Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La cultura presente e la riscossa cristiana. Discorso dello studente di filol. Alc. Degasperi al Congresso di Mezzocorona

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Questa parola suonava male fra i concerti di ammirazione per il secolo del progresso che se ne andava e fra le invocazioni solennemente profetiche a quello che veniva. I beati spiriti di professione, avvezzi a decantare tutti i giorni le conquiste della moderna civiltà, gridarono all’assurdo, al pessimista. Ci fu però chi seppe loro rispondere che appunto questo loro gridare era un altro sintomo della decadenza: così avevano fatto i sofisti della Grecia, così i retori di Roma, così gli umanisti del secolo XV. Quando la Grecia era già tributaria a Filippo, i sofisti declamavano ancora il progresso; mentre la minaccia dei barbari era vicina al compimento, Simmaco dirigeva all’Imperatore dotti promemoria sulla dea delle vittorie, e quando la vita cattolica si trovava in basso, molto in basso, non fecero i dotti l’apoteosi di Leone X? E se poi i giornali rincorarono ironicamente questi moralisti pettegoli, osservando che la cultura moderna infine non correva pericolo, perché non vi sono più barbari, un coro ancor più forte ribatteva collo storico Niebuhr: «Non c’è bisogno davvero che i barbari scendano d’oltre le frontiere; essi vengono su nel bel mezzo dei popoli presenti». E così, o signori, le voci di Cassandra si fanno più numerose e più forti, mentre anche chi non è solito vedere le cose sotto la corteccia, non ha più il coraggio di protestare che la questione sia stata posta. Evidentemente la diversità del giudizio trova la sua ragione in due diverse concezioni della vita dell’umanità: l’una cristiana, colla creazione, il peccato di origine e la redenzione; l’altra la «scientifica», la quale spiega la storia colla lotta per l’esistenza che lentamente — ma di continuo — va avvicinando l’uomo alla perfezione. La seconda esclude a priori ogni idea di decadenza; la prima fa dipendere il progresso ed il regresso da certe leggi morali generali, le quali sono la quintessenza del cristianesimo. Ora, secondo questi principi cristiani, facciamo anche noi, o signori, questa domanda: la cultura moderna si può dire in decadenza? Qui io rispondo senz’altro affermativamente. Esaminiamo infatti al lume di questa principi, e brevemente, lo stato presente della nostra cultura, di quella che si dice più propriamente moderna. «Dal marcio di nazioni decadute, da religioni intimamente corrotte salga la pura umanità!». Questo superbo desiderio di un radicale del ’48 divenne il programma, la meta delle nostre classi colte. Riflesso del materialismo pratico che rodeva già queste classi sfruttatrici, il materialismo teoretico invase la filosofia, l’arte, la letteratura, tutta una civiltà. Il risorgere delle scienze naturali per Darwin parve segnare la via del secolo rigoglioso d’energie speculative, e la filosofia con rinnovato ardore si lanciò sulle nuove tracce, in cerca dell'«humanitas». Si trattava di ricostruire l’armonia intellettuale e spirituale, che col ripudio del cristianesimo era andata perduta, e della cui mancanza si presentivano le rovine. Assistemmo quindi alla costruzione di una serie di ipotesi, l’una delle quali distruggeva l’altra, e che erano estranee al cristianesimo, e non sempre ostili. Se esaminiamo anzi i risultati di questa scienza, ci si trova tropo spesso una tendenza preconcetta —— cosa forse naturale, dati i precedenti. Lo scienziato cioè cerca qualche cosa che sia fuori del cristianesimo ed intorno a questo qualche cosa fabbrica la sua teoria o il suo sistema il quale — fatalmente — riesce un aborto. E tale fu oramai dichiarato l’ultimo tentativo di Haeckel e l’altro che riguarda più specialmente la cultura, di H. Stewart Chamberlain. In tal maniera la scienza che si era proposta la ricostruzione dell’unità universale degli spiriti, lavorò più che mai a creare la presente anarchia intellettuale e religiosa. A me pare che di tutto questo lavoro deleterio, compiutosi nei gabinetti dei dotti, siano passate sostanzialmente nella coscienza popolare due correnti: la corrente positivista, la quale esclude dal sensibile ogni causa superiore ed interna e la corrente pessimista, la quale trova la sua ragione nell’ignoramus, messo a conclusione di tutta la critica scientifica fino ad oggi. E sono appunto queste due correnti che innondano e trascinano via la vita nostra e vi imprimono il marchio della decadenza. E invano la prima corrente, la positivista crea in arte il verismo e il naturalismo in letteratura. «Ricacciate nella cerchia umana ed umanizzate tutti gli ideali», non era solo la meta di Cavallotti, ma è una tendenza dell’arte e della letteratura più in voga. Respinti gli ideali cristiani, eminentemente sociali ed educativi, l’arte —— e qui parlo dell’arte nel suo significato estetico universale —— seguendo l’evoluzione scientifica, è discesa all’ideale del «puro humanum» di lì a quello della «sana sensualità» ed infine a quello che i veristi non si peritarono di chiamare «ideale della porcheria». Di più l’arte, causa l’anarchia intellettuale invadente si è ritirata nel suo tempio vi si è fatto un culto naturale, indipendente dalle leggi morali e si è dichiarata fine a sé stessa, col diritto di spaziare liberamente nel campo della natura sensibile, senza alcun ritegno sovrannaturale. Allora la formula dell’«arte per l’arte» diventò segnale della decadenza. L’arte divenne all'uomo dea o tiranna e non potendo più essere la rappresentazione del vero, fu lo specchio —— con poche eccezioni che avremo occasioni di rilevare —— dell’anarchia morale della nostra vita paganeggiante. Dovremo quindi meravigliarci, o signori, se uno di questi letterati moderni, Octave Mirbeau, giunse a dire: «Riprovo ogni restrizione governativa ed ogni censura che sono sempre state ridicole. Non so che cosa sia il pudore, che cosa sia la pornografia. Il solo vizio di cui io abbia veramente orrore, perché li contiene tutti, è quello che le persone oneste chiamano la virtù»? Era poi anche logico che quest’arte, così vuota d’energia interiore, diventasse soprattutto un culto della forma. La pittura si seppellì nei petali di fiori strani artistici (secessionismo), la scultura ritrasse finalmente la bella «bestia bionda» e il «primo dei mammiferi» e la letteratura senza un substrato filosofico e sincero, parve una bella donna delicata, la quale, coi piedi nel fango, guarda con gli occhi languidi verso il cielo ove in mancanza dell’«ideale» si è formato un fantasma di bellezza fatto di nuvole e di colori. Tale è l’arte del Verlaine, del Rimbaud e del Mallarmé, tale è l’arte dei superuomini dannunziani, il cui maestro, malgrado delle splendide pagine date alla letteratura, concentra in sé tutti gli elementi di decadenza, fra i quali, prodotto logico della vanità di concetto, fu notata in ultimo anche la degenerazione della forma. Questo, signori, un lato della nostra cultura «senza dogma». Ma ho detto che in essa domina anche un’altra corrente pessimista. Il Tierens Geraert ha riassunto il bilancio del pensiero del secolo XIX in queste parole: «Le tristezze contemporanee»; e triste è in vero il colore di una gran parte della nostra coltura. I filosofi avevano sciolto l’enigma di Amleto così: Il non essere è meglio dell’essere. Per la scuola di Hartmann l’ultimo fine morale era ricacciare l’essere nel non essere, ossia il suicidio collettivo. Poi venne Federico Nietzsche, e disse: «Il dolore dell’uomo aumenterà fino ad annichilirlo e darà luogo ad un altro essere impenetrabile alla sofferenza, il superuomo». Fu la filosofia di un pazzo, eppure — terribile sintomo di decadenza —— non morì con lui! «Gli uomini sono stanchi di vivere, scrisse il prof. Masaryk, e i nostri poeti intonano loro le nenie funebri» e continua: «l’influenza di Schopenhauer, Hartmann, Nietzsche non si può spiegare che colla debolezza e la stanchezza di un periodo di cultura all’esaurimento». La decadenza, o signori, è dunque completa. Ed è così che il naturalismo e il pessimismo vanno sfibrando il tessuto della nostra cultura, dandole quell’apparenza di caducità e di debolezza, che faceva esclamare al Carducci commemorante il Cavallotti: «Si dice che l’opera teatrale del Cavallotti gli sia premorta; ebbene, o signori, che c'e‘ di vivo da cinquant’anni qua? Nulla! Che cosa ci sarà di vivo da qui a cinquant’anni? Nulla!». Ma qui ci si affaccia una domanda molto importante: Dove siamo con la decadenza? Abbiamo oltrepassato il punto estremo della decadenza o decaderemo sempre? Ovvero: il domani sarà la continuazione di oggi o la sua rigenerazione? — La risposta dipende da due cose: se cioè nella presente cultura, malgrado la decadenza generale, esistono tuttavia dei sintomi di rinascimento e se altri elementi, vergini delle colpe di oggi, siano condotti ad assumere la rappresentanza della cultura. Chi si pone a studiare le ultime tendenze del pensiero scientifico moderno con esame severo e spassionato, ne trova una la quale più che un fatto del secolo XIX, è una promessa per il XX. Risalendo per le rovine accumulate dalla critica scientifica ed osservando alla fine che cosa sia rimasto nell'ambito stesso della scienza, dopo le prove fallite, vi sorprendiamo una inclinazione, la quale necessariamente mira a ricostruire quell’edifizio di affermazioni che la scienza stessa aveva cercato di distruggere lungo tutta l’età moderna che precede. La filosofia positivista, respingendo il cristianesimo, si era assunto il gravissimo compito di spiegare naturalmente il problema delle origini e quello delle finalità dell’universo, ma fallito —— come provò il Brunetière - l’audace tentativo, spinta dall’autocritica, essa si vede ora sparire dinanzi ad uno ad uno quegli ostacoli, che impedivano il suo accostarsi al soprannaturale. In pari tempo la critica storica avanzata, la quale aveva attaccato con tutto l’impeto il cristianesimo dal lato storico, spinto in avanti l’esame dei decadimenti antichi, vi trova dei fatti irreduttibili a fenomeni naturali: Si ha quindi la prova della loro trascendenza, e in tal modo la critica storica viene ad impedire che la filosofia speculativa si converta solo ad una fede vaga e non ad un fatto concreto, il cristianesimo. E non è questo, o signori, un Sintomo di rinascimento per la nostra età, la cui decadenza si deve a coloro che in nome della scienza devastarono rumorosamente gli scudi contro la Religione? Ma c’e‘ di più. Sulla fine del secolo noi abbiamo assistito ad una rifioritura meravigliosa di quel sano idealismo, che pareva orami soffocato nella gola stagnante materialista. Nell’anno appunto in cui il Marxismo pareva rovinare sotto i colpi di una critica spietata, un soffio animatore, portante i germi di una futura primavera, passava sulla landa inaridita. Era Francesco Coppée, che sollevava nell'ora di un’infermità, l’ardente inno della fede; era P. Burger, l’acuto scrutatore della psiche parigina, che dichiarava la redenzione doversi aspettare solo dal cristianesimo; era Lemaitre, che proclamava la soluzione di tutte le questioni sociali essere evidentemente nel Vangelo; era Ferdinando Brunetière che dimostrava la necessità di credere; era infine Edoardo Rod che «incominciava a pensare alla cura delle anime». E mentre in Italia «la voce irosa del cantore di Satana si va addolcendo nella trepida invocazione a Maria», Antonio Fogazzaro si mostra sempre più lo scrittore credente, il cavaliere dello spirito, e il Butti e Matilde Serao accelerano di scritto in scritto la loro evoluzione intellettuale verso gli ideali cristiani. È vero: quest’indirizzo buono non è quello che domina la coltura di oggi; ma chi ci dice o signori, che non sia il vincitore di domani? Non è dunque arrischiata la conclusione: la curva della parabola e già oltrepassata, perchè il secolo XIX ci ha lasciato il germe del rinascimento: il crepuscolo in cui ci troviamo non è il crepuscolo della sera, a cui succede l’oscurità della notte, ma il crepuscolo del mattino, annunziatore di una giornata splendida e trionfale. Dicevo però, o signori, che il pronostico di una rinascenza generale è legato ad un’altra condizione necessaria. Difatti, la coltura nostra, non entrerà mai, malgrado i buoni sintomi, in pieno cristianesimo —— in cui la rinascenza — finché è rappresentata da elementi anticristiani e decadenti. Bisogna con schiere nuove, irresponsabili delle colpe di oggi e rigogliose di forza intima di fronte all’avvenire, agitino coraggiosamente la bandiera del rinascimento portata in mezzo al campo, ed applichino alla nostra vita intellettuale tutta l’energia riedificatrice, che proviene da ideali e principi immutabili. Perchè è chiaro, o signori, che la decadenza della cultura moderna, viene a fondersi nelle cause e nello svolgimento con tutta l’immane decadenza economica e civile della borghesia e col rovinare di quella che si chiamò epoca liberale. Al principio di quest’epoca la borghesia liberale aveva monopolizzato come il capitale così la coltura e, favorita dalla preesistente divisione fra le scienze ecclesiastiche e civili, fece sì che essa venisse via via liberandosi di ogni influenza religiosa. In tal maniera la cultura diventò interprete sempre più fedele — fino a Nietzsche — di quelle classi, le quali si allontanavano con moto sempre più celere dalle idee sociali del Vangelo di amore. Il rimedio vuol essere quindi radicale ed evidentemente far parte di quella che si dice soluzione della questione sociale. Ora, o signori, la Chiesa cattolica assumendosi davanti al mondo l’incarico di portare tale soluzione più avanti che sia possibile, ha comandato implicitamente un generale riavvicinamento dei cattolici alla vita moderna e ha ordinato una rapida mossa di riconquista su tutta la linea. Gli è così che i cattolici sono condotti ora, ai primi passi del secolo XX, ad una riscossa cristiana nel campo della cultura. Solo a questo patto il rinascimento sarà possibile. Non illudiamoci però: Il movimento ascensionale sarà molto lento. La tattica delle ritirata in uso da cinquant’anni in qua, di fronte a quel desiderio di innovazioni, di critica, di ricerca, di libertà che affatica il pensiero moderno — per la quale giornali di cultura, riviste, letteratura amena, manuali di scienze, tutto fu lasciato in mano al liberalismo dominante, ha creato nei cattolici (è inutile il nasconderlo) troppo infiacchimento e troppi pregiudizi. Ed è doloroso il vedere come il pretendere maggior equanimità nel giudizio degli uomini e degli scritti, il domandare che la si rompa una volta coll’accademia e colla rettorica, che si curi di più la forma moderna, venga da troppi cattolici ritenuto come un essere disposti a recedere dai giusti principi di intransigenza. «I cosiddetti circoli cattolici intelligenti, deplora il d.r Ratzinger, predicano di continuo moderazione e assenteismo là dove converrebbe agire personalmente». Ma lasciamo, signori, le querele sopra un periodo che, volere o no, è già chiuso, e più che dire, facciamo, guardando all’avvenire. Rientriamo una volta nella cultura moderna, strappiamo ai nostri avversari quella supremazia. che dà loro tanto prestigio nella lotta contro la Chiesa. E ricominciamo dal popolo: dai giornali, dalle riviste, dalla stampa periodica, a cui tanti cattolici contribuiscono così miserabilmente perché sono così poco moderni. Non trascuriamo nella nostra educazione i sussidi dell’arte le correnti moderne della vita. E soprattutto studiamo, studiamo molto. Io vorrei, o colleghi, che ognuno di noi sentisse il dovere dello studio per due ragioni: l’una per il proprio onore, l’altra per contribuire con tutte le forze a questa riscossa cristiana. Oh! a queste nuove generazioni di cattolici, anche per un lavoro maggiore, non mancheranno davvero ideali affascinanti. Signori! È uscito dal Vaticano come un grande, immenso, fascio di luce di un potente riflettore elettrico: a questa luce nuova noi abbiamo visto grandeggiare fra le tenebre del paganesimo, le ruine di questa vecchia Europa crollante, e per entro le rovine una folla immensa gemere senza ristoro, e pochi gaudenti assidersi al banchetto del piacere. A questa vista siamo balzati su, quasi chiamati da uno squillo di riscossa, ed abbiamo piantato arditamente fra le rovine una grande bandiera bianca, la bandiera delle democrazia cristiana. Su questa bandiera era scritto: Amore e libertà. Ebbene, o signori, queste due parole saranno gli ideali e il contenuto della cultura avvenire. E i cattolici chiamati ora dai nuovi atteggiamenti della Chiesa al faticoso lavoro della ristorazione sociale, avranno nella cultura avvenire gran parte, anzi purché lo vogliano, la parte principale. Il secolo XIX ha lasciato al XX i germi del rinascimento; i migliori degli intellettuali fra i nostri avversari sono fra la «gente che si avvia», per noi si sono aperti nuovi orizzonti: ebbene, o cattolici de secolo XX, siamo uomini dei nostri tempi: alla riscossa.

Comizio popolare per la questione universitaria

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

A presi- dente viene eletto Ottolm'i. Egli spiega le ragioni della convocazione da parte operaia: un’università italiana eleverà anche la cultura del proletariato. Dopo lui prende la parola il referente Gerin. Quando si incominciò a spargere il seme socialista, le classi colte accolsero in sul principio il movimento con simpatia. Più tardi, di fronte al carattere internazionale dello stesso, il socialismo fu combattuto come antipatriottico e antinazionale. Ora noi vogliamo mostrare che la taccia è una calunnia, interessandoci della questione universitaria la quale non è questione di classe, ma dell’intera nazione. Del resto noi la mettiamo anche tra le questioni economiche. La nostra iniziativa suona anche protesta contro il monopolio intellettuale, e contro le restrizioni della libertà d’insegnamento. Nelle scuole popolari si insegna il catechismo e la storia sacra; solo all’università si insegna liberamente la scienza, e di questa ha bisogno anche il proletariato. Solo allora sarà possibile la vera civiltà. Quando il proletariato organizzato sarà arrivato alla vittoria decisiva, troverà fra le istituzioni che devono restare, anche l’università. Noi facciamo anche questione di solidarietà, perché anche i professori, i medici, ecc. sono lavoratori. Infine l’università servirà per combattere la reazione, poiché dogma e scienza non possono andare d’accordo. Faccio voti che la scienza nella ventura università sia scienza popolare e non officiale e che fra l’ortodossia in economia politica si imponga il marxismo. — L’oratore fa poi la storia della lotta universitaria negli ultimi tempi, rileva la concordia dei partiti e la slealtà degli avversari. Prelegge quindi all’assemblea un ordine del giorno. Dopo il Gerin parla lo stud. Liebmann a nome degli studenti italiani. Ringrazia gli operai per il loro interessamento, dimostrato anche in genere dal partito in Innsbruck. Rileva il metodo falso degli slavi per il conseguimento dei loro desideri, che, in quanto a principio, noi non contestiamo. Respinge e dimostra false le insinuazioni del prof. Waldner e della Ostdeutsche Rundscaau. Lo studente Zuccali, come socialista, porta un saluto speciale agli operai organizzati, in nome degli studenti socialisti. Lo stud. Degasperi domanda la parola per una dichiarazione. Porta anch’egli un saluto speciale che fra gli operai socialisti arrecherà forse meraviglia. Porta il saluto degli studenti clericali. Tra i due partiti, fra i due indirizzi sociali esiste un immenso divario, un abisso! I suoi consenzienti non possono essere naturalmente d’accordo con molte idee espresse dal Gerin né in riguardo religioso, né in riguardo politico. Ma benché non prescindano né gli uni né gli altri dai propri principi, qui non è il luogo di discuterli. Oggi si afferma un postulato comune di nazionalità e di civiltà. Oggi gli operai si sono dichiarati per questo postulato anzitutto in nome della cultura e della giustizia e per questo li saluta. Si augura che all’Università superiore in Trieste segua subito un nuovo incremento dell’educazione fra le masse, poiché l’estensione della cultura non deve nuocere a nessun partito, e la verità non ha nulla a temere. Dopo che diversi oratori, operai e studenti, ebbero discusso l’ordine del giorno Gerin, esso venne accettato con una modificazione proposta da Zuccali. L’ordine del giorno dei lavoratori italiani in Vienna protesta contro «una delle più grandi infamie sociali», il monopolio della cultura, saluta lo risvegliarsi della gioventù studiosa, afferma l’unione degli operai per ottenere una Università italiana, assicura agli studenti l’appoggio degli stessi, e mentre pur riconoscendo a tutte le nazionalità pari diritti, protesta contro ogni tentativo di procrastinazione e contro la delazione politica operata nella lotta degli slavi.

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