Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIOR

Risultati per: a

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Riformiamo noi stessi

387929
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Tutti sentono l'insostenibilità della situazione, la necessità di un mutamento, l’urgenza della riforma; ma nessuno, pensa che la riforma deve m'cominciare da sé stesso, che quest’onda che deve rimuovere e riportare, deve partire anche da lui, che se la società volerà a lidi migliori, sarà perché l’individuo, ognuno per suo conto, avrà aperto l’ali e preso il volo senza aspettare gli altri. Si pensa il processo della riforma come un movimento fuori del centro verso la periferia, ma non si risale alle origini del centro medesimo, che siamo noi stessi. Accade questo anche a molti cristiani nella vita pubblica, benché essi accentuino magari contemporaneamente la base morale del problema sociale, cioè appunto la sua interiorità. È naturale che i giovani credano più facilmente a tali soluzioni esteriori ed è sintomatico che il motto di Dante «libertà va cercando ch’è si cara» trovi anche nella pratica degli studenti nostri tutte le interpretazioni fuori di quella che gli diede l’autore della mirabile visione. L’Unione non ha da farsi questo rimprovero, è bene ricordarlo! Noi abbiamo detto fin da principio che lo scopo precipuo della società è formare l’individuo. Mente chiara, cuore ardente, ecco quello che cerchiamo. La vita universitaria è un macchinismo complicato che elabora l’individuo come fa del legno il tornio. Solo che non lascia posare mai l’occhio dell’anima sua, secondo l’ammonimento della Scrittura, costruisce con le sue mani il tempio delle proprie idee; ai più viene imposto come una cappa di piombo. Per i più la vita universitaria significa l’estinzione volontaria della ragione e della facoltà volitiva. Costoro formeranno poi «l’illustre, il dotto ed il censito volgo»; e il popolo aspetti la riforma da che non seppe formare sé stesso! Amici! Fino che dura la vostra vigilia e non è ancora sorto il giorno dell'opera, cercate la chiarezza, la precisione della vostre idee sulle questioni che la vita vi muove incontro, perché il cristiano, dice il nostro Rosmini, non deve giammai camminar nelle tenebre, ma sempre nella luce. Questa luce infine non è che la chiara comprensione del compito della nostra vita, di tutto il nostro programma integrale. Quando noi ricordiamo il nostro motto «cattolici, italiani, democratici» non facciamo che adattare la nostra lingua ad un difetto, ad una mancanza che hanno portato i tempi nella pienezza di significato della parola «cattolici». E noi aspiriamo a questa riforma, a ridarle colla pratica della vita tutto il significato integrale. Ma prima dobbiamo farlo nel campo delle idee, sì che il nostro tempio non abbia che una sola base e un sol disegno, in cui tutte le parti armonizzino coll’intero. E dopo questo, lasciamo pure che il cuore s’accenda ai propositi più generosi, che ci trascini l’entusiasmo dei grandi ideali, e nessuno potrà accusarci di sogni immaginari, di effervescenza del pensiero. Dio disse: «Son venuto a portare il fuoco in terra e voglio che si accenda!». Commilitoni, non credete ai nuovi sofismi della viltà, alla decadenza della razza, all’azione di forze impersonali. Dio arma ogni cristiano alla battaglia e ognuno deve guadagnarsi il suo posto. Intanto, mentre nel ricambio delle idee e nella risonanza delle anime prepariamo il nostro domani, guardiamo alla patria e preghiamo:

L'adunanza delle associazioni cattoliche in onore di Sua Altezza Rev.ma Principe Vescovo

387947
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Avevano i cattolici trentini da opporsi all’invasione di un male sociale colle dighe di un’organizzazione loro creata a tale scopo, o dovevano lasciare all’individuo le cure della lotta e della difesa? A chi volle l’organizzazione e la difesa sociale non mancarono né argomenti né armi per spronare i dubbiosi. Era anzitutto l’idea di un sano conservativismo che spingeva all’azione ed a far presto. Conveniva mantenere al Trentino intatto il suo nome e alla Chiesa la cerchia della sua influenza. L’Albero più volte secolare del paese manifestava nei rami e nelle foglie una malattia che infierirebbe presto nelle radici. Il paese doveva venir rigenerato. Ma un paese, aveva scritto il cardinal Manning, si rigenera come un albero non dai rami, ma dalle radici. E le radici sono nelle classi popolari. Così i cattolici organizzati, mettendo mano all’opera di rigenerazione, s’occuparono anzitutto del popolo, del gran popolo lavoratore. Era su questo terreno che la lotta si faceva più aspra, ma era anche qui il campo ove il loro lavoro aveva la più ampia sanzione e più autorevoli esempi. Trovarono sul posto un’altra lega, un’altra forza unita, ed era l’organizzazione dell’irreligione, un nemico vecchio sotto spoglie nuove. Di fronte a questo stato di cose, i cattolici trentini svilupparono un’attività sorprendente, e sorsero società di resistenza, di difesa e di miglioramento, di carattere pre- valentemente morale o prevalentemente economico. Ma tutte queste istituzioni non vollero essere, come taluno credette né semplicemente baluardi contro il socialismo e la demagogia, né puramente strumenti, direi così, meccanici, per guadagnare o conservare alla causa cattolica l’individuo. Le organizzazioni cattoliche di qualunque specie, ebbero ed hanno il compito generale di restaurare in Cristo i tessuti sociali, di riformarli in ordine allo spirito di carità e di giustizia e di dimostrare in via di fatto, di fronte a negazioni audaci o a concessioni dubbiose, le energie sociali del cri- stranesimo. E già qui trovate le ragioni della presenza e dell’azione del clero in quest’opera di rigenerazione, quando si pensi che per la sua parte questo lavoro non è, né altro deve essere, che l’interazione della missione sacerdotale. Se non che i cattolici trentini trovavano ormai la sanzione dall’alto di quel lavoro che i tempi richiedevano e i cattolici d’altri paesi avevano già intrapreso. Illustri vescovi della Germania avevano rivendicato al cristianesimo ed ai ministri della Chiesa il diritto di far intendere la voce, quando si tratta della classi operaie, come l’architetto, secondo la frase di Mons. Ketteler, ha diritto di parlare di un tempio che ha costruito. L’arcivescovo di Perugia, Gioacchino Pecci, nella lettera pastorale del 1877, aveva lamentato i tempi risospinti molti secoli addietro, quando il poeta Giovenale esclamava che a trastullo di pochi viveva il genere umano, ed aveva eccitato i cattolici alla restaurazione e, salito sulla cattedra di Pietro, aveva ricordato agli operai francesi nell’ottobre del 1887 che «la Chiesa, in passato, allorché la sua voce era meglio ascoltata e più obbedita, veniva in aiuto ai lavoratori in modo diverso che non colle elargizioni della carità, che essa aveva creato e incoraggiato quelle grandi istituzioni corporative, che hanno si potentemente aiutato il progresso della arti e dei mestieri e procurato agli operai stessi una più grande somma di comodità e di benessere; che questa sollecitudine essa l’aveva ispirata intorno ad essa in tutti coloro che godevano un’influenza sociale, in modo che si manifestava negli statuti e nei regolamenti delle città, nelle ordinanze e nelle leggi dei pubblici poteri» ed aveva assicurato che la Chiesa aveva ancora quest’ideale e cercava di realizzarlo. Venivano poi altri documenti più espliciti riguardo ai mezzi da seguire e più imperativi, fino a quell’enciclica che fu sentenza, norma e comando riguardo alle «cose nuove» e alla quale si appellarono e si appelleranno sempre i cattolici d’azione, alla quale risale il presente S. Padre Pio X, quando riordina e rinfranca il movimento cristiano popolare. Tali, o signori, furono gli impulsi, i presidi e gli indirizzi che promossero o accompagnarono l’opera del Trentino cattolico. Era naturale che gli uomini più colti ed illuminati del clero vi facessero parte, sapendo che «per un ecclesiastico, come scriveva il p. Weiss a Decurtins, il dovere più alto, la missione più savia è oggi quella di ricordare al mondo gli antichi principi della giustizia». Signori! Fra questi uomini che non esitarono sulla via da intraprendere e che vi camminarono sopra senza dubitare fu Mons. Celestino Endrici. Tutti ricordano l’opera sua ed era ben doveroso che tra le manifestazioni di gioia che accompagnarono la sua elevazione all’episcopato non mancasse quella delle nostre istituzioni. Esse ebbero il contributo delle sue cognizioni profonde, della sua mente vasta, e ciascuna volle esser qui rappresentata a prestare la sua parte in omaggio, ad esprimere la propria riconoscenza e il proprio attaccamento. E riconoscenza esprimono specialmente i giovani, i quali, se alle singole fasi dell’azione non poterono partecipare ne trassero però ammaestramenti ed entusiasmo di propositi forti. S’unisce qui dunque l’omaggio di due generazioni, e la generazione giovane che sorge ora, guarda con speciale fiducia al nuovo Vescovo che vi spese attorno tante cure. Ed io, o signori, se dovessi parlare in nome di questa generazione novella, di questo Trentino nuovo al quale vanno congiunte tante visioni e tante speranze, direi, che i giovani, venuti su quando il movimento cattolico era già iniziato, altro proposito non hanno che di accelerarlo, sulla scorta dei maggiori e sulle orme già impresse. Direi che essi oramai si sono fatti ragione dell’ora che corre, delle lotte fra scienza e fede, fra democrazia e democrazia, fra civiltà e civiltà e si sono chiesto se non occorresse sacrificare parte delle proprie energie individuali al grande ideale comune, alla riconquista di questo caro paese stretto fra le alpi, alla civiltà cristiano-latina. Eppure essi non si propongono lotte infeconde né divisioni evitabili, ma null’altro desiderano che l’azione cattolica, cresciuta ad albero maestoso, distenda i suoi molteplici rami sul paese tutto, affinché tutti gli uomini di buona volontà trovino conforto e ristoro alla sua ombra. Il programma dei cattolici è conservativo ad un tempo e progressista. Si trattava infatti se il trentino che i nostri avi hanno lasciato adorno di tanti monumenti di cristiana pietà, avesse a mantenere il suo carattere predominantemente cattolico, se a questa catena che ci ricongiunge con tante glorie del Trentino di ieri, dovesse aggiungersi l’anello dell’indomani, o per l’ignavia del nostro tempo dovesse venire interrotta. Ma si trattava anche di servire a questa gran causa antica con tutte le armi nuove, e i cattolici trentini lo fecero mettendosi al loro posto nella corrente dei tempi, seguendo l’esempio dei più avanzati fra i paesi cattolici. Ed era ed è ancora la loro parola d’ordine «il Trentino deve divenire ogni giorno migliore». Migliore anzi tutto in loro stessi, si ché le pietre che devono formare la gran fabbrica siano prima tagliate e compiute, affinché la Chiesa trentina, come il tempio di Salomone, s’innalzi maestosa, «senza che s’oda il rumore del martello». Amici! «l‘arco de’ gran guerrieri non si è ancora spezzato né i deboli si sono cinti in robustezza!» L’appello, del Vogelsang agli stati che abbracciassero una buona volta il Cristianesimo in tutta la sua portata storica, è rimasto senza eco, e l’opera della rivoluzione va compiendosi nei paesi latini. I confronti sono oltre modo istruttivi. Là ove i cattolici furono perla scuola neutrale di un Lodovico de Besse e per le idee dei giureconsulti cattolici senza una demarcazione netta, infierisce ora il leone che ha trovato la greggia dispersa e senza difesa, ma in Germania ove i cattolici lavorarono per il popolo sta il Centro come torre che non crolla, e lo spirito sociale del cristianesimo ricomincia a manifestarsi «negli statuti e nei regolamenti della città, nelle ordinanze e nelle leggi dei pubblici poteri». Ma in riva al Danubio il popolo organizzato in nome di Cristo fiaccò l’audacia del movimento Los von Rom! E riarmò il cristianesimo, apportatore di giustizia e di carità, e non prestò fede ai suoi nemici. Tali gli ammaestramenti dell’ora che passa, tali i confronti alla luce dei quali i posteri giudicheranno anche noi. E si domanderà se noi, invece di camminare nella luce, ci aggiraran nelle tenebre e se, invece di sorgere di buon mattino al lavoro, pieni di quella carità di Cristo, che cerca anzitutto la giustizia e ne prepara l’avvento, giacemmo inerti nella tiepidezza. Trentini! Ad ognuno di voi il quale cammina lungi dalle nostre vie, noi non rivolgiamo altra esortazione che questa: che sosti un momento ed osservi. Veda il male morale invadere le nostre città, le nostre borgate, le nostre valli; osservi come la miseria sociale spinga i figli di questa patria a rinnegare la madre antica. Osservi e pensi. Pensi alle glorie passate, quanto dolce risuonava l’unione di due nomi: Religione e patria! E volga lo sguardo all’avvenire, a quell’avvenire che egli desidererebbe grande ai nipoti. E poi non prosegua, non faccia un passo, senza avere prima preso una decisione. Sia questa degna del passato, meritevole dell’avvenire, sia una promessa auspicante la vita nuova del Trentino che verrà.

Cerca

Modifica ricerca