Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: a

Numero di risultati: 212 in 5 pagine

  • Pagina 1 di 5

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180520
Barbara Ronchi della Rocca 32 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Però rimane - o dovrebbe rimanere - il piacere di «andare a trovare» un amico o un conoscente, senza schematismi né regole. O meglio, di regola ne rimane una, imprescindibile: niente sorprese. Anche tra intimissimi, o c'è un invito esplicito, oppure si chiede il permesso, lasciando sempre la possibilità di dirci di no. Basta chiamare con un anticipo di qualche ora: «Oggi verso le 17 sarò dalle parti di casa tua: posso salire a salutarti?» o «Posso venire a trovarla, domani, per fare due chiacchiere? Mi dica a che ora non disturbo». Mai telefonare dicendo: «Sono davanti al portone, aprimi»: tanto vale suonare direttamente il citofono ed essere ugualmente maleducati. Possiamo benissimo presentarci a mani vuote, ma è comunque gentile portare - se non tutte le volte, almeno ogni tanto - un fiore, o una confezione di dolci per accompagnare il caffè o il tè che ci verranno offerti. Quanto al padrone di casa, il suo primo dovere è di spegnere radio e televisore e dedicare tutta l'attenzione al visitatore; risponda pure al telefono, ma tagliando corto: «Scusami, ma ho ospiti. Dimmi quando ti posso richiamare». A seconda dell'ora, proponga un caffè, un tè, una bibita, un aperitivo (magari accompagnati da un dolce o un biscotto) e/o un bicchiere d'acqua. Che è anche l'unica bevanda che l'ospite può chiedere in alternativa a quanto offertogli: se ci propongono un caffè a mezzogiorno e mezza, rifiutiamo e basta, senza rilanciare: Berrei piuttosto un bell'aperitivo!».

Pagina 110

Però la mancanza di norme «inflessibili» a volte porta a trascurare dettagli importanti, che fanno la differenza. A meno di reale improvvisata, invitiamo con un po' di preavviso, cercando di mettere insieme persone che possano reciprocamente incuriosirsi e stimolarsi (ma non incompatibili per opinioni politiche, antichi rancori e litigi, problemi d'interesse) e non tutti sconosciuti gli uni agli altri: si rischia di non riuscire a «rompere il ghiaccio». È sbagliato anche raggruppare solo persone totalmente «affini» o che svolgono tutte lo stesso lavoro: la conversazione sarebbe noiosissima! Se siamo tutti in coppia, chiederemo all'amico/a single di portarsi qualcuno, per non farlo sentire fuori posto. Normalmente si invita a voce, o per telefono, in maniera disinvolta ed estemporanea. L'importante è riuscire a essere chiari, espliciti, precisi, e non lasciare dubbi sul quando, il dove, a che ora, e come (con o senza partner, che genere di intrattenimento). Naturalmente, inviteremo a pranzo, a cena, a merenda, ma mai «a mangiare». Ecco un esempio di invito chiaro: «Mi piacerebbe che tu e Mariella veniste a cena a casa nostra venerdì prossimo. Sarà una cosa semplice, tra amici: ci saranno anche Mario e Paolo con le rispettive mogli. Vi aspetto alle 19,45, così prendiamo un aperitivo. A proposito, sarebbe fantastico se portassi un po' del prosciutto che hai comprato in Umbria». Quanto più l'occasione ha carattere formale, e l'invitato deve prevedere un abbigliamento elegante o l'acquisto di un regalo, tanto prima gli telefoneremo. Evitiamo i toni perentori («Se non venite mi offendo») e non insistiamo davanti a un rifiuto («Perché non puoi venire? Dove devi andare?»); insomma, lasciamogli la libertà di dirci di no senza farlo sentire sotto accusa. Di fronte a una serie di «no» diversamente motivati, sarà il caso di fare un esame di coscienza: forse non ha piacere di frequentarci, e se si tratta di un nostro superiore sul lavoro, per esempio, o di una persona molto importante, non toccava a noi prendere l'iniziativa. È gentile da parte nostra accennare a chi sono gli altri ospiti, per permettere «ritirate strategiche» a chi non vuole incontrare una persona che proprio non sopporta. Per esempio, nei confronti di (ex) componenti di una coppia «scoppiata», telefoniamo a ciascuno dei due, avvertendolo della probabile presenza dell'altro: così sarà libero di declinare l'invito, oppure, se lo accetta, sarà psicologicamente preparato ad affrontare il «nemico» con stile.

Pagina 112

Nel Medioevo era obbligatorio offrire ospitalità a chiunque si presentasse alla propria porta: riparo, acqua, fuoco e foraggio per i cavalli. Se l'ospitato era nobile, si aspettava anche cibo, soddisfazione sessuale e regali alla ripartenza. Altri tempi. Oggi solo i giovanissimi trovano divertente accatastarsi in pochi metri quadri, senza la minima privacy, quindi, prima di proporci di ospitare qualcuno a casa nostra, guardiamoci intorno spassionatamente per capire se possiamo riservargli un po' di spazio in modo esclusivo per tutto il periodo del soggiorno. Ma scartiamo l'idea di cedergli la nostra camera e accamparci in salotto: qualunque persona garbata si sentirebbe a disagio. In questo caso, meglio prenotare una stanza in un albergo vicino. E comunque un letto non basta. Ecco una lista di oggetti indispensabili: -un piano per appoggiare la valigia; -una parte di armadio con un certo numero di grucce appendiabiti e almeno un cassetto; -una lampada per leggere; -una sedia confortevole; -una bottiglia/caraffa d'acqua e un bicchiere (possibilmente a fondo piatto); -un set di asciugamani puliti; -un cuscino e una coperta in più; -una confezione di fazzoletti di carta; -un cestino per i rifiuti; -in bagno, uno spazio per i suoi accessori da toeletta. Poi, riconosciamo ai nostri amici il diritto a godere di un po' di intimità, a seguire i propri ritmi e ad avere un po' di tempo per sé, quindi non assumiamo con troppo entusiasmo il ruolo di guida turistica o di pigmalione sociale. Un giro della città, una passeggiata per fare shopping, una cena con altri ospiti sono tune buone idee, purché non imposte con ritmi da collegio. Senza contare che attività e divertimenti programmati andavano comunicati al momento dell'invito, per permettere all'ospite di mettere in valigia l'abbigliamento adatto. A proposito di collegio, non per tutti il mattino ha l'oro in bocca. Anche se noi siamo abituati a fare colazione alle sette, lasciamo un po' di tranquillità a chi vuole dormire («Alzati pure quando vuoi, ti lascio la colazione in cucina») ed evitiamo, alle sei e mezza, sbattere di porte, andirivieni, ronzii di elettrodomestici, radio accesa, scrosci di acqua stile Niagara, e via disturbando. Se non ci sono persone di servizio, accettiamo di buon grado piccole collaborazioni in casa - almeno che tenga in ordine il proprio letto e le proprie cose: casa nostra non è un Grand Hotel e noi non siamo degli elettrodomestici! - e che ci offra un pranzo in un buon ristorante. E poi, cerchiamo di farlo mangiare bene ma senza rimpinzarlo, di farlo divertire senza frastornarlo, di intrattenerlo senza stancarlo: grandi e piccole attenzioni sono gradite fino a quando non si colorano d'ansia e di conseguenza tendono a soffocare più che a gratificare. Un martellamento di premure - «Hai caldo? Accendo il condizionatore? Fa troppo freddo? Vuoi un golf? Vuoi uscire? Stai comodo?» - può solo far desiderare che arrivi in fretta il giorno della partenza. Chi non fuma, fa benissimo a porre dei limiti («Abbi pazienza, non mi va che fumi in camera da letto»), ma si astenga dal fare prediche salutiste. Anche in caso di altri «vizi», l'ospitalità è sacra solo fino a un certo punto, quindi possiamo benissimo dire: «Per favore, non portare questa roba a casa mia, non mi va». Se si tratta di persone civili, rinunceranno. Se non lo sono, meglio che se ne vadano: noi non ci offenderemo!

Pagina 124

Oltre a tutto, permette ai padroni di casa di scomparire ogni tanto con discrezione per dare gli ultimi tocchi alla tavola e alle pietanze. Promosso a pieni voti, dunque, a patto che non si trasformi in una bomba alcolica e non rovini il piacere del pasto con un eccesso di tartine. L'ideale è quindi offrire un solo tipo di vino - di solito un bianco frizzante o uno spumante secco ben freddi - e due tipi di analcolici, accompagnati da stuzzichini leggeri e invitanti, che invoglino a bere ma non sazino: olive, scaglie di parmigiano, crudité, pistacchi, mandorle. Dopo circa venti minuti, quando si spera siano arrivati tutti gli ospiti, si va a tavola, iniziando subito con il primo piatto. - Se invece l'aperitivo precede una serata a teatro o al cinema, o è un invito a sé, per rilassarsi per un'oretta prima di tornare ciascuno a casa propria (quello che gli anglosassoni chiamano sundowner), offriremo stuzzichini più consistenti e sazianti, per esempio dei salatini e dei tranci di pizza.

Pagina 133

Non usa più invitare qualcuno «a prendere il caffè», ma è sempre garbato offrirne una tazza a chi viene a trovarci prima delle 11,30, tra le 14 e le 16 e tra le 21 e le 22,30. Portiamo in salotto il vassoio con le tazze vuote e la caffettiera a parte. Solo se siamo in due è concesso arrivare con le tazzine già riempite dalla macchina a cialde. Non è affatto un obbligo, ma i nostri ospiti potranno gradire dei pasticcini mignon (senza crema o marmellate), ovvero le classiche friandises (così i francesi chiamano la «pasticceria secca» delle nostre mamme), oppure una fetta di torta. Nel qual caso porteremo anche un piattino su cui è già appoggiata la forchettina. Non scimmiottiamo i baristi appoggiando un cioccolatino sul piattino sottotazza: in casa, qualunque cosa va offerta con altro garbo (e altra generosità: se l'ospite ne volesse mangiare due o tre?). Solo nel caso in cui il caffè sia accompagnato da qualcosa da mangiare (cioccolatini compresi!) dovremo provvedere un piccolo tovagliolino per forbirsi le labbra. Un altro aggiornamento del galateo: oggi non è più da maleducati chiedere un'altra tazza di caffè (magari con un complimento per la bontà dell'aroma) sia a fine pasto sia in salotto. Resta invece vietatissima l'idea di avere invitati di serie A, che vengono a cena, e di serie B, che arrivano per il caffè; ma se è l'ospite stesso che, declinando l'invito a cena (magari perché è a dieta), ci propone di raggiungerci invece per il caffè, cerchiamo di non dilungarci troppo a tavola, così da evitargli sgradevoli attese.

Pagina 134

Una regola comune dovrebbe essere «non esagerare»: no a gonne troppo corte o con spacchi a mezza coscia, a scollature profonde, canottiere, pantaloni corti in città, a jeans a vita bassissima che mostrano la biancheria intima, a gioielli vistosi e logo disseminati in ogni dove. Nei nostri ambienti spesso surriscaldati, sono fuori luogo i maglioni da montanari andini o da pescatori irlandesi, gli stivali da pastore australiano, le fibre sintetiche che esaltano la traspirazione. Non applichiamo le tendenze alla lettera: non vestiamo «coordinato» dalla testa ai piedi, non sfoggiamo acriticamente l'ultimissima moda, non intasiamo l'armadio con capi che indosseremo una volta sola.

Pagina 14

Entrando in un negozio è d'obbligo un saluto generale a chi vi si trova; e la pazienza di aspettare tranquillamente il nostro turno per essere serviti. Certo, il cliente ideale, a detta di tutti i commessi, è quello che sa bene ciò che vuole, e non si fa mostrare la merce di tutti gli scaffali. Però a volte è quasi impossibile scegliere subito: nel qual caso ci faremo perdonare la nostra incertezza (e il relativo sovrappiù di lavoro) con una parola di scusa, un sorriso in più, una frase di ringraziamento per la pazienza dimostrata da chi ci sta servendo.

Pagina 143

Al momento del check-in chi sa di avere spesso necessità «idrauliche», o bisogno di sgranchirsi le gambe, chiede un posto a sedere di corridoio. Ecco poi come si comporta il viaggiatore bene educato: -salendo a bordo, tiene il bagaglio a mano davanti a sé, per non urtare con borse a tracolla e zaini i passeggeri già seduti; -sistema i bagagli a mano nella porzione di cappelliera sopra il suo sedile, avendo cura di tenere con sé tutto ciò di cui può avere bisogno durante il volo: il giornale, gli occhiali, le pastiglie per la gola o quant'altro...; -accetta di buon grado la relativa immobilità in un sedile tutto sommato angusto, e se vuole alzarsi per andare alla toilette, o per sgranchirsi le gambe, cerca di scegliere bene il momento, e di evitare il più possibile i disagi a chi è seduto nei posti vicini; - se ha la sfortuna di sedere vicino a un passeggero irrequieto, che sembra avere sempre mille motivi per alzarsi, sopporta con pazienza il moto perpetuo; oppure gli offre (gentilmente) di scambiare i posti («Se preferisce, può sedere al mio posto, tanto io vorrei dormire un po' e non prevedo di alzarmi»); -se deve alzarsi «scavalcando» il passeggero al suo fianco, non si pone di schiena - con conseguente avvicinamento delle natiche al suo viso - ma si gira, in modo da porre in contatto le ginocchia con le sue; non si toglie mai le scarpe, a meno che non possa sostituirle con le apposite ciabattine fornite dalle compagnie aeree per i voli transcontinentali; - scambia, se vuole, qualche parola con i vicini, ma assolutamente senza imporsi a chi desidera leggere, riposare o, semplicemente, stare tranquillo; -se viaggia in compagnia di parenti o amici, tiene basso il tono della voce, evitando di parlare di argomenti intimi o delicati, perché la vicinanza dei sedili rende impossibile qualsiasi pretesa di discrezione, anche da parte di chi proprio non vorrebbe ascoltare; - se gli è stato assegnato un posto centrale, o di corridoio, rinuncia a contemplare il panorama, e non si protende sul vicino seduto accanto al finestrino; - non reclina lo schienale del sedile fino a quando non è stato servito il pasto o lo snack, e non sono stati ritirati i relativi «vuoti». Poi, educazione vorrebbe che chiedesse al passeggero seduto dietro se può abbassare lo schienale; e educazione vorrebbe che lui desse il permesso. Da non chiedere, comunque, a chi ha un bimbo in braccio. -in caso di bambini che scorrazzano nel corridoio o si arrampicano con i piedi sui sedili, evita occhiate malevole e le battute sibilate e chiede all'hostess o allo steward di intervenire presso i genitori dei piccoli vandali... -non applaude all'atterraggio; il pilota è un professionista, non è eccezionale che abbia saputo fare atterrare l'aereo! Ma i più gravi sono gli errori di stile che contravvengono a regole di sicurezza, oltre che di educazione. Chi passeggia nel corridoio mentre vengono serviti i pasti e i rinfreschi, non si allaccia le cinture quando richiesto, si alza in piedi e si carica del bagaglio a mano non appena l'aereo tocca terra, ignorando i segnali luminosi che indicano di restare seduti fino allo spegnimento dei motori, o disobbedisce a una qualunque delle prescrizioni impartite dal personale di cabina, è maleducato; ma chi fuma nelle toilette o si precipita ad accendere il telefono cellulare quando le porte sono ancora chiuse è anche stupido, perché mette in pericolo la sicurezza di tutti, e merita senz'altro le peggiori occhiatacce.

Pagina 153

A bordo della Queen Mary o di un traghetto scassatissimo, uno dei piaceri della navigazione è senz'altro quello di scoprire la nave, passando da un ponte all'altro, ma bisogna sempre rispettare le zone «vietate», perché si tratta di prescrizioni dettate da ragioni di sicurezza. Dobbiamo attenerci scrupolosamente anche agli orari di ritorno a bordo durante gli scali a terra. Sulle navi da crociera comportiamoci come su un buon albergo della terraferma, limitando l'uso del costume da bagno al bordo della piscina. A pranzo, possiamo andare a tavola in abbigliamento sportivo, ma non in copricostume, canottiera, ciabatte; alla sera, niente jeans e, nelle sale ristorante più eleganti, obbligo di giacca e cravatta per gli uomini e di abito o pantaloni non sportivi per le signore. Per il resto, la comune buona educazione basterà a gestire tutte le situazioni. Come l'eventuale condivisione di una cabina con uno sconosciuto, che richiede la più assoluta discrezione per evitare promiscuità imbarazzanti. Nei limiti del possibile, stabiliamo dei turni per l'uso del bagno: al mattino, il primo che se ne serve farà bene a uscire dalla cabina, così da rispettare la privacy dell'altro. Naturalmente, è vietatissimo fumare in cabina e sconsigliato cospargersi abbondantemente di profumo.

Pagina 155

Quindi salutiamo sempre con un cenno del capo e un sorriso i membri del personale e gli altri ospiti, rispettiamo gli orari dei pasti, del servizio e dei rientri notturni, non facciamo rumore per le scale e nei corridoi, non sbattiamo le porte, non chiamiamo gli amici da una stanza all'altra (proprio a questo scopo esistono i telefoni interni), teniamo basso il volume della tv, indossiamo pantofole a suola morbida. Se abbiamo bambini piccoli o molto indisciplinati, portiamoli a passeggio nelle ore della siesta, per lasciar riposare i vicini di stanza. Se il nostro cane viene con noi, consideriamo off limits la sala da pranzo, il bar, la discoteca e tutti i locali comuni, e non permettiamogli di scorrazzare per i corridoi o il giardino dell'hotel senza guinzaglio. Non lasciamolo mai solo in camera: potrebbe abbaiare e ululare, e magari sarebbe portato a «difendere il territorio» dall'intrusione della cameriera che deve fare le pulizie. A quest'ultima eviteremo anche, signorilmente, lo spettacolo della nostra biancheria sporca in giro per la stanza.

Pagina 160

Il modo migliore per dimostrare la nostra riconoscenza a chi ci invita in barca è adeguarci ad alcune semplici regole, dal momento che anche lo yacht più grande è pur sempre un «mondo piccolo», in cui si vive a stretto contatto, con tutte le conseguenze positive e negative. A bordo, tutti gli elementi frou-frou sono fuori posto. Quindi il perfetto guardaroba unisex comprende pantaloni corti e lunghi, camicie e t-shirt, maglioncini per la sera. E solo sandali bassi ed espadrillas, o scarpe da barca; ma il nostro anfitrione ci ringrazierà se a bordo (e anche su tender e gommoni) staremo a piedi nudi. Cerchiamo di prevedere ciò di cui avremo bisogno; per non dover chiedere in prestito di volta in volta l'asciugamano, la maschera e le pinne, la giacca impermeabile... Non sarà il caso di sfoggiare ogni sera una toilette diversa, ma chi si presenta a cena col costume bagnato, o sempre con la stessa maglietta «vissuta» che indossava alla partenza, dimostra poca cura di sé e ancor meno rispetto per gli altri. I membri dell'equipaggio (che sono uomini di mare, non camerieri personali) non vanno distolti dal lavoro con richieste di servizi, tentativi di conversazione o richieste di spiegazione delle manovre che stanno facendo. Usiamo sempre le «parole magiche» per favore, grazie, scusi. E ricordiamo che non abbiamo alcun diritto di impartire loro ordini. A bordo non apriamo armadi e stipetti «per vedere che cosa c'è dentro», non lasciamo dietro di noi una scia di disordine, non pretendiamo di appropriarci «per usucapione» dell'area più soleggiata o più ventilata del ponte, teniamo sottomano il libro, gli occhiali, il pullover e tutto quanto ci può servire; per i nostri bagni di sole usiamo creme e lozioni non unte (così useremo meno acqua per lavarci), e sediamoci solo sui nostri asciugamani. Siamo puntuali, a bordo come a terra, dove rinunceremo a scattare foto o a fare l'ultimo giro di shopping se tutti aspettano solo noi per salpare. Altro punto dolente, le sigarette: se ci viene chiesto di non fumare sottocoperta, dobbiamo accettare di buon grado, senza recriminare né, tanto meno, fumare chiusi nel bagno. La gentilezza verso i compagni di crociera ci spingerà ad abbassare la suoneria del telefono cellulare e a limitarci a telefonate brevi e «neutre», come sempre quando si è in uno spazio ristretto. E, come sempre, il telefono è off limits a tavola. Se l'esperienza si rivela meno gradevole del previsto, invece di lamentarci, inventiamoci una scusa per un rientro a casa anticipato: salveremo così la nostra immagine, e soprattutto l'amicizia con i nostri compagni di barca. L'«aimatore» che invita deve essere molto chiaro sul tipo di imbarcazione e il tipo di ospitalità offerta; per esempio, se si aspetta qualche collaborazione alla vita di bordo, deve farlo presente. Non esageri inoltre in understatement, descrivendo come «gozzo» un cabinato da crociera di quaranta metri, perché gli invitati potrebbero trovarsi a disagio per un bagaglio troppo spartano... Sempre in tema di bagaglio, è bene informare in anticipo su eventuali party, cene, escursioni turistiche a terra, e su tutte le attività che richiedono un abbigliamento particolare. Il nudismo è concesso solo tra persone consenzienti e che si conoscono bene; se pensiamo possa offendere o mettere a disagio qualcuno, rinunciamo di buon grado a questo spazio di libertà - senza tacciare di provincialismo chi non se la sente di smutandarsi.

Pagina 161

Ecco qualche utile consiglio per essere sempre eleganti e a proprio agio: - non si tengono le mani in tasca: è un gesto cafone, che in più deforma la linea del pantalone; - non si allenta il nodo della cravatta (meglio toglierla del tutto e ripiegarla in tasca); - della giacca a tre bottoni, si abbottona solo quello in mezzo, di quella a due, solo il più alto; - il bottone più in basso del gilet non si abbottona mai; - la camicia con colletto botton-down è solo sportiva, quindi va con gli spezzati e i blazer; - lo smoking a un petto si porta aperto, con vista sul panciotto o sulla fascia (entrambi neri), quello a doppiopetto va tenuto sempre abbottonato; - il fazzoletto bianco da taschino non si indossa prima delle 18; quello fantasia non deve mai essere uguale alla cravatta; - niente camiciotti a maniche corte sotto le giacche: meglio una t-shirt.

Pagina 17

In chiesa con i santi e in taverna con i ghiottoni Dante Alighieri A dispetto di tutti i tentativi di dimenticarli, negarne l'esistenza, minimizzarne l'importanza, riti e feste tradizionali sopravvivono. Perché sarebbe troppo triste se a scandire l'anno - e gli anni che passano - fossero solo le scadenze fiscali, o le destinazioni delle vacanze. Sono quindi sempre in auge compleanni, anniversari, feste familiari, matrimoni, battesimi e visite di Ognissanti al cimitero: tutti gesti che danno un valore simbolico alle vicende della nostra vita e ripropongono il potere profondo dell'affettività e della memoria. Anche se siamo laici convinti, non ci mancherà ne di partecipare a feste religiose che sanno d'antico, o a riti che hanno un valore nelle vite dei nostri amici credenti e che possono essere comunque punti di riferimento e occasioni di riflessione anche per chi non crede.

Pagina 172

A sinistra i genitori della sposa, a destra quelli dello sposo, annunciano il matrimonio dei rispettivi figli. Al centro, luogo, data e ora della cerimonia. La forma sarà semplice, priva di avverbi e aggettivi e, signorilmente, dei titoli di studio e nobiliari; solo il grado dei militari di carriera va sempre citato. I genitori vedovi non risposati partecipano da soli; i divorziati compaiono su due righe diverse, e senza i nuovi coniugi. Ma quando gli sposi hanno alle spalle situazioni familiari un po' complicate, e soprattutto se hanno superato i trent'anni, è consigliabile che annuncino le nozze in prima persona. Di solito si scrive per primo il nome di lui, ma non è vincolante. Compare invece per primo il nome di lei sul bigliettino d'invito al pranzo o al rinfresco inserito all'interno della busta: «Barbara e Sergio attendono gli amici dopo la cerimonia presso il Ristorante Il gallo d'oro, via Roma 11, Brescia». È poi indispensabile la sigla R.S.V.P (dal francese Répondez s'il vous plait, «Per favore, date risposta»), seguita dal numero di telefono da chiamare per confermare o meno la presenza. Nel caso in cui il rinfresco abbia luogo (come da tradizione più antica) in casa della sposa, oppure sia a totale carico dei genitori di lei, saranno questi ultimi a invitare: «Mario e Luisa Gialli, in casa (oppure: presso il Ristorante Il gallo d'oro), dopo la cerimonia». Le partecipazioni vanno spedite, almeno un mese prima della cerimonia, a tutte le persone alle quali siamo in qualche modo legati da vincoli di buona conoscenza, e che gradiranno essere informate di questa tappa importante della nostra vita, anche perché il riceverle non è affatto impegnativo: volendo, potranno telefonare, oppure inviare un biglietto o un telegram-ma di felicitazioni, o anche non fare nulla. Solo gli invitati al rinfresco sono obbligati a fare un regalo - o almeno a inviare un mazzo di fiori se decidono di non partecipare. Per nessun motivo va inserito nella busta contenente la partecipazione e l'invito il cartoncino che recita «Lista nozze presso il negozio Tal dei Tali»: i futuri sposi devono lasciare agli invitati la massima libertà di fare un regalo «fuori lista», comunicando l'indirizzo del negozio solo a chi telefona apposta per chiederlo esplicitamente, e solo a lui. Nella lista nozze devono figurare oggetti di varie fasce di prezzo, e alcuni molto economici, per non costringere chi si può permettere solo un «pensierino» a spendere più di quanto previsto. Si può invece accludere alla partecipazione il biglietto che invita a devolvere a favore di una certa istituzione benefica la cifra che si vorrebbe spendere per il regalo: è un'idea bellissima, che consiglio agli sposi che hanno già la casa «montata».

Pagina 179

A patto di non superare i limiti del buon gusto e del buon senso, e ridurre il viso a una maschera troppo liscia, senza espressione. Per non perdere il senso della misura, impariamo dagli errori commessi da certi divi di Hollywood con il viso gonfio di botulino, e da principesse e cantanti che sembrano conigli appesi per le orecchie. O da Jane Fonda, che a cinquant'anni si era rifatta il seno, e a settantatré è tornata sotto i ferri per farsi togliere quei due globi perfettamente sferici e contrari alla legge di gravità che facevano risaltare impietosamente altre parti del corpo meno innaturalmente toniche. È comunque una cosa su cui riflettere: o si intensificano via via gli interventi a distanza sempre più ravvicinata, oppure si impara a ricercare una bellezza reale e non stereotipata, più personale, più legata alla propria storia. Quindi scegliamo con molta cura lo specialista a cui chiedere di fermare il tempo, non di riportarlo indietro di vent'anni. Ma non speriamo che un lifting ci dia quella sicurezza in noi stessi (il discorso è unisex) che va ricercata altrove. Se la freschezza del corpo declina, cerchiamo di salvare quella dell'intelletto, rigenerando i nostri interessi con nuove idee, conoscenze, curiosità, letture, buoni sentimenti. Sono queste le basi del fascino, che non ha età, e nulla ha in comune con un'eterna giovinezza fasulla.

Pagina 21

Al centro, nome e cognome (nell'ordine), titoli di studio e onorifici (abbreviati), qualifiche e tutto quanto contribuisca a definire meglio possibile il ruolo e la posizione, senza false modestie. In basso a sinistra l'indirizzo di lavoro, in basso a destra numeri di telefono, fax ed e-mail, sito inter-net (proprio o dell'azienda/studio/altra realtà lavorativa). Non sono eleganti le correzioni fatte a mano - in caso di cambi di indirizzo e avanzamenti di carriera ne faremo stampare di nuovi - e neppure i «modesti» tratti di penna per cancellare titoli e appellativi: se no, che li abbiamo scritti a fare? Non facciamo come i giapponesi, che li distribuiscono in maniera indiscriminata (oserei dire compulsiva) a tutti quelli che incontrano: il momento giusto è quello del commiato, per sottolineare l'interesse verso un contatto futuro che non era dato per scontato in partenza, e lasciare un piccolo promemoria di noi e del nostro lavoro, oppure fissare l'appuntamento per un nuovo incontro.

Pagina 212

Impariamo a essere ugualmente garbati con tutti, senza superbia verso i cosiddetti «inferiori» e ossequiosità verso i capi. Perché, al di là del mansionario aziendale, siamo tutti uguali, davvero... Quindi, salutiamo sempre chiunque incontriamo, senza dar retta a chi sostiene che non c'è bisogno di farlo con portinai, fattorini, addetti alle pulizie. Chi raggiunge per primo una porta - anche dell'ascensore - deve tenerla aperta per gli altri che lo seguono. Non siamo sciattoni di proposito perché «tanto c'è chi pulisce», non lasciamo la luce accesa quando usciamo a fine giornata perché «tanto non pago io». Non mastichiamo gomma americana mentre parliamo con qualcuno, chiunque sia; e, già che ci siamo, non mastichiamola proprio: eviteremo a chi ci sta accanto il fastidio di sentirci masticare, e a noi l'aria sempre un po' ebete del ruminants. Bussiamo sempre prima di entrare nell'ufficio altrui - se la porta è aperta, batteremo le nocche sullo stipite. In mensa, non crediamo di aver passato l'esame di stile se abbiamo imparato a non augurare buon appetito, ma poi mangiamo con le cuffie dell'iPod nelle orecchie (e non sentiamo chi ci parla, magari per chiederci di passare il sale), o dedichiamo massima concentrazione al giochino sul telefonino, o inviamo messaggi a raffica, o parliamo ad alta voce di faccende private... Consultando il menu del giorno, o guardando le pietanze offerte, non assumiamo sempre l'aria schifata dei gourmet incompresi, costretti dalla sorte ad accontentarci di cibi e bevande tanto al di sotto dei nostri livelli: sarà anche vero, ma siamo pregati di non darlo a vedere.

Pagina 217

Come già detto, sul lavoro vale solo il principio di gerarchia, quindi un uomo non si alza quando entra una donna, non le cede il posto a sedere, non l'aiuta a portare la borsa o i documenti; al massimo può - è un gesto di gentilezza, ma non è dovuto - cederle il passo su una porta. Non facciamo i democratici per partito preso: a meno di consuetudini aziendali consolidate, il tu reciproco non è sempre opportuno, perché può rendere più difficile il comando, o la critica. Assolutamente da non instaurare il rapporto squilibrato di chi dà del tu e pretende il lei: è un comportamento da Padrone delle Ferriere. Quando dobbiamo rimproverare qualcuno, cerchiamo di dosare le parole, senza eccedere in urla e turpiloquio; tutte cose che non favoriscono certo, da parte del «colpevole», una serena considerazione dei propri errori. Non lesiniamo le parole di apprezzamento e di motivazione - che secondo me sono più efficaci dei rimproveri - ma senza cadere nel gergo «da capi», con relativo abuso di termini inglesi. Un errore grave è stabilire rapporti personali più stretti solo con alcuni subalterni, accettando, per esempio, di fare da testimone di nozze o di tenere a battesimo il figlio. È saggio mandare a chiunque si sposa lo stesso regalo, e tutine identiche a tutti i bambini, e declinare cortesemente tutti gli inviti.

Pagina 220

È importante, qualunque sia la nostra posizione nella gerarchia aziendale, imparare a comunicare sempre in maniera rispetttosa (che non vuol dire ossequiosa, né fredda), a chiedere le informazioni di cui abbiamo bisogno, a fare un complimento meritato e accettarlo con un sorriso quando ci viene rivolto, a non buttare sugli altri la colpa dei nostri insuccessi, a condividere il merito dei successi, a criticare in modo costruttivo, s enza prese in giro e sarcasmi, a non lamentarci per abitudine e partito preso. È anche un errore stare sempre in disparte, non condividere i momenti di pausa o di scherzo: la nostra riservatezza può essere scambiata per presunzione. Sconsiglio di assumere il ruolo di «barzellettiere aziendale», perché difficilmente porta a essere stimati professionalmente e promossi, però un sorriso e una parola scherzosa possono rendere il clima più amichevole e rilassato. Che non significa sboccato: evitiamo turpiloqui e battute pesanti e volgari. E se le fa qualcun altro? Limitiamoci a non ridere: non abbiamo l'autorità (né la voglia) per riprendere, biasimare, educare una persona adulta che ha, ahinoi, il diritto di essere cafona. Così pure, non correggiamo i lapsus e gli errori del nostro interlocutore, a meno che non comportino il rischio di un malinteso (se prima dice «Ci vediamo alle cinque», e poi «Allora l'appuntamento è per le sette», è senz'altro il caso di chiedere: «Vuoi dire le cinque, vero?»), ma se il senso non cambia, è meglio non cadere in questo vezzo da maestri di scuola. Non interrompiamo mai chi parla. Se per caso due persone iniziano contemporaneamente a parlare, devono fermarsi subito, dicendosi scambievolmente: «Scusa, dì pure». L'interruzione disinvolta di un discorso, come il continuare imperterriti a parlare, sperando che I'altro si scoraggi e smetta, sono segni gravi di maleducazione, di mancanza di sensibilità. A chi tocca poi riprendere a parlare per primo? Alla persona più importante; tra pari grado, a quello dei due che ritiene di avere la comunicazione più urgente. Mai confondere la profondità con la pesantezza, l'essere seri con il prendersi troppo sul serio. Perché non c'è nulla di più sgradevole della supponenza morale, l'assunto a priori di essere migliori e diversi. Ecco perché vanno scelte con cura le parole. Invece di «Tu non hai fatto/detto» è meglio dire «Io vorrei che tu facessi/dicessi», e invece di «Lei sbaglia», «Hai torto», «Non ha capito» diciamo: «Non sono d'accordo», «C'è un equivoco» e «Forse non mi sono spiegato bene». Siamo franchi nel riprendere un collega o chiarire un malinteso, ma facciamolo a quattr'occhi (e dopo avergli domandato se gli va di parlarne), senza chiamare a giudici gli altri; e quando ci viene detto qualcosa che interpretiamo come una critica, non reagiamo gridando, accusando o mettendo il muso. Uno dei modi più sicuri per rendersi odiosi è non saper chiedere scusa: chi non sa assumersi le proprie responsabilità quando sbaglia è nevrotico e maleducato, e anche poco accorto, perché frasi come «Ho sbagliato», «Non dovevo dire/fare così» quando sono dette con semplicità, disinnescano la miccia del risentimento e aiutano a ristabilire un rapporto cordiale. Esattamente l'effetto opposto l'ottiene invece il «Non I'ho fatto apposta», o il tentativo di minimizzare il proprio torto: tra persone adulte, essere distratti, egocentrici, superficiali e faciloni costituisce un'aggravante, non un'attenuante. Un'ultima raccomandazione: anche se siamo sicurissimi della freschezza del nostro alito, quando parliamo cerchiamo di tenerci a una distanza ragionevole, senza respirare in faccia all'altro; e non tocchiamogli il braccio.

Pagina 222

E ancora: -non arriviamo in ritardo, ma neppure in anticipo; -non iniziamo a parlare per primi: dopo il «Buongiorno» iniziale (non «Salve»!) aspettiamo che ci venga rivolta la parola; -non invadiamo lo «spazio» altrui appoggiando borse, libri e cartelle sulfa scrivania; -guardiamo in faccia chi ci parla, siamo disinvolti ma non confidenziali, sintetici ma esaurienti; -non diciamo bugie: è difficilissimo dirle bene; -non mangiamo caramelle né «svapiamo»; -evitiamo i conflitti: davanti a una domanda che ci pare inadatta, chiariamo con garbo che non ci pare il caso di entrare in dettagli; -non alziamoci per primi - non tocca a noi mettere fine all'incontro - e non chiediamo: «Come sono andato?». La lettera che accompagna il curriculum vitae è importante, perché contribuisce a completare la nostra immagine: in poche righe dobbiamo invogliare chi legge a incontrarci di persona. Deve essere scritta a computer - ma con data, intestazione (Egregio Dott. Rossi, RGC srl), saluti e firma a mano - graficamente perfetta, in buon italiano (controlliamo apostrofi e accenti!), con tono educato (mai adulatorio o strappalacrime), e offrire informazioni semplici, efficaci e chiare su laurea, diploma o specializzazione, congruenza delle nostre capacità con il lavoro cui siamo interessati, motivazioni personali e professionali, disponibilità a viaggi e trasferimenti. Cerchiamo di limitarci a una sola facciata: tanto, chi vuole approfondire i dettagli, legge il curriculum vitae.

Pagina 237

Nel senso che un titolo accademico non si nega a nessuno. Se i gratificati di una laurea inesistente siamo noi, correggiamo il nostro interlocutore con una breve frase, senza dilungarci. Nei confronti di altri, non crediamo che attribuire largamente il «dottore» ci renda simpatici: anche perché i più prodighi in tal senso restano i parcheggiatori abusivi... Nelle riunioni sociali sarebbe opportuna un'attitudine più paritetica e rilassata, e anche la persona orgogliosa delle proprie qualità accademiche si autopresenterà (e si firmerà) col solo nome e cognome. Fanno benissimo le donne «in carriera» che, con quel tocco di noncuranza tipico della vera signora, nella vita privata abdicano a ogni titolo professionale. Ci atterremo a quest'aureo principio anche nel compilare moduli e schede (per esempio, quando ci registriamo in un hotel). E siccome il riempirsi la bocca di titoli non è mai elegante, impariamo ad adeguarci alle nuove regole di cerimoniale. Quindi riserveremo l'appellativo «eccellenza» solo ai vescovi - ambasciatori, prefetti, alti magistrati e generali di Corpo d'Armata se ne faranno una ragione! - ai cardinali ci rivolgeremo con «eminenza», mentre a sacerdoti, frati e suore rispettivamente con «padre» e «sorella» («reverenda madre» se è una superiora o una suora molto anziana). A un pastore protestante diremo «signor pastore» («signora» se è donna), «dottore» a un rabbino. Ai militari ci si rivolge col grado, senza preporre il «signore»: «signor generale» lo dicono solo i suoi sottoposti. Però diremo: signor ministro, signor sindaco, signor presidente (della Repubblica, del Senato, della Camera, della Regione), mentre agli altri politici diremo onorevole e senatore o senatrice. Curiosamente, anche chi ha da tempo terminato il mandato continua a farsi chiamare presidente e onorevole: non siamo obbligati ad assecondarli. Giudico antifemminista e fintamente paritetica l'abitudine di definire «direttore» - di una banca, un'azienda, un giornale, un ente - sia l'uomo sia la donna, mentre è «direttrice» la donna che dirige un istituto scolastico. Fate un po' voi. Torna di moda il fascino del sangue blu, e sono molti quelli che, quando si rivolgono a un aristocratico, si ingegnano a pronunciarne il titolo ogni due parole, come a sottolineare I'importanza delle proprie frequentazioni, e gratificare così il proprio ego... Col solo risultato di apparire naïf e un po' irritanti per l'oggetto di tanti salamelecchi. Dopo un (facoltativo): «Buongiorno contessa», ci rivolgeremo alla nobildonna chiamandola «signora»; mai «signora contessa», che è appropriato solo in bocca ai domestici. L'appellativo «altezza reale» va riservato esclusivamente a principi regnanti (e non ai loro parenti) o ai sovrani in esilio.

Pagina 27

«Lavoro/studio tutto il giorno, e almeno quando sono a casa voglio fare ciò che mi fa comodo!» è la tipica obiezione di chi si vede raccomandare un po' di buone maniere nella quotidianità familiare. Ma la ricerca della comodità non può e non deve essere una norma assoluta per la persona educata. E poi non ci vuole molta fatica a bussare alla porta del bagno prima di entrare (magari anche a quella della stanza da letto dei figli e dei fratelli maggiori), tenere in ordine i cassetti, portare la propria roba sporca nell'apposito contenitore, non lasciare abiti e scarpe in giro, chiudere il flacone dello shampoo e il tubetto del dentifricio, sciacquare vasca e lavandino dopo l'uso, lavare il bicchiere dopo che si è bevuto, evitare di buttare a terra i giornali letti. In una parola, a farci carico di piccole cose che ingigantiscono nella quotidianità e scatenano insofferenze e litigi. Tra le piccole maleducazioni quotidiane che rendono la vita di coppia e di famiglia meno gradevole di quel che potrebbe essere, io metterei senz'altro l'assenza ingiustificata di parole quali «per favore», «grazie», «prego», «scusa», «buongiorno», «buonanotte», «posso aiutarti?», «come stai?». Rispettiamo ciò che stanno facendo gli altri, bambini compresi, anche se quel che facciamo noi ci sembra più importante; non interrompiamoli se non è proprio necessario, chiedendo loro cose non urgentissime. Non cambiamo canale per vedere «che cos'altro c'è» durante un programma televisivo che altri seguono con interesse. Non diamo per scontato che le nostre necessità siano sempre prioritarie, solo perché sono le nostre. Soprattutto, se vogliamo che gli altri siano garbati, siamolo noi per primi; se vogliamo che siano ordinati, cominciamo a esserlo noi; se non vogliamo essere delusi, impariamo a chiedere ciò che desideriamo gli altri facciano per noi, purché con il tono giusto (cioè senza fare né la vittima, né il dittatore).

Pagina 52

Nella maggior parte dei casi i giovanissimi frequentano tranquillamente la casa di amici e morosi, ne conoscono la famiglia, sono considerati una presenza abituale (a volte fin troppo: ci vorrebbe un po' di rispetto per gli orari e la privacy altrui). A loro ricordo che devono comportarsi con semplicità e buon umore, senza timidezze inutili ma anche senza arroganze. E rispettare due doveri precisi. Il primo è presentarsi, possibilmente con nome e cognome, quando incontrano per la prima volta i padroni di casa. Il secondo è saper dire «permesso», «per favore» «grazie». Due regole un po' tradizionali, se vogliamo, ma che anche a quattordici anni è giusto osservare: non si è mai troppo giovani per un po' di elementare buona educazione. Essere gentili è un segno di coinvolgimento, di allegria, un'apparente debolezza che in realtà costituisce una grande forza. L'atteggiamento ideale è di «cordiale indifferenza» da ambedue le parti: i padroni di casa eviteranno come la peste complimenti e smancerie, ma anche i tentativi di conversazione: non c'è nulla che un adolescente odi di più che essere costretto a rispondere alle domande sulla scuola o sui propri hobby! Gli «ospiti» dal canto loro non ostenteranno cupezza e noia nei confronti degli «intrusi» (che poi sarebbero i padroni di casa!) e collaboreranno quando possibile, per esempio aiutando ad apparecchiare e sparecchiare quando si fermano a pranzo. Ormai la presenza dei genitori non spaventa nessuno, e ben venga la più totale disinvoltura verso gli adulti, ma è giusto porre agli «ospiti» gli stessi limiti che imponiamo ai nostri figli: proibendo loro di fumare in casa nostra, per esempio (ma senza predicozzi salutisti), e prendendoli allegramente in giro di fronte a effusioni eccessive, mugolii e bamboleggiamenti vari: «Non incominciate a fare le Cinquanta sfumature, per favore!». Dedicato a chi si sente adulto e anticonformista: non vi chiedo, quando vi recate «in visita», di rinunciare all'abbigliamento trash, alla cresta, ai dieci orecchini per lobo e ai piercing vari, ma di mostrarvi (ed essere) puliti, discreti, disponibili a dare una mano, a dire «per favore» e «grazie», a salutare sia quando arrivate sia quando andate via. Altrimenti siete sì gran-di: ma grandi maleducati.

Pagina 57

I nostri figli non sono più bambini, e non accetterebbero certo che fossimo noi a organizzare i loro intrattenimenti. Giustissimo. Quindi limitiamoci a porre dei limiti: è sgradevole, for-se, ma indispensabile per evitare che la festa degeneri in uno sciatto bivacco. Per prima cosa, contrattiamo il numero degli invitati, senza pelrò intervenire sulla scelta (e insistere perché includa anche la cugina timida o il figlio di amici nostri). È bene anche essere molto chiari sull'orario di «chiusura» della festa e sugli spazi off limits (e chiudere a chiave lo studio in cui lavoriamo o la nostra stanza da letto: è assolutamente legittimo). Quanto al buffet, prevederà stuzzichini salati e dolci, privilegiando il finger food. Molta acqua, molte bibite analcoliche, e poi? In merito agli alcolici, ogni famiglia ha le sue regole, da far rispettare. Io mi limito a osservare che uno sparkling, cocktail a base di (abbondante) succo di frutta e spumante brut, e poi magari un bicchiere di Moscato per accompagnare il dolce danno, con un minimo di alcol, il massimo dell'allegria. E non fanno rimpiangere i superalcolici che, quelli sì, dovrebbero essere banditi. Responsabilizzare i figli significa anche accordarci sul fatto che toccherà a loro riordinare e ripulire gli ambienti dopo la festa, e ripagare eventuali danni. E poi usciamo, resistendo stoicamente alla tentazione di telefonare ogni mezz'ora per sapere «come va».

Pagina 58

La vita in condominio mette spesso a repentaglio la nostra privacy: ma se noi per primi raccontiamo «in confidenza» a colf e portinaia le nostre vicende private, se non moderiamo il tono di voce durante discussioni e litigi, se abbiamo l'abitudine di telefonare stando sul balcone, se giriamo per casa nudi o sommariamente vestiti anche con le finestre aperte e le tende spalancate, praticamente costringiamo vicini e dirimpettai ad assistere alle vicende della nostra soap opera familiare. Non lamentiamoci poi se ci accorgiamo che si divertono! Con i vicini di casa, il rapporto dovrebbe essere di massima educazione, condita con grande discrezione. Rispettiamo i loro spazi (a partire dal pianerottolo: non «abbelliamolo» con piante e decorazioni vistose senza concordarlo in anticipo, non parcheggiamoci per ore il sacchetto dell'immondizia, con la scusa «Così non me lo dimentico»), balcone compreso: quindi abbandoniamo la brutta abitudine di scuotere la tovaglia per farne cadere le briciole, o peggio di fumare sul terrazzo e poi gettare nel vuoto i mozziconi. Pensiamo al bucato steso al piano di sotto anche quando mettiamo sul davanzale della finestra il cibo per i colombi, assai prodighi di «ricordini». L'amore per gli animali non giustifica neppure chi appende fuori della finestra la gabbia degli uccellini canori: basta pochissimo vento perché sabbia, piume ed escrementi cadano sul balcone di sotto, e magari sul bucato steso... Statisticamente, la causa più comune dei «dissapori da pianerottolo» sono i rumori molesti: bambini che vociano per le scale, amanti del fai da te che usano trapano e martello a tutte le ore, discussioni ad alta voce fino a notte fonda, stereo e tv a tutto volume, cani che abbaiano, salutisti che usano zoccoli ortopedici al posto delle più silenziose pantofole... Far funzionare lavatrice e lavastoviglie nelle ore notturne per usufruire di una fascia» di prezzo più conveniente è un nostro diritto, ma solo a patto che possediamo elettrodomestici silenziosissimi. D'estate controlliamo bene dove va a finire il fumo del nostro barbecue. È lecito chiedere in prestito un ingrediente di cucina ai vicini solo se è davvero indispensabile e se i negozi sono chiusi, e a patto di restituirlo il giorno dopo. Se diamo una festa, scusiamoci in anticipo per il disturbo (ma chiediamo con fermezza ai nostri ospiti di astenersi da rumorosi convenevoli sul pianerottolo a tarda notte). Non siamo affatto tenuti a invitare i vicini, se non vogliamo dare inizio a una frequentazione più stretta. Certo che, se chiediamo il loro aiuto o contributo per la buona riuscita della serata - uno spazio nel frigo per i nostri cibi pronti, o delle sedie in prestito, o l'uso del forno... - non possiamo esimerci dal farlo. In caso di nascita, matrimonio o lutto, è d'obbligo scrivere un biglietto. Se i rapporti sono più stretti, ci recheremo in visita.

Pagina 68

Poi, nei limiti del possibile, si cederà il passo alle signore e agli anziani, a patto però di non provocare «ingorghi» e rallentamenti eccessivi. Entrando, si rivolge un saluto generico a chi è già dentro, e poi non c'è nessun obbligo di conversazione; solo se ci accorgiamo di essere diretti tutti allo stesso piano, alla stessa festa, possiamo già provvedere a una presentazione informale, senza strette di mano. La legge che vieta di fumare in ascensore va rispettata anche se siamo soli, perché il fumo ristagna nell'abitacolo, con un fastidiosissimo effetto «camera a gas» per il prossimo utente. Non portiamo con noi il cane se vi sono altre persone.

Pagina 69

La segreteria deve rispondere in modo chiaro (perché a chi chiama non resti il dubbio di aver sbagliato numero), conciso, semplice, gentile, senza musichette e spiritosaggini che fanno perdere tempo e... scatti («Risponde il numero.../ la segreteria telefonica di Mario Rossi»). Si lascia sempre un messaggio quando risponde una segreteria telefonica. Anche a chi chiama sono richieste chiarezza (nome, ora, giorno, numero telefonico) e concisione. Non esordiamo con «Sono io»: quanti «io» può conoscere il proprietario della segreteria? Il quale, ricordiamolo, è tenuto a richiamare al più presto quanti hanno lasciato un messaggio. Purché comprensibile, naturalmente.

Pagina 74

È un cartoncino bianco o écru, con stampato al centro, possibilmente a caratteri in rilievo, il solo nome e cognome, senza nessun'altra informazione sul nostro conto: né indirizzo, né titoli accademici o nobiliari. Una volta si usava tantissimo, per le visite, ma anche per sfidare a duello. Noi lo useremo per accompagnare l'invio di fiori o regali, nell'ambito della vita privata - quindi a persone che ci conoscono bene e non hanno bisogno che venga loro ricordato il nostro indirizzo. Se non ce l'abbiamo, poco male: possiamo benissimo sostituirlo con un cartoncino tutto bianco (i fiorai li mettono a disposizione dei clienti). Quel che non dobbiamo fare è usare un biglietto da visita professionale e poi sbarrare, con un «modesto» tratto di penna, titoli e qualifiche. Posta elettronica Attenzione: la comunicazione via computer riduce tempi e distanze e cancella d'un colpo anche le relazioni di potere-rispetto tra chi invia il messaggio e chi lo riceve. Il che da un lato è un bene, in quando arricchisce il dibattito permettendo la partecipazione di persone che altrimenti ne sarebbero escluse, però schiaccia la comunicazione verso il basso. Anche la posta elettronica ha un suo galateo, con regole che vanno dal divieto di scrivere tutto maiuscolo (equivale a gridare) all'invito a essere più concisi possibile. Io aggiungerei l'esortazione a non essere ansiosi: come quelli che prima inviano una e-mail, e poi telefonano per sapere se è arrivata. Molto meglio chiedere l'invio di una ricevuta. Non è scortese né scorretto scrivere tutto minuscolo. Non si scrivono cose troppo intime o personali.

Pagina 76

La vera regola... è saper rompere le regole a tempo e luogo Giambattista Marino Un ritorno in grande stile quello della convivialità a tavola. Si stabiliscono rapporti più intimi e affettuosi, nelle mille sfaccettature dello stare insieme: è un rito che ha una liturgia diversa a seconda di chi lo vive e in cui sono importanti anche i particolari, come una tavola ben apparecchiata, che è un moltiplicatore di bellezza. Senza contare che «le cose più importanti della vita si imparano a tavola» (papa Giovanni XXIII).

Pagina 80

Il perfetto centrotavola è composto da fiori - magari con I'aggiunta di bacche e foglie, frutti o verdure - solo freschi, assolutamente inodori e a gambo corto, per non ostacolare la conversazione tra dirimpettai. Se abbiamo problemi di spazio e non vogliamo rinunciare a un tocco di verde, possiamo porre accanto a ogni piatto (a destra in alto, oltre i bicchieri) un piccolo mazzo individuale tenuto in fresco in un bicchierino da rosolio, oppure legare un fiore e un rametto verde a ogni tovagliolo o appoggiare un fiore singolo al piede di ogni bicchiere da acqua. Solo alla sera possiamo sostituire i fiori con candele, sempre bianche e anch'esse inodori, che accenderemo prima che gli ospiti siedano a tavola, e spegneremo solo dopo che si saranno alzati. Possiamo usare candelabri di stili e fogge diversi, purché siano tutti dello stesso materiale. Non è casuale che le candele siano sempre o molto alte (sul candeliere) o molto basse: la «mezza misura» si porrebbe proprio ad altezza degli occhi dei commensali. L'accoppiata fiori più candele è accettata solo per i pranzi di nozze.

Pagina 86

Può essere utile tenere a mente (non si sa mai...) che un'Altezza Reale ha sempre la precedenza su un'Altezza Serenissima, e che il giorno che ospiteremo un Nunzio Apostolico o un principe ereditario dovremo cedergli il nostro posto a tavola. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, una sensata distribuzione dei posti seguirà criteri di affinità e di simpatia. Cavarsela dicendo «mettetevi dove vi pare» è comodo, certo, ma imbarazza gli invitati e fa rischiare vicinanze mal combinate. Il buon padrone di casa si fa uno schema preventivo dei posti a sedere, che poi «suggerirà» agli ospiti, senza insistere in caso di disobbedienza. A meno che non si tratti di un'occasione estremamente formale, non disponiamo segnaposti scritti, ma invitiamo con garbo i componenti delle coppie (sposati o no, non importa) a dividersi. Non è tanto importante alternare un uomo e una donna, quanto evitare che i due sessi si siedano ciascuno da un lato del tavolo. Non raggruppiamo i convitati per età, ma se ci sono quattro o cinque giovanissimi, spediamoli tutti insieme in fondo alla tavola (la cosiddetta «tavola bassa», in cui si divertiranno di più). I padroni di casa siedono l'uno di fronte all'altro, con alla propria destra l'ospite (di sesso opposto) più anziano e di maggior riguardo, alla sinistra il secondo in classifica. Questo secondo le regole del galateo. Ma il buon senso e il buon cuore a volte consigliano di far sedere accanto a sé i timidi e quelli che non conoscono nessuno, per aiutarli a socializzare e farli sentire a proprio agio. Se uno dei convitati è straniero, sarà importante mettergli accanto chi - uomo o donna che sia - parla la sua lingua. Se c'è un mancino, lo sistemeremo all'estremità sinistra del tavolo, perché possa muovere liberamente il braccio sinistro senza toccare il braccio destro del vicino; e di volta in volta sposterà le posate secondo il proprio uso. Ogni bambino piccolo deve sedere accanto a un adulto che se ne occupi, mentre quelli più grandicelli possono mettersi tutti insieme da un lato del tavolo, o addirittura sedere a un tavolino tutto per loro, con tovaglia e tovaglioli di carta e bicchieri non fragili. Se i tavoli sono più d'uno, i padroni di casa siederanno a due tavoli diversi. Se una coppia invita un'altra coppia, le due signore saranno l'una di fronte all'altra, e la padrona di casa avrà alla propria destra il proprio marito e alla sinistra l'ospite: così l'invitata sarà alla destra del padrone di casa.

Pagina 87

Qualunque sia la motivazione che vi induce a invitare «fuori», non raccontatela, non scusatevi! Sono passati i tempi in cui I'invito a casa era aureolato di un'importanza protocollare speciale, e ciascuno di noi ha felicemente il diritto di invitare come crede. Quindi, limitiamoci a essere molto chiari: «Ho organizzato una cena al Gallo d'Oro per venerdì prossimo, alle 20, per un po' di amici e vorrei tanto che venissi anche tu». Se il locale è vicino a casa nostra, possiamo riunire gli ospiti una mezz'oretta prima: offriremo loro un aperitivo, e poi andremo a piedi tutti insieme. Se invece li attendiamo direttamente al ristorante, dobbiamo essere là almeno dieci minuti prima dell'ora fissata, per evitare che qualcuno ci preceda. Così potremo anche controllare con calma che l'apparecchiatura sia come volevamo, e curare la sistemazione dei posti a tavola. In questo modo eviteremo errori e ripensamenti sotto gli occhi divertiti degli altri presenti («No, non lì, là», «No, se ti metti lì sei vicino a tua moglie»). Il menu sarà stato opportunamente deciso in anticipo, sia per dare più il senso di un'ospitalità curata, sia per far stappare i vini rossi per tempo. Naturalmente, chi non gradisce le vivande proposte potrà chiedere qualcosa di diverso, ma sempre di più semplice: il primo in bianco, la sogliola, la fettina ai ferri. II dessert, invece, verrà servito «dal carrello», così da permettere assaggi sfiziosi e golosi bis. Dopo il caffè e i liquori ci alzeremo discretamente da tavola per recarci alla cassa a regolare il conto. L'onere di decidere quando andarcene è nostro: «Quando volete, potremo andare».

Pagina 97

IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190537
Schira Roberta 18 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Questo libro denuncia come ci comportiamo male a tavola e tratta di altre cose fondamentali nella vita come: - Ripassare il galateo divertendosi. - Diventare un invitato modello. - Scoprire come si mangia un kiwi con le posate. - Non farsi guardare con disprezzo dai camerieri del ristorante stellato. - Evitare situazioni imbarazzanti con la futura suocera. - Non farsi cogliere impreparati dai figli adolescenti. - Usare il linguaggio del corpo a proprio esclusivo vantaggio. - Capire se chi vi ha invitato a cena è la vostra anima gemella. - Capire a che punto è la trattativa in un pranzo di lavoro. - Smascherare un bugiardo mangiando una carbonara. - Capire se il vostro capo ci sta provando alla «bicchierata» in ufficio.

- Uscire di tanto in tanto con gli amici o in coppia per rilassarsi o per una cena romantica lasciando i figli a casa con i nonni o con la baby-sitter è un vero toccasana per la vita di coppia. E per loro. - Se volete andare al ristorante con i figli, abbiate l'accortezza di sceglierne uno adatto sia per gli spazi che per il menu, ma soprattutto per l'atmosfera generale. Mettetevi nei panni della coppietta al tavolo vicino e pensate se vi farebbe piacere avere gli occhi e le orecchie di un ragazzino appiccicati addosso. - Se organizzate una cena con gli amici, prevedete una portata e un angolo dedicato ai bambini o ai ragazzi: si divertiranno di più. - Se optate per uscire in un locale adatto a loro, portatevi comunque un foglio e delle matite. In molti paesi del Nord Europa, per esempio, è normale che la tovaglietta sia un foglio bianco e che le mamme vengano dotate di una bella scatola di pastelli colorati. - Se vostro figlio è maleducato a tavola chiedetevi: da chi ha preso esempio? - Non sgridateli davanti a tutti mettendo a disagio l'intero ristorante; fatelo a casa con calma con un semplice trucco: sedetevi a tavola e mimate, esagerando un po', il loro comportamento. Vedersi «dall'esterno» sarà molto utile.

Pagina 100

I bambini credono nell'importanza delle regole più di molti adulti, quindi non faticheranno a capire cosa significano galateo e bon ton. Ma è ovvio, la loro modalità di apprendimento privilegiata è. il gioco. Ecco allora «Il gioco del ristorante»: apparecchiate con cura la tavola e fingete di trovarvi lì; è un gioco di ruolo e si divertiranno molto. Poi farete capire loro che le stesse regolette dovranno essere applicate anche a casa, la vostra e quella degli altri; l'obiettivo è far risultare tutto naturale e divertente. La cosa da evitare assolutamente è che il momento del pasto diventi causa di stress per i bambini: questo cristallizza uno stato d'animo che potrebbe trascinarsi per sempre. Ecco i messaggi da far passare: - Quando è pronto, si va a tavola e si smette subito di giocare. - Ci si lava le mani (utile anche per gli adulti). - Non si gioca a tavola, né con il cibo, né con le posate. - Si sta seduti correttamente, eventualmente aiutati da un cuscino. - Si dicono sempre «per favore» e «grazie». - Le posate si impugnano in modo corretto. - Prima di dire non mi piace, si assaggia. - Non si dice: «Che schifo!» - Non ci si alza da tavola se non si è finito di mangiare. - Prima di alzarsi da tavola si chiede il permesso. La battuta migliore che unisce bambini e animali è ancora una volta di Woody Allen: «Quando ero piccolo i miei genitori mi volevano talmente bene che mi misero nella culla un orsacchiotto. Vivo». Definire gli anziani è pericoloso. In una società che invecchia sempre più e dove un figlio lascia la casa paterna a trent'anni (se va bene) si tende a considerare un uomo «maturo» a sessant'anni e anziano a ottanta. Per le donne è diverso, ma questo è un altro (obsoleto) discorso. I vecchi si dividono in due categorie: quelli che con gli anni fanno emergere il peggio di sé e quelli che sublimano i difetti in saggezza. I primi, e quelli che per vari motivi non sono autosufficienti, dovrebbero limitare i pranzi ufficiali e le uscite informali. Pensate al nonno indisciplinato di Amarcord, tanto per intenderci. I secondi sono la salvezza di tante serate noiose. Con un po' di furbizia si riesce a farsi raccontare storie incredibili, ricordi di infanzia, di cibi e di persone speciali. Evviva i vecchi (e chiamiamoli con il loro nome, per una volta): l'unica parola d'ordine utile per frequentarli è «rispetto». Il gusto è l'ultima cosa che ci lascia e di questo senso continuiamo a godere sino alla morte: più invecchiamo e più amiamo stare a tavola. Ricapitolando, sì ai vecchi a tavola quando sono autosufficienti, no alle cene formali quando turberebbero gli altri invitati.

Pagina 101

A questo punto, volevo aggiungere un paragrafo intitolato: «Le 5 cose che le donne non sopportano di lui a tavola. Le 5 cose che gli uomini non sopportano di lei a tavola». Da quando ho deciso di scrivere questo libro, cioè un paio d'anni fa, ho cominciato a chiedere ad amici e conoscenti quali fossero le cose che non sopportavano nell'altro sesso durante i primi approcci a tavola, i fondamentali per farsi un'idea dell'altro. Ho iniziato a osservare attentamente e a prendere appunti. Tempo fa, rimasi molto colpita nel leggere la notizia di un giudice scozzese che diede ragione all'uomo in una causa di divorzio, perché il modo in cui la moglie gli masticava davanti per tre pasti al giorno era diventato per lui insopportabile e lo stava portando alla follia. Lo capisco, ci sono comportamenti, manie, cattive abitudini che diventano lentamente intollerabili sino a minare le fondamenta di un rapporto. Una volta notate, verbalizziamole subito, altrimenti la vista dell'altro ci diventerà inammissibile. Già dopo sei mesi di raccolta notizie mi sono resa conto della curiosità che la cosa suscitava, così ho cominciato a prendere nota. Infine ho postato su Facebook la questione beneficiando dei miei 5000 amici: sono venute fuori risposte curiose e soprattutto molte simili, quindi mi sono permessa di raggrupparle. Molte voci compaiono sia dalla parte degli uomini che dalla parte delle donne: interessante, no? Non sopportiamo lui a tavola quando: - Inizia a mangiare prima di noi e quando arriva il nostro piatto ha già finito. - Svuota le tasche sulla tovaglia spargendo chiavi, cellulare e utensili vari attorno per delimitare il territorio. - Fa il cretino con la cameriera. - Tiene il cellulare acceso e parla di lavoro al telefono, ignorandoci. - Tiene il cellulare spento, perché vuol dire che ha la coscienza sporca. - Litiga al telefono con la ex moglie per gli alimenti. - Mangia con la testa dentro il piatto. - Messaggia con un amico (dice) i risultati delle partite. - Parla e ride con la bocca piena. - Si mette il tovagliolo nel collo della camicia. - Interrompe quando parlate. - Pilucca dal vostro piatto. - Si mette a litigare per il conto davanti a voi. - Si alza e va a fumare senza chiedervi il permesso. - Racconta barzellette, e per di più sporche. - Non vi versa il vino e neppure l'acqua. - Vuole dividere il conto a metà. - Parla tutta la sera dell'ex. - Parla troppo di sua madre. - Mentre parla impugna il coltello aggressivamente per sottolineare quello che dice. - Racconta che sua madre le lasagne le fa più buone. - Cerca di soffocare «ruttini» a cascata. - Fa la scarpetta. Non sopportiamo lei a tavola quando: - Appena seduta dice che è a dieta. - Parla gesticolando e impugnando una posata. - Si trucca sbirciandosi nel sottopiatto d'argento. - Ride sguaiatamente. - Cincischia nel piatto con la forchetta fingendo di mangiare. - Racconta aneddoti banali e idioti sulle sue amiche. - Fa le «palline» con la mollica di pane. - Inizia a discutere invece di mangiare e non la finisce più «perché è una questione di principio». - Messaggia continuamente con l'amica del cuore (dice). - Guarda le altre donne per commentare come sono vestite. - Guarda gli uomini seduti ai tavoli e civetta. - Non ascolta l'interlocutore. - Chiacchiera in continuazione invece di mangiare. - Ruba il cibo dal vostro piatto, e non vuole ordinare nulla. - Chiede cento volte se ha qualcosa tra i denti, digrignandoli come se fosse un mastino. - Fa i disegni sulla tovaglia con le briciole di pane. - Fa i cuoricini con tutto ciò che rimane sul tavolo (gabbiette dello spumante, tappi di plastica, pezzi di candela, centrotavola eccetera). - Si alza e sta in bagno mezz'ora. - Si alza e va a fumare piantandovi in asso come cretini. - Litiga con l'ex marito per gli alimenti davanti a voi. - Vi impedisce di godere la cena elencando i vari danni del colesterolo e della glicemia alta. - Si tocca i capelli per tutta la cena. - Chiede continuamente: «Mi fai assaggiare?» - Si mette mezza bottiglietta di profumo, lasciando una fastidiosa scia appestante. - Parla tutta sera degli ex. - Lascia le parti migliori nel piatto: in genere cose che voi avreste mangiato di gusto. - Rompe che non vuole aglio e cipolla. - È allergica a tutto. - È astemia. Urge un bell'esame di coscienza: a quante di queste voci possiamo fare una crocetta dicendo: «Anch'io lo faccio?» Scommetto che dopo aver letto l'elenco molti di voi cominceranno a sentirsi meno irresistibili a tavola: quello che credevano passasse inosservato è fonte di irritazione e si sa, dall'irritazione è facile passare all'ostilità.

Pagina 118

La cena è finita, c'è stato un benevolo battibecco a fine pasto. Lei non voleva ordinare la crostata di frutti di bosco con salsa vaniglia, ma lui ha insistito. Alla fine si è deciso di fare a metà e le forchettine da dessert si sono incontrate sul terreno dolce della pasta frolla, le dita si sono sfiorate e gli sguardi colmi di sottintesi hanno suggellato il contatto ricco di promesse. Uno dei due ha pagato il conto, lui ha aiutato lei a indossare il soprabito, poi entrambi si sono diretti verso l'uscita del locale. Dopo circa tre ore trascorse allo stesso tavolo avrete raccolto una buona quantità di indizi, comunque abbastanza per capire se dall'altra parte l'interesse è cresciuto. Il dopocena è un argomento delicato e privato; dal momento che la prima regola è non mettere in imbarazzo gli ospiti, giammai lo farei con i miei lettori. Nessuna interferenza moraleggiante sul chi e come, ma non resisto alla tentazione di un paio di domande, senza azzardare una risposta. Voi signore, siete così sicure che sia superata, anche tra le più postmoderne di voi, la questione di cedere o non cedere al primo appuntamento? Chi di voi non è stata tormentata dal pensiero fugace: cosa penserà di me, se ci sto la prima volta? E voi uomini, siete così sicuri che pur incoraggiando e sostenendo le donne emancipate, sotto sotto non consideriate poco serie quelle che si concedono dopo la prima cena? Le ultime confidenze di un amico trentenne, lasciato da poco lo confermano: «Dovevo capirlo subito che finiva male, in fondo lei mi ha ceduto la prima sera». Personalmente credo che il periodo del puro corteggiamento sia tanto breve, quanto entusiasmante e sarebbe davvero un peccato accorciarlo ulteriormente. A questo punto del capitolo, è necessario riflettere un momento sulla teoria del Do ut des. Teoria che, a mio modesto parere, è tuttora imperante nel terzo millennio, almeno nei paesi mediterranei. Dicasi teoria del Do ut des quell'inspiegabile ma radicato, più o meno conscio, atteggiamento che porta un uomo a considerarsi in credito nei confronti di una signora dopo averla invitata a cena e aver pagato il conto. E anche quell'inspiegabile, ma radicato, più o meno conscio, atteggiamento che porta una donna a sentirsi in debito nei confronti di un signore che l'ha portata a cena e le ha offerto la cena. Cosa, poi, entrambi si sentano di riscuotere o concedere dopo una bella serata al ristorante è molto soggettivo e può andare dal bacio sulla guancia a un weekend infuocato a Milano Marittima, non ha importanza. Ciò che conta è che bisogna riuscire a sdoganarsi dal Do ut des. Ma andiamo avanti con la nostra cena, ormai quasi al termine. Qualsiasi sia l'esito della serata, l'uomo accompagna a casa la donna o il contrario. Insomma, non si pianta una persona al ristorante. Lo faccia in macchina, a piedi, in treno o in monopattino, questo è un segno di educazione. Un fatto è certo, e mi fermo qui, se c'è un momento ideale per stringere, per tirare le fila della serata è proprio il dopocena. Avete cercato di leggere il linguaggio del corpo durante la cena? Vi sembra che vi abbia mandato messaggi seduttivi? Se avete individuato quali, potete tentare qualche avances. L'audacia è molto apprezzata da una donna, ma è difficile metterla in atto con abilità: è solo una questione di tempi. Una carezza o un bacio dato nel momento sbagliato può cambiare il nostro destino. Non sentitevi obbligate a «essere carine» con lui solo perché vi ha offerto una cena in un ristorante costoso. E voi uomini non sentitevi sminuiti della vostra fama di cacciatori se non ci provate sul cancello di casa. Un pizzico di audacia, quando non diventa sfrontatezza, è apprezzato da ambo le parti. Perciò uomini, non chiedete mai «posso baciarti?» Fatelo e basta. Dovete essere talmente sicuri di voi stessi da provarci solo in caso di successo. Esprimere un rifiuto in maniera non offensiva è un'arte sopraffina e rara. Come ultima chance, esiste sempre la scappatoia di girare il viso all'ultimo minuto e trasformare un bacio appassionato alla francese in un saluto fraterno. Consiglio infallibile, se lei mentre si fa accompagnare a casa, a metà percorso ha già tirato fuori le chiavi di casa non provate a chiederle di salire, è molto probabile che vi dirà di no. A seguire, qualche indicazione per far sì che la vostra bella cena non venga rovinata da un dopocena disastroso. Uno dei momenti topici, infatti, e anche più imbarazzanti è quando si arriva sotto la casa di lei, di notte, e ci si sta per salutare. In quei momenti si gioca tutto; entrambi devono fare i conti con il proprio intuito, timidezza, paura, insicurezza, ma anche passione, emozioni e desideri. Per esempio, una donna che appena avete fermato la macchina vi saluta e scambia due parole con la mano destra già sulla maniglia della portiera, di certo non muore dalla voglia di baciarvi. Oppure se siete arrivate a destinazione e lui si mette a parlare con le braccia conserte, state sicure che non allungherà le mani. Non date per scontato che dopo una cena debba necessariamente succedere qualcosa, ricordate la teoria del Do Ut des. E soprattutto, i signori non si aspettino prestazioni direttamente proporzionali al conto del ristorante. Siate gentiluomini: una bella serata val pure un piccolo investimento. E poi, se le cose non sono andate come previsto, nessuno vi vieta di chiudere la portiera con il fatidico: «Ti chiamo io». E le signore non incoraggino l'uomo a ritentare un invito se la prima cena è stata deludente. È gentile, educato e sexy: - Aspettare che lei sia entrata nel portone di casa, o che abbia avviato la macchina prima di andarsene. - Baciarsi appassionatamente in un portone. - Fare una carezza invece che la «manomorta». - Un invito alle 21. - Un picnic sul lettone. - Il caminetto vero. - Il telefono staccato. - Una cenetta preparata in anticipo solo da scaldare. - Una tovaglia ricamata. - Un bouquet di fiori di campo lasciati sul sedile per lei. - Un bigliettino affettuoso nascosto nella tasca del suo cappotto. - Un brindisi in due coppe da champagne in macchina, in giardino, ovunque. - Una candela sul tavolo o in camera da letto, senza esagerare. - Le lenzuola di seta. È scorretto, banale e antiafrodisiaco: - Piantarla al ristorante se non è carina come vi era sembrato. - Dire: «Da me o da te?» - Il caminetto finto. - Proporre un privée al primo appuntamento. - Il cellulare acceso durante un tête-à-tête. - Invitarla a casa e offrire un prosecco caldo. - Il sottofondo musicale di liscio. - La bottiglia di gazzosa in plastica a tavola. - Addormentarsi sul divano al primo appuntamento. - Fare un invito a cena alle 7, così «poi non facciamo tardi». - Invitarlo/a a cena e alzarsi a lavare i piatti. - Ordinare una camomilla. - Forzarla/o a bere superalcolici per approfittarsi di lei/ lui. - Fare paragoni con gli/le ex. - Entrare in casa e infilarsi le pantofole di peluche. - Chiedere il bicarbonato perché non si è digerito. - Una cucina con luce al neon da ospedale. - La tovaglia presa con i punti del supermercato. - Parlare di soldi. - Parlare di parenti, bene o male. - Invitarla/o a casa per il dopocena e trovare la mamma che guarda la tv con i bigodini in testa. - Addormentarsi dopo l'amore come un bradipo narcotizzato. Per chi volesse approfondire c'è sempre il piccante e dettagliato Le savoir-vivre efficace et moderne, scritto da una redattrice di Elle, Sophie Fontanel, considerato il vademecum metropolitano più anticonvenzionale. L'autrice, per esempio, è severa con i maschi che non rispettano la sequenza di svestizione: cravatta, scarpe, camicia, calzini, pantaloni e mutande. Sono d'accordo, credo che solo Sean Connery, Dennis Quaid e un paio di altri possano evitare il rischio di sembrare ridicoli nudi, con i pedalini. E ancora, quando si è travolti dalla passione è inammissibile piegare tutto con cura sulla sedia: i vestiti si buttano a terra e lì restano sino alla fine dell'incontro. La posizione privilegiata di commensale per professione fa sì che la tavola mi regali una buona quantità di confidenze, intimità che raccolgo scrupolosamente, essendo consapevole che è prezioso humus per i miei libri: ecco alcune riflessioni e dettagli, che poi dettagli non sono. Soprattutto le donne, ma non solo, mi confidano che incontri potenzialmente riusciti diventano meno esaltanti a causa della scarsa pulizia. Bando anche ai dopobarba scadenti, e a barbe pungenti di due giorni. In effetti, la pulizia è un'altra nota dolente. Diventa un problema quando è troppa o troppo poca. Esiste una via di mezzo tra la ragioniera igienista e Napoleone che chiedeva alle sue amanti di non lavarsi per una settimana. Attenzione anche a dire «amore» troppo presto. Se sentirselo dire è scatenante per alcuni, su altri può avere un effetto antiseduttivo. Samantha in Sex and the City insegna: «Puoi dire a un uomo ti odio e farci sesso in modo grandioso. Prova a dirgli ti amo e non lo vedrai più». Vietato dopo aver fatto l'amore correre in bagno invece che restare abbracciati. In caso di défaillance maschile è assolutamente sconsigliato tempestare di domande il malcapitato. «Non ti piaccio? È stata colpa mia?» Meglio puntare sull'affettuosa comprensione. La cosa più anafrodisiaca in assoluto è in questi casi (ma quasi in tutti i campi) il ricorso al sarcasmo: non lo/la rivedrete mai più. E per ultimo, ma fondamentale: non fingete piaceri che non provate. Se lo fate una volta, sarete condannate a recitare per sempre. Ricordate la Teoria del Precedente. Ecco le espressioni e le frasi da non dire a letto nel caso il dopocena vada a buon fine. - Ti è piaciuto? - Ti ho già detto della videocamera? - Oggi la chirurgia fa miracoli. - Mi puoi passare il telecomando? - Ripensandoci... forse è meglio spegnere la luce... - Spero che tu sia così carina anche domani, quando mi sarà passata la sbronza. - Pensavo che le avessi tu, le chiavi delle manette... - Voglio un bambino! - Non credi che il soffitto giallo starebbe meglio? - Quando dovrei cominciare a provare piacere? - Sei così brava che potresti farlo come lavoro. - Sicuro che non ti ho già vista da qualche parte? - Spero che questo rumore venga dal letto ad acqua. - Te l'ho detto che non avrebbe funzionato senza batterie. - Ti ho detto che mia nonna è morta proprio su questo letto? - Se tu smettessi di fumare, probabilmente potresti resistere di più. - No... davvero... è meglio se da qui in poi faccio da sola. - Ehi... sei bravo quasi come il mio ex. - Sembri più giovane a vederti che a toccarti. - Non preoccuparti, andrà meglio la prossima volta. - Forse sei solo fuori allenamento. - Ora so perché lei ti ha mollato. - Hai mai considerato l'ipotesi di una liposuzione? - E pensare che non ho neanche dovuto invitarti a cena. - Che hai intenzione di fare per colazione? - Ho una confessione da farti... - Mi sentivo così eccitato che mi sarei portato a casa persino tua nonna. - Sono vere o le hai rifatte? - Non è che per caso hai avuto un'infanzia difficile? - Ti ho già detto del mio piccolo intervento di cambio di sesso? - Mi sa che prima devo farmi un'altra birra. - Quando preferisci incontrare i miei genitori? - Non ci fare caso... mi limo sempre le unghie a letto... - Ti spiace se faccio qualche telefonata? - Ti dà fastidio il mio cucciolino? (riferito a un doberman di settanta chili) - Vuoi dire che tu non sei il mio appuntamento al buio? - Ti dispiacerebbe indossare questa targhetta? È imbarazzante dimenticare i nomi...

Pagina 122

Dopo aver letto questo libro sino a qui dovreste aver assimilato il tema: a tavola emerge la vera natura di ciascuno di noi. Prima di proseguire è bene rielaborare questo assunto per poi passare al secondo: il corpo non mente mai. Ora unite il primo al secondo, e avrete il tema dello Psicogalateo: dimostrare come il comportamento a tavola e il linguaggio del corpo possano diventare una straordinaria opportunità di conoscenza dell'altro. Nella storia dell'uomo la comunicazione orale è considerata piuttosto recente ed è arrivata dopo il linguaggio dei gesti. Ormai è dimostrato che il 55 per cento di un messaggio è inviato non attraverso la parola ma con il corpo, accanto a un 38 per cento vocale, cioè con il tono e le inflessioni; il primo a dirlo fu Albert Mehrabian negli anni Cinquanta. Ho cercato di dimostrare come la tavola e la convivialità rappresentino una situazione privilegiata di osservazione. Se a questo aggiungiamo qualche elemento di interpretazione del corpo avremo uno strumento di comprensione abbastanza preciso. Anche quando restiamo in silenzio, il nostro corpo rivela quello che pensiamo o proviamo davvero, indipendentemente da quello che affermiamo. Ecco il punto: indipendentemente da quello che affermiamo. Ogni parte del nostro corpo «parla»: pensate che persino la direzione dei piedi o il colorito del collo possono tradire pensieri. In questo caso rimarrete stupiti dalla quantità di informazioni che è possibile raccogliere solo osservando volto, mani e piedi. A tale scopo basterà allontanarsi dal tavolo o far cadere sbadatamente un oggetto personale per perlustrare il mondo sommerso del sottotavola. Una delle prime domande che si sono posti gli studiosi è se esiste una comunicazione non verbale comune a tutti. Pare di sì: è detta analogica. Un gesto come passarsi la lingua sulle labbra è dappertutto un segno di gradimento; sfregarsi il naso, invece, esprime fastidio e imbarazzo dovunque. Anche le espressioni facciali che segnalano paura, gioia, tristezza sembra abbiano una base biologica e non siano frutto di apprendimento. L'esempio più interessante è il gesto che accompagna il no, comune a molte culture. Scuotere la testa sembra abbia origine dal gesto di rifiuto del latte al seno materno del bambino quando è sazio. Anche per quanto riguarda il galateo a tavola non dobbiamo, noi italiani, peccare di presunzione. La più grande lezione di antiprovincialismo me la diede l'ambasciatrice del Brasile, maestra di cerimoniale, quando risiedeva a Milano. Alla mia domanda su quali fossero i peggiori commensali al mondo mi rispose: «Molte regole sono culturali. Basti pensare che nel mondo arabo per esprimere il proprio gradimento a fine pasto si emette un suono roboante che noi italiani consideriamo altamente sconveniente. Ma altre di buona educazione valgono ovunque». Così come a Malta è meglio evitare di unire pollice e indice nel segno dell'OK: significa «sei omosessuale», il che non è affatto un insulto, ma alcuni potrebbero non gradire. Sembra che molti studiosi siano arrivati a questa conclusione: le differenze ambientali e culturali esistono, ma la maggior parte dei segnali corporei sono presenti in tutti gli esseri umani.

Pagina 130

A che cosa serve questo libro? 7 1. Mi passi lo stuzzicadenti? 9 2. Dimmi come mangi e ti dirò chi sei 13 3. Il Galateo e Monsignor Della Casa. Le regole sempreverdi di comportamento 21 4. Invitare ed essere invitati 29 A casa. L'invito: carta, telefono o e-mail? Cosa porto? 29 Presentazione e distribuzione dei posti: dove mi siedo? 40 Finalmente seduti: quale forchetta uso? 49 L'arte di servire 62 De bibenda: posso fare cin cin? 70 L'invitato modello 83 La buona conversazione 89 Bambini, animali e altre amenità 99 5. Dalle 20 alle 24. Poche ore insieme a tavola per capire tutto (o quasi) di lui/lei 105 Le cose che non sopportiamo di lui/lei a tavola 119 Breve bon ton del dopocena 123 6. Il linguaggio del corpo a tavola. Come leggere i gesti dei commensali a proprio esclusivo vantaggio 131 Il corpo è la forma visibile dell'anima 133 Riconoscere bugie e segnali di seduzione 136 7. Giro del mondo in nove tavole 151 ABC dello Psicogalateo. Per sapere sempre, velocemente come comportarsi 161 Bibliografia 199

Pagina 200

Se dovete rinunciare a un invito all'ultimo minuto, scrivete un biglietto di scuse e fatelo recapitare alla padrona di casa dal fiorista insieme a un piccolo bouquet (una pianta nel caso di un uomo). Assolutamente consigliato anche nel caso si tratti di una donna che avete invitato a cena.

Pagina 31

. - Non chiedete a chi vi invita per telefono: «Chi c'è?» - Gli inviti si ricambiano entro due mesi al massimo. - Non si continua a promettere un invito senza mantenere l'impegno.

Pagina 31

- Non la invita a cena alle sei di sera: troppo tardi. - Va a prendere la donna, o le donne, o almeno si offre di farlo. - Chiede alla donna se ha un ristorante preferito. - Tendenzialmente paga il conto.

Pagina 34

Vediamo se vi riconoscete; l'identikit serve più che altro a obbligarci a un esame di coscienza, tanto per capire quanto riusciamo a essere insopportabili. Ho giocato sul duplice significato del termine ospite, che indica sia l'anfitrione sia chi è invitato. L'ospite ansioso e ansiogeno. Già dal momento in cui apre la porta vi mette ansia: spesso è scarmigliato/a e sconvolto/a dalla fatica e, nel peggiore dei casi, potrebbe cominciare subito a raccontarvi la sua giornata frenetica. Si scusa per il disordine, per il pane che non è fresco, per i bicchieri del servizio che non sono otto, per l'arrosto senza rosmarino, per il vino che sa di tappo, per il disordine... A tavola ha bisogno continuamente di conferme: è buono? È salato? È insipido? È troppo crudo o forse è un po' troppo cotto? Altre frasi che potrebbe pronunciare: in questa stanza fa troppo caldo/freddo; abbasso/alzo il riscaldamento/l'aria condizionata; apro la finestra. Vuole essere rassicurato, sempre e comunque, quindi fatelo spesso prima, durante e dopo i pasti. Anche l'invitato, se appartiene a questa categoria, arriva trafelato, oppure entra timidamente e non osa consegnarvi la bottiglia o il libro che vi ha portato in regalo. «Ma sicuramente lo hai già letto, se vuoi si può cambiare». Poi si fa prendere dall'ansia perché dice di non conoscere nessuno, ma volendo fare conversazione entra continuamente in cucina a chiedervi consigli e ragguagli sugli altri ospiti ingarbugliando i tempi di cottura del vostro soufflé. L'anfitrione negativo con tendenze paranoiche. Riesce a fare fiasco in ogni iniziativa o meglio, vittima del «pensiero negativo», fa inconsciamente in modo di fallire. A volte è convinto di avere poteri speciali, come intuire gli eventi prima che avvengano, o di leggere i pensieri degli altri. Crede di poter esercitare un controllo magico sugli esseri umani. Fondamentalmente è negativo e disorganizzato. Non è come l'ansioso, il quale teme che la serata vada storta: l'anfitrione negativo la fa andare storta davvero. È superstizioso, salta sul tavolo se cade il sale e inizia a recitare mantra contro la sventura. Non è escluso che a metà del polpettone inizi a raccontarvi dettagli angoscianti della propria vita sentimental-sessuale- bancaria. Attenzione: potrebbe essere tutto falso, è troppo diffidente per aprirsi veramente agli altri. Alterna intervalli di completo mutismo a momenti di logorrea, in genere dopo un bicchiere di Brunello. Può cambiare completamente umore, anche più volte in una serata. L'invitato con leggera tendenza paranoica sospetta che gli altri invitati, se si appartano o abbassano la voce, parlino di lui ed è circospetto anche nei confronti del cibo. La coppia scoppiata. Non c'è nulla di peggio che capitare a cena una sera in cui i padroni di casa hanno litigato o sono in crisi o stanno per separarsi e, nonostante questo, si ostinano a organizzare cene e inviti. Oppure decidono di uscire lo stesso in coppia. Lo fanno o come estremo tentativo per salvare il matrimonio, o perché hanno bisogno di un pubblico. Davvero imbarazzante. Ciascuno dei due ha un solo obiettivo per tutta la cena: ricoprire di frecciatine malefiche il partner approfittando della presenza di estranei per rinfacciare tutto il rinfacciabile. Una volta, alla fine della serata, l'uscita del marito «Potresti alzare quel sederone cellulitico e andare a prendere una bottiglia di vino, per cortesia, visto che non hai fatto un cavolo per tutta la sera?» ha fatto capire a noi ospiti che forse era meglio togliere il disturbo. La maggior parte delle volte i rimproveri lasciano completamente indifferente il diretto interessato, ma mettono in seria difficoltà gli ospiti. I peggiori sono quelli che vi obbligano a prendere posizione. Davanti a un «Diglielo tu, se non ho ragione?» oppure un «Secondo te? Avanti, di' quello che pensi!» è meglio svignarsela. In questi casi l'unica cosa saggia è rispondere con un diplomatico: «Scusate, ma si è fatto tardi» e battere in ritirata. La coppia pomiciona. A pensarci bene, non so se sia più intollerabile la coppia scoppiata o la coppia pomiciona. Li riconoscete quasi subito, perché arrivano tenendosi per mano. Badate, descrivendovi questa tipologia di coppia non sto affatto pensando a due studenti, o a una coppia fresca di luna di miele, no, i fidanzatini in questione possono essere anche due settantenni che si sono appena conosciuti, anzi è proprio a loro che mi sono ispirata, avendone incontrato recentemente un paio di esemplari. Sembrano isolati dal mondo, a tavola vi passano il sale continuando a fissarsi negli occhi, si estraniano dalle conversazioni, si tengono per mano sotto il tavolo, ma senza particolare passione. Si chiamano tra di loro con nomignoli nauseabondi e, se intervengono attivamente alla serata, parlano continuamente di come si sono innamorati, della loro canzone preferita e dei loro progetti futuri. Una variante della coppia pomiciona è la coppia in attesa; in questo caso, l'argomento principale sarà ovviamente il nascituro e il corso di preparazione al parto, l'ultima ecografia oppure le sopraggiunte intolleranze alimentari di lei. La coppia in odore di santità. Sia in veste di ospite sia di anfitrione la coppia in odore di santità, appena seduta a tavola, dedica qualche minuto di preghiera a ringraziare il Signore, poi la cena prenderà l'avvio sul tono pacato, tranquillo e fintamente pacifico dei padroni di casa. Gli argomenti di conversazione saranno opportunamente selezionati, nulla che possa turbare le coscienze. Ecco, la persona più vicina a questa tipologia, anzi il personaggio perfetto per farvi capire a chi sto pensando, è Ned Flanders, il vicino devoto di Homer Simpson, quello che lui definisce «più santo di Gesù». Ovviamente non si fanno inviti il venerdì e, se capita, niente carne per rispettare il giorno di magro mentre, la domenica, l'invito a pranzo potrebbe comprendere anche la partecipazione alla Santa Messa. I figli della coppia in questione si alzano a sparecchiare, poi vanno a letto da soli: dei veri mostri. L'anfitrione ipermaterno. Il padrone di casa ipermaterno o iperpaterno inizia ad accudirvi non appena entrate in casa assillandovi di domande e ha un unico scopo per tutta la sera: occuparsi di voi rimpinzandovi di cibo. «Non ti piace la carne di agnello? Oh, ma non ti preoccupare, ho in freezer una bistecca di manzo, oppure un branzino o preferisci un pezzo di gallina?» Dopo cena vi fa sedere sul divano, vi mette addosso una copertina e vi toglie le scarpe, e guai a voi se osate protestare. La sua preoccupazione principale è che ve ne andiate da casa sua senza sentirvi sazi e così vi ingozza di cibo, di oggetti, di parole e possibilmente anche di qualche «schiscetta» per il viaggio, nel caso abbiate ancora un languorino. Si preoccupa per la vostra salute fisica e morale e in genere utilizza, in pieno stile materno, il ricatto come modalità relazionale: «Se non torni entro una settimana, potrebbe venirmi quell'eritema di origine psicosomatica», «Se non finisci le lasagne le getterò tutte nella spazzatura: è davvero un peccato». E, prima di congedarvi, un «Trovati un/una fidanzato/a, è ora che tu metta la testa a posto» non ve lo toglie nessuno. L'ospite oculato, ossia taccagno. Se siete riusciti a farvi invitare da un autentico taccagno siete bravissimi. Lui non ha mai con sé il portafogli, come un mio amico di Torino, gira sempre con una banconota da cento euro in tasca evitando così le piccole spese come offrire aperitivi, caffè o pagare il taxi. Al ristorante vuole sempre fare alla romana, segnandosi le sue portate. Se viene invitato difficilmente porta qualcosa, ma se lo fa probabilmente è un regalo riciclato: occhio alla scadenza. Però dopo il vostro ennesimo invito decide di ricambiare: state pronti. Non c'è nulla che non va, se non nelle porzioni e nella qualità degli ingredienti: porzioni ridotte e ingredienti scadenti. Ma quello che denuncia irrevocabilmente l'anfitrione tirchio è la scelta del vino: se volete bere decentemente conviene che ve lo portiate da casa.

Pagina 35

Dopo aver letto queste pagine forse guarderete con più attenzione anche alla scelta che ciascun ospite farà istintivamente al momento di sedersi a tavola. Per esempio, avete mai visto un ospite timido e riservato dirigersi senza indugio al simbolico capotavola? Difficile, e questo perché il posto che un individuo sceglie in fondo rispecchia un po' come si sente nella vita. Le rare volte che in carcere si tengono pranzi a celle aperte, in lunghe tavolate nei corridoi, ciascun detenuto sa che sbagliare sedia, quindi non rispettare le gerarchie, può costare una dura punizione. Ancora una volta la regia è del padrone di casa. Nel Medioevo, durante i convivi, lo status sociale di una famiglia veniva indicato dalla vicinanza al feudatario. Si racconta che all'inizio del XVIII secolo, per accedere alla tavola di Luigi XIV, ci fosse qualcuno disposto a versare una fortuna. In molti paesi del bacino del Mediterraneo, tra cui l'Italia, la disparità dei sessi è testimoniata anche dal fatto che, in passato, il posto a tavola della donna non era neppure contemplato: serviva il marito e i figli e mangiava dopo, da sola, rassettando la cucina. Fino al secondo dopoguerra (ma ancora oggi), in qualunque classe sociale, nessun ragazzo si sarebbe sognato di sedersi al posto del capofamiglia. In Francia, racconta l'amica Véronique, nelle famiglie borghesi fuori Parigi è costume che la donna, dopo aver cucinato, si sieda e non si alzi più. A servire il pasto e a riordinare pensano i figli. Mai vista una simile abitudine in Italia, dove ancora è raro vedere un figlio maschio alzarsi da tavola o sparecchiare. Mamme, pensate a quale ruolo fondamentale rivestiamo nel gettare le basi del rispetto di ruoli ancora ritenuti esclusivamente femminili. Se riflettete qualche secondo sugli incontri più significativi della vostra vita, vi accorgerete che molti sono nati, o si sono sviluppati, per una vicinanza conviviale voluta dal destino. Avete mai pensato a come sarebbe stata diversa la vostra vita se in quella cena, in quel pranzo di nozze, in quella festa di compleanno vi foste seduti altrove? Fare più attenzione alla disposizione dei posti significa avere più chance di passare una bella serata. Pensarci prima non solo solleva dall'imbarazzo gli ospiti, ma ci consente di gestire meglio la serata, permettendo a chi conosce le regole del galateo di giudicarvi una buona padrona di casa. Le regole non sono moltissime ed è inutile confondersi le idee con mille eccezioni e varianti: cominciate a ricordare le prime due. I posti migliori sono ai due lati della tavola e sono destinati ai padroni di casa. Nelle tavole rotonde i due anfitrioni siedono l'uno di fronte all'altro. Le persone più importanti o più anziane siedono alla destra dei padroni di casa. Il problema, a questo punto, sta solo nello stabilire chi è più importante. Ovviamente ci rimettiamo alla sensibilità di chi invita, ma sia chiaro che gli ospiti più importanti sono quelli più influenti. A parità di posizione sociale conta l'età. Come abbiamo detto, i padroni di casa siedono ciascuno a capotavola; quindi a destra dell'uomo si siede la donna più importante e a destra della donna si siede l'uomo più importante. Alla sinistra dell'uomo siede la donna che segue per importanza quella seduta a destra, e alla sinistra della donna l'uomo che segue per importanza quello che siede a destra. Si prosegue così rispettando l'ordine d'importanza e l'alternanza dei sessi. Qui sorge la questione delle coppie: vanno divise? Certo che sì. Sia per favorire la buona conversazione, sia per spezzare le dinamiche familiari che rischiano di rovinare l'atmosfera. Marito e moglie vicini sono spesso deleteri per la serata. Il nostro amico galateo dice che le uniche coppie che non vanno divise sono i fidanzatini. A una cena di compleanno ho avuto la sfortuna di trovarmi seduta di fronte a due coniugi in via di separazione e ho rischiato di prendere un calcio negli stinchi. A volte separare le coppie può essere pericoloso. Ricordo più di un episodio a conferma. Il più recente è ambientato sulla terrazza di un ristorante dove un invitato aveva insistito per mettere la bella moglie lontana da sé facendola sedere accanto al protagonista di una fiction televisiva per movimentare un po' la serata. È finita con una scenata di gelosia. Insomma, seguite la regola, ma con un po' di elasticità. L'unica cosa da evitare sono quelle terribili tavolate con uomini da una parte e donne dall'altra. Ma del tema conversazione parleremo in un capitolo dedicato. Bisogna però aggiungere che la disposizione dei posti e la conversazione sono strettamente connessi. Se devo invitare due persone che presumo incompatibili, eviterò di farle mangiare a strettissimo contatto. Mai mettere vicini due timidi, così come due egocentrici. Un aspetto importante, strettamente legato alla disposizione dei posti e alla conversazione, riguarda le presentazioni. Non c'è cosa peggiore che sedersi a tavola senza sapere nulla dei nostri commensali.

Pagina 39

Tornando ai consigli per la disposizione a tavola, single che invitano faranno sedere all'altro capo della tavola l'ospite più importante e del sesso opposto. Tutto però dipende dal numero di commensali. A volte non si riesce a rispettare la regola «uomo/donna», allora, come sempre, vale il consiglio: siate elastici. Tra le cose spiacevoli che accadono nelle lunghe tavolate c'è la delusione che si prova quando si ha la sensazione di essersi seduto dalla parte sbagliata dal tavolo: risate e battute di spirito sembrano provenire da un altro mondo, lontanissimo; noi siamo lì silenziosi dopo aver esaurito tutte le idee per una possibile conversazione con il nostro vicino, ex generale dell'esercito. Ebbene, ecco un altro caso in cui la padrona di casa ha il compito arduo di manovrare la conversazione in modo che nessuno si senta escluso. Basterebbe non trasgredire a questa semplice, ma spesso dimenticata norma. Mi è capitato spesso di vedere giovani e baldanzosi adolescenti precipitarsi a tavola lasciando ai nonni o, peggio ancora, agli ospiti, i posti più scomodi. Altra cosa che accade spesso è vedere tutti i giovani da una parte e tutti i «grandi» dall'altro lato del tavolo. È da evitare assolutamente, se il pranzo è formale, ed è sconsigliato anche tra amici. Mescolare un po' le carte non può che far bene alla serata. Sì ai segnaposti, ma solo se il tavolo è abbastanza ampio; la padrona di casa dovrebbe comunque invitare e indicare a voce il posto a tutti i commensali spostandosi di volta in volta dietro la sedia di ciascuno. Accade che, per il piacere di invitare tutti, si obblighino le persone a stare strettissime a tavola: cercate di evitarlo, a meno che non siate in grande confidenza, non tutti amano stringersi e mangiare «vicini vicini». Il numero massimo consigliato è di otto commensali, che è considerato il numero limite per seguire la conversazione e per reggere qualsiasi menu. Vi sfido a scolare più di otto porzioni di tagliolini perfettamente al dente e a servirli caldi. Studiare con attenzione le portate in base al numero degli ospiti vi eviterà molti problemi.

Pagina 44

Parlare di posti a tavola significa ovviamente parlare anche di spazio vitale: vedremo nella lettura del linguaggio del corpo quanto sia importante rispettare gli spazi. Qui accenniamo solo al fatto che ogni persona dovrebbe avere circa sessanta centimetri a disposizione per mangiare in maniera rilassata. Più lo spazio diminuisce, più ci si sente a disagio. Parliamo di spazi e territori e riprendiamo il già citato Desmond Morris. Avete mai notato che, quando ci si avvia verso il proprio posto al ristorante, per istinto si tende a sedersi con le spalle al muro? Prima di spiegare a cosa sia dovuto questo comportamento, diciamo subito che quelli sono i posti migliori, nonché i posti destinati (in caso si sia in due) alle signore. Da quella posizione si può vedere e quindi dominare tutto il locale. Ci conferma Morris che anche questo istinto, come quasi tutti i codici del corpo, risale all'uomo primitivo, il quale doveva necessariamente controllare l'ingresso della caverna e tenere le spalle al muro per potersi difendere da eventuali attacchi dall'esterno. Pensate al nostro omino delle caverne che ha catturato una preda ed è terrorizzato dall'idea che qualcuno si avvicini troppo a lui mentre mangia e che gli porti via il cibo. È quindi comprensibile che chiunque, per un comportamento impresso nel nostro DNA, vorrà istintivamente avere le spalle al muro. Bene, tenete presente che la tavola a questo punto diventa la nostra patria, la nostra casa, il nostro giardino, la nostra casa, la nostra «roba». E siamo disposti a difenderla con i denti! C'è poi una regola, che conosciamo proprio tutti, anche se non sempre la rispettiamo: la regola dei gomiti. Non ho mai scoperto se i racconti di cene con i libri sotto le ascelle per imparare a mangiare correttamente siano leggende metropolitane o meno (ma non credo), ma tutti sappiamo che è sbagliato invadere lo spazio altrui mentre mangia.

Pagina 46

Finalmente a tavola. Sia che siate a cena dal vostro capo, che siate capitati lì per caso e vi rendiate conto con piacere che avete un/una vicino/a di tavola niente male. Sia che non conosciate assolutamente nessuno, che un'amica vi abbia trascinato a una cena di beneficenza e, alla fine, vi ritroviate soli a un tavolo fitto di sguardi diffidenti e altezzosi. Insomma, può capitare un invito molto formale, e la prima domanda che vi assale è: «E adesso quale posata uso?» Ecco, avevo deciso di iniziare così questo capitolo. Poi, proprio mentre lo stavo scrivendo, mi sono resa conto improvvisamente, come per un'illuminazione, che no, non è affatto vero. Cioè, la drammatica realtà è che pochissimi vengono assaliti da tale dubbio. Al contrario, quasi tutti gli italiani non si pongono neppure la questione, la maggior parte inizia a mangiare, semplicemente. Molti «copiano» come si comporta uno dei padroni di casa, e questo è un buon trucco, ma è utile fare un rapido ripasso. Sarà la padrona (o il padrone) di casa a dare inizio al pranzo con un semplice «Prego». Se qualcuno esordirà con un «buon appetito» si ricambierà l'augurio con un sorriso, senza fare alcun commento. Esistono alcuni commensali che sanno perfettamente che le posate si iniziano a usare dall'esterno all'interno (questa è la regola); ma, a volte, costoro credono di avere esaurito i loro obblighi di comportamento sociale a tavola con tale semplice norma. Ebbene, non basta. Come avevo anticipato all'inizio di questo libro, ma è utile ribadirlo, il comportamento a tavola sottintende alcune regole imprescindibili e altre che, se non vengono applicate, non compromettono il nostro rapporto con il prossimo ledendo la sua libertà. Vedere un ospite che si gratta il capo forforoso mentre mi accingo a addentare la mia costoletta di agnello è una cosa che trovo francamente insopportabile; ma rendersi conto che il vicino di sedia lotta inutilmente con una chela di gambero fa solo sorridere di solidarietà. Infine, bisogna dire che anche nei posti più chic le tavole oggi tendono a essere più lineari e minimaliste di un tempo. Le posate vengono cambiate man mano che vengono usate. Le posatine da dessert non si mettono più in alto, orizzontalmente sulla tovaglia. La tendenza è: poche stoviglie e poco vasellame, anche preziosi, ma funzionali.

Pagina 48

La racconta anche Brunella Gasperini nel suo libro di culto sul galateo del 1975: il padre da piccola la faceva mangiare con due volumi sotto le ascelle, a indicare l'obbligo di un commensale di non invadere lo spazio altrui. Biologo e zoologo di fama mondiale, Desmond Morris (il suo La scimmia nuda, negli anni Sessanta, fu uno dei grandi successi editoriali scientifici nel mondo), con le sue opere ha contribuito a considerare il corpo umano una grande tavola sulla quale si manifestano certi segni. Morris è stato uno dei primi a occuparsi di spazio. Lo studio spazio-temporale del corpo è una disciplina che si chiama prossemica e regola i rapporti personali, l'arredamento, le adeguate dimensioni delle celle di un carcere (spessa non rispettate), la disposizione di tavoli e scrivanie all'interno degli uffici, nelle scuole e nelle corsie d'ospedale, nei musei e nelle gallerie, e in tutti i progetti architettonici. A noi interessa lo sviluppo del concetto di spazio per capire perché da sempre, prima ancora dell'invenzione della forchetta, una delle poche regole non scritte del galateo a tavola dice di rispettare lo spazio degli altri commensali. La regola è: a tavola stai al tuo posto. Sottotesto: se con il tuo corpo infrangi la mia «bolla» spaziale io mi infastidisco perché mi sento minacciato e ti riporto nel tuo territorio. Sempre Desmond Morris dice (L'uomo e i suoi gesti, 1982): «Il territorio è uno spazio difeso». La questione del territorio è fondamentale, perché ha che vedere con lo scatenarsi delle guerre; la regolazione del territorio geografico è uno dei fondamenti della società civile. Procedendo dall'universale al particolare, simbolicamente i confini di un paese corrispondono a quelli del nostro giardino, della nostra camera, del nostro letto, della nostra tavola e quindi - e qui arriva il punto - della nostra postazione a tavola. Edward Hall, antropologo statunitense, fu uno dei primi a occuparsi di prossemica, ma ormai tutti gli studi confermano che 46 sono i centimetri che segnano il limite tra zona intima (da 15 a 46 centimetri) e personale (da 46 a 122 centimetri). La prima è accessibile solo a una persona molto vicina anche emozionalmente. È per questo che guardare una coppia a tavola da lontano permette a un buon osservatore di capire la natura del loro rapporto. Una volta imparato a leggere il linguaggio del corpo sarà difficile che qualcuno riesca a ingannarvi dicendovi: «Siamo usciti a cena, ma siamo solo amici». Ecco perché mangiare insieme si può considerare un gesto intimo, perché si entra automaticamente in un territorio più personale. Sapere come siano importanti gli spazi può aiutare a capire e far capire al vostro commensale che volete entrare in una sfera intima o piuttosto rimanere in una sfera sociale. Come illustra Morris, osservando un campione significativo di soggetti risulta che un uomo in attesa in una sala d'aspetto dove è seduta già una persona non andrà a sedersi accanto a lui, ma esattamente a metà delle sedie vuote, e man mano che entreranno altre persone anche loro si siederanno riducendo lo spazio rimasto, sino al momento in cui l'ultimo arrivato dovrà necessariamente sedersi accanto a un altro. Se stiamo troppo vicini ci manca lo spazio vitale, se stiamo troppo lontani ci sentiamo respinti. La stessa cosa accade al ristorante. Si sceglie un tavolo lontano da quelli occupati e, al nostro tavolo, ci si siede lasciando almeno un posto di distanza da chi è già seduto (a meno che non sia in rapporti di intimità o parentali). Entrare in ascensore, in metropolitana o in una piazza affollata, infatti, mette tutti a disagio, perché obbliga le persone a contaminare anche lo spazio intimo; la reazione di difesa è di trasformare gli altri in «non persone». Istintivamente tendiamo a non guardare il volto, volgiamo lo sguardo in alto o a terra, limitando ogni movimento. Lo spazio sociale (da 122 a 360 centimetri) è quello che rappresenta la distanza di sicurezza che teniamo con gli estranei, mentre la zona cosiddetta «pubblica» va dai 360 centimetri. Queste nozioni sono molto utili nella vita, ma ancora più utili in situazioni conviviali dove emergono prepotentemente i comportamenti istintivi più ancestrali. Non dimentichiamo che il primo impulso naturale è quello di sopravvivenza. Derivano direttamente dall'istinto di sopravvivenza il bisogno di nutrirsi e quello di riprodursi. Ecco perché si tende a collegare il comportamento alimentare delle persone con quello sessuale. Perché è evidente, anche a chi non ha nozioni psicologiche, come queste due sfere siano correlate: la prima esperienza di piacere dell'essere umano è legata alla suzione. Il binomio cibo/piacere rimarrà indissolubile e i due ambiti si possono leggere parallelamente. Addirittura il bacio, un gesto tra i più intimi, sembra abbia avuto origine dal costume, comune alle donne di molte tribù, di sminuzzare il cibo per poi passarlo direttamente nella bocca del neonato durante lo svezzamento. Ancora più interessante è pensare che gli uomini hanno cominciato a mangiare insieme in seguito al fatto di cacciare in gruppo. È stata una scelta obbligata, se volevano catturare prede più grandi in grado di nutrire adeguatamente la tribù. Dopo la caccia è stato un processo naturale dividere la preda tra i membri di piccole comunità. Se non comprendiamo a fondo quanto siano ancora vivi alcuni modi di fare istintivi e primitivi non riusciremo a capire molte reazioni e abitudini. Insomma, quando apparecchiate o siete al ristorante pensate sempre che il coperto, cioè l'insieme delle stoviglie (posate, piatti, bicchieri), ha la funzione fondamentale di delimitare il vostro territorio, quindi non varcate i confini a meno che non abbiate intenzioni ben precise.

Pagina 55

Una sera, a una cena in onore di un avvocato che compiva gli anni, era impossibile non notare che il cameriere si ostinava a ignorarlo continuando a servirlo per ultimo. Alla fine scoprimmo che il cameriere era imparentato con la prima moglie dell'avvocato e dimostrava inconsciamente il suo disappunto per il disastroso divorzio della cugina. Solo un esempio per mostrare che, se non si conoscono le regole di galateo, tendiamo a servire prima le persone che teniamo in maggior considerazione. E non è così ovvio: alcuni esperimenti hanno evidenziato che, se si distrae la padrona di casa con un argomento interessante al momento di servire gli ospiti, pur essendo informata sulle regole del bon ton, servirà il marito e poi il figlio maschio trascurando ogni regola. Così come, involontariamente, durante una conversazione il nostro sguardo è rivolto sempre verso chi teniamo in maggior considerazione. Immaginate ora una cena a due: lei vi ha invitato e ha cucinato per voi. Cosa pensereste se la vostra amica ogni volta che porta in tavola una portata si servisse per prima? Che messaggio credete che nasconda questo gesto? La regola generale è che l'ordine in cui vengono serviti i commensali dovrebbe rispettare la gerarchia della disposizione a tavola, ma comunque si parte sempre dalle donne e precisamente: - Dalla donna che siede alla destra del padrone di casa. - Quella a sinistra del padrone di casa. - La signora seduta vicino all'invitato che si trova a destra della padrona di casa eccetera. Poi è la volta degli uomini, e cioè dall'invitato che siede a destra della padrona di casa, poi a sinistra eccetera. In caso gli invitati vi chiedano il bis non si segue più nessun ordine, ma si serve chi lo chiede. I manuali di cerimoniale segnalano questo ordine: - Persone festeggiate. - Ospiti di riguardo. - Membri del clero. - Donne. - Persone autorevoli. - Persone anziane. - Organizzatori. Tenete conto che al primo posto dell'elenco compaiono spesso i bambini; io a riguardo sono piuttosto severa e ne parlerò in un paragrafo a parte. Riassumo così il mio pensiero: i bambini (sino a dodici anni) mangiano prima o dopo. Per il bene loro e degli altri ospiti.

Pagina 67

La mia posizione nei confronti dei pargoletti a tavola si può tendenzialmente sintetizzare ,con un: «Bambini a tavola? No, grazie». Già immagino lo sguardo sprezzante e indignato dei lettori perbenisti che vedono accomunare nel titolo di questo paragrafo i minori agli animali. In realtà, a pensarci bene, non hanno poi molto in comune. Mi capita più spesso di vedere scodinzolare sotto i tavoli, con gran pena dei camerieri, maleducati mocciosi piuttosto che cuccioli di cane. E non solo. In caso di intemperanza delle due categorie in questione, animali e bambini, i padroni dei primi in pubblico sono molto più severi di certi genitori, la cui frase anche davanti a comportamenti inaccettabili è: «Ma insomma, sono bambini!» In breve, molto spesso i più educati sono i cani e i loro padroni (in questo ordine). Detto questo, gli animali nei luoghi pubblici al chiuso non dovrebbero entrare, questione di igiene e di buona educazione. Questo non significa che dovete lasciarli chiusi in macchina a boccheggiare. Un San Bernardo accovacciato sotto un tavolino della misura standard a Milano (l'inverno è pura follia, mentre un brunch in uno spazioso dehors di Parigi a maggio con il proprio barboncino è un incanto. Impensabile presentarsi con il proprio cane a cena da amici senza averli avvisati e tanto meno organizzare un pranzo e lasciare gli animali liberi per casa. Pesi, misure, buonsenso; ricorriamo ai soliti buoni consiglieri. La posizione è molto chiara: obbligare bambini (sotto i dodici anni) a cene e pranzi formali mi sembra una piccola crudeltà e una mancanza di rispetto, prima nei loro confronti e poi nei confronti degli altri commensali. E non mi riferisco, naturalmente, a quelle belle adunate familiari che riuniscono allo stesso tavolo più generazioni, ma agli inviti tra amici adulti, che magari iniziano a cenare alle 21.30 e obbligano la compagnia a adeguare cibi e discorsi alla presenza di minori. I padroni di casa si organizzeranno in maniera che i più piccoli possano mangiare prima o, ancora meglio, in un tavolo a parte. Con un po' di diplomazia bisogna far passare il messaggio che mangiare da soli non è un una ghettizzazione, ma un privilegio. Ovviamente ci sono le eccezioni. Bambini perfetti, composti e educati ne esistono, ma qui ci riferiamo alla maggioranza, che tra parentesi mi è più simpatica. Insopportabili, a dire il vero, sono i bambini già incivili a dieci anni: i ristoranti ne sono pieni. Ragazzini arroganti che ti urtano quando passano, si sbrodolano, trangugiano e ridono con la bocca stracolma, danno ordini ai camerieri, si puliscono nell'avambraccio e concludono il pasto sonoramente sono all'ordine del giorno. Ma il fatto davvero scandaloso è quanto i genitori sottovalutino la loro maleducazione. Possibile che non riescano a immaginare i loro pargoli da adulti al tavolo presidenziale di una cena di gala, o in una delegazione di rappresentanza di una società o semplicemente alla prima cena a casa dei suoceri? Come possono ignorare che quei comportamenti giudicati da loro benevolmente, saranno proprio quelli che in futuro denunceranno in maniera inequivocabile la loro natura di cafoni? Mi sembra perfetta per concludere la frase dell'ammiraglio inglese William Penn: «Gli uomini prestano più attenzione alla razza dei loro cavalli e dei loro cani che a quella dei propri figli».

Pagina 98

Cerca

Modifica ricerca