dovevano ritenere il loro carattere primitivo di esser premio del valore e della fedeltà. Egli è questo che spiega come in principio i feudi fossero amovibili. A confirmar ciò si aggiungono i costumi che i conquistatori del settentrione ritraevano da' loro padri. [...OMISSIS...] Cesare pure dice: [...OMISSIS...] Infatti una nazione, ossia un' aggregazione di famiglie, ha bensì desiderio di vivere agiata, comoda e ricca; ma del rimanente ella lascia ben volentieri a' suoi capi la cura di far le porzioni, purchè creda ch' essi le facciano con equità, e di dirigerla in tutto. Quindi essa non è difficile a lasciar anche a' medesimi ogni onore, a prestare ogni riverenza; a ricevere dalle loro mani le terre, purchè però le ricevano; a riconoscere in essi il diritto di disporre delle medesime in tutto ciò che riguarda la conservazione dell' ordine, della giustizia, della pubblica quiete e tranquillità. Ma sebbene tutto ciò era facilissimo e naturalissimo a supporsi in teoria, tuttavia era altrettanto facile, che in pratica non si restasse contenti della divisione delle terre; e se in ciò succedeva un malcontento, già cominciavano a manifestarsi i limiti dell' autorità principesca. Il ricevere che si faceva le terre dalla mano del principe, ed il diritto che egli aveva di distribuirle secondo la giustizia, faceva supporre ch' egli ne fosse il proprietario. D' altra parte la condizione a cui era soggetto, cioè di non poterle ritenere per sè, e di doverle distribuire con giustizia, rendeva quella proprietà che gli si attribuiva una proprietà di nome e non di fatto: ed è ciò che faceva nascere quella finzione di proprietà di cui parliamo. Ma ben presto si si accorse che quella finzione di proprietà, che quel diritto di distribuire in premio tali ricchezze era pericoloso: che l' equità a lungo difficilmente veniva conservata. Anche venendo conservata v' erano sempre cagioni di lamentanza, giacchè l' avidità fa credere a tutti di avere un diritto maggiore alle ricompense. In tutti questi casi la nazione cominciava a considerare l' autorità principesca come quella che portava delle conseguenze dannose sulle proprietà private, non custodiva più semplicemente l' ordine generale, non era più un semplice beneficio. La nazione dunque risentendosi di queste conseguenze doveva cercare di porre un limite alla sovrana autorità; e delle terre il principe doveva perciò disporre di consenso della nazione. [...OMISSIS...] E` però osservabile che il principio delle leggi feudali, il quale attribuisce al principe la proprietà delle terre per la ragione detta, non era che una espressione inesatta: non si parlava con precisione, perchè non si era arrivati a pensare con precisione. La mancanza di precisione in quell' idea consisteva in una mancanza di distinzione: non si era arrivati a distinguere col pensiero, e colle parole, il diritto dalla modalità del diritto: e invece di dire che il principe aveva la modalità della proprietà, si diceva che il principe aveva la proprietà delle terre. La cosa però si sentiva ben distinta nel fatto: ed appena che il principe passava dal disporre della modalità al disporre della proprietà , i proprietari subitamente se ne risentivano. Non restava però che quella falsa espressione non producesse dei gran disordini: il principe che poteva mostrar le leggi, che davano a lui la proprietà delle terre, poteva altresì rinfacciare d' infedeltà e d' insubordinazione i proprietari che si lamentavano de' suoi arbitrŒ. Intanto se la lite fosse stata deferita ad un giudizio, e se i giudici avessero avuto l' obbligo di stare alla lettera della legge, il principe avrebbe avuto sempre ragione. I proprietarŒ non avrebbero potuto che opporre la costumanza, e richiedere che a questa si ricorresse per l' interpretazione della legge: ma la costumanza stessa come era venuta a pugnar colla legge? se non perchè la legge era mal espressa? Che se la legge ebbe sempre la costumanza in contrario, ciò mostra che le parole non mutano le cose, e che la ragione comune o sia il buon senso quantunque non sapesse render ragione di sè stesso, tuttavia non si piegava però alle teorie della gente di legge: il che però non toglie che l' inesattezza d' espressione nella legge non incoraggiasse il cattivo principe ad operare con maggior arbitrio, e con minor ritegno. Per tutto ciò non è meraviglia se l' officio che aveva la corona di dirigere la modalità della proprietà feudale mal usata, eccitasse dei nazionali tumulti. In Francia se n' ha esempio già nel secolo VII. Così di nuovo Montesquieu: [...OMISSIS...] Non era già che non si riconoscesse nella corona il diritto di disporre dei feudi, ma questo diritto non si ammetteva in fatto che fosse simile a quello col quale un padrone dispone della sua proprietà, sebbene la legge malamente, come dicevamo, supponesse i feudi proprietà della corona. In fatto, dico, non erano tenuti tali; poichè se fossero stati considerati veramente tali, non vi sarebbero state tante opposizioni sul modo col quale la corona ne disponeva. Si attribuiva alla corona solo la modalità di un tale diritto, solo la disposizione de' medesimi a vantaggio comune. Per ciò con ragione Montesquieu: « « Può darsi che se il motivo della rivocazione dei doni fosse stato il ben pubblico, non si sarebbe aperta bocca; ma si faceva mostra dell' ordine senza occultare la corruttela: reclamavasi il diritto del fisco a talento, e i doni non furono più la ricompensa o la speranza dei servigi. Brunechilde con uno spirito corrotto corregger volle gli abusi della vecchia corruttela: i suoi capricci non erano quelli di uno spirito debile; i feudi ed i grandi officiali si videro rovinati, ed essi se ne disfecero. »1) » Se Montesquieu avesse a pieno conosciuto questa finzione di proprietà, e non fosse restato ingannato dalle parole della legge feudale, egli non avrebbe presa la proprietà della corona sui feudi per un argomento da convalidare il suo sistema sulla conquista dei Franchi. Ecco co m' egli argomenta: [...OMISSIS...] Certamente; se la proprietà sulle terre feudali fosse stata vera e non finta dalla legge, ma come dicevamo il re non aveva che la modalità delle proprietà, e non la proprietà stessa: era governatore e non possessore. Nè ci si opponga che noi confondiamo la proprietà di diritto e di fatto. Egli è vero che basterebbe, che la corona fosse priva della proprietà di fatto, perchè ella fosse già debile a sostenersi. Ma noi diciamo che le mancava anche la proprietà di diritto; poichè per esservi questa conviene provare che v' abbia il titolo. Supposta dunque l' occupazione un buon titolo, il capitano della nazione conquistatrice non era stato egli solo l' occupante, ma insieme co' suoi commilitoni 1): la nazione condotta da lui non si era già resa sua serva, ma si era solamente sottomessa a lui per esser diretta nella conquista; perchè il suo moto fosse regolato, e la sua impresa fosse diretta con unità. La proprietà dunque delle terre conquistate apparteneva alla nazione conquistatrice, e non esclusivamente al suo capo. Ma questa come aveva avuto bisogno d' esser diretta nella guerra, così aveva bisogno di un ordine nella divisione delle terre: e questo era naturale, che lo ricevesse dal suo capo. La incombenza dunque e il diritto di questo capo era di governare, di metter ordine, di dirigere il bene comune della nazione: senza che per questo egli acquistasse una vera proprietà sui beni della medesima. Ma si vuole una prova evidente che la nazione non ha mai creduto che i suoi principi avessero una vera proprietà sui terreni? basta osservare che una porzione di terreni divisi rimaneva al principe: (Roberts. 11 .35) la qual porzione sarebbe stato assurdo attribuirgliela, quando già fossero state sue egualmente tutte le altre. La legge dunque che ora parla di una proprietà del principe sulla porzione a lui assegnata: ora parla della proprietà del principe sui feudi, o sia sulle porzioni distribuite agli altri duchi e signori componenti la nazione, usa il nome di proprietà in due sensi totalmente diversi: e solamente nel primo caso si parla di una vera proprietà; mentre negli altri casi con questo nome di proprietà non si debbe intendere che un diritto di regolare per il ben nazionale le proprietà comuni. Quando anche supponessimo adunque che tutti i terreni della nazione fossero feudi amovibili, non ne verrebbe già per questo, che il potere del re fosse assoluto come quello del sultano di Costantinopoli: anzi egli si rimarrebbe ancora troppo scarso di fatto, perchè troppo grande di diritto, cioè a dire il potere civile potrebbe esser di più della proprietà e però darsi lo squilibrio di cui parliamo fra la proprietà ed il potere. E questa debilezza del potere sovrano fu realmente sentita: ed è appunto ciò che ha fatto ritrovare il ripiego di una finta proprietà, come dicevamo, la quale tenga come il luogo della vera, e coll' impressione che può fare sugli animi una tale supposizione, sostenga in qualche modo il trono. Ma si noti bene che la debilezza del trono può manifestarsi in una doppia maniera, poichè o il trono può essere debile relativamente alla nobiltà e all' interna costituzione; o il trono può essere debile per difendere la nazione dai nimici esterni. Nel secondo caso la nazione stessa sente la debilezza del trono, e s' interessa di fortificarlo; ma nel primo caso la nazione non se ne interessa punto, e gli ordini principali della nazione riguardano con piacere la debilezza del trono; giacchè la loro potenza è appunto in ragione di quella debilezza. Il primo caso succede nelle nazioni che hanno a difendersi continuamente dagli inimici esterni; il secondo nelle nazioni già consolidate e pacifiche. Egli è per questo che gli elettori dell' Imperio germanico preferivano un principe debile ad un principe forte: ed è il vizio delle monarchie elettive. La legge adunque feudale, che mise per base la finta proprietà del sovrano su tutte le terre, nacque in tempi ancora pieni di guerre, e la sua estensione è dovuta al bisogno in cui le nazioni si ritrovarono di dar al loro capo una forza valevole, perchè potesse salvare la nazione sì dagli inimici esterni che dagli interni. Poiché non fu già introdotto il feudalismo in tutte le nazioni d' Europa per la stessa causa della conquista, ma in alcune fu introdotto come una instituzione atta a rendere forte la corona. Ci valga a provar ciò l' esempio dell' Inghilterra, nella quale ecco come la legge feudale s' introdusse, secondo il racconto che ne fa il commentatore delle leggi inglesi Blackstone. Egli è d' opinione, che il sistema feudale si conoscesse assai poco in Inghilterra al tempo dei Sassoni, e che vi fosse universalmente introdotto soltanto dopo la conquista dei Normanni. Ma riguardo al modo onde tal sistema s' introdusse, ascoltiamo lui stesso: [...OMISSIS...] Il vizio adunque del sistema feudale era quello di non convenire se non ad una nazione che fosse costretta ad esser sempre sull' armi per defendersi dagli esterni inimici. In tali casi urgenti il diritto che ha il principe di dirigere la modalità nazionale si estende assai, giacchè egli può fare tutto ciò che è necessario per salvar la nazione. Egli è in tali casi che la nazione è ben disposta a fare i più gran sacrifici per sostenersi; e quindi, come abbiamo veduto coll' esempio dell' Inghilterra, anche ad accettare il sistema feudale. Come la nazione andrebbe a perire se il principe non avesse dei soldati fedeli, e stretti d' intorno a lui, o per dir meglio se tutta la nazione non pugnasse ordinata e unita insieme come una persona sola: così si andò in cerca di un' invenzione che obbligasse i guerrieri della nazione, cioè tutti gli uomini capaci di guerreggiare, a trovarsi intimamente legati col principe. Un simile espediente fu suggerito alle nazioni conquistatrici dalla stessa natura della conquista. Nel primo tempo che il popolo conquistatore entrava nel paese di sua conquista, tutto il terreno si ritrovava ancora indiviso, e appartenente ancora tutto intero a tutta la nazione. Non avendo adunque alcuno proprietà particolari, e perciò non avendo nessuno attaccato l' affetto a dei fondi particolarŒ, come nasce in quelli che sono già proprietarŒ, la nazione poteva in quel tempo provvedere comodamente a due scopi cioè al bene de' suoi membri, e al bene di tutta la nazione; ad arricchir bensì quelli coll' attribuir loro i terreni, ma nello stesso tempo a conservar la nazione forte come quando guerreggiava sotto il suo capo. A conseguir insieme questi due scopi non si poteva trovar nulla di meglio, che quanto: 1 far sì che tutti i membri della nazione ricevessero le terre divise dalla mano del loro capo, perchè con ciò si otteneva il primo fine: 2 che le ricevessero coll' obbligo del servizio militare perchè in tal modo si otteneva il secondo fine. Quegli che riceveva il feudo giurava al Signore e dichiarava « « che egli diveniva da quel giorno suo uomo 1) col pericolo della vita, dei membri, e dell' onor temporale. » » In fatti non v' era un modo più efficace per costringere al servizio militare questi nuovi proprietarŒ, quanto col far dipendere dal comandante le loro proprietà: col far che le riconoscessero da lui, e col dar a lui il diritto di privarli delle medesime se non conservassero la dovuta fedeltà. Questa instituzione era un' ottima precauzione colla quale una nazione guerriera, che riconosceva tutto dalla guerra, e che nella guerra sola riponeva la sua forza e la sua sussistenza, cercava d' impedire, che i suoi membri col rendersi proprietarŒ, e coll' adagiarsi in una vita pacifica e comoda non si ammollissero e snervassero, e non diventasse loro impossibile di staccarsi dalle care loro proprietà, quando la salute comune esigesse che corressero a schierarsi sotto le bandiere del loro duca. Per conoscere tuttavia che tanta potestà data al capo della nazione non era altro che il diritto di dirigere la modalità assai esteso quanto richiedeva l' esigenza delle circostanze, basterà che noi traduciamo l' instituzione feudale in parole proprie: e che evitando tutte le espressioni equivoche, la vestiamo delle espressioni che ci verrebbero suggerite da una legislazione più lucida e più conforme al modo di pensare dei tempi moderni. Supponiamo adunque che in un' assemblea, nella quale la nazione conquistatrice trattasse del modo di ripartire il paese di conquista, il condottiero della medesima sorto a parlare avesse detto così: « Miei compagni! voi siete giunti col vostro valore a rendervi padroni di un paese fertile, dove sarete a pieno compensati dei vostri travagli e premiati della vostra bravura. Ma la fertilità del terreno e la dolcezza del clima può snervare la forza del vostro carattere, e farvi perdere la gloria dei vostri antenati e la vostra. D' altro canto voi siete ancora attorniati d' inimici, e genti robuste e numerose portano invidia alla vostra fortuna. Ciò, che finora vi ha fatto trionfare di tutti gli ostacoli, fu il seguire con unanimità il vostro comandante, e disprezzare al suono della sua voce i travagli e la morte. Ma divisi da lui in un vasto paese, e guasti dall' ozio della vita privata e comoda, voi diverete facile preda di qualche altra gente, che sarà forte come voi siete ora, mentre voi sarete deboli come poco fa erano gl' inimici che avete distrutti. Non trovo dunque alcun mezzo perchè voi conserviate il presente stato glorioso e felice, se non quello che vi obblighiate con giuramento a correr tutti sotto l' insegna del vostro capo, quando la nazione è in pericolo. Ma molti di voi più affezionati alla loro vita tranquilla che memori della giurata promessa, resteranno vilmente a casa; onde le promesse che qui tutti siete disposti a fare saranno inutili, se il vostro capo non ha il modo di punire gli spergiuri, e di provvedere che per la inerzia d' alcuni non periate tutti. Or come ciò che seduce costoro ad abbandonare la causa comune è l' amore troppo grande alle proprietà, perciò io propongo che il capo della nazione abbia autorità di privarli delle medesime: io propongo che tutti voi riconosciate di ricevere le proprietà con questa condizione di prender l' armi alla voce del vostro capo: che la porzione di terra che toccherà a ciascuno di voi non sia considerata che come un premio della fedeltà alla voce del vostro condottiere, giacchè questa fedeltà è stata quella che vi ha resi vittoriosi: io propongo che come dal vostro capo ricevete l' ordine della battaglia, così pure riceviate la proprietà dei terreni, come un premio dell' obbedienza di quest' ordine. Voi tutti dunque che riceverete la vostra porzione di proprietà lasciate alla nazione una garanzia della vostra futura obbedienza e fedeltà col ricevere la proprietà sotto una tale condizione. Se voi siete ora degni di aver un premio, perchè col vostro valore avete conquistata questa terra, riconoscete altresì che vi rendete degni di perderla dall' istante che ricusaste difenderla. »1) E` dunque evidente che l' instituzione feudale non è che un' instituzione politica, un mezzo per render forte la nazione costretta di star sulle armi per difendersi da' suoi nimici. Il diritto che ha il principe sulle terre in tali istituzioni, non è che il diritto di punire quelli che non si prestano alla difesa della nazione, e per la colpa dei quali la nazione verrebbe in pericolo di perire. Ella non può esser dunque la costituzione feudale una costituzione stabile; poichè ella non ha riguardo che allo stato di guerra: ad uno stato in cui la nazione o debbe essere forte o debbe perire. In tali circostanze la nazione è disposta di fare i più grandi sacrificŒ ed i proprietarŒ si accontentano di diminuire la forza de' loro diritti sui loro fondi per non perderli intieramente. Egli è il caso, come diceva, in cui la modalità diretta dal principe prende una grande estensione. Ma appunto perchè la modalità, che è l' oggetto del governo si allarga e si restringe secondo le circostanze, perciò è difettosa quella costituzione che vuol dare a tale modalità una misura stabile: e questa costituzione non può durare se non in quel tempo in cui la modalità oggetto del governo, è nè più nè meno della misura fissata. Poichè venendo quel tempo in cui quel governo non abbia bisogno di usare tutta quella misura di modalità per il ben pubblico, se la vorrà usar tutta, si renderà tirannico; ed all' incontro in altro tempo in cui le esigenze del ben pubblico costringano il governo a disposizioni più larghe, le quali trapassino la misura della modalità fissata dalla costituzione, egli non potendo trapassare quella misura, sarà troppo debile per salvare la nazione. Di che per dirlo di passaggio si può cavare questa regola circa la bontà delle costituzioni: « Che la costituzione debbe bensì assegnare tali mezzi per li quali il governo non osi di passare fuori del circolo della modalità, ma nello stesso tempo non debbe stabilire la misura della modalità perchè questa essendo variabile secondo le circostanze della nazione, la costituzione diverrebbe con ciò inopportuna al sopravvenire nella nazione una nuova circostanza. » Per applicare la regola alla costituzione feudale basta osservare come fissando essa al governo una misura di modalità tanto estesa, che era bensì adattata in tempi di guerra, nei quali l' ordine pubblico era ad ogni momento in pericolo, diventava inopportuna tostochè tale circostanza si mutasse, e si venisse a stabilire di più la nazione e a trovarsi in istato di maggior sicurezza e quiete, nel quale stato la influenza del governo, o sia la modalità, meno si doveva estendere. In simile tempo la nazione, che non vuole mai che il governo faccia se non quel tanto che è necessario per la sua salvezza e prosperità, si sforza di tirare in dietro quanto prima aveva troppo liberalmente conceduto, e con ciò viene a distruggere quella costituzione ch' ella stessa prima aveva imprudentemente fondata od acconsentita. E` una cosa molto istruttiva l' osservare come la costituzione feudale che assegnava una modalità tanto estesa al governo da dargli fino il diritto di proprietà sulle terre, venisse bel bello ristretta e così guastata. La nazione cercò sempre di tirare indietro una tale concessione fatta da lei a' suoi capi in tempo di grande pericolo: cercò dìco di tirarla indietro in ragione che l' esperienza le dimostrò, o pure che l' avidità le fece sperare che il governo non avesse bisogno di tanto, o sia in ragione che giudicò che le circostanze del paese non esigessero che il governo avesse a disporre d' una misura sì grande di modalità. L' esperienza a ragione d' esempio fece conoscere alla nazione ciò che non aveva preveduto in principio, non essere ogni maniera di guerre d' un interesse nazionale; ma avervene di quelle che non riguardavano se non l' interesse del loro capo. S' accorse adunque che l' obbligazione del servizio militare stabilita nella costituzione feudale per la guerra in genere, poichè non si aveva idea d' altra guerra che di quella che riguardava la difesa del paese conquistato, era troppo estesa; ed essa cercò quindi di limitarla alla guerra difensiva e nazionale. A quest' avvertenza dieder occasione le guerre insorte tra' figliuoli di Carlo Magno, di cui ecco la disposizione che ne conseguì, e che narrerò colle parole di Montesquieu. « « Al tempo di Carlo Magno era altri obbligato sotto gravissime pene di recarsi alla convocazione per qualsivoglia guerra: non si ammettevano scuse, ed il conte stesso che n' avesse esentato alcuno sarebbe stato punito. Ma il trattato dei tre fratelli (anno .47) pose sopra di ciò tal restrizione che tolse per dir così dalle mani del re la nobiltà: altri non fu più tenuto a seguire il re alla guerra se non quanto questa fosse difensiva, nelle altre era libera o seguire il suo signore, o accudire a' suoi affari. Questo trattato si riferisce ad un altro fatto cinque anni prima fra i due fratelli Carlo il Calvo e Luigi re di Germania: in vigor del quale dispensarono questi due fratelli i loro vassalli ove avvenisse che l' uno contro l' altro tentasse alcuna impresa: cosa che giurarono i due principi, e che giurar fecero ai due eserciti. » « La morte di centomila francesi fece pensare a quella nobiltà, che ancora restava, che per le private risse de' suoi re intorno alla lor divisione sarebbesi alla perfine distrutta, e che la loro ambizione e gelosia farebbe versare tutto quel sangue che pur rimaneva. Fu fatta questa legge che la nobiltà non verrebbe astretta a seguire i principi alla guerra se non se quando si trattasse di difendere lo stato da una straniera invasione. »2) » Si rileva da Nitardo che questo trattato fu fatto dalla nobiltà. Fino dunque che il principe poteva esercitare con libertà il diritto feudale di togliere e di dare le terre, cioè fino che la nazione glielo permetteva costretta dalla necessità di sostenersi, la finzione della proprietà del principe sulle terre aveva qualche cosa di reale; poichè se non le faceva coltivare a suo pro, usava però di frequente il diritto di toglierle e di donarle, il quale essendo solitamente un atto di proprietà, faceva si che sembrasse realmente che il principe avesse la proprietà delle terre, E` vero che il togliere ed il donar le terre nel principe non era che un atto del potere governativo, da non confondersi mai con quell' atto, col quale il padrone del campo lo dà altrui in usufrutto. Ma come quell' atto era il medesimo che questo, e non differiva se non dal titolo col quale si faceva; giacchè il principe lo faceva per titolo di governo, ed il padrone per titolo di proprietà, così era ben facile confondere questi due titoli in un titolo solo, o sia scambiare l' uno coll' altro. Ma se la proprietà dura sempre in una misura eguale; il potere governativo all' incontro varia secondo i bisogni del paese. Laonde venendo il tempo in cui non si rendesse più tanto necessario di esercitare con frequenza quel diritto feudale del principe di togliere e di donare le terre; doveva quella finzione di proprietà che la legge dava al principe sempre più apparire come una cosa vana e chimerica, e rendersi tanto più cagione di mali quant' ella più mancava di fondamento. Una tale costituzione pertanto aveva il doppio difetto che rendeva il principe prodigo, e la nazione vie più avida ed avara. Quindi in ragione duplicata cresceva lo squilibrio fra la proprietà ed il potere civile. Giacchè la forza del re era riposta nel donare, egli era messo sopra una strada opposta all' economia, d' altro lato non era già altrettanto facile il togliere ciò che era stato donato giacchè con ciò si formava dei nemici. I Signori all' incontro i quali erano stati avezzi di dare il loro affetto e la loro fedeltà al re sempre in cambio dei doni che ricevevano, erano messi sopra una strada anche troppo economica, giacchè teneva sempre viva la loro avidità. Quindi mentre la corte prendeva un alto e nobile tuono di cortesia e di generosità, rendendosi in sostanza con ciò stesso sempre più debile, i Signori all' incontro praticavano l' arte dell' avere quanto più potevano dal sovrano con raggiri, con bassezze, con dare ora speranza, ed ora con isparger timori, vivendo sopra una continua speculazione di guadagno che li rendeva sostanzialmente più forti. Abbiamo veduto come venne limitato l' aggravio del servizio militare: veggiamo adesso come la nobiltà si venisse assicurando le sue ricchezze, e un grado alla volta spogliando la corona di tutto quel poco di reale, che poteva avere la finzione legale di proprietà sulle terre. Primieramente l' introduzione dei suffeudi indebolí l' autorità del re: [...OMISSIS...] Ma i progressi della nobiltà nel diminuire la potestà feudale del re sulle terre, non si vedon meglio che tenendo dietro alle mutazioni successe nel tempo in cui furono dati i feudi. Carlo Martello, seguendo la conghiettura dell' Abate Mably, fu il primo che invece di darli a tempo come per innanzi, cominciò a darli a vita; poco dopo divennero ereditarŒ. L' anno ..9 Eude di Parigi re di Francia concedette delle terre a Ricabodo suo vassallo pel tempo di sua vita, e di più con questa condizione favorevole, che morendo con un figliuolo, questi pure le godesse a vita. Ciò fu un primo passo dei feudi ereditarŒ in perpetuo. Il secondo passo fu quello di rendere i feudi ereditarŒ in linea retta maschile; il terzo quello di renderli ereditarŒ anche in linea collaterale: il quarto finalmente fu quello di renderli ereditarŒ anche in linea femminile. Ridotti i feudi a quest' ultimo stato la proprietà, che sopra di essi attribuivasi al principe, non aveva più nulla affatto di reale: ed era una finzione vanissima. E tuttavia « « anche dopo ch' ebbero ricevuta quest' ultima forma » - dice Robertson - «i giureconsulti trattando de' feudi continuarono a definirli conformemente alla loro prima instituzione; ma la proprietà non apparteneva più al Signor superiore ed era passata in effetto nelle mani del vassallo. » » Questa servilità pecoreccia de' giureconsulti nell' applicare le parole e le difinizioni antiche alle cose nuove, a cui non sono applicabili, portò sempre un gran male nella società. Il principe dalle parole della legge s' illudeva, e s' imaginava di ritenere in qualche modo una padronanza di cui non gli rimaneva che il nome. I nobili all' incontro che lasciavano ben volentieri al principe tutte le parole ampollose, mantennero sempre il loro costume, cioè la loro industria per tirare a sè l' effettiva ricchezza; tanto la generosità del principe quanto l' avidità dei Nobili più esercitandosi più s' accrescevano, e diventavano senza confini: e, se non vi fossero state le crociate che hanno alquanto abbassato i nobili impoverendoli, e rilevata l' autorità dei principi rimettendoli alla testa delle loro nazioni, probabilmente tutte le società civili d' Europa sarebbero degenerate in funeste oligarchie. Non furono già contenti i nobili di rendersi così assoluti padroni delle terre, ricevendole dal principe a titolo di feudi; ma col gioco d' un simile titolo il quale lasciava ai principi apparentemente la proprietà delle cose, seppero strappare dalle mani principesche anche le rendite casuali dello stato, come i diritti di assisa e di pedaggio i porti dei fiumi, i salari o gli emolumenti degli offici, e gli offici stessi si mutarono in simiglianti feudi ereditari. L' avidità de' nobili che non aveva limiti si impossessò di tutto ciò a cui poteva, sebbene assurdamente, attaccare il comodo titolo di feudo. Chi crederebbe che l' elemosine stesse delle messe dette ad un tale altare, le ottenessero dei Baroni possenti a titolo di feudo, e le partissero come le altre proprietà fra i loro vassalli? 1) Le grandi cariche della Corona divennero ereditarie quasi per una certa necessità proveniente dallo spirito d' usurpazione della nobiltà, a cui i principi erano troppo debili per resistere, sebbene talora facessero qualche sforzo. In fatti si hanno degli esempŒ di principi che obbligavano quelli a cui conferivano qualche carica o dignità, di riconoscere con un atto formale che nè essi nè i loro eredi potevano pretendere di possederla per un titolo ereditario. 1) [...OMISSIS...] Così gl' istorici riflessivi sono condotti dai fatti a riconoscere l' esistenza continua della legge di cui parliamo, dell' equilibrio cioè tra la proprietà ed il potere. Si poteva indicarla con più chiarezza di quello che faccia in questo passo Robertson? Ma perchè dunque, avendola veduta, negligentare poi di applicarla e di cavarne le feconde conseguenze? Blackstone si scaglia con ragione contro delle sottigliezze dei giurisperiti normanni che avevano guasta l' antica costituzione Sassone; rimprovero che molti fecero anche ai Romani, i quali perfezionando il sistema fondato dalla legge regia legalizzarono il dispotismo. Noi abbiamo fatto vedere che anche la legge regia presso i Romani in sostanza non era che una finzione, giacchè essa opponendosi alla costumanza od al fatto si rimaneva scritta sulla carta, dove è pur facile scrivere ciò che si vuole; ma non era altramente nella reale costituzione. L' essere tuttavia scritta in carta bastava per dare al principe il pretesto di fare quanti arbitrii a lui piacesse, e di usare quella potenza ch' egli avea di fatto per alterare la costituzione antica e rendersi al tutto despota. In fatti anche questo vizio ha la legge feudale; poichè come da una parte invita i nobili a carpire le donazioni del principe, così dall' altra invita il principe ad aspirare ad un pieno dispotismo, conciossiacchè gli dà il pretesto in mano poichè gli fa credere ch' egli sia il proprietario delle terre. Dipende dunque solo dall' indole del principe, e dalle circostanze che gli facciano credere più vantaggiosa una condotta che l' altra, di appigliarsi all' uno dei due partiti a cui egualmente lo invita la legge feudale, l' uno dei quali non è meno pernicioso dell' altro, nè meno capace di esercitare scompigli nello stato. Il primo di questi due partiti è quello di cui abbiamo parlato, cioè ch' egli sia inclinato a donare e a satollare l' avidità dei nobili: il fine del qual partito è d' impoverire a segno la corona da non poterla più sostenere, e gli esempi di ciò gli abbiamo trovati nel regno di Francia e nell' Imperio Germanico. Il secondo partito è quello di farsi realmente conto del preteso diritto che gli attribuisce la formula della legge sulla proprietà della terra: ed in tal modo di aspirare ad un dispotismo, che se non trovasse ostacoli diverrebbe ben presto quello del sultano di Costantinopoli, come notammo avvenire nell' antico imperio romano per l' abuso della legge regia: e come sarebbe avvenuto nell' Inghilterra per l' abuso della feudalità normanna, se invece la condotta del principe trovando de' forti ostacoli non avesse fatto cadere la pura costituzione feudale, e nascer da quella una costituzione più vera e più moderata. Dopo avere Blackstone parlato delle conseguenze di un potere esagerato che tiravano gli interpreti normanni dalla costituzione feudale, soggiunge: Ma non era già questa stata l' intenzione dei nostri antichi nell' aver assentito alla legge feudale: [...OMISSIS...] Ma se questa legislazione era di mere parole, fu ella men dannosa allo stato? non bastò essa per dar il modo a' Principi di attribuirsi più autorità che non avevano? Questa falsità di espressioni si potè essa correggere senza che la nazione sofferisse delle pene e degli scompigli di fatto? con sì gravi pene adunque debbono scontare le nazioni una semplice improprietà di parlare? « « Guglielmo, prosegue Blackstone, e il suo figlio Guglielmo il Rosso mantennero imperiosamente tutto il rigore delle dottrine feudali; ma il loro successore Enrico I giudicò utile per appoggiare le sue pretensioni alla corona di promettere il ristabilimento delle leggi del re Edoardo il confessore, o dell' antico sistema Sassone. Per conseguente nel primo anno del suo regno concesse una carta per la quale rinunziava ai carichi più oppressivi, mantenendo tuttavia la finzione della tenuta feudale sempre sotto quell' aspetto militare, che aveva spinto suo padre ad introdurlo. »2) » Col mantenimento di tale finzione si conservava il germe degli stessi mali, cioè il pretesto pel quale il principe potesse ritornare di fatto a quelle pretensioni e a quell' estremità di potere che non gli conveniva già per il suo grado principesco, ma che gli sarebbe bensì convenuto se invece d' esser principe fosse stato padrone, invece d' aver de' sudditi, avesse avuto de' servi; se in una parola la legge feudale non fosse stata una finzione, e il principe avesse realmente avuto la proprietà sulle terre. E in fatti che avvenne della Carta data da Enrico I? « « Questa Carta fu rotta per gradi, e le precedenti oppressioni furono rinnovellate e raggravate da lui stesso, e da' suoi successori fino al re Giovanni: esse divennero sì intollerande nel regno di quest' ultimo, che i suoi principali baroni e feudatarŒ si sollevarono e pigliarono le armi contro di lui; ciò che produsse finalmente la celebre Gran Carta di Runing7mead , confirmata poscia, eccetto qualche modificazione, da Enrico III suo figlio. »1) » E fu l' essersi i re d' Inghilterra e quei di Francia appigliati ai due opposti partiti che loro somministrava la legge feudale, cioè quei di Francia alle donazioni con cui ingrandivano i nobili, e quei d' Inghilterra al dispotismo con cui gli opprimevano, che ne vennero poscia le conseguenze, che i re di Francia avessero bisogno di confederarsi col terzo stato contro dei Nobili; mentre la Nobiltà d' Inghilterra ebbe bisogno di confederarsi col terzo stato contro del Re: nel che si può dire che consista ciò che formò il carattere politico di quei due regni. [...OMISSIS...] Dopo tutto ciò che s' è detto fin quí per provare colla via dell' esperienza, che la legge caratteristica della civile Società, e d' una saggia costituzione, consiste nell' equilibrio fra la proprietà ed il potere, resta una difficoltà che ci si può fare: Come mai i popoli più saggi che hanno traveduta questa legge, che hanno anche fatte delle instituzioni ad essa consonanti, non hanno poi recato alla perfezione il sistema e non hanno organizzata la Società unicamente su questa legge? La risposta è in pronto: se ciò avessero fatto, si sarebbero potuti benissimo censurare, come quelli che si avrebbero resi schiavi di un sistema, ed avrebbero con ciò abbandonata quella piena e molteplice sapienza che suggerisce la maggior maestra degli uomini, l' esperienza. Dopo le cose dette, a noi riesce facile anche d' indicare con precisione in che sarebbe consistito il loro errore: in che avrebbe peccato di sistema l' organizzazione della società civile fatta unicamente secondo la legge dell' equilibrio fra la proprietà ed il potere. L' errore di cui parliamo rende ragione del fatto che ci si oppone, ed in questa maniera fa sì che quel fatto si renda una nuova prova della nostra teoria. L' errore sarebbe consistito nel sottomettere alla detta legge tutta la società civile; mentre egli deve essere diviso in due parti, cioè: nel morale e nell' amministrativo; ed è solamente l' amministrativo quello che va organizzato secondo l' equilibrio della proprietà e del potere, e non già il ramo morale o giudiciale, il quale va organizzato nella forma di tribunale. L' organizzare tutto il potere civile a norma della sola legge dell' equilibrio fra la proprietà ed il potere, produrrebbe due gravi disordini: 1 una parte della società sarebbe sacrificata; disordine contro la felicità comune: 2 la rettitudine sarebbe fatta servire alla ricchezza, disordine contro la moralità e la giustizia. La parte della società sacrificata sarebbero tutti gli uomini privi di beni di fortuna; poichè i diritti personali non vi avrebbero come tali nessuna rappresentanza, nessuna attività, nessuna voce da far intendere la loro ragione, perchè non sieno oppressati. Ora l' organizzazione fatta puramente secondo la legge dell' equilibrio fra la proprietà ed il potere doveva necessariamente incontrare una reazione. Nè solo doveva incontrare una reazione dagli uomini privi di proprietà, ma in generale dall' elemento personale. Per ischiarire la cosa bisogna considerare tutti i diritti, o beni posseduti dagli uomini tutti, congiunti ad una energia o forza, mediante la quale tendono di difendere sè stessi, cioè di conservarsi e di ampliarsi. Or dunque nella società umana come vi sono due specie di diritti, personali e reali, così vi sono due forze o due energie corrispondenti alle due specie di diritti. Queste energie o instinti che ha l' uomo di difendere il suo diritto, porta ciascun uomo ad aspirare al potere politico come ad un mezzo inserviente alla difesa dei proprŒ diritti. Or dunque il potere politico viene come strappato e tirato da due forze: cioè dalla forza veniente dal diritto personale e dalla forza veniente dal diritto reale. Ora siccome il diritto personale è eguale in tutti, così la forza proveniente da questo diritto tende a dividere il potere civile in porzioni eguali fra tutti gli uomini; mentre all' incontro siccome il diritto reale è disuguale negli uomini, così questa forza tende a dividere il potere fra gli uomini in porzioni diseguali. Se non esistesse altro che la forza proveniente dal diritto reale, egli è certo che il potere civile si troverebbe ben presto diviso fra gli uomini allo stesso modo come si trovassero fra essi divise le proprietà e le ricchezze, che formano il detto diritto; nel quale caso la legge dell' equilibrio fra il potere e la ricchezza verrebbe compiutamente a realizzarsi per le sole forze della natura. Se all' incontro non esistesse nell' umana Società altro che la forza veniente dal diritto personale, egli è certo che in breve tempo il potere civile sarebbe diviso egualmente fra gli uomini e verrebbe a realizzarsi rigorosamente colle sole forze della natura il sistema della rappresentazione personale. Ma poichè nella Società umana non esiste già una sola di queste due forze, ma esistono e operano contemporaneamente tutte due; quindi era impossibile che le Società civili prendessero l' una o l' altra di queste due forme semplici: era impossibile che il potere civile si dividesse rigorosamente in ragione delle ricchezze o pure che il potere civile si dividesse con una perfetta eguaglianza fra gli uomini. Invece di ciò che ne doveva seguire? doveva seguire che le società di loro natura prendessero un' organizzazione che fosse media proporzionale fra quelle due estreme, in cui il potere civile nè fosse diviso in parti eguali fra gli uomini, nè fosse perfettamente diviso in ragione delle ricchezze. Dopo di ciò riuscirà facile a spiegare la ragione di certe parti che s' incontrano nelle migliori costituzioni sociali, le quali a primo aspetto sembrano irregolarità, e il primo pensiero che viene è il desiderio che fossero tolte, perchè si rendesse più semplice, più uniforme, più elegante la costituzione. Bisogna osservar ciò nelle costituzioni più eccellenti e specialmente in quelle nelle quali i legislatori hanno spiegato la maggior forza di spirito in ben calcolare le forze della natura, poichè trovando in queste costituzioni stesse delle irregolarità, bisogna dire che i legislatori non le abbiano potute evitare, e che anche volendole, abbiano incontrato un ostacolo insuperabile che veniva loro opposto dalla stessa natura delle cose. Per esempio noi abbiamo veduto quanto bene Servio Tullio abbia veduto la legge dell' equilibrio fra la proprietà ed il potere e con quanta sapienza abbia cercato di fondare sopra di essa la costituzione romana, instituendo i comizŒ centuriati. Ma perchè poi dopo questa bella instituzione il capolavoro della romana politica, il popolo romano tuttavia si assembrava ancora talvolta a deliberare per ComizŒ curiati e tributi? Queste specie di ComizŒ non sembrano una irregolarità rimasta nella costituzione romana? Un legislatore sistematico e superficiale avrebbe tentato di abolire questi vecchi costumi adattati alla rozzezza dei tempi di Romolo e inopportuni alla cultura dei tempi moderni; ma egli è assai probabile che senza riuscirvi avrebbe messo in grave pericolo la repubblica, o almeno se stesso. In fatti i Comizi per curie e per tribù era la rappresentazione dei diritti personali, come i ComizŒ per centurie era la rappresentazione di diritti reali: e come non era possibile distruggere la forza personale, giacchè esiste in natura: così sarebbe stato impossibile, sarebbe stato una violenza contro natura l' intera abolizione dei ComizŒ curiati e tributi. Essi hanno preceduti i ComizŒ centuriati, essendo stati instituiti da Romolo, e la ragione di ciò l' abbiamo data quando abbiamo osservato, che nel primo stato di una nazione prevale la forza veniente dai diritti personali, poichè la proprietà ancora non vi è, o se vi è non fu ancora divisa in parti molto diseguali, o finalmente non ha ancora avuto tempo di esercitare la sua influenza. Ma passati quasi due secoli la nazione venuta al secondo stato di proprietà diseguali, vennero secondo la legge da noi esposta, a prevalere i diritti reali ai personali, e fatta l' instituzione dei ComizŒ centuriati, questi subitamente presero la prevalenza, e trattarono di affari maggiori della repubblica. Ma per quanto questi prevalessero non si potè già fare che soli prevalessero, e la rappresentanza reale fatta in questi, dovette essere temperata dalla rappresentanza personale fatta in quelli: così l' equilibrio fra la proprietà ed il potere non si potè già perfettamente conseguire, ma solamente approssimarvisi. Il difetto del sistema consiste nell' esser questo più ristretto che non è la natura: per amore di semplicità e di regolarità si tralascia qualcheduna delle forze della natura; e di ciò viene il detto, che è diversa la teoria dalla pratica. Le maggiori dissensioni esistenti fra i politici si riducono, ridotte agli ultimi termini, a sostenere gli uni la rappresentanza reale, gli altri la rappresentanza personale: gli uni e gli altri non fanno che un sistema: è una teoria che differisce dalla pratica: la teoria che non differisce dalla pratica sarà quella che insegna a far che coesistano queste due rappresentazioni, giacchè esistono in pratica le due forze che le producono. Noi le ritroveremo egualmente, se considereremo le costituzioni inglese e francese; e specialmente la prima, dove sembra che la rappresentazione reale più prevalga. La camera bassa rappresenta i minori proprietarŒ. [...OMISSIS...] Ma non è già questo solo l' officio che presta la Camera bassa. Chi ben considera essa non è solo una rappresentazione di proprietà, ma ben ancora di diritti personali. [...OMISSIS...] Ma per vedere come spetti alla Camera bassa anche la difesa dei diritti personali, basta osservare l' incumbenza che nella costituzione inglese ha di sua natura un deputato alla Camera. [...OMISSIS...] Se la Camera bassa rappresentasse solamente proprietà essa non si sarebbe giammai mostrata in così stretta relazione come è coi fautori della rappresentazione personale: i democratici di tutti i paesi trovano sempre facile l' alleanza colla Camera bassa, e le rivoluzioni democratiche cominciano sempre da lei. Se la Camera bassa rappresentasse mere proprietà, probabilmente dopo la caduta del feudalismo avrebbe trovato il modo di unirsi in una Camera sola colla nobiltà, giacchè non differirebbero essenzialmente riguardo agl' interessi di cui assumono l' avvocazia. A malgrado però che i diritti personali nelle migliori costituzioni abbiano trovato il modo di farsi rappresentare meno o più fortemente, secondochè la società è più o meno avanzata, tuttavia la maggior difesa di questi consiste piuttosto nella rettitudine di quelli che influiscono nel governo, che nella stessa organizzazione del medesimo. Rimossa la rettitudine, non solo i diritti personali sono sempre in pericolo d' essere offesi, ma ben ancora la minorità dei diritti in genere; poichè la minorità è sempre di natura sua inetta a resistere contro la maggiorità. Se gli uomini fossero interamente cattivi, la minorità sarebbe sempre sacrificata: e sacrificando l' una dopo l' altra diverse minorità, gli uomini distruggerebbero in breve se stessi. Ma gli uomini non sono interamente cattivi, ma hanno solamente una parte di cattiveria: la quale ora è più grande ed ora è più piccola: dunque la minorità non viene già interamente distrutta, ma viene bensì attaccata ora con più forza ed ora con minor forza dalla maggiorità. Se la minorità si vede attaccata con molta forza, ma non però tale che perda ogni speranza di fare una valida difesa, allora è il caso in cui lo stato si pone in convulsione, poichè la minorità fa tutto il possibile per acquistare la prevalenza: ed allora le forze che essa naturalmente non avrebbe, le acquista per un' energia sforzata, per un impulso violento che produce in se stessa l' entusiasmo e le passioni sollevate: e questo è appunto il caso in cui il governo italiano nel secolo XIII venne in mano alla minorità, cioè alla plebe od ai commercianti; quella forza non era reale e naturale, ma artatamente prodotta od eccitata: bastevole perciò ad abbattere i principi ed i nobili per il momento, ma non a sostenere se stessa lungamente. Da queste osservazioni nasce che ogni opinione che si abbracci in politica, sia favorevole alla rappresentazione personale o sia alla reale, è cattiva fino che non si è trovato il secreto di eliminare mediante il Tribunale politico la rappresentazione personale; poichè in tal caso non restando nella Società che la rappresentazione reale, questa si può organizzare in un' Amministrazione, seguendo rigorosamente la legge dell' equilibrio fra la proprietà ed il potere. Qualche scrittore meno trasportato da partito, che osservò come la rappresentanza personale perderebbe la società privando di difesa tutti quei diritti che risaltano fuor della linea comune, che sono fondati in natura, e che vengono a formare la somma maggiore dei diritti; e che osservò d' altra parte come la sola influenza delle ricchezze nella rappresentazione reale lascierebbe scoperti e indifesi i diritti personali: non seppe poi giungere ad osservare, come la natura spingeva le nazioni a prendere una costituzione media e quasi spinte da due forze diverse a tenere per così dire la diagonale. In fatti fino che il Tribunale non viene diviso dall' Amministrazione quella costituzione media è la più saggia, come quella che viene suggerita dalla natura. Non essendo però giunto a formarsi questa idea precisa si acquietò in un sistema incerto e determinato, dicendo così: « « Il principio sacro, il principio conservatore di ogni governo libero consiste in ciò, che la sovranità non appartenga nè alle classi, nè agli ordini, nè ai consigli, nè agl' individui, che la sovranità appartenga non ad una parte, ma all' intera nazione, che in nessuna parte trovisi chi potrebbe volere in nome di tutti quanto ogni individuo potrebbe volere individualmente, e imporre a tutti i sacrificŒ che ogni individuo potrebbe acconsentire d' imporsi. »1) » Certo la sovranità giova che appartenga all' intera nazione, ma giacchè questa nazione non è che una persona morale composta di persone individuali; bisogna sapere di più, come questa sovranità debba essere divisa fra dette persone individuali, in che ragione debba essere dalle medesime partecipata: tralasciando di definir questo non si dice ancor nulla coll' affermare che la sovranità debba risiedere nell' intera nazione. D' altro lato in qualunque modo sia divisa fra la nazione, rimane sempre una maggiorità ed una minorità di forze: quindi rimane medesimamente insoluto il gran problema: Come si possa difendere ogni minorità contro ogni maggiorità: problema più interessante che non pare a prima giunta; ma che si vede esser tale dove si supponga fatta astrazione dall' elemento morale, il quale salva in parte la minorità; poichè senza questo scudo una successione di minorità sacrificata come dicevamo condurrebbe l' uman genere intero alla sua distruzione. Vuol forse dire l' illustre autore con quelle parole, che la sovranità debbe risiedere nell' intera nazione, ma che non debb' essere stabilita nessuna stabile regola intorno al modo ond' essa venga divisa fra gl' individui della nazione, acciocchè variando di fatto la ragione onde viene partecipata la sovranità dagli individui, il centro di tutte le forze nazionali sia mobile, ed ora si trovi in un punto ora nell' altro della nazione? Non posso credere che voglia intendere ciò; poichè sarebbe lo stesso che abbandonare le cose pubbliche al caso, o negare che possano essere aiutate dalla saviezza, sarebbe ancora un lasciare la sovranità da rapirsi e straziarsi a vicenda da tutti quelli che hanno più forza. Il secondo disordine, che nascerebbe dalla costituzione civile fatta rigorosamente secondo la legge dell' equilibrio fra la proprietà ed il potere, sarebbe la rettitudine fatta servire alla ricchezza; poichè tale costituzione organizzata in un modo al tutto amministrativo non curerebbe di sua natura che gl' interessi, e ciò che è morale sarebbe straniero alla medesima, cioè a dire apparterrebbe alle persone singole, ma non alla Amministrazione stessa presa in astratto. Poichè fu sempre impossibile agli uomini lo spogliarsi di ogni idea nobile ed elevata, di ogni principio morale, che trascendesse tutta l' importanza degli interessi sensibili: e poichè mediante la religione cristiana queste idee sublimi e preziose vennero a rilevarsi e rinforzarsi nelle menti degli uomini; perciò egli fu impossibile, che le nazioni specialmente cristiane organizzassero il loro governo unicamente come un' Amministrazione, che è quanto dire realizzassero a tutto rigore la legge dell' equilibrio fra la proprietà ed il potere. « « Si aveva una certa non so quale vergogna » », così uno storico che più volte abbiamo citato parlando della legislazione de' secoli di mezzo « « ad attribuire tanto merito alla ricchezza che sola potesse collocare un uomo nel primo ordine della Società, nè si voleva accordare la nobiltà come prezzo di quella gara che è tra gli uomini grandissima delle ricchezze; nè stabilire il principio, che i beni in qualunque modo acquistati da un plebeo gli dessero un giusto titolo da essere rispettato ed obbedito da' suoi eguali. »1) » Il principato e la magistratura, che si confuse col potere assoluto, ebbe sempre con ragione aggiunte nel pensare degli uomini le più eminenti idee, e ciò nasceva perchè i due loro principali officŒ, erano: 1 il render giustizia, officio tutto morale, e che fa vedere in quello che lo esercita il vicario di Dio in terra: 2 ed il combattere, officio che diventa pur morale, quando si combatte per la giustizia, quando si combatte non per sè, ma per la difesa del popolo, che si ha ricevuto in cura dalla provvidenza. Il feudalismo che aveva rimesso il principe sul tuono di una generosità, che tutto fa per gli altri e nulla ritiene per se stesso, aveva rinforzate queste idee. La religione le aveva autenticate e sacrate, ed il principe divenne una venerabile imagine della divinità e della provvidenza, che nulla aveva per così dire di profano e di terreno. A questi alti offici si associava l' officio economico, o amministrativo; ma questo era ecclissato dallo splendore di quei primi, e quasi non si considerava. Poichè questa maniera di pensare è giusta e conforme alla divinità del cristianesimo, perciò fino che questi diversi officŒ restano insieme mescolati e confusi, non è possibile che l' amministrazione sociale abbia la sua perfetta organizzazione, giacchè tale organizzazione nuoce a que' due primi e più rispettabili officŒ. In fatti la perfetta organizzazione è che le ricchezze sieno quelle sole che in essa influiscano. Or come è possibile che la facoltà di amministrar la giustizia, per esempio si distribuisca in ragione della ricchezza? E` forse distribuita in ragione della ricchezza la probità, che è ciò che è necessario per l' amministrazione della giustizia? Non già. Dunque fino che i membri dell' amministrazione debbono anche esser quelli che rendono giustizia, non potrà mai avvenire che s' abbia un' Amministrazione perfetta ed un giudicio perfetto nella nazione: poichè l' amministrazione perfetta esige che sia divisa fra i membri della nazione in ragione delle ricchezze che possedono: ed il giudicio perfetto esige che sia fatto dagli uomini probissimi indipendentemente al tutto dalla loro ricchezza e povertà. L' amministrazione perfetta dunque non si può ottenere se non si divide da essa tutto ciò che nel governo c' è di morale; cioè se non lo si porta tutto nei tribunali e specialmente nel Tribunale Politico. Queste osservazioni spiegano la ragione per cui nei tempi in cui si avevano più nobili idee del governo, e in cui si faceva più conto del suo vero splendore morale e religioso, in que' tempi l' amministrazione fosse più negligentata. Nei nostri tempi all' incontro in cui l' amministrazione si è tanto migliorata, la dignità del governo è caduta e quasi spenta, e quasi tutte le idee morali sono sparite: il materialismo si è communicato per tutte le fibre del governo, e per usare le espressioni d' un grand' uomo: La legge è atea, e le nazioni stesse si mettono in circolazione come cambiali. Si ha dunque ragione di gridare contro al materialismo che corrompe i governi de' nostri tempi, dando loro la forma di un negozio mercantile; ma si farebbe ancor meglio nell' insegnare come si possa dividere l' amministrativo da ciò che è morale, acciocchè per un giusto timore di non perdere il morale, non si tornasse forse nell' amministrativo ai secoli di mezzo. E non è già che io escluda nell' amministrazione la moralità: questa è necessaria in tutto: ciò che dico si è, che la moralità debbe accompagnare l' amministrazione; ma che il giudicio debb' essere la professione stessa della moralità. Come ho dimostrato, che l' amministrazione nazionale non si può render perfetta se non si divide dall' elemento giudiciale o morale, così avrei potuto parimente dimostrare ch' ella non poteva organizzarsi perfettamente, fino che non era divisa dalla magistratura; nella quale non debbe prevalere la ricchezza, ma l' elemento intellettuale. Ma ho creduto bene di ommettere questa osservazione per riservarla al Libro dove parlo della magistratura. Il che è vero qualunque sia la forma che abbia il governo. Chi non ha rinunziato totalmente alle idee morali, ovvero chi non pretende, inconseguente con se stesso, che la morale sia bensì qualche cosa ma debba essere esclusa dalle disposizioni politiche, vedrà incontanente la verità della enunciata proposizione: vedrà che i regolatori della società non possono fare una disposizione se prima non credono ch' ella sia conforme alle leggi della eterna giustizia ed equità; e perchè lo possano credere debbono aver portato un giudicio sopra la stessa. Questo giudicio rimesso in fine del conto alla coscienza de' governanti, non solo ne' governi assoluti, ma ben anco ne' governi costituzionali e repubblicani che fin qui si conoscono, se è fatto bene rende le disposizioni politiche innocue al bene dei particolari membri della società. - Solamente mediante questo retto giudicio tutti i diritti, anche i più piccoli ed appartenenti alle persone meno influenti, possono esser riparati dal peso enorme del sociale potere sotto cui altrimenti sono in pericolo di venire schiacciati. Giacchè il giudicio è sempre libero, e un giudicio simile a questo non riposa che sopra un' esatta cognizione dei principŒ della morale e della giustizia, e di più sopra la disposizione retta della volontà; ne viene che queste due buone qualità, cioè la cognizione e la rettitudine, sieno in ultima analisi le due sole salvaguardie de' diritti del debile contro il forte, e del particolare contro il potere o contro la maggioranza de' cittadini. Ma d' altra parte egli è impossibile che chi ha la forza in mano non sia tentato di abusarne, ed è impossibile che nella società qualunque sia l' ordine che vi si stabilisca non v' abbia finalmente un' autorità suprema, ed anche una forza suprema: dunque è impossibile di levare dalla società il caso in cui non si ritrovi la detta tentazione. Quando anche le forze fisiche fossero distribuite nella società in perfetta eguaglianza, le dette forze non riuscirebbero eguali nel loro effetto per la diversità delle forze morali: l' opinione della propria forza infonderebbe tuttavia una diversa misura di coraggio ai diversi uomini; ed è l' opinione della forza ed il coraggio assai più che le forze fisiche ciò che muove l' uomo ad intraprese che vengono ad aggravare sopra i suoi simili. Giova certo oltremodo il persuadere gli uomini di questa grande verità, che la conservazione della giustizia è di un comune vantaggio; ma questa stessa persuasione così utile, e che si vede di secolo in secolo far progressi nell' uman genere in ragione della diffusione dei lumi; questa persuasione che sembra sottomettere la giustizia all' utilità, e rendere quella amabile per amore di questa, è una nuova prova che l' umanità si va migliorando, e che diventa più suscettibile dei sentimenti morali. In fatti qual può essere la disposizione di quelli uomini che s' inducono a rispettare la giustizia sul riflesso ch' essa è generalmente utile? Non è certo un tal rispetto della giustizia, a questa ragione appoggiato, bastantemente puro, il concedo, ma nulladimeno la disposizione di tali uomini riesce tale che essi oggimai temono più i danni che possono venir loro apportati, quando la giustizia venga dagli uomini trascurata, che non isperino di vantaggio dalle stesse loro ingiuste intraprese sugli altri uomini. Ora tale non è la disposizione di un uomo estremamente avido di acquistare e rapace; perocchè questi sente d' avere in sè stesso una forza che gli dà la sua stessa immoralità maggiore di quella che hanno gli altri uomini: perciò più spera di acquistare, che non tema di perdere; anzi spera senza temere: poichè l' avidità lo occupa assai più di ciò che può egli contro gli altri, che non di ciò che possan gli altri contro di lui. Egli è dunque necessario di ricorrere sempre in fin del conto per trovar una tutela ai diritti dei deboli contro ai forti ad un fondo di moralità benchè imperfetta che si ritrovi nei forti; senza del quale non può consistere il genere umano. A torto questo ultimo fondamento della conservazione de' diritti e però de' beni di tutti, la buona fede, la rettitudine, la moralità, su cui riposa la tranquillità e l' esistenza stessa del genere umano, sembra fragile ed accidentale: egli è l' unico, e però bisogna contentarsene: qualunque meccanico ripiego, qualunque organizzazione esterna della società non può renderlo inutile, ed ella è una speranza ridicola, non mi stancherò di dirlo, quella dei politici materiali, di poter trovare un ordine politico di cose che non abbia il suo ultimo sostegno nella moralità, nel quale perciò non si esiga qualche sorta di virtù in quelli che hanno o credono d' avere in mano la forza, perchè non ne abusino. Sia pur dunque per molti alquanto strano, pure egli non cessa d' esser verissimo, che il modo onde i diritti dei deboli sono tutelati, non è altro che la buona volontà di quelli che potrebbono offenderli e non vogliono farlo, perchè non giudicano di doverlo fare. Questi che potrebbero offenderli sono in primo luogo indubitatamente quelli che governano la società, i quali hanno il maggior potere nelle mani e questo vale tanto se il governo è regio, quanto se è repubblicano: poichè quando anche noi supponessimo la più assoluta democrazia, quale nè pure è possibile che si concepisca, ancor sarebbe lo stesso caso, potrebbe sempre la maggiorità dei cittadini tiranneggiare la minorità. Egli è dunque evidente, che ogni disposizione governativa per esser buona dev' essere preceduta da un giudicio sulla sua rettitudine e giustizia; come pure che la bontà di questo giudizio è l' ultimo appoggio della sicurezza dei diritti de' particolari membri della società. La necessità di tal giudizio rimane ferma, anche a fronte di tutte quelle obbiezioni che fossero rivolte a provare la sua difficoltà ed incertezza: le quali non provano mai che egli non sia necessario: provano tutt' al più una verità troppo disorrevole agli uomini, che non si può arrivare mai a tutelare pienamente i beni e i diritti di tutti e in tutti i casi contro l' umana tristizia. La cosa è al tutto evidente, giacchè niuno è giudice in causa propria. Oltre di ciò egli è più probabile che il giudicio riesca esatto quando vien fatto da persone, le quali non hanno da occuparsi che in questa sola cosa; ed al giudicio vien dato il tempo in tal modo perchè sia fatto con maturità. Gli amministratori della società quando debbono fare una disposizione politica, non guardano che di passaggio, se pure anche ciò è vero, la relazione morale della medesima, non tanto per malvagità, quanto per inavvertenza; poichè la loro attenzione è tutta occupata nel calcolare i vantaggi della disposizione ideata; e la poca importanza che si è sempre dato al giudicio morale nelle disposizioni politiche apparisce dal non esser giammai venuto in mente di dare a tali giudicii una forma regolare. Il giudicio morale adunque sopra ciò che debbe fare l' amministrazione della società debbe riuscire più esatto e più giusto, quando vien fatto da una Commissione apposita diversa dall' amministrazione della società, sì perchè 1 in tal caso la Commissione non giudica in propria causa, come sarebbe se il giudizio fosse portato dall' amministrazione della società. 2 Sì perchè facendosi a parte il giudizio sulla giustizia e quello sull' utilità della disposizione, ed oltre a ciò facendosi da persone diverse e da persone dotte particolarmente nella scienza della giustizia e con esatta procedura, non può non riuscire più perfetto. Di quì ne viene che tutti quegli uomini onesti, i quali non desiderano nella società di usurpare l' altrui, ma unicamente desiderano che i diritti di tutti sieno quant' è possibile difesi e guarentiti, debbano non già temere, ma desiderare l' erezione di una tal Commissione o Tribunale apposito rivolto a mantenere la giustizia nelle disposizioni politiche. Non si debbe già adombrarsi alla considerazione che il detto Tribunale potrà anch' esso esser soggetto alle umane imperfezioni, e potrà esser soggetto alle passioni; perciocchè noi non pretendiamo già, come abbiamo detto anche di sopra, che si possano rendere gli uomini impeccabili, ma il discorso sta nel vedere se si può diminuire il pericolo che nasce dalla loro debilezza o dalla loro malvagità; e diciamo, che dovendosi la società esporre in ogni modo ad un giudicio consimile, che finora venne fatto da quegli stessi che governano la società giudicando in propria causa, egli sarà sempre più probabile che il giudicio riesca giusto fatto da uomini che giudicano in causa altrui, scelti appositamente e costituiti in un Tribunale, che non siano uomini meramente politici che giudicano in causa propria, e che non si danno a dir vero grande impaccio per ritrovare in tale giudicio tutto ciò che è giusto nel senso più vero e più rigoroso. Gli stessi amministratori della società se sono onesti, e se desiderano bensì di conservare il loro potere, ma non di trapassarne i confini e di farne abuso, dovrebbono riguardare come vantaggiosa una simile instituzione. In fatti essi hanno pur l' obbligo fino che non esiste detto Tribunale di fare essi stessi il giudicio: e perciò se hanno una vera volontà di farlo retto (che altramente sarebbono tiranni) debbono e diffidare dì sè stessi e non trascurare nessun mezzo per venire alla cognizione del vero e del giusto. Questo Tribunale adunque li discarica d' un peso, gravissimo agli onesti, e mette in tranquillità la loro coscienza: la voce della quale pur grida: non è già ragionevole il timore che venga loro fatto torto, e ristretta la loroautorità. 1 Primieramente, perchè le decisioni del Tribunale non possono giammai portar seco questa conseguenza, come si mostrerà in appresso descrivendo lo stesso Tribunale. 2 Di poi, perchè se questa ragione valesse ogni Tribunale sarebbe al tutto inutile e ciascuna delle parti potrebbe sottrarsi allo stesso, dico ogni Tribunale civile. Poichè son forse men sacri i diritti de' piccoli che de' grandi? Qual' è questa odiosissima tenacità che mostrano i potenti de' loro diritti, e che non mostrano giammai tale i deboli? E` forse che l' uomo in ragione che s' innalza si deprava? in ragione che acquista si irrita la sua fame? Non dieno questo scandalo i possenti ai deboli; perocchè debbono essere a questi maestri di virtù. 3 Perchè qualunque onesto debbe più che di essere offeso, temere di offendere, e temere tanto più quant' egli si trova d' essere più forte: poichè chi ha la forza, qualunque sia la virtù, è sempre per l' umana debilezza tentato di abusare della medesima: sicchè in ragione della forza che l' uomo onesto e generoso si vede aver nelle mani, debb' essere la sua cautela d' usar della stessa, e la sua cura di ben verificare se l' uso che ne fa sia retto ed onesto. 4 Perchè abbiamo dimostrato nella prima parte che ove fra due parti nasca contesa ciascuna ha diritto di esigere dall' altra tutto ciò che è necessario per definirla più equamente che sia possibile, e tutte e due hanno obbligo di convenirsi in ciò cedendo all' equità e non trascurando alcuno di quei mezzi, pei quali si può pervenire più sicuramente al detto fine; e 5 finalmente perchè egli è un troppo angusto e misero calcolo quello che fanno que' capi della società che vogliono tirarla troppo ed assicurar troppo i proprŒ diritti e ricusar un freno alle loro usurpazioni e a quelli che li imiteranno dopo di loro. In fatti, qual può essere la maniera migliore di assicurare i popoli delle loro rette e pure intenzioni, se non quella di mostrarsi essi stessi sottomessi all' imperio della eterna giustizia, di sottomettervisi con dignità, e senza quelli avvilimenti a cui irreparabilmente soggiace il dispotismo, o tutto ciò che n' ha le sembianze, senza diminuire punto del loro potere ma solo legittimandolo? di sottomettersi, dico, a quella somma ed irrefragabile legge sotto cui l' umiliarsi rende l' uomo degno di regnare? quale è e può esser la maniera di assicurare i popoli e rendersi loro rispettabili se non quella di ispiegare una morale grandezza sollevandosi sopra i pregiudizŒ de' contemporanei ed i vizŒ de' trapassati, con cui hanno combattuto i loro secoli, e che vincenti o vinti furono giudicati dalla posterità? se non finir di ostentare giustizia nelle parole e mostrare di desiderarla nel fatto, e di non negligere la via unica a rinvenirla? se non conoscere che alla diffidenza illuminata de' popoli da una parte, alla loro corruzione profonda dall' altra, non basta nè pure far ciò che si crede giusto se non si mostra d' usare tutte le vie per conoscere ciò che è giusto? Non basta, dirò di più, e conoscere ciò che è giusto e scrupolosamente eseguirlo, se ciò non si fa constare pubblicamente, se non se ne dà un pubblico documento; se insomma il giudizio su quanto è giusto non si presenta sì franco e sicuro di sè medesimo che non tema la pubblicità, e assicurato del giudizio de' saggŒ abbia il diritto di dispregiare i cicalamenti de' sciocchi. Perocchè non può il popolo giudicare da sè stesso e non può insieme deporre il sospetto dell' ingiustizia fino che il giudizio è fatto dagli stessi interessati, quantunque retto egli sia, come non rimane, all' opposto, più escusabile se nutre ancora il sospetto, quando sia costituito un Tribunale che quasi voce e mente del popolo stesso giudica a nome della verità che il fatto governativo non lede i diritti di alcun debole, al quale dinanzi ogni debole può stare a fronte del forte purchè pugni con quel marte comune che è la giustizia e la imparzialissima verità. Sì, quando il popolo sarà assicurato pienamente che i principi vogliono la giustizia, egli cesserà dalle sue inquietudini e dai suoi errori. Non è solo l' ingiustizia, è anche l' incertezza della giustizia, che viene sempre vendicata; è l' opinione che il principe faccia qualche cosa d' ingiusto, è il dubbio che il faccia, che stringe insieme i deboli a far causa comune. Il disseminare questi dubbŒ ne' popoli, lo spargere queste opinioni di ingiustizia e d' usurpamenti, fu l' arma dei facinorosi onde sollevarono i popoli contro i principi; il dileguare queste opinioni, questi dubbŒ è il mezzo unico di riconciliare di nuovo i popoli co' lor principi e di sventare l' artificiose insidie dei nemici d' entrambi. Intanto a me pare che basta bene ai principi un assai piccolo fondo d' onestà per riguardare che l' equità resa in tal modo splendida e solenne sia di comune loro vantaggio. L' uomo che stenta nell' indigenza e che non ha nulla da perdere, può essere ingannato a credere che a lui torni meglio il sovvertimento della giustizia: per poco che questo uomo sia dominato dalla passione d' acquistare, ella il moverà a romper le leggi della giustizia perchè non è infrenata dal timore di perder nulla: ma colui che ha molto da perdere debbe essere agitato da una furia di ambizione o di cupidigia perchè stimi bene per sè che la giustizia sia calpestata nel mondo ed ogni onore le sia perduto: mentre perchè egli possa credere a lui dannoso il rispetto della giustizia conviene che la speranza di rapire l' altrui superi il timore di perdere il proprio: speranza a dir vero stolta pur sempre perchè, tolta la giustizia di mezzo, son esposte di nuovo alla libidine di quelli, che mutano l' istante diventan più forti, le rapine stesse del forte. Sicchè tolta dagli uomini la giustizia nessuno potrebbe a lungo godere de' vantaggi che gli desse l' istantanea sua prevalenza sugli altri uomini: la giustizia adunque è quella che tutela a tutti il suo, quella che ne rende costante il possesso; e che mediante questa costanza di possesso rende più prezioso un piccolo avere che si gode con tranquillità per lungo tempo, che un' immensa ricchezza che ci tenga sempre nell' angoscia di perderla, e di cui godiamo tutti gl' istanti con quell' ansietà onde gode il ladro del furto che attende il padrone o la giustizia che lo sorprenda. La giustizia adunque, ed il mezzo per assicurarla, è di comune vantaggio di tutti gli uomini: ma più di quelli che più posseggono; e la speranza delle rapine non vale mai tanto quanto il ragionevol timore di perdere il proprio, e di sostenere una rappresaglia aggravata dalla vendetta che rallegra l' ira degli oltraggiati, e la cui aspettazione contamina la vita degli oltraggiatori. Nè vale il dire che può avervi altro mezzo perchè i regolatori della società vengano, prima di far cosa alcuna, alla cognizione del giusto; ch' essi possono far giudicare la cosa ove ne dubitino, da probe persone atte a scorgere per la via retta la loro coscienza. Vana lusinga! Non varrebbe egli questo argomento per rendere inutili i Tribunali civili? perchè questi si stabiliscono? perchè l' una parte che si crede offesa vi cita l' altra a comparire? perchè non si fa buona risposta alla parte citata quella ch' essa ha operato con consiglio che ha fatto giudicar la cosa d' altrui? Quando la causa versa fra due parti il giudice non debb' essere all' arbitrio dell' una, ma in mezzo di tutte e due; non debbe essere scelto causa per causa, ma debb' essere quello stesso per tutte le cause; non debbe dare il giudizio solo all' orecchio d' una delle due parti, ma debbono tutte due poter dire le loro ragioni innanzi al medesimo, e poterne ricevere la giustizia. O forse ciò che da tutto il mondo si è reputato sempre necessario per ritrovar la giustizia negli interessi piccoli, si renderà egli inutile e superfluo negli interessi più grandi? non debbe anzi crescere la cautela e la diligenza nel rinvenire e nel mettere in piena luce quanto è giusto in ragione che cresce la grandezza e l' importanza degli interessi? Questa osservazione è sì vera che renderebbe inesplicabile come mai gli uomini, che hanno sempre e da per tutto pensato e riconosciuto necessario d' erigere de' Tribunali per giudicare gl' interessi de' privati; non abbiano giammai fatto altrettanto per gli interessi politici: se non si riflettesse alla difficoltà di erigere un Tribunale politico, il quale esige un gran progresso di lumi, ed una moralità assai avanzata nel genere umano; i quai lumi e la quale moralità non si poteva aspettare dagli uomini se non allora che l' influenza del cristianesimo si fosse spiegata per un lungo corso de' secoli in tutti gli aditi dell' uman cuore, ed indi fosse passata in tutti i costumi, in tutte le attitudini della vita. E quest' epoca sentiamo speranza che da noi molto non si dilunghi. Se non che avrà sembrato che prima ancora di mostrare la necessità di questo Tribunale avessimo noi dovuto ricercare se egli era possibile. Ma non abbiamo creduto di tenere quest' ordine; poichè la piena possibilità di detto Tribunale non può a pieno vedersi se non allora quando ne avremo fatta un' esatta descrizione: poichè dal complesso solo di tutte le sue parti e di tutte le sue circostanze si può formarsene quell' idea di lui così determinata, che a mal grado che non abbiamo quasi nulla di simile nelle instituzioni de' popoli, tuttavia ci somministri la confortante speranza che non solo sia possibile, ma ben anco che sia per essere realizzato un tanto beneficio dell' umanità. E il bisogno stesso, che si rende ogni giorno più sensibile di un tal Tribunale, è ciò appunto, che nel mentre lo rende possibile, ne approssima ancora la di lui esecuzione. Perocchè egli è un fatto innegabile che la rapida diffusione dei lumi in tutte le classi della società, ha mutata la condizione del popolo: è un fatto innegabile che il popolo ha una profonda coscienza del proprio stato, e che questa coscienza di sè è la causa generale ne' diversi tempi de' suoi generali movimenti: è un fatto innegabile che il popolo in altri tempi mosso appunto da questa coscienza della propria impotenza intellettuale riconosceva la necessità di lasciarsi ciecamente guidare e dirigere da' suoi capi; che il popolo in quei tempi era come un pupillo che avea bisogno di tutela, e che non era capace di emancipazione (ripetiamo questa frase perchè nulla di ciò che è vero ci dispiace ripetere onde che ne provenga): è un fatto innegabile che il popolo in questi tempi, (cioè una gran parte di persone della massa del popolo) aumentò di lumi e coll' aumento dei lumi acquistò insieme una coscienza di maggior potenza intellettuale, e questa potenza fece sì che non sentisse più il bisogno di abbandonarsi alla cieca alle sue guide, e che fosse in lui risvegliato un desiderio di vedere anche egli o di calcolar anch' egli i propri interessi, al quale calcolo venendo egli ammesso riceve una specie di emancipazione, ma non già per questo una sottrazione dallo stato a lui essenziale di sudditanza; cessa d' esser pupillo, ma non cessa d' esser suddito: è un fatto innegabile finalmente, che la moralità ad un tempo e la corruzione accelerano entrambi questo stato di popolare emancipazione: poichè la moralità lo suggerisce e lo persuade siccome equo, mentre la corruzione accrescendo l' irritabilità fisica degli uomini, rende loro più grave tutto ciò che credono d' ingiustamente soffrire, o che dubitano che sia ingiusto; o di cui abbiano un pretesto di dubitare. Ed ora il solo Tribunale politico è il solo mezzo di togliere alla tristizia degli uomini questo pretesto e questo dubbio, e di dare all' equità una base costante: egli è dunque questo Tribunale che i popoli colle loro inquietudini cercano senza trovarlo, e dimandano senza saperlo indicare: egli è questo Tribunale il rimedio alle inquietudini popolari; rimedio che i monarchi pur tanto desiderano, e che hanno o la sciagura di non vedere, o la pusillanimità di non abbracciare. La necessità adunque di questo Tribunale, sempre crescente, quando diventerà estrema, è quella che non solo lo dimostrerà possibile, ma che contemporaneamente ne condurrà l' esecuzione. Poichè sebbene questa sia lontana assai dalle consuetudini, e sia contrarissima ai più cari ed inveterati pregiudizŒ; sebbene ella esiga una grande superiorità di spirito in quel monarca che prima ne dia l' esempio e in quel popolo che possa esser degno di tal monarca; tuttavia io non dubito punto che perduta la novità di che ella si mostra fornita, ricevuta da alcune menti robuste, e resa splendente da un sapiente e magnanimo esempio, non debba comparire agli uomini come la più preziosa tutela de' loro diritti e come un dono celeste; e ad essa non si convertano a gara maravigliati d' aver conosciuto sì tardi una così semplice insieme e grande instituzione, e di averla i loro padri fino a' loro tempi prima così a lungo obliata, e poscia così a lungo derisa. Egli sarà in cotesto tempo, che dissipate quelle nebbie che spargono nelle menti le tenaci prevenzioni, il Tribunale politico sarà domandato dalla pubblica voce, ed unanimemente dai grandi e dai piccioli della società riconosciuto come la più solida base di quella felicità che si può godere sopra la terra. Allora, quando ognuno sarà arrivato tanto innanzi coi lumi da vedere che la giustizia deve riputarsi più utile dell' usurpazione, e che il poco e sicuro è preferibile al molto e non sicuro; il Tribunale politico avrà la voce di tutti; egli sarà allora inatterrabile, sotto l' egida dell' universale opinione: ed egli non avrà armate da difendersi, perchè avrà l' umanità intera che farà la scolta d' intorno a lui. Egli è appunto questo che debbesi rispondere a coloro, i quali non conoscendo altra maniera di difendere i pubblici istituti che quella della forza fisica, ci facessero l' obbiezione, che tale Tribunale non potrà sussistere perchè impotente in mezzo ai potenti, e quasi un agnello in mezzo ai lupi. Tanto è lungi che questo Tribunale non possa sussistere perchè privo di forza fisica, che anzi appunto perchè ne è privo potrà sussistere, e fino che ne rimarrà privo: poichè appunto questa debolezza fisica darà la prova della sua forza morale: e la forza morale è quella che lo debbe fortificare di quella opinione non pubblica ma universale, contro cui tutto perde sua forza: di quella opinione dico dalla quale sola nasce la forza fisica e senza la quale qualunque esercito non solo non è forte, ma nè pure esiste. Ella è questa opinione che non si lascia toccare né offendere senza farne una inevitabil vendetta, quella che verrebbe tocca ed offesa da chi attentasse al detto Tribunale che diverrà come la pupilla dell' umanità. La libertà di questo Tribunale sarà il segno e la caparra della libertà di tutti gli uomini: la incolumità di questo Tribunale sarà il segno della loro incolumità: la prosperità sua sarà la loro: e tutto ciò che nuoce o mostra di nuocere all' esistenza di simile instituzione, muoverà nell' uman genere quell' ira sapiente e però indomabile, che non si ammanserà che coll' esemplar punizione di quel sacrilego e stoltamente audace che si elevasse contro un' instituzione formante la salute e l' onore degli uomini. Ella è la voce pubblica, ella è la pubblica opinione che dimanda questo Tribunale, che saprà ottenerlo, e che ottenuto saprà difenderlo. E quando dico la pubblica opinione, non intendo quella dei più miserabili della società, ma intendo quella di tutti, e più di quelli che più posseggono, e che perciò hanno più diritti da difendere. L' opinione discorde a questa non sarà più che una irregolarità colpita di riprovazione, e riguardata o con quella compassione onde riguardasi la ignoranza e la stessa pazzia, o con quello sdegno onde mirasi il delitto di lesa umanità. Egli è dunque il caso in cui gli uomini si troveranno tutti uniti, non per un legame esterno, ma per la forza della verità a difendere contro l' aggregazione di ciascuno le proprietà di ciascuno. Ciascuno si riconoscerà debile contro di tutti: tutti dunque saranno interessati non più ad assalire la proprietà di ciascuno, ma a difenderla: egli è in questo modo che l' autorità pubblica, la quale di natura sua è temibile perchè è forte, sarà ella stessa quella che rivolgerà la propria fortezza, per dir così, a contenere sè medesima; poichè nessuno abuserà più di simile autorità dal momento ch' egli è giunto a conoscere che ciò non può che nuocergli, e che più assai di bene egli debbe aspettare dall' universale mantenimento della giustizia che dalle proprie infrazioni della medesima: quantunque nel mantenerla egli rinunzi a un momentaneo vantaggio, ma ad un vantaggio non solo incerto egli stesso, ma che con sè trae nella incertezza anche tutto ciò che prima possedeva. Né egli è già questo il primo esempio di una instituzione che sebbene non sostenuta colla forza fisica, si sia sostenuta a lungo e tuttavia si sostenga. Poichè tale è il Cristianesimo: il fondatore del quale non lo fondò già sulla forza pubblica, ma bensì sulla forza morale: e con questa forza morale egli ha trionfato e trionfa della forza fisica: e ciò è tanto vero, che ogni qualvolta la forza fisica è venuta in aiuto del cristianesimo, egli è paruto che gli abbia anzi nociuto che giovato: per cui questa che é la massima la più universale e la più durevole di tutte le instituzioni, é appunto quella che si é francata, dirò così, di più dal bisogno della forza fisica, e che ha fino sparso sopra di questa il più grande disprezzo innalzando gli animi degli uomini ad una grandezza, nella quale fossero capaci di giudicare la forza fisica indegna dell' uomo e di non temerla. Tutti quelli pertanto che non credono al cristianesimo, ma che sono tuttavia costretti di confessare questo fatto, il quale non ha nè luogo nè tempo che lo racchiuda e che lo nasconda, dovranno confessare che è pure una gran forza quella dell' opinione, e che su di essa si può fabbricare con solidità; e quelli che credono a questa religione divina, e che la conoscono indistruttibile, come la parola del suo fondatore, troveranno in essa il punto d' appoggio del Tribunale di cui parliamo. Si consideri che un carattere che questo Tribunale ha comune con essa o con tutte le instituzioni pacifiche prodotte dall' amore di giustizia, si è di essere rivolto sempre a difendere e mai ad offendere ; poichè essendo appunto privo di forza fisica nessuno può temere che egli assalisca, e la sua forza morale si restringe solamente a raffrenare gli assalimenti altrui; poichè egli è appunto per questo instituito, ed è da questo che ricava la sua forza morale. Non vale il dire che col pretesto di difendere egli può talora offendere; poichè egli sarebbe questo un argomento del genere di quelli che per provare troppo finiscono a nulla provare: un argomento che potrebbesi egualmente fare contro qualunque instituzione e provvedimento per quanto sapiente ed utile fosse; un argomento finalmente che si appoggerebbe sopra un falso supposto cioè che con simile Tribunale s' intendesse di torre tutti i mali del mondo; mentre non si tratta che di diminuirli, ciò appunto che si pretende solo anche da' Tribunali civili i quali sarebbero inutili, se inutile fosse tutto ciò che non rimedia a tutti, ma solo a molti dei mali. Concedo adunque che non possono a lungo sussistere senz' essere fornite di una forza fisica prevalente quelle instituzioni la cui natura porta che sieno armate, e di cui l' intenzione non è palese, sicchè v' ha sempre ragione di temere da esse qualche assalto, concedo che nessuna autorità politica appartenente all' amministrazione della società potrà essere in mezzo a questo mondo, pur sempre sospettoso e che inferocisce alla vista della forza, privata per lungo tempo di un presidio bastevole a sostenerla, mentre ha in se stessa una forza bastevole a farla temibile e ad irritare, e mentre il suo officio è rivolto a cercare ciò che è utile, e non a cercare solo ciò che è giusto. Egli è adunque la pacifica condizione di questo Tribunale privo di ogni aspetto guerriero, ma augusto e venerabile per la sola luce della giustizia e della verità, che il renderà maggiormente amabile agli occhi degli uomini, dopo che l' instruzione diffusa per le nazioni abbia insegnato loro che la conservazione della giustizia è il solo mezzo onde si può aspettare ogni felicità della vita su questa terra e che questa conservazione non s' ha che per un Tribunale che giudichi le pubbliche azioni, e dopo che la religione avrà consacrato questo Tribunale e dato al medesimo una potenza che non può ricevere dagli uomini, ma che viene da Dio. L' esatta determinazione poi dello scopo, a cui debb' essere rivolto questo Tribunale politico nella immediata sua relazione, cioè la determinazione dei suoi speciali uffici, scioglie altre obbiezioni che si possono fare contro di lui. Poichè da alcuno si obbietterà ch' egli vuole riuscire un impaccio all' amministrazione, la quale non può essere ritardata in molte sue urgenti deliberazioni. Da altri si troverà un ostacolo nella spesa ch' egli esige per la trattazione di simili cause, poichè dovendo egli servire per quelli che nella società sono più deboli e perciò per quelli segnatamente che hanno meno beni di fortuna, i diritti dei quali sono quelli che meno si calcolano nelle politiche deliberazioni e che più facilmente si sacrificano; non potrà ottenere lo scopo di difenderli poichè manca ad essi il modo di affrontare la spesa a ciò necessaria: nè torna di alcun vantaggio la difesa di una piccola sostanza quando ad ottenere tal difesa bisogni usarne una grande. Finalmente vi saranno fors' anco di quelli che ci opporranno il segreto di stato; che mediante questo Tribunale si renderebbe impossibile. E riguardo a quest' ultima obbiezione confesso che la sana politica dovendo essere ugualmente innocua (per lo meno) a tutti gli uomini, ed ancora dirò di più verso tutti benevola; non potrà riscuotere giammai l' affetto e l' approvazione universale degli uomini quella che si sforza di tenersi ai più di loro sconosciuta e che pretende di trattare del loro bene nel segreto e nelle tenebre e di celare gl' interessi più cari e più grandi agli occhi di quelli a cui gl' interessi appartengono. Non è ch' io non conosca come talora si sia forzati di occultare momentaneamente agli occhi dei tristi ciò che si prepara in beneficio universale, non è questo che riprovo, ma riprovo una politica che ha il nascondersi per sistema, ed il rendersi misteriosa ed esclusiva per l' unico mezzo di rendersi forte e temibile; mentre questo stesso non può essere lo scopo ed il voto della sana politica. Affermo che la lealtà e l' apertura è anzi solitamente così nell' uomo privato come nel pubblico, così ne' piccoli interessi come assai più ne' grandi, l' effetto di una coscienza pura ed innocente, incapace perciò di temere: che è sempre ingiusto occultare gl' interessi agli occhi di quelli a cui appartengono e a cui vedere perciò n' hanno il diritto: che ciò è sempre tranquillante e sicuro togliendo dagli animi i sospetti: che finalmente quand' anche una politica celata e cupa fosse per un istante diretta dalle più pure e dalle più generose intenzioni, ella mostrerebbe con questo una presunzione soverchia, una troppa confidenza nella propria virtù; una confidenza che l' umana virtù non può giammai aver giustamente di se stessa, ed ella, dirò di più, finirebbe quanto prima a corrompersi insensibilmente, e l' amministrazione generale della società si troverebbe cangiata in una setta pericolosa ed esclusiva che pensa coi propri pregiudizŒ e che opera pei proprŒ interessi. Credo esprimere in queste parole non i miei sentimenti, ma quelli che ha il mondo generalmente: sentimenti d' equità a cui non si può ripugnare senza sedurre prima se stessi: e che sono in armonia cogli avanzamenti dei lumi dell' umanità e col progresso della morale; progresso che sembra essere stato predetto già da principio del cristianesimo dall' autore d' una religione che si dovea predicare nelle piazze e dall' alto dei tetti in quelle parole: « « Non v' ha nulla di coperto che non si debba scoprire, nè va nulla d' occulto che non si debba sapere. »1) » Ma quest' obbiezione, come dicemmo, cade insieme con l' altre due, quando si conosca da vicino l' officio del Tribunale politico. Poichè io considero questo Tribunale solamente in relazione colle deliberazioni interne dello stato. Ora queste deliberazioni interne politiche non portano giammai un effetto che sia istantaneo, e che dopo seguito sia irreparabile; se non nel caso che si tratti di tor la vita ad un cittadino. Ora la vita ad un cittadino non si può torre se non per cagione di delitto, e il delitto debb' essere giudicato dal competente Tribunal criminale. Le conseguenze adunque di quelle deliberazioni che facesse l' amministrazione della società senza l' intervento di un Tribunale, se mai portano qualche ingiusto danno, nol possono portare che di una natura risarcibile: il che dato non è necessario che prima della disposizione stessa pronunzii giudizio il Tribunale politico. I lavori adunque dell' amministrazione non debbono venire menomamente rallentati da quelli del Tribunale politico, come questi non vengono rallentati da quelli dell' amministrazione: e tanto l' Amministrazione quanto il Tribunale operano indipendentemente l' uno dall' altro, e senza che l' una di queste due parti del potere supremo abbia bisogno di sapere ciò che fa l' altra. Ciò si accorda coll' indole di un Tribunale: poichè l' indole di un Tribunale non contiene già un' inquisizione delle cause da giudicare; ma è solo una corte stabile e per così dire passiva, la quale senza darsi cura di ricercare ciò che può alla medesima essere sottomesso, aspetta che vengano ad essa quelli che hanno dei richiami da fare, ed essa si porge pronta all' esame delle ragioni che si presentano e di quelle che contro alle medesime reca la parte contraria. Laonde dovranno essere gli stessi cittadini, o corpi di cittadini, o il governo medesimo quelli che innanzi a questo Tribunale danno moto alle cause. Infatti supponiamo che un cittadino o un corpo di cittadini conosca che l' amministrazione sociale si trova in sul fare tale deliberazione che giudica a sè nocevole e ingiusta; e che recata la causa al Tribunale politico egli riporti favorevole sentenza, cioè una sentenza che riconosce gl' ingiusti danni che apporterebbe tale deliberazione. Potrà egli aver forza una simile deliberazione di ritenere l' amministrazione della società dal prendere quel partito se lo crede utile? Non già, poichè, come noi abbiamo veduto nella prima parte, l' amministrazione della società ha un pieno potere sulla modalità dei diritti di tutte le persone morali e individuali, che formano parte della società; e perciò essa ha ancora un pieno diritto di commutare i diritti delle medesime in altri diritti equivalenti, purchè lo esiga il pubblico bene: e ciascuna di queste persone ha l' obbligo di cedere per tal fine i proprŒ diritti contro un pieno compenso de' medesimi. Laonde la decisione del Tribunale politico non può giammai limitare questo potere dell' amministrazione sociale, e non può perciò impedire che essa faccia tutto ciò che crede utile: ma non ha altro officio od incombenza che di sentenziare se essa sia debitrice di un compenso alle persone componenti la società per qualche danno loro arrecato, e quale debba essere questo compenso perchè sia pieno; mentre l' assicurazione che l' amministrazione sociale non trapassi il confine dei suoi diritti consiste nell' assicurazione che ogni danno da lei cagionato ritrovi un pieno compenso; come all' opposto l' assicurazione che a lei non venga diminuita la pienezza del suo potere consiste appunto nel non avervi alcun' altra autorità che possa ritardare o impedire le sue disposizioni amministrative. La modalità dei diritti è l' oggetto del suo potere, e su questa il suo potere è illimitato: i diritti stessi cioè il loro prezzo reale non è l' oggetto del suo potere, ma ne è il confine: questo è quello che debb' essere assicurato alle persone componenti la società, e quest' è l' unico officio del Tribunale di cui parliamo. Egli è dunque evidente che il secreto di stato, qualunque sia l' opinione che si porti intorno a lui, non può mettere impedimento all' erezione di un Tribunale politico, ed egli è evidente altresì che l' amministrazione non viene dal medesimo ritardata nelle sue più urgenti deliberazioni. Resta a rispondere alla obbiezione della spesa necessaria alla trattazione di tali cause, che sembra dover eccedere le forze di quelli che hanno più frequentemente bisogno di detto Tribunale. L' indole del medesimo scioglie anche questa obbiezione, poichè il Tribunale non è che un ramo del potere supremo, il quale per innanzi fu solito di trovarsi unito in un solo corpo esercitante i due offici: 1 di amministrare la società, 2 di giudicare della giustizia di tale amministrazione: e che ora si suppone diviso in due rami, divisi secondo i detti due offici. L' officio dunque di giudicare commesso ad un apposito Tribunale sarebbe un dovere dell' amministrazione, di cui il Tribunale la scarica. L' amministrazione adunque debbe riguardare il Tribunale come un suo aiuto, come un mezzo necessario perch' essa non esca dai suoi più sacri doveri. Le persone all' incontro componenti la società hanno tutte un diritto di non essere danneggiate dall' amministrazione, nè con certezza, nè con ragionevole dubbio. Ciò considerato vuole la giustizia che le spese per consimile Tribunale entrino nelle spese generali dell' amministrazione, e non sieno menomamente a parte degli attori, se non fosse fatta eccezione a quelli che il Tribunale giudichi evidentemente maliziosi, e senz' apparenza di ragione inquieti. Finalmente non si può neppure dire che le prove in simili materie sieno irreperibili, mentre il rigore delle prove per l' indole d' un tal Tribunale non dovrà essere al tutto pari a quello dei Tribunali civili, ma bensì pari a quello che un' amministrazione delicata nella giustizia debbe prefiggere a sè stessa, mettendo la mano nelle altrui proprietà. Nè la difficultà di giudicare rimarrà sempre la stessa; poichè colle decisioni appunto di questo Tribunale si comincierà appunto a stabilire le basi di giustizia pubblica, che fino a questi tempi mancano interamente e a cui per una inconcepibile spensieratezza degli uomini non si è pensato giammai, ma di cui il mondo sente sempre più il bisogno, e le domanda e le va quasi a tentone cercando: la cui mancanza produce tante dissensioni e tante inimicizie; e gli errori intorno ad esse costano tanto sangue e tanta depravazione: delle basi che non si potranno giammai a pieno ritrovare e fissare senza una lunga esperienza e de' lunghi studŒ; senza che dei giudici integri ed illuminati sottentrino in questo lavoro a de' filosofi corrotti ed insensati; fino a che le decisioni di un gran numero di casi particolari non menino gradatamente a delle sentenze generali, e sgombrino delle teorie imaginarie fondate nell' aria; fino a che insomma il Tribunale politico non porti le sue decisioni, e le decisioni del Tribunale politico non sieno raccolte a norma di altre decisioni; e da queste norme sieno quindi cavate delle leggi e ridotte in un codice: e la giurisprudenza politica non cominci a fare quel corso che la giurisprudenza civile ha quasi compito: unico corso diritto e solido, e tanto più necessario alla politica giurisprudenza in quanto ch' essa ritrova tanti più ostacoli da superare che la civile, tante passioni più vaste e più possenti, tanti interessi più complicati e più rilevanti, e tanti uomini ancora così incapaci di vederne l' importanza e di sentirne il bisogno. Non si esigerà prova per convenire che l' armata nè ha il diritto nè può essere capace di far da giudice nelle vertenze fra l' amministrazione e gli amministrati; mentre la forza fisica non dà alcun diritto ma solo può difenderlo; e l' armata non è che a servigio di quelli che hanno i diritti, e non arbitra de' medesimi, nè le funzioni pacifiche e meditative di giudice possono star bene alla professione avventata e bellicosa del soldato: il quale fornito di una forza fisica insieme e morale a cui niuno potrebbe resistere, si crede facilmente disobbligato dalla fatica paziente della investigazione della verità, ed abbraccia assai più volentieri la strada più corta che gli si presenta del suo arbitrio assoluto: tal' era la condizione del mondo sotto la tirannia de' Cesari la cui dignità non era alla fine, come suona il nome d' Imperatori, che quella di condottieri d' esercito. Il soldato giudice di sua natura è anche principe, e il Tribunale che vogliamo stabilire sarebbe in un istante sparito. Il Parlamento rappresenta la nobiltà ed il popolo; cioè a dire rappresenta gli amministrati: essi non possono dunque esser giudici perchè sono parti, e lo scopo del Tribunale da noi proposto è appunto quello di togliere l' inconveniente che nasce dal trovarsi insieme unito il giudice e la parte; i Parlamenti perciò non possono che trattare la causa de' corpi che rappresentano, ma non mai essere essi medesimi il Tribunale. Se fosse impossibile dividere il giudice dalla parte, e fosse necessario che una delle due parti fosse anche giudice sarebbe sempre preferibile di lasciare il giudicio all' amministrazione della società, alla quale è stato sempre attribuito da tutti i secoli, ed a cui è stato individualmente congiunto; sicchè quando si è voluto a forza strapparlo dalle persone che avevano l' amministrazione, si è strappata dalle loro mani l' amministrazione stessa, o si è gittata la società nell' anarchia. Che l' amministrazione possegga il giudicio sulla giustizia delle sue disposizioni, questo è cosa naturale, perchè è naturale che la potestà somma non abbia nella propria linea verun giudice sopra di sè: e tutto ciò che si può trovare in essa di censurabile non è già una corruzione, ma un' imperfezione, cioè a dire sebbene una tale amministrazione giudice delle proprie disposizioni non sia punto assurda nè contro natura, tuttavia essa è pericolosa, ed ha con sè un' imperfezione, che è appunto quella che noi proponiamo di togliere col detto Tribunale: imperfezione che dà luogo ad un miglioramento e non ad una distruzione, ad un progresso che fanno i secoli cristiani, e non ad una riforma che fanno i filosofi. Il bisogno ognor più sentito di simile miglioramento è una secreta forza che dispose gli uomini alle novità politiche, ma scoraggiati dallo spettacolo dell' umana corruzione, e sentendo una deficienza morale in sè medesimi, perdendo ogni credito alle forze morali della virtù, non seppero sollevarsi nel secolo della incredulità ad immaginar possibile l' instituzione di un Tribunale di giustizia, che solo poteva sciogliere il problema del tempo, e soddisfare il bisogno delle nazioni. In vece di ciò per fuggire un vizio corrono avventatamente al suo opposto: e togliendo il supremo giudicio del giusto ai re non lo affidano ad un Tribunale, ma alla parte opposta, cioè al popolo: delle due parti fra cui verte il giudicio lo rapiscono a quella nelle cui mani i secoli lo hanno consecrato per darlo alla parte peggiore, e fare gli amministrati giudici degli amministratori. Con ciò il supremo potere è atterrato: conciossiacchè non è supremo se non perchè tutti gli amministrati debbono al medesimo assoggettarsi: e se la amministrazione debba seguire col giudicio di questi in tal caso son essi che s' amministrano da per sè. Egli è per ciò, che il potere che si cerca sempre d' accrescere ai Parlamenti, che non sono se non se i rappresentanti dei corpi amministrati, inclina lo Stato ad uno stato repubblicano, cioè strappa di mano dal principe il legittimo potere da lui sempre posseduto e cangia la forma di governo. Infatti non poteva essere altro dall' istante che il giudicio dalle mani di una delle due parti passa nelle mani dell' altra; poichè ciascuna parte non suol già credersi giudice, non pensa già a cercare rettamente e solo ciò che è giusto, ma pensa a difendersi dall' altra, pensa a vantaggiare ne' propri diritti sopra dell' altra, pensa a rivolgere l' amministrazione come più a sè torna conto: egli è dunque una divisione di amministrazione che nasce, e una divisione dell' amministrazione è una mutazione nella forma del governo. S' osservi infatti se nella instituzione de' Parlamenti si sogni mai di deliberare a guisa di un Tribunale di giustizia, e non più tosto di agire a guisa di una parte che tratta la sua causa col mezzo di avvocati: si osservi se fra i Parlamenti ed i re v' abbia altra relazione che di una continua ostilità: nella quale ognuna delle parti si crede aver fatto assai quando gli è riuscito di dar qualche passo sul terreno dell' altra; e deplora la sua sconfitta quando ne è stata respinta. Se il popolo non è atto a formare questo Tribunale politico mediante i suoi rappresentanti, cioè mediante i Parlamenti, perchè è parte, e quella parte che di sua essenza è soggetta, quella che debbe essere giudicata per la stessa ragione che debb' essere amministrata; molto meno egli potrà sostenere le funzioni d' un tal Tribunale per sè medesimo; mentre per sè non può far nulla per la sua mole, e perchè egli è essenzialmente disorganizzato, soggetto alla seduzione, al capriccio, ed all' ignoranza. La ragione di ciò è il semplicissimo e innegabil consiglio, che quando si debbe eleggere persona a qualche ufficio fra molte, senza che veruna s' abbia diritto al medesimo, vuolsi eleggere quella che è all' officio più idonea, che conosce il modo di adempierlo e n' abbia l' abilità e la fermezza da non deviare giammai dal suo dovere. Ora la ricchezza, la nobiltà, la forza fisica, la potenza civile non mettono i lumi nelle menti alle quali mancano, nè la rettitudine e l' integrità ne' cuori depravati. Queste qualità adunque non hanno a far nulla coll' amministrazione della giustizia. Esse potranno forse render l' uomo più acconcio ad un' amministrazione che ha per fine l' utilità, perchè fomentano le passioni dell' acquistare, e queste acuiscono l' ingegno a trovare espedienti a' risparmi ed a' guadagni: nè cosa nuova è che un uomo di piccolissimo spirito in tutto il resto si sia mostrato sottile traficatore e speculatore e s' abbia fatto una fortuna, ed abbia fondato una casa, poichè il vivo ed unico desiderio dello avere ha messo a quel partito le sue piccole forze intellettuali, a cui non sogliono essere messe negli altri uomini men di lui cupidi. Laonde se trattandosi d' utilità la passione aguzza l' ingegno; trattandosi di giustizia ella non fa che ingrossarlo e diffondere tenebre d' intorno al vero cercato. Purissimo è il vero. ed immune da ogni altra affezione: nella sua sincerità l' uomo il ritrova quanto ha il cuore più ignudo d' altri affetti, la mente più libera, e l' animo più generoso. Le classi adunque de' ricchi, de' nobili, de' militari, o degli officiali civili non possono esser quelle a cui s' appartenga di comporre il Tribunale politico esclusivamente: poichè questi loro beni lungi da fornirli d' un titolo favorevole per sostenere tale officio, più tosto valgono di loro natura a renderli inetti al medesimo: conciossiachè tolgon loro quella nudità d' animo, quella tranquilla imparzialità, quella mente pura e ferma nè ammollita dalle delizie, nè invanita dalle gravi inezie, nè lasciata rozza dalla mancanza del tempo richiesto dagli austeri e placidi studŒ della giustizia, che debbono formare appunto gli unici sostegni del politico Tribunale. Non convien dunque fare di questo Tribunale la proprietà di alcuna famiglia, o di alcuna di quelle classi della società che vengono formate e distinte le une dalle altre non già per titoli intellettuali e morali, ma per dei beni esterni che non sono nè verità nè virtù. La verità, la virtù: ecco i criterŒ unici che debbe proporsi colui, a cui fosse commesso l' incarico di fare la scelta delle persone componenti il politico Tribunale: qualunque sieno le altre condizioni delle persone qui non vanno per nulla curate: quelli che più sanno fare giustizia; che più il vogliono , che più sanno sostenere il giusto loro decreto; ecco quelli che debbono essere trascelti al politico Tribunale quai veri Sacerdoti della Giustizia. Questo Tribunale adunque non forma un' aristocrazia , ma è, se può dirsi così, democratico a quel modo che è democratica la Giustizia: poichè questa esige, come vedemmo, che tutti gli uomini e tutte le persone morali si considerino eguali quando vengono ad essa innanzi per essere giudicate: è democratico perciò, non in quel senso che tutti gli uomini vi abbiano parte, ma in quel senso, che tutti gli uomini vi possano aver parte: e vi possono aver parte, poichè tutti possono aver parte alla rettitudine ed alla virtù, a questi supremi beni aperti e comuni, pei quali solo debbesi aprir l' adito al Tribunale di cui parliamo: non in quel senso per ciò ancora che ciascuno abbia diritto al detto Tribunale solo per esser uomo, ma bensì in questo senso che ciascuno possa avere un tal diritto per essersi reso uomo virtuoso: e per aver superato negli esempi da lui dati di virtù, d' integrità e di sapienza, tutti gli altri probi e virtuosi. Ciò che noi chiamiamo spirito d' intelligenza non è già solo quello che ci conduce a desiderare delle nuove idee, ma bensì ancora qualunque altro oggetto per lontano al difuori di noi e molteplice che egli sia, ed esso è il fonte della Previdenza, della Prudenza e della Bontà. Distrutta ogni previdenza non è meraviglia se dovesse essere recisa insieme ogni umana società: 2) non è maraviglia se chi non giudicava necessaria la ragione, non giudicasse « neppure necessario di far entrare nell' uomo il principio della sociabilità: »e perciò, se non solo venisse a torre di mezzo una società estesa ma ben anche la prima e direi quasi elementare; quella della famiglia. Per dare un solo esempio del nostro poco spirito d' intelligenza relativamente alla società domestica, si può osservare la facilità e la leggerezza onde si contraggono i matrimonŒ di che viene l' infelicità della famiglia, i difetti dei figliuoli dati alla società, ed il pentimento. Non si fa che predicare che il generatore di figliuoli è un benefattore della società: questa sentenza pigliata così sola è una di quelle idee astratte ed imperfette di cui vedemmo provenir tutti i mali. Nel mentre adunque che si insegna ad accrescere il numero dei matrimonŒ, veggiamo difendere altresì il divorzio che porta alla società domestica il colpo il più mortale; e che dimostra l' indebolimento di quella facoltà di pensare che consocia gli uomini, e l' aumento di quello spirito di senso che li divide spogliando l' uomo della previsione. Le idee all' incontro su questo oggetto dei secoli trapassati erano presso a poco quelle che ogni saggio trova necessarie massimamente ai tempi presenti. [...OMISSIS...] La previsione e la prudenza suggerisce all' uomo di non impegnarsi in un maritaggio, se egli non ha ragionevole speranza di mantenere i figliuoli; perocchè non lo consiglia punto la ragione a dare esistenza ad esseri infelici. 2) I nostri moralisti politici non pensano tanto innanzi. Da simile mancanza poi di previsione sono cacciati alle più strane conseguenze. Soffermiamoci pure ad osservare i loro traviamenti sopra un argomento che tanto interessa l' umanità. [...OMISSIS...] Ma che? risponde il più volte citato autore del « Saggio sulla Popolazione: » [...OMISSIS...] Bisogna che il Sig. Raynal non consideri già la sua proposizione astratta dalle sue circostanze, ma con un poco di maggiore spirito d' intelligenza consideri i suoi rapporti. Se come dice Rousseau « sarebbe insensato colui che tormentasse sè stesso colla coltura di un campo, quando vedesse che un altro che sopravviene lo spoglia della messe: »quando il campo insomma non è stato dato a lui in proprietà, e garantito dalle forze associate: vuol dire che la società fa luogo a poter sussistere un numero maggiore di uomini sullo stesso terreno, essendo quella che rende possibile la coltivazione dei terreni. Or questa coltivazione è resa possibile secondo Rousseau solo allora che i terreni sono divisi ed assegnati in particolari proprietà. Ognuno dunque ha diritto di vivere solo nel caso che non venga lesa questa legge della proprietà, mentre rompendosi questa legge innumerabili uomini vanno a perire, i quali hanno pure diritto di esistere. Chi dunque infrange la legge della proprietà per principŒ cospira alla vita di infiniti uomini: questi uomini adunque, la cui vita è messa in pericolo da chi vuol tor via dal mondo ogni proprietà, hanno diritto da difendersi contro costui, come contro un paricida, ed un reo del più alto tradimento. Questa massima crudele, che assalendo la legge della proprietà trucida migliaia di uomini nelle sue conseguenze, non ne lascia però nessuno fuor di pericolo, mentre nei più orrendi ed accaniti massacri, nei quali involgerebbe il genere umano quand' ella trionfasse, sarebbe incerto quali sarebbero quei pochi uomini che sparsi sulla faccia della terra tutta orrida ben presto e selvaggia l' uno lontano immensamente dall' altro coll' impressione del più alto spavento ad ogni vista de' proprŒ simili sopravivessero. E pure di questa massima sono ancora pieni i libri de' politici. Di questa massima è un corolario ed una applicazione quell' altra, che i poveri abbiano diritto di essere mantenuti dalla società; massima che pure distrugge la società stessa attentando alla proprietà particolare: massima d' altra banda impossibile; mentre non ha la società modo di sostenere tutti gli uomini che nascono, quando non sieno i maritaggi regolati dalla prudenza di quei che l' incontrano: mentre come abbiamo veduto la popolazione ha una tendenza di aumentare in ragione geometrica, mentre gli alimenti non possono che al più crescere in ragione aritmetica. Payne nel libro de' diritti dell' uomo reca assai male a proposito l' America in esempio della sua opinione. [...OMISSIS...] La società civile essendo composta di famiglie torna in danno di lei la mala previdenza adoperata della società famigliare. La imprevidenza adunque di quei padri che hanno caricata la propria famiglia di una figliuolanza che non hanno il potere di nutrire, è dunque dannosa alla società. E ponendo essi al mondo una popolazione che vuol vivere e che non ne ha il modo, pongono una causa degli sconvolgimenti. Questa cagione di tante inquietudini in Inghilterra, specialmente in tempi di carestia, potrebbe quivi cagionare malori assai più gravi, se quel popolaccio nella più brutale ignoranza potesse avere qualche vista più in là che di satollare al momento la sua fame: a malgrado di ciò gli scrittori di quel paese osservano, come se i tempi di carestia si rendessero frequentemente, sarebbevi ragion di temere, che quelle sommosse gittassero lo stato in quella specie di estremo torpore che l' Hume ha indicato colla parola euthanasia quando non lo traesse di quel sonno qualche terribile scotimento. Del popolo affamato nelle antiche società traevano aperto partito gli ambiziosi. Appo di noi la falsa filosofia delle male usate astrazioni fece credere al popolo che egli abbia diritto d' esser nutrito dalla società dei ricchi; e i movimenti della plebe si rendono con questa illusione più funesti. La filosofia sommovendo il popolo col fare a lui credere che egli abbia il diritto di spogliare i ricchi, e di ugguagliare le proprietà, 1) occasiona il dispotismo. Poichè la società dei ricchi, credendosi in diritto di difendere le sue proprietà contro gli assalitori, impiega tutta la forza che si trova avere e che non sarebbe stato bisogno di adoperare, se nel popolo vi fosse stata una dottrina più sana, o maggior virtù. [...OMISSIS...] La legge adunque della società famigliare, la legge che provvede alla scambievole sicurezza delle famiglie, e però che mette il fondamento della tranquillità anche nella società civile, la quale si forma di molte società famigliari, è la seguente: Primo equilibrio necessario alla perfetta costituzione dell' umanità è, che vi sia equilibrio fra la moltiplicazione della specie umana nelle singole famiglie colla ricchezza delle famiglie, o sia che un padre non generi maggior numero di figliuoli di quello che egli possa mantenere . Abbiamo dato la regola di ricorrere all' origine delle cose per distinguere in esse la sostanza dall' accidente. Abbiamo mostrato coll' esempio di Rousseau l' abuso che si fa di questa regola, ponendo l' idea di una cosa astratta per l' idea di una cosa reale, e insieme con ciò abbiamo insegnato il modo di far uso di quella regola senza pericolo d' errore. Applicandola al caso presente possiamo osservare come la regola da noi posta era in vigore specialmente in quel primo tempo in cui gli uomini erano raccolti in società domestiche, mentre la società civile non era ancora compiutamente formata. In quel tempo la società domestica aveva bisogno d' essere perfetta se voleva esistere; mentre non aveva altra società superiore che la tutelasse. Quindi l' ottima costituzione della società domestica la veggiamo in quelle famiglie patriarcali, nelle quali era considerata come benedizione celeste la moltitudine de' figliuoli: mentre per l' abbondanza de' terreni non poteva d' una parte venir meno il nutrimento, dall' altra c' era il bisogno di forza fisica per difenderlo dalla prevalenza delle altre famiglie. La nostra regola adunque si cangia in quest' altra, consideratone attentamente il suo spirito, che non è altro che quella stessa un poco più generalizzata. Si conservi l' equilibrio fra la forza fisica della famiglia, ovvero il numero de' suoi membri, e la ricchezza che ella possiede . Poichè se eccede il numero dei membri di questa famiglia, queste sono tante persone tentate dalla miseria di spogliare le altre famiglie per vivere; e se all' incontro è minore il numero propozionale dei membri della famiglia, non v' è in questo caso abbastanza di forza per difendere i beni della famiglia. E` tanto naturale questa legge che si ravvisa fra tutti i barbari, ove non sia passata la società più oltre che allo stato di famiglia: specialmente dove sieno circondati da nemici. E questa, se dobbiamo prestar fede alla relazione di Bruce, 1) è una ragione della poligamia in certi luoghi dell' Africa. Egli conta che appresso i negri Changallas sono le femmine che importunano i loro mariti a prender dell' altre mogli per rinforzare con un buon numero di figliuoli le loro famiglie: e lo stesso dice dei Gallas: la donna sposata la prima è quella che fa la corte a qualche altra femmina a nome del marito per indurla a sposarlo, usando ad argomento principale quello che unendo insieme le loro famiglie diverrebbero più forti; mentre all' opposto il troppo stretto numero dei loro figliuoli, non farebbe che lasciarle senza resistenza alcuna cadere nelle mani de' loro nemici. Le famiglie incorporate nella società civile già costituita non sentono tanto il bisogno di questa legge, mentre la loro esistenza viene dalla società civile protetta. Ma come la forza unita di tutte difende l' esistenza di ciascuna, così il disordine, che succede in ciascuna per una moltiplicazione eccedente la ricchezza, si riunisce in massa e ricade a danni di tutte, rivoltandosi contro l' esistenza della civil società. Da questa legge poi si comprenderà con maggior evidenza la ragione del lagno importuno che si fa sempre contro la disuguaglianza delle proprietà. La cagione, forse più stabile di tutte l' altre, di questa disuguaglianza è la moltiplicazione maggiore o minore delle famiglie, rimanendo più povere quelle (fatte l' altre cose uguali) che essendosi maggiormente moltiplicate hanno ancora più divise e suddivise le facoltà. Sicchè venendo anche fatto un riparto uguale, in breve tempo quelle schiatte, i cui successivi padri avessero generato meno figliuoli, rimarrebbero più ricche di quelle che n' avessero generati di più: e in questo modo quei padri che con maggior prudenza avessero moderato la moltiplicazione della loro famiglia, secondo quello che suggeriva loro la saviezza, ed il preveduto ben essere dei loro figliuoli, era ben ragionevole che fossero premiati nella comoda vita procacciata a lor discendenti, e che non venissero spogliati del frutto della loro virtù da quelle famiglie che imprudentemente, e però viziosamente, si sono moltiplicate. Consideriamo adunque l' opulenza delle famiglie come un diritto che hanno alla generazione dei figliuoli. Coloro che hanno già usato questo diritto totalmente, non possono più lamentarsi delle tristi conseguenze che essi stessi cagionano volendo far uso ancora di questo diritto: e queste famiglie miserabili che indi provengono, aspirando ai beni delle famiglie ricche, usurpano a queste il diritto della generazione di cui esse hanno già pienamente fatto uso, mentre le ricche non avendolo esaurito lo hanno conservato. Per questa legge di natura è adunque messo un compenso fra il bene del generare e quello del possedere; onde succede cotale equità che chi usa più dell' uno debba rimaner più privo dell' altro, e chi più si priva dell' uno debba posseder l' altro in maggior copia. Le famiglie povere adunque che dopo aver goduto il bene della moltiplicazione, aspirando alle proprietà dei ricchi, vogliono a loro invadere questo stesso diritto della moltiplicazione, sono quelle veramente che rompono la naturale uguaglianza, e la legge di compenso messo ne' godimenti dei beni dalla natura: esse sono quelle famiglie, le quali dopo aver goduto tutto il proprio, vogliono anche godere l' altrui. E ben vero che i figliuoli, non ne hanno colpa, ma non hanno colpa di questo disordine nè pure le famiglie ricche; solamente l' hanno gl' improvidi padri; i figliuoli se voglion lagnarsi si lagnino adunque de' loro padri; ma non hanno ragione di pretendere come loro diritto, che le famiglie ricche facendo parte dei loro beni, limitino con ciò il numero de' loro figliuoli futuri, o vero abbiano da prevedere altrettanti loro discendenti in quella stessa mendicità dalla quale sottraggono gli stranieri. La legge da noi posta dell' equilibrio fra la moltiplicazione e la ricchezza è quella che conserva la tranquillità e sicurezza nella società famigliare, considerando una famiglia in relazione coll' altra non già considerando l' associazione che più famiglie possono fare a danno di una sola: il qual genere di turbamento è impedito da un' altra legge. La detta legge poi costituisce ancora il primo punto della soluzione al problema propostoci: Trovare nella società il collocamento migliore di quegli oggetti che possono acquistare per l' uomo l' idea di bene e di male; acciocchè influiscano al bene dell' umanità (fac. 12, 13). Essa scioglie il detto problema per riguardo alla distribuzione delle due cose, popolazione e ricchezza; primi elementi di ogni società. Egli è poi ancora da osservare nella detta legge le due sue parti. Primo che non attenda alla moltiplicazione della specie chi non può mantenere i figliuoli; secondo: che vi attenda chi ha ricchezza da mantenerli. Nello stato famigliare della società, cioè quando le famiglie non erano incorporate ancora alla società civile era essenziale questa seconda parte; perchè doveva la famiglia difender sè stessa: nello stato poi di società civile, o nazionale è essenziale la prima parte, e accidentale la seconda; perchè la famiglia è già tutelata dallo stato, quando anche manchi di forza nel numero dei suoi membri; ma all' incontro se eccede nel numero di questi ella immiserisce ed accumula a danno dello stato una popolazione mendica e pericolosa.

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