Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: a.c

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La storia dell'arte

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Pinelli, Antonio 6 occorrenze

Venus capitolina (variante della Venus pudica), copia romana in marmo da un probabile originale di Prassitele del IV sec. a.C., Roma, Musei Capitolini. Fig. 98. Giovanni Pisano, Fortezza e Temperanza, particolare della base del pulpito, 1302-10, Pisa, Duomo. uso di punzoni, pastiglie dorate e inserti di pietre semipreziose. Ma ancor più significativa è la sostanziale assenza di profondità prospettica, a ergi ne allarga le sue braccia e due santi che l'affiancano, in secondo piano, so levano le estremità del suo mantello, dispiegandolo in modo da accogliere il gregge dei fedeli. Ma la Vergine non crea con il suo gesto uno spazio concavo: la sua figura si dispiega in superficie e la sua silhouette dorata, stampandosi sul fondo scuro del mantello, disegna un elegante arabesco. Anche la folla che si assiepa sotto la sua protezione non viene rappresentata secondo le regole della prospettiva, ma fa massa, e invece di rimpicciolire proporzionalmente mano a mano che si allontana dal primo piano, si distribuisce, allo scopo di non sfuggire alla vista, come se poggiasse lungo e pendici di due simmetriche collinette immaginarie. L'autore di questo pinto è Hans Clemer, un pittore originario della Francia settentrionale, ma attivo negli anni a cavallo tra Quattro e Cinquecento in Piemonte: una regione che, come abbiamo visto, faceva parte integrante di quel territorio su a pi no che fu uno dei più fervidi laboratori del Gotico cortese.

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Il cubiculum della Villa di Boscoreale (Pompei), seconda metà del I sec. a.C., New York, Metropolitan Museum of Art. Fig. 102. Decorazione pittorica nel «secondo stile», dalla Villa di Boscoreale (Pompei), seconda metà del I sec. a.C, New York, Metropolitan Museum of Art. e che sono state recentemente oggetto di un bel libro di Salvatore Settis, Le pareti ingannevoli. La villa di Livia e la pittura di giardino (2002).

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Le poche fonti giunte fino a noi relative all’età arcaica e all’epoca di Pericle (VI-V sec. a.C.) riferiscono di pagamenti che, oltre a tener conto del prezzo dei materiali usati (ad esempio il marmo), e quindi riconoscendo agli artisti le spese vive da loro sostenute, ne ricompensavano il lavoro in ragione di una tariffa oraria. Questo genere di remunerazione, basata sul tempo impiegato a realizzare materialmente l’opera, escludeva qualsiasi considerazione sulle particolari capacità intellettuali impiegate dall’artista, assimilando il suo lavoro a qualsiasi altra attività manuale e artigianale. Già con Fidia, però, e poi a partire dall’epoca di Alessandro Magno, emergono i primi segnali di cambiamento: i grandi artisti, come Apelle, che era il pittore e ritrattista di fiducia di Alessandro, e Lisippo, che ricopriva lo stesso ruolo nel campo della scultura, percepivano compensi infinitamente maggiori della semplice paga oraria. Parallelamente, il diffondersi di un collezionismo d’arte capace di non badare a spese pur di ottenere un’opera degli artisti più celebrati, riversò nelle loro tasche somme inavvicinabili per la gente comune e del tutto sganciate dal mero calcolo della maggiore o minore lunghezza dei tempi spesi per produrre quegli ambitissimi capolavori. In altre parole, cominciò ad affermarsi quel principio moderno per cui nell’opera d’arte il rapporto valore-lavoro non è quantificabile nei termini esclusivamente temporali delle ore impiegate per eseguirla materialmente.

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Tutto ciò ebbe inizio già in età classica, ad esempio con Policleto, grande scultore greco del V secolo a.C., delle cui statue originali in bronzo, come il celebre Doriforo, non ci è pervenuto l’originale, ma solo copie romane in marmo (fig. 12). Quest’artista compose il Canone, un trattato di cui si sono conservati solo pochi frammenti. In esso Policleto esponeva la sua teoria del bello, incarnata nella formula della cosiddetta composizione a chiasmo, cioè a X (dalla corrispondente lettera greca, che si legge «chi»). La composizione a chiasmo, che ha nel Doriforo il suo più canonico paradigma, si basa su un complesso gioco di equilibri e bilanciamenti nella rappresentazione del corpo umano, che abbandona la rigida e inanimata frontalità delle statue arcaiche per articolarsi nello spazio, obbedendo però ad un rigoroso controllo di ogni sua misura e dimensione, in base all’assioma che la bellezza è espressione di rigorosi parametri aritmetici e proporzionali. Il chiasmo cui obbedisce il Doriforo si fonda su un gioco incrociato di contrapposizioni: alla gamba flessa e arretrata corrisponde, in alto, il braccio opposto disteso in tutta la sua lunghezza, mentre al braccio sinistro piegato si contrappone, in basso, la gamba destra portante. Contemporaneamente, all’inclinazione delle spalle corrisponde, in senso inverso, quella delle anche. Il canone policleteo conferiva alla statua un’apparenza di moto, che la rendeva simile ad un corpo vivente, testimoniando un procedimento artistico il conferimento dell’apparenza di movimento ad una statua di cui possiamo seguire l’evoluzione, a partire dalla rigidità quasi egizia dei kouroi arcaici (fig. 13), dove un primo accenno di moto e di precisazione anatomica si sviluppa semplicemente con l’avanzamento di una gamba rispetto all’altra e con la definizione più accurata della struttura del ginocchio, per giungere fino all’arditezza di pose come quella del Discobolo di Mirone, oppure, un secolo dopo Policleto, all’animata scioltezza delle sculture di Lisippo (fig. 14), che Fig. 12. Policleto, Doriforo, 450 a.C. ca., copia romana in marmo da originale in bronzo, Napoli, Museo Nazionale. Fig. 13. Kouros funerario di Kroisos, 530 a.C. ca., Atene, Museo Archeologico Nazionale. 14. Lisippo, Apoxyómenos, 320 a.C.ca., copia romana in mano da originale in bronzo, Città del Vaticano, Musei Vaticani. hanno programmaticamente forzato il sorvegliato equilibrio chiastico del canone policleteo.

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In questo contesto, assume una particolare importanza la cosiddetta questione dell’«ut pictura poësis», ovvero l’asserzione, basata su una definizione tratta dall’Ars poetica dello scrittore latino Orazio, che a sua volta discendeva da una formula di Simonide di Ceo (VI-V sec. a.C.), circa la stretta analogia tra pittura e poesia. Secondo Simonide, la pittura non è altro che poesia muta, mentre la poesia, a sua volta, è pittura parlante. Di qui la tendenza, che comincia a farsi strada a partire dal Quattrocento, a considerare la cosiddetta «pittura di storia» come il genere pittorico di maggior livello e prestigio. Essa, infatti, è quel tipo di pittura che più si avvicina alla letteratura, in quanto rappresenta favole mitologiche, eventi storici o religiosi, popolati da personaggi che, attraverso la mimica, la gestualità e le posture del corpo, esprimono sentimenti, stati d’animo, passioni. Dipingere un «quadro di storia» comporta la padronanza della prospettiva e dell’anatomia, nonché la capacità di approfondire e narrare visivamente concetti e sentimenti. Va da sé che questo tipo di giudizio era anche applicato alla statuaria e alla scultura a rilievo.

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Penelope afflitta e Ulisse mendicante, 470-450 a.C. ca., rilievo in terracotta, New York, Metropolitan Museum of Art. Fig. 21. Provincia capta, età augustea, Roma, Palazzo dei Conservatori. appoggiato ad una mano, le gambe accavallate (allusive alla sua ostinata e virtuosa chiusura nei confronti delle profferte dei Proci che ambivano a sposarla), quest’immagine di Penelope «vedova inconsolabile» già nell’arte romana aveva subito uno «sdoppiamento» semantico, essendo stata adattata anche a tipo iconografico della Provincia capta (fig. 21). Fu facile, infatti, far slittare il significato allegorico di quella donna afflitta, piegandolo a simboleggiare la dolorosa sottomissione delle popolazioni che, dopo Fig. 22. Fazio degli Uberti, Dittamondo, pianta di Roma, miniatura di un codice del 1447, Parigi, Bibliothèque Nationale. Fig. 23. Albrecht Dürer, Monumento celebrativo della vittoria sui contadini, 1525, xilografia. esser state sconfitte dai Romani, venivano da essi integrate nella compagine imperiale.

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Leggere un'opera d'arte

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Chelli, Maurizio 10 occorrenze
  • 2010
  • Edup I Delfini
  • Roma
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Prima di passare alla descrizione di queste composizioni è utile ricordare il racconto veterotestamentario: il re persiano Assuero (V secolo a.C.) dopo aver ripudiato Vasti, la legittima consorte che lo aveva offeso, scelse al suo posto Ester, una fanciulla molto bella, non sapendo che era ebrea.

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L’iconografia più antica risale al V secolo a.C. e riguarda l’arte vascolare, dove l’immagine mostra semplicemente Europa in groppa al toro.

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Il tema ha una iconografia che risale all’arte vascolare del V secolo a.C., ripresa poi in epoche successive. Icaro è raffigurato mentre precipita a testa in giù con accanto Dedalo che prosegue il suo volo oppure osserva la scena dal basso. La storia di Icaro fu molto rappresentata nel XVI e nel XVII secolo con intenti moraleggianti, come invito alla moderazione. Piuttosto singolare è la versione dipinta da Pieter Bruegel e conservata nei Musei Reali di Bruxelles, che non ha l’aspetto di un dramma ma quello di una visione idilliaca (figura 86). Figura 86 - PIETER BRUEGHEL IL VECCHIO, La caduta di Icaro, 1558, Musei Reali, Bruxelles. Il punto di vista dall’alto suggerisce quello di Icaro ancora in volo, prima della rovinosa caduta in mare, rappresentata in basso a destra; l’aratore, il pastore, rimangono indifferenti di fronte alla tragedia di Icaro, mentre la natura si mostra in tutto il suo incanto.

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L'iconografia, come nel caso del mito precedente, risale al V secolo a.C. e compare sia nell’arte vascolare che nella scultura, e in genere mostra il cigno che con le ali spiegate accoglie in una specie di abbraccio la figura di Leda, raffigurata nuda. Il bassorilievo conservato nel Museo Archeologico di Atene, risalente al II secolo Archeologico corrisponde perfettamente alla scena (figura 89). Figura 89 - Leda e il Cigno, Museo Archeologico, Atene. Nel Rinascimento accanto a Leda e il cigno compaiono due uova, dalle quali stanno uscendo due bambini, come possiamo apprendere dal dipinto conservato nella Galleria Borghese, a Roma, attribuito alla scuola di Leonardo.

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Il ritratto, come genere, nasce intorno al IV secolo a.C. in Grecia, grazie soprattutto a Lisippo, autore del ritratto ufficiale di Alessandro Magno; si estende in seguito in ambito etrusco e in ambito romano, con aspetti diversi.

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Il meccanismo che ha prodotto questi canoni è lo stesso usato dagli artisti della statuaria greca del V secolo a.C., che per realizzare una scultura si servivano di più modelli, traendo il meglio da ognuno di essi. Gli spunti per rappresentare la natura andavano ripresi dal vivo e “ordinati”; in questo modo alberi, monti, architetture diventavano gli elementi utili ad individuare i vari piani di composizione.

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Le origini di questo tema sono antichissime e si fanno risalire alla fine del IV secolo a.C., in ambito ellenistico; si trattava di un tipo di rappresentazione illusionistica, attraverso la quale l’artista poteva dimostrare la sua abilità nel simulare la realtà. Significativo è l’episodio descritto da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, riguardante il pittore Zeusi, che avrebbe dipinto dei grappoli d’uva in maniera tanto fedele da ingannare alcuni uccelli che vanamente cercarono di beccarne gli acini, ma che a sua volta sarebbe stato ingannato allorché cercò di aprire un tendaggio dipinto dal pittore Parrasio.

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All’inizio il nudo fu soltanto maschile, ispirato a quella emozione sublime che i giovani nudi in palestra potevano suscitare secondo la cultura del V secolo a.C., poi in epoca relativamente tarda compare il nudo femminile.

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Sin dall’antica Grecia gli veniva attribuito un valore estetico, tanto che, come racconta Menandro, uno scrittore del IV secolo a.C., molti uomini del suo tempo cercavano di ottenere un colorito biondo dei capelli cospargendoli con un particolare unguento, per poi esporli all’azione dei raggi solari. Ma il giallo è anche il colore dell’autunno e nel Medioevo viene usato convenzionalmente per rappresentare gli indumenti di Giuda Iscariota, associandolo al tradimento; nel Seicento diventa sinonimo di malattia: la bandiera issata su una nave contaminata è gialla. Nell’antichità questo colore veniva ricavato da minerali ricchi di ferro e dal solfuro di arsenico. Ha il massimo potere riflettente e dà l’impressione di irradiarsi; l’occhio umano è sensibile ad esso più di ogni altro colore e questo spiega perché è usato dai pubblicitari e negli avvertimenti relativi alla prevenzione degli infortuni dei macchinari pesanti.

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In Egitto, al tempo del Nuovo regno (1580-1070 a.C.; XVIII-XX dinastia) era un segno di affetto e di lusinghe erotiche; nella pittura della Grecia arcaica rappresentava invece il corteggiamento; nell’arte della tarda antichità classica invece assumeva il significato allegorico dell’unione di Cupido e Psiche, ossia dello sposalizio del dio dell’amore con l’anima umana.

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L'altrui mestiere

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Levi, Primo 1 occorrenze

È pressoché inutile citare cifre al profano: è più pittoresco dirgli che se Noè, nel 3000 a.C., avesse incominciato a infilare elettroni su un filo, uno al secondo per otto ore di lavoro al giorno, oggi la collanina sarebbe lunga due decimi di millimetro. È noto che i vegetali crescono attingendo il carbonio di cui hanno bisogno non dalla terra, ma dall' aria, e precisamente sfruttando l' anidride carbonica presente in tracce nell' atmosfera, ma è stupefacente apprendere che il carbonio così fissato ogni anno, che è poi il solo disponibile come alimento per gli animali e per l' uomo, è quaranta volte più abbondante del carbonio che in ugual tempo viene estratto dalle miniere di carbon fossile. Che l' avvenire dell' umanità risieda in ultima analisi nel modo (razionale, irrazionale o folle) in cui si coltivano i campi e si alleva il bestiame, risulta da alcuni dati illuminanti. Per ogni essere umano, esistono cinque ettari di terra emersa, ma di questi uno è troppo freddo per essere sfruttato, uno è troppo montagnoso, uno troppo sterile ed uno troppo arido; rimane un solo ettaro a testa, ma di questo, oggi, solo mezzo è coltivato. Un singolo agricoltore americano produce circa 100 kg di cereali all' ora (ma non ci viene detto con quali investimenti); per raggiungere questo risultato occorrono 17 agricoltori cileni, 24 pachistani e 50 giapponesi: non sono riportati dati di confronto per l' Italia e gli altri paesi europei. Una vacca danese produce ogni anno il decuplo del proprio peso in latte; una vacca indiana solo il doppio, ma, poiché è molto magra, in assoluto essa dà un decimo del latte della prima. È probabile che certe coincidenze numeriche non siano casuali: si calcola che sulla superficie di un pascolo fertile il peso dei batteri esistenti per ogni ettaro sia uguale al peso del bestiame che il pascolo può mantenere. Un centimetro cubo di questo suolo contiene un numero di microrganismi paragonabile alla popolazione umana del mondo: la quale, sufficientemente costipata, troverebbe posto nel lago Windermere, in Inghilterra (press' a poco, nel nostro lago d' Orta). A scorno dei seguaci della macrobiotica, ed a consolazione degli affamati, apprendiamo che 17 volontari, negli Stati Uniti, sono stati alimentati per parecchi mesi unicamente con cibi ottenuti per sintesi, cioè per via chimica, escludendo i prodotti di origine vegetale ed animale; al termine dell' esperimento tutti i soggetti erano in ottima salute. Basterebbe quindi una fabbrica di modeste dimensioni per alimentare una grande città. La notizia ci rassicura solo in parte; si desidererebbe conoscere l' esito di un esperimento di maggior durata, perché le malattie da carenza si manifestano lentamente. Visto attraverso le lenti di Houwink, il nostro corpo acquista tratti surreali, ora etere ora creta. Una signora che appoggi il suo peso su un tacco a spillo esercita sul terreno una pressione pari a quella di un generatore di vapore ad alta pressione; la corrente d' aria che attraversa il nostro naso in una normale inspirazione corrisponde a un vento "forza due" della scala Beaufort; ma le energie in gioco nei "servizi ausiliari" (negli organi di senso e di comunicazione) sono incredibilmente basse. La somma dell' energia spesa da un uomo medio per parlare tre ore al giorno per tutta la sua vita basterebbe appena a scaldare una tazza di tè, e l' energia che si potrebbe ricavare da un pisello che cada dall' altezza di tre centimetri, se totalmente convertita in energia luminosa, basterebbe a stimolare il nervo ottico di tutti gli esseri umani che sono esistiti finora. Il nostro cervello è l' oggetto più complesso che esista nell' universo, ma per il suo funzionamento non occorre più energia che per una lampadina da 100 watt. A questa affermazione possiamo aggiungere che, proprio come per la lampadina, la maggior parte di questa energia va dissipata in calore; la quota che viene effettivamente utilizzata per le operazioni mentali è minima, e non mi risulta che sia stata finora misurata. Ognuno dei dati tratti dal campo dell' economia è un piccolo elettroshock. Un dollaro investito all' interesse composto del 4 per cento nell' anno della nascita di Cristo varrebbe oggi quanto 100000 globi terrestri d' oro massiccio. Del resto, è ormai improprio riferirsi all' oro come alla sostanza preziosa per eccellenza: il plutonio vale trenta volte di più, ed i neutroni un milione di volte. Tuttavia, se mi è lecito un intervento personale, mi permetterei di sconsigliare una tesaurizzazione di questi due materiali; il plutonio è radioattivo e assai tossico, ed i neutroni sarebbero un pessimo investimento perché hanno un tempo di dimezzamento di circa sedici minuti. È come dire che chi comperasse un chilogrammo di neutroni se ne troverebbe 500 grammi dopo un quarto d' ora, 250 grammi dopo mezz' ora, 125 dopo 45 minuti e così via. La nostra civiltà dei consumi è in realtà una civiltà degli sprechi. Un impiegato d' ufficio "produce" oggi 2 kg di carta straccia al giorno, che contengono più calorie di quante ne occorrano per il sostentamento suo e di sua moglie. Nei paesi industrializzati, gli autocarri che si mandano a rottame non hanno perduto più dell' uno per mille del loro peso. Costa all' incirca lo stesso, in termini d' inchiostro e rispettivamente di carburante, un chilometro scritto con una penna a sfera e un chilometro percorso in automobile, se si trascurano i compensi del guidatore e dello scrittore. Il libro riporta circa duecento notizie di questo tipo. Ce n' è di eleganti, di frivole, di grottesche, ma nessuna è inutile: tutte sono intese a farci capire il mondo in cui viviamo, cioè a fornircene un' idea concreta; ma in molti casi "capire" vuol dire invece rendersi conto che di alcuni oggetti e fenomeni non ci è concesso costruirci un' immagine (lo stesso avviene per Dio secondo alcune religioni). La nostra fantasia ha le nostre dimensioni, e non le possiamo imporre di superarle. Anche la fisica classica ha le nostre dimensioni; per discendere nel cuore degli atomi, o per salire negli spazi intergalattici, occorre un' altra fisica, in cui l' intuizione non soccorre più, anzi impedisce. Per i profani come noi, l' unico strumento che ci consenta di gettare un' occhiata al di là dei nostri confini sono i "dati strani". Non sono scienza, ma stimolo ad acquistarla.

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Vizio di forma

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Levi, Primo 1 occorrenze

Essi si formarono lentamente (nel corso di cinque fino a quindici anni) in tempi anche molto antichi presso diverse Città della zona mediterranea; ma non risulta che siano stati osservati prima dell' ottavo secolo a.C. La maggior parte di questi crateri antichi è stata in seguito obliterata più o meno completamente, forse per erosione o in conseguenza di catastrofi naturali. Negli ultimi sessant' anni numerosi altri crateri si sono formati con grande regolarità entro o presso tutte le Città di estensione superiore ai 30-50 ettari: le Città maggiori ne posseggono spesso due o più. Non appaiono mai sui pendii, ed hanno forma e dimensioni molto uniformi. Piuttosto che a pianta propriamente ellittica, essi consistono di un rettangolo di circa 160 per 200 metri, completato sui due lati brevi da due semicirconferenze. La loro orientazione appare casuale, sia rispetto al reticolo urbano, sia rispetto ai punti cardinali. Che si tratti di crateri, è stato chiaramente riconosciuto dal profilo delle ombre crepuscolari: il loro bordo è alto 12-20 metri rispetto al suolo, scende a picco verso l' esterno, e verso l' interno con una pendenza del 50 per cento circa. Alcuni di essi, nella stagione estiva, emettono talvolta una lieve luminosità nelle prime ore della notte. La loro origine vulcanica è ritenuta probabile, ma è oscuro il loro rapporto con le formazioni urbane. Altrettanto misterioso è il ritmo settimanale a cui i crateri stessi appaiono tipicamente soggetti, e che descriviamo nel punto seguente. ". PERIODICITA' NON ASTRONOMICHE. Un certo numero di fenomeni osservati sulla terra segue un ritmo di sette giorni. Soltanto i mezzi ottici di cui disponiamo da qualche decina d' anni hanno permesso di mettere in rilievo questa singolarità, perciò non siamo in grado di stabilire se essa abbia origini recenti o remote, o se addirittura non risalga alla solidificazione della crosta terrestre. Non si tratta certamente di un ritmo astronomico: come è noto, né il mese (sinodico o sidereo) né l' anno (solare o sidereo) terrestri contengono un numero di giorni multiplo di sette. Il ritmo settimanale è estremamente rigido. I fenomeni che chiameremo DSG (Del Settimo Giorno), e che interessano principalmente le città e i loro dintorni immediati, hanno luogo simultaneamente su tutta la superficie terrestre: al netto, beninteso, delle differenze di ora locale. Il fatto non è spiegato, né sono state proposte ipotesi veramente soddisfacenti: a titolo di curiosità segnaliamo che da alcuni osservatori è stata formulata la supposizione di un ritmo biologico. La eventuale vita (vegetale e-o animale) sulla Terra, che in questa ipotesi dovrebbe essere accettata come rigorosamente monogenetica, sarebbe soggetta ad un ciclo estremamente generale, in cui l' attività e il riposo (o viceversa) si succedono con periodi di sei giorni e un giorno. ".1.ATTIVITA' DSG DEI CRATERI. Come accennato, i crateri ellittici di cui al Punto 2.3 sono soggetti ad un ritmo settimanale. Ogni sette giorni il loro contorno, che normalmente è biancastro, diviene grigio o nero nel giro di poche ore (generalmente nelle prime ore pomeridiane): conserva questa colorazione oscura per due ore circa, per riassumere poi in 15-20 minuti la tinta biancastra primitiva. Solo eccezionalmente il fenomeno è stato osservato in giorni diversi dal settimo. L' area interna dei crateri non presenta variazioni di colore apprezzabili. ".2. ALTRE ATTIVITA' DSG. Nelle prime ore diurne dei settimi giorni i filamenti urbani periferici (radiali) appaiono lievemente più scuri. Nelle prime ore notturne successive, soprattutto nella stagione estiva, essi appaiono invece debolmente luminosi anche al di fuori del perimetro urbano: in particolari condizioni di angolatura, questa luminosità appare sdoppiata in due filamenti paralleli e contigui, uno di luce bianca ed uno di luce rossa. Anche alcune porzioni di litorale marino sono soggette ad oscuramento DSG. Esso è stato osservato su litorali di peculiare colore giallastro, non troppo lontani da Città e non soggetti a grosse maree: ha luogo solo nelle stagioni e nelle località di maggiore insolazione, e dura da 2-4 ore dopo l' alba fino al tramonto locale. Su alcune delle spiagge in questione l' oscuramento, oltre che al settimo giorno, si osserva quotidianamente, per un periodo di 15-30 giorni che ha inizio un mese circa dopo il solstizio d' estate. 3.3. ANOMALIE DSG. In questi ultimi mesi è stato dimostrato che in alcune zone dell' Africa settentrionale, dell' Asia meridionale e dell' Arcipelago Malese i fenomeni DSG avvengono con due giorni di anticipo rispetto al resto della Terra, e con un solo giorno d' anticipo in una stretta striscia dell' istmo che congiunge l' Asia con l' Africa. Nelle isole Britanniche essi appaiono invece distribuiti fra il sesto e il settimo giorno. 4. PORTI E ATTIVITA' PORTUALI. Si intendono per "Porti", come è noto, le Città situate sulle coste dei mari o di grandi laghi o fiumi. Per la definizione di questi ultimi concetti geografici si rimanda ai Rapporti precedenti: sia solo lecito ricordare che la natura liquida di mari, laghi e fiumi è da ritenersi ormai confermata dall' esame polarimetrico dell' immagine solare che ne è riflessa, e che, date le condizioni di temperatura e di pressione esistenti sulla superficie terrestre, si ammette oggi universalmente che il liquido in questione sia l' acqua. I rapporti fra acqua, neve, calotte polari, ghiacciai, umidità atmosferica e nuvolosità sono stati descritti nel Rapporto n. 7, a cui rimandiamo. Ci occuperemo qui in specie dei Porti marittimi; ricordiamo che già ai più antichi osservatori non era sfuggito che essi sono sempre situati in insenature più o meno profonde delle coste, e spesso alla foce dei fiumi. Tutti i fenomeni di cui sono sede le Città interne si notano anche nei Porti, ma in essi si svolgono inoltre attività specifiche di grande interesse. 4.1. NAVI. Indichiamo per semplicità col nome di "navi" particolari oggetti natanti di forma allungata che i moderni mezzi ottici hanno permesso di distinguere. Si spostano nell' acqua longitudinalmente con velocità assai varie, ma raramente superiori ai 70 km-ora; la loro lunghezza massima è di circa 300 metri, la minima è inferiore al potere risolvente dei nostri strumenti (circa 50 metri). La loro importanza è fondamentale: sono i soli oggetti che si vedano materialmente spostarsi sulla superficie terrestre, se si eccettuino i frammenti di ghiaccio che si vedono spesso staccarsi dalle banchise polari. Ma mentre i movimenti di questi ultimi sono lenti e appaiono casuali, i moti delle navi sono soggetti a interessanti singolarità. 4.1.1. MOTI DELLE NAVI. Le navi si distinguono in periodiche ed aperiodiche. Le prime compiono percorsi fissi di andata e ritorno fra due Porti, spesso sostando qualche ora in Porti intermedi: è stata notata una grossolana proporzionalità fra le loro dimensioni e la lunghezza del percorso. Non sostano che eccezionalmente in mare aperto: si spostano con velocità assai costante per ogni nave, sia di giorno, sia di notte, e il loro percorso è assai prossimo alla via più breve fra i punti di partenza e di arrivo. Emanano di notte una lieve luminosità; talora sostano nei Porti per qualche mese. Anche le navi aperiodiche si spostano fra porto e porto, ma senza regolarità apparente. Le loro fermate sono di solito più lunghe (fino a 10 giorni); alcune di esse vagano irregolarmente in mare aperto, o vi sostano a lungo. Non sono luminose, e mediamente sono meno veloci. Nessuna nave viene a contatto con la terraferma al di fuori dei Porti. 4.1.2. GENESI E SCOMPARSA DELLE NAVI. Tutte le navi si formano in relativamente pochi punti fissi, tutti situati entro Porti piccoli o grandi. Il processo di formazione dura da qualche mese a uno-due anni: pare che avvenga per accrescimento trasversale a partire dall' asse maggiore, che si forma in un primo tempo. La vita delle navi è da 30 a 50 anni; normalmente, dopo una sosta più o meno lunga in un Porto, che talvolta è quello di origine, sembrano soggiacere a un rapido processo di disintegrazione o decomposizione. In rari casi sono state viste sparire in mare aperto; su tale argomento si veda però il Punto 5. 4.1.3. IPOTESI SULLA NATURA DELLE NAVI. È escluso oramai che si tratti di blocchi galleggianti di pomice o di ghiaccio. Merita attenzione una recente audace teoria secondo cui esse non sarebbero che animali acquatici, intelligenti quelle periodiche, meno intelligenti (o meno dotate di istinto d' orientamento) le altre. Le prime si alimenterebbero a spese di qualche materiale o specie vivente reperibile nei Porti, le altre, forse, a spese di navi più piccole (a noi invisibili) in mare aperto: però, secondo alcune osservazioni, esse manifesterebbero un tropismo per gli idrocarburi. Molte navi aperiodiche, infatti, frequentano Porti situati in zone ove l' atmosfera rivela tracce di metano e di etano. Ancora nei Porti avrebbe luogo il ciclo riproduttivo di entrambe le varietà, per ora a noi oscuro. 4.2. PORTI TERRESTRI. Presso molte Città si scorgono aree denominate "Porti terrestri", e caratterizzate da un particolare schema di filamenti di colore grigio, luminosi di notte: si tratta di uno o più rettangoli larghi 50-.0 metri e lunghi fino a 3000 metri e più. Dall' uno all' altro Porto terrestre sono stati osservati spostamenti di singolari oggetti costituiti da una lunga nuvola bianca in forma di triangolo isoscele allungato, il cui vertice avanza a velocità di .00-1000 km-ora. 5. PERIODO ANOMALO. Si suole indicare con questo nome il periodo 1939-45, che è stato caratterizzato da numerose deviazioni dalla norma terrestre. Come si è accennato, in gran parte delle Città è apparso perturbato o interrotto il fenomeno della luce serale (2.1). Anche l' accrescimento è apparso assai rallentato o nullo (2.2). L' oscuramento DSG dei crateri è stato meno intenso e regolare (".1); così pure l' oscuramento litoraneo (".2); sono scomparsi la luminosità DSG dei filamenti urbani (".2), dei crateri (2.") e delle navi periodiche (4.1.1). Il ritmo pendolare di queste ultime (4.1.1) è apparso gravemente perturbato; è invece aumentato il numero e la mole delle navi aperiodiche, come se queste avessero sopraffatto le prime. Il fenomeno (4.1.2) della scomparsa improvvisa di navi in mare aperto, normalmente assai raro, si è verificato con grande frequenza: sono state contate non meno di .00 sparizioni, avvenute in tempi variabili da 4 minuti a molte ore, ma, data l' incompletezza delle osservazioni, e l' impossibilità di controllare ad ogni istante più della metà della superficie terrestre, questa cifra va moltiplicata certamente per due, e probabilmente per un fattore più elevato. Alcune sparizioni di navi sono state precedute da intensi ma istantanei fenomeni luminosi; altri fenomeni analoghi si sono notati nello stesso periodo in varie regioni terrestri, in specie in Europa, in Estremo Oriente, e lungo la costa settentrionale dell' Africa. La fine del Periodo Anomalo è stata segnata da due esplosioni assai vivaci, avvenute entrambe in Giappone a due giorni di distanza l' una dall' altra. Altre simili, o più forti, sono state osservate nei dieci anni successivi su vari isolotti del Pacifico e in una ristretta regione dell' Asia centrale: nel momento in cui scriviamo il fenomeno appare estinto o latente.

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