Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Nuovo galateo

189462
Melchiorre Gioja 31 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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2.° A Roma, allorché portavasi in tavola un pesce o qualche uccello raro, lo precedeva il suono de' flauti, e i commensali con battimenti di mani l'accoglievano e con acclamazioni. Sarà dunque permesso di dar laude all'abilità del cuoco e al buon gusto del padrone; ma fare sparire le vivande appena ti comparvero davanti, stendere le mani a tutti i piatti senza mai dir basta; non prestare alcuna attenzione ai discorsi degli astanti per non distarsi dal mangiare guardare intorno per vedere se i servi compariscono con nuove vivande, collocarsi sempre al posto più rimoto onde fare strage senza altrui scandalo ecc., è assicurarsi il titolo di crapulone e d'affamato. Invano si ricorderebbe a costui che

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6.° Non riempire di troppo il bicchiere, né lasciarlo pieno di vino sulla mensa, a fine di non esporti al pericolo di lordarla; 7.° Guardarsi dal tossire bevendo, onde non gettare spruzzi di vino sul volto o sugli abiti degli astanti; 8.° Non sciacquarsi la bocca e i denti alla presenza altrui per quindi versarne l'acqua sul tondo o nei bicchieri, uso bruttissimo e sporcissimo oggidì alla moda nelle case dove si affetta di star sull'esquisito, uso che move lo stomaco alle persone dilicate, giacché sembra accertare che i commensali, dopo d'avere mangiato e bevuto, sono colti dal vomito; 9.° Non colare il residuo del brodo o della salsa liquida sul cucchiaio, per goderla tutta e nemmeno raccorla col pane, essendo questo un distintivo di persona ingorda e gelosa; » Il marchese di Mantova, dice il Castiglione, » essendo a tavola con molti gentiluomini, uno » di essi, da poi che ebbe mangiato tutta una minestra » disse: Signor Marchese, perdonatemi; e » cosi detto, cominciò a sorbire quel brodo che gli » era avanzato. Allorchè il Marchese subito disse: Dimanda » pur perdono ai porci ché a me non fai ingiuria alcuna ». 10.° Non porgere a bere altrui quel vino al quale tu avrai posto bocca, eccetto che non fosse teco più che domestico; 11.° L'inurbanità degli atti compresi ne'capi 1.° e 2.° dell' articolo primo cresce ogni volta che commettonsi a mensa.

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Quindi, allorché, per così dire, assale in vece di essere assalita ; allorché, in vece d' aspettare i compratori, va a ricercarli, mostra speciale bisogno di vendere. Ora in generale s' abbassa il prezzo delle cose tutte a misura che il bisogno di vendere a più palesi segni si mostra nel venditore. Alla pulitezza e pudicizia deve unirsi la convenienza, e ciascun sesso, ciascuna età, ciascuna condizione e magistratura deve di particolari abiti adornarsi: quindi é condannabile l' uomo che s' abbassa a vestire abiti donneschi, e a guisa, di femmina si abbellisce; perciò dà prove di poco senno un vecchio che si presenta cogli ornamenti, co' vezzi e colle pretensioni de damerini. . . Non offende l'altrui sguardo, ma scema rispetto alla sua carica un ecclesiastico che passa il suo tempo ne' caffé, e vi comparisce

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Grazie ai reclami della filosofia sono scomparsi i tormentosi busti che rendevano il corpo femminile simile a quello della vespa. Sono costretto a dire in questa edizione che oggidì tornano alla moda certi busti ferrati, che son peggio di corazze, e conciano le vite delle donne e fin di certi giovinastri in modo che é una pietà a vederle; tanto é vero che i semi dello stato selvaggio (pagina 139) costantemente si riproducono e vogliono essere da costante riflessione estirpati. Gli alti calcagni sono stati tolti alle scarpe, e l' andatura riesce più naturale ed agevole. Anche le nobili matrone hanno troncato

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Qui il fracasso de' pedanti è maggiore: la moda, a loro giudizio, ha introdotta la corruzione; la donna che manca di pudore non manca di monili, e la brama di possedere i monili induce a rinunziare al pudore. - Consultiamo dunque la ragione e i fatti, giacché l'accusa é alquanto seria.

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Fuori dell' accennata combinazione, una voce troppo alta è segno d'uomo dispotico e imperioso, il quale a fine di dominare sull'animo degli astanti, comincia a bersagliar loro le orecchie. Una voce troppo languida, diretta dal desiderio d'affettare delicatezza, é ugualmente ridicola. Il poeta la schernisce nel modo seguente:

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Se la mania di parlare prima di riflettere non fosse si comune, neppure tanti discorsi si udrebbero intralciati, oscuri, di cui né l'oggetto si ravvisa nè lo scopo, e che possono assomigliarsi a quelle vecchie iscrizioni corrose dal tempo, nelle quali il viaggiatore, soltanto alcune parole staccate e confuse leggendo, non riesce a còrne il significato se non se con sommo stento. Infatti chi cede a questa mania, ora ommette una circostanza da cui dipende l'intelligenza del fatto, ora fa agire un personaggio di cui non diede antecedente notizia, ed ora unisce cose che fanno ai pugni tra di loro, ovvero

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.° Non farai intravedere che stai per parlare molto a lungo, se non vuoi eccitare negli astanti un subito sbadiglio e con pericolo che ti succeda quanto successe a quel predicatore, il quale avendo diviso il suo discorso in trentadue punti, diede occasione ad un uditore d'alzarsi e dire: Vado a prendere la mia berretta di notte, giacché prevedo che dormiremo in chiesa. 3.° Innesterai nel discorso ciò che può abbellirlo, non tutto ciò che ti si presenta allo spirito; né a proposito della tale cosa racconterai la tale altra, e cosi successivamente, il che più di memoria meccanica dà segno che di fino discernimento. Parecchie persone principalmente tra i vecchi, sono, quasi direi, oriuoli a ripetizione, che appena caricati procedono senza fermarsi finché hanno corda. Esse raccontano per raccontare, senza riflettere se i fatti che raccontano siano per piacere agli astanti, i quali, per non sembrare inurbani, sono costretti ad ascoltarli, e spesso bramerebbero che il pendolo s'arrestasse. Si può largheggiare alcun poco ne' racconti coi fanciulli, l'immaginazione de'quali, tuttora nuova e bisognosa di commozioni, ama le avventure e inclina meno a giudicare che a sentire. 4.° E vecchio precetto di non promettere grandi cose al principio del discorso nè fare magnifico apparato di quanto si sta per dire, giacché il colpo più forte è il più improvviso. Se l'altrui curiosità, cui tu promettesti delle gemme, si vede gettato avanti del fango, si cambierà in disprezzo contro di te e porrà in dubbio il tuo discernimento. Tu cominciasti il tuo discorso dicendo: Vi dirà cose non più intese, inarcherete le ciglia al mio racconto, ecc., e gli astanti dopo d'averti ascoltato, ripeteranno, sogghignando,

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Fra tante persone che ti passano a fianco per le strade, che ritrovi nelle conversazioni, che vedi nei teatri, alcune soltanto ve n'ha cui sei avvinto con vincoli di conoscenza, d'amicizia, di rispetto, di gratitudine, mentre a tutte le altre ti uniscono i soli vincoli sociali. La serie degli atti e delle parole, con cui esterni a qualcuno l'uno o l'altro degli accennati affetti, allorché lo abbordi o da lui parti, costituisce il saluto.

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La vergogna è, per cosi dire, rappresentata esattamente dal rossore delle guance; la tema, dal tremito delle membra e dal pallore del volto: ma tra la venerazione che si vuole attestare agli altri e lo scoprirsi il capo non v'ha alcun rapporto; quindi il modo di salutare all'europea sembra che debba essere un'allusione a qualche vecchia usanza arbitraria, probabilmente a quella de'Romani, i quali ai servi non permettevano di portar cappello prima che fossero affrancati; e cosi il cappello con che il capo si copre, rimase d'allora in poi quale indizio dell'essere uom libero colui che lo porta. Nella 3ª edizione pag. 159, in vece della parola uom si legge non, il quale errore rende la conseguenza contraria al principio da cui si deduce. Il coprirsi la faccia é la naturale espressione della venerazione recata al sommo; ella é pur la medesima che quella della vergogna, sempre anelante a celarsi; vale a dire ch'ella è la più umile confessione che si fa del senso della propria imperfezione a petto dell'altissima perfezione altrui. E generalmente vergogna e timore hanno parentela stretta colla riverenza; in effetto l'Europeo anche più freddo e contegnoso, ove intenda d'esprimere riverenza, tien fissi gli occhi a terra e appena gli alza sommesso e peritoso.

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I difetti relativamente ai saluti si riducono a tre. 1.° parsimonia, 2.° prodigalità, 3° affettazione.

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Si è prodighi ne'saluti A) Per vanità. Alcuni abbordando un crocchio od entrando in una conversazione, non fanno tanti inchini, cerimonie, baciamani a questo, a quello, a un terzo, a un, quarto, a tutti, se non a fine di riceverne altrettanti ed eccitare una generale acclamazione sulla loro gentilezza; e allora la conversazione, a giudizio di Despreaux, s'assomiglia a quelle messe solenni, nelle quali il celebrante dopo di avere incensato tutto il popolo viene incensato egli stesso. B) Per isperanze e timori vaghi. Più di bassezza d'animo che di gentil costume danno segno coloro che a tutti indistintamente protestano gli stessi sentimenti di stima, di rispetto, d'amicizia, ad imitazione di quella donna che avendo accesa una candela a S. Michele, ne accese un'altra al demonio che suole pingersi a'di lui piedi, e che, sgridata dal curato, rispose: Ho sempre inteso a dire che conviene avere degli amici dappertutto, e non si sa mai dove si possa capitare.

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L'uomo gentile consulterà l'uso e il costume adottato da' più savi del' paese, evitando gli eccessi e difetti, ricordandosi principalmente che se è impulitezza ricusare il saluto a chi v'ha diritto, è impulitezza maggiore non restituirlo a chi con atto sensibile ci prevenne.

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.° Ha l'apparenza di volere imporre obbligo di gratitudine a quello cui è diretto; 4.° Offende l'amor proprio de'Grandi che il vostro lungo discorso assoggetta al vostro arbitrio, e li cambia in spettatori mentre il loro desiderio si é d'essere attori; 5.° Può dispiacere per circostanze eventuali per es., se l'oratore vuole far pompa d'erudizione fuor di proposito, e se la persona cui viene diretto il discorso, non ha molto tempo da perdere e vi supera in rango; Francesco I, cui un maire d'una città di Francia cominciò a dire: Quando il gran Scipione giunse avanti Cartagine, Sire. . . . , Francesco s'alzò tosto e disse: Presto, presto, giacché è noto che Scipione non vi andò a piedi, ma a cavallo. Diede la stessa risposta Enrico IV ai deputati di Marsiglia, i quali, volendo mettere la loro erudizione a profitto, cominciarono il loro discorso con queste parole: Annibale partendo da Cartagine. - A questo preambolo, che non prometteva troppo vicino termine, il re, interrompendoli, disse: Annibale partendo da Cartagine aveva pranzato, ed io vo a fare lo stesso.» 6.° Un complimento eccessivamente verboso e fiorito riesce sospetto, poichè induce a credere che si ricorra ai colori oratorii per supplire alla mancanza del sentimento. Tiberio, cui le vittorie di Germanico erano cagione d'invidia e di timore, usò, facendone rapporto al Senato, tale profusione di parole che sorse dubbio sulla sua sincerità. All'opposto, quanto aveva operato Druso, da lui meno odiato, lo raccontò con maggiore economia d'elocuzione, e fu più creduto.

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Il complimento deve serbare un'aria di spontaneità, naturalezza, candore, sicché colui cui viene diretto s'induca a credere che parte dall' animo e ne guarentisce i sentimenti. Un maire (che noi diremo podestà) di Reims, avendo presentato a Luigi XIV certe bottiglie di vino e pere secche, gli disse: » Sire noi apportiamo a Vostra Maestà » il nostro vino, le nostre pere e i nostri cuori: » è tutto ciò che abbiamo di meglio nella nostra » città ». Il re , battendo graziosamente la spalla al maire, gli disse: » Son questi i complimenti ch'io desidero. »

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Nissuna ragione riesce a disacerbare il dolore ne' primi momenti d'una perdita irreparabile. In questi casi la miglior consolazione da offrire all'amico é forse quella dello zio Tobia in Tristam-Sbandy. « Egli si mise a sedere in una seggiola a canto al letto dello sgraziato amico, e non profferi parola ». 4.° Non dimenticate che lo sventurato ha bisogno di parlare delle sue sventure:

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IV.Tale si è l'indole dell'amore, che quando l'oggetto amato è distante, inclina facilmente a supporto esposto a sventure, e quasi diviene ingegnoso nel fingerle ed accumularle sopra di lui. Questi timori che crescono in ragione della distanza edel tempo, ed a cui soggiacciono principalmente le donne, cessano al comparire d'una lettera aununziatrice di salute e buona sorte. Il carteggio dunque tra il figlie e i genitori, tra il marito e la moglie, tra l'amico e l'amico, é un preciso dovere tendente a sgombrare i timori accennati.

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Certamente che é follia il voler misurare il rispetto, sulla grandezza del foglio; nondimeno la scelta d'una carta maggiore dell'ordinaria, quando si scrive a personaggi distinti diviene segno d'attenzione particolare. L'uso vuole che la lettera nel caso accennato abbia una sopraccoperta, a fine d'allontanare dal personaggio distinto le marche di sucidume che la lettera contrasse nella censegna e nel trasporto.

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Un padre destro sa in questi istanti dar loro qualche lezione di urbanità, qualche idea dei riguardi che gli uomini si debbono reciprocamente; cioé insegna loro a difendere un diritto senza arroganza, a discutere una contesa senza villanie, a cedere di buona grazia quando la ragione e la giustizia lo richiedono.

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Un fiorista riesce al più a rendere doppio un fiore; ma se gli manca la semente, non può produrre un fil d'erba. Volere che un fanciullo, che non ha ancora varcato il secondo lustro, frequenti cinque o sei scuole al giorno Nella 4.ª edizione fu sostituito: venti scuole al giorno. è volere che esca asino da tutte. Non vedi, agricoltor imbecille che, spargendo a piene mani la semente, avrai molta paglia e poco grano? Che cosa risulta da quell'indigesto ammasso di semi-idee cacciato nelle menti ancor tenere de'fanciulli? una presunzione indefinita, cagione di mille impertinenze sociali e sbagli economici; uomini che mancano di senso comune a 50 anni.

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Ella ha ricordato che si in Grecia come a Roma i giovani erano obbligati a cedere il posto ai vecchi ne'pubblici spettacoli, in segno della venerazione cui ha diritto l'esperto senno,

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Perciò l'Oriente ove le donne, sempre separate dagli uomini, non si associano ad essi né anche a mensa, l'Oriente vive sotto l'impero d'intollerabile noia. Peccò mortalmente contro il rispetto dovuto al bel sesso, e diede indizio d'orientale barbarie Claudio Santeuil, allorchè con inopportuna pietà rimproverando a suo fratello l'uso della favola in poesia, gli diceva: Non puossi dunque rendere aggradevole la descrizione d' una fonte o d' un bosco , se non vi si caccia per entro una naiade o qualche ninfa? E perché introdurre a forza le donne dappertutto? Non fanno esse male bastante ove si trovano naturalmente? All' opposto i Cretesi, questo popolo si saggio che meritò gli elogi di Platone, per rendere omaggio alla bellezza, stabilirono che una donna precedesse a ciascuna mensa ne'pubblici pranzi. Ella sceglieva le migliori vivande e le presentava a quelli che s'erano renduti illustri col valore ne' combattimenti , colla saggezza ne' consigli. Questa distinzione onorevole, invece della gelosia, svegliava l'emulazione a rendersene meritevoli. Esse decidevano come giudici al tempo de' cavalieri erranti ne' famosi tornei dove il valore era coronato dalle grazie:

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All' opposto ci riesce penosa la ricordanza dei mali se non dà risalto al coraggio con che giungemmo a superarli. Enea nell' atto di raccontare a Didone la sconfitta della sua patria e le sventure dei suoi , protesta che

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A fine di mostrarsi persone d'alta importanza, vi parlano con mistero della vostra sorte, di quella dei vostri figli od amici, e vi tormentano l'animo con sospetti o timori immaginari. Dando prova d'ignorare che nell'uso delle cose comuni, l'inurbanità cresce a misura che la parte da noi presa supera la parte che resta individualmente agli altri, si piantano nel bel mezzo del comune focolare, e ne occupano un terzo, mentre saranno dieci quelli che abbisognano di riscaldarsi; lo stesso si dica di tutte le altre cose a cui più persone hanno diritto, per esempio, delle gazzette, che, a comodo comune, si trovano sui tavolini de'caffè, e che costoro leggono sbadatamente, poscia bevono, e tornano a leggere, quindi parlano cogli astuti, ecc., senza che il comun foglio esca loro di mano. Sul camino d'un gabinetto di lettura a Londra si legge: Le persone che imparano a compitare, sono invitate a non prendere che i fogli di ieri. Ne'caffé della stessa città ove si uniscono tante, persone per leggere le gazzette , non si parla che, sotto voce. Consulltando soltanto il loro piacere, non invitano ma sforzano a sonare, a cantare, a ballare chi realmente non è dotato di queste abilità o non vi si sente disposto, e lo pongono nella necessità o di dire un no assoluto, o di farsi compatire. Se devono sonare o cantar essi, eccoti mille mendicate scuse, interminabili affettate proteste d'ignoranza, ecc. Il più bello talvolta si é che, dopo d'avere cominciato con apparente contrarietà d'animo, non la finiscono più. Talora par che sprezzino tutti e vogliano con certa austerità molesta dar legge a ognuno; ed oltre all'essere contenziosi in ogni minima cosa e fuor di tempo, riprendono ciò ch'essi non fanno; e sempre cercano appicchi di lamento cogli amici. Talora per irriflessione, talora per curiosità si fermano a leggere le altrui carte, custodi de'segreti delle famiglie, e che ciascuno cerca di sottrarre agli altrui sguardi. Molesti vicini spiano i vostri andamenti e prestano orecchio a vostri discorsi; ora v'importunano, aciocchè entriate nella loro conversazione che non v'aggrada; ora frappongono ostacoli sovra passaggi che sono comuni; talvolta vi cagionano timore con improvviso strepito d'armi; e quando la notte è avanzata, col frastuono delle loro grida e risse

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» Oltraggio chiamo io l'alterigia, i modi » Superbi, usati a me dagli insolenti » Ministri, o amici, o consiglieri, o schiavi, » Ch' io ben non so come a nomar me gli abbia » Quei che intorno ti stanno. E oltraggi chiamo » Quanti ogni giorno a me si fan; del nome » Appellarmi di re, mentre mi é tolto, » Non che il poter, per fin la inutil pompa » Apparente di re; vedermi sempre » Più a servitù, che a libertà, vicino ; » E i miei passi, i miei detti, opre e pensieri » Tutto esplorarsi, e riferirsi tutto; » E ogni dolcezza togliermi di padre; » E il mio figliuol, non che a mio senno il possa » Educar, né il vederlo essermi dato » E a me solo vietarsi ».

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All'opposto ci piacciono ed ammiriamo le naturali e garbate attitudini, le maniere graziose, i modi gentili con facilità eseguiti, poiché l'uomo che gli eseguisce mostra non estimare e pensar più ad ogni altra cosa che a quelli, e fa credere a chi lo vede di non sapere nè poter errare. Dalle cose dette si può dedurre ciò che é dimostrato dall'esperienza, cioè che ci dispiace meno la trascuratezza, che l'affettazione. Appartiene all' affettazione il continuo sforzo delle guance, delle labbra, delle mani, tendente a coprire, un difetto fisico palpabile, il che si riduce a dire agli astanti: Io non voglio che vediate ciò che vedete. Si dice che Alcibiade tagliò la coda al suo cane acciocchè i frivoli Ateniesi occupandosi a questa bambinaggine, da vizi del padrone stornassero gli sguardi. All'opposto lo sforzo che fanno continuamente le donne per velare qualche neo, attrae lo sguardo degli astanti e vi concentra vie maggiormente l'attenzione. In questi casi il miglior espediente consiste nel supplire con qualità amabili alla mancanza de' vezzi esteriori; giacchè se la bellezza è una e per lo più indipendente da noi, la grazia è moltiforme e al nostro volere soggiace.

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Si danno più attitudini e movimenti i quali, lungi dallo spiacere agli astanti, servono loro di trastullo, ma a nostre spese. Per maggiore chiarezza li ridurrò a quattro capi principali.

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.° La testa abbassata nelle spalle indica infingardaggine; pendente da un lato, ipocrisia; mobile senza necessità, leggerezza di spirito; » O poveretti voi, a cui la testa » Mai non sta salda, e gira come ruota » D'un calesso di Roma il di di festa ». troppo alta, congiunta a passo lento ed occhi torvi, alterigia od orgoglio.

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La donna vana si move a passo lento, a fine di tenere a lungo presente allo spirito degli astanti l'idea della sua persona, persuasa che, vista da tutti i lati, non può che piacere.

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Quindi a Roma il marito nel giorno delle nozze spargeva nell'appartamento nuziale delle noci, a fine di dare ad intendere che ai giuochi e alle inezie della gioventù rinunciava, e che

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Quindi é inurbanissimo uso il parlare di morti a mensa. Per la stessa ragione

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Nuovo galateo. Tomo II

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Melchiorre Gioia 19 occorrenze
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L'uomo che tace sempre in una conversazione, è uomo che vuole essere a parte del prodotto senza essere caratista. L'uomo che parla sempre, é un caratista che vuole tutti i prodotti dell'azienda. In generale nelle conversazioni ciascuno ama meglio spacciare la propria mercanzia di quello che acquistare l'altrui; e, in vece di formarsi giusta idea degli altri, aspira a darla di sè stesso. Agitati dalla smania di parlare, non pochi bramano di comparire sempre alla tribuna senza volerne mai discendere: quindi vi tengono discorso su di tutto, d'un libro nuovo dopo la lettura di quattro o cinque pagine a salti, d'una nuova macchina dopo d'averne veduto un pezzo, d'un quadro dopo d'averne ammirata la cornice, ecc., e decidono e sentenziano senza interruzione, simili al giudice d'Aristofane, che, chiuso in casa da' parenti, vuole almeno dar sentenza tra due cani. Il Gozzi fa il seguente carattere dell'imperterrito parlatore. » Signor N. N., a pena la signoria vostra sente » un Cristiano, un Turco, o un Ebreo a cominciare » un ragionamento, ch'ella si scaglia là, e glielo » rompe a mezzo col dire: La non è così: io so » l'ordine delle cose, e ve lo diró io; e dàlle dàlle » dàlle, non la finite più, tornando molte volte da » capo, con molte cosette di mezzo, che sono uno » sfinimento, come sono per esempio que' vostri colori » rettorici: E dove era io ora? Ah sì. E torno » due passi indietro: e la fu da ridere, e verbigrazia, » eccetera, tanto che non lasciate più tirare » il fiato a' poveri circostanti. Così quando » avete assassinati e ammazzati i primi a uno a » uno, eccovi a volar via di là in qualche cerchio » d'amici, o di parenti, che ragionano de' fatti » loro, e piombate sopra que' poveretti come un » uccello di rapina sbaragliandogli, e facendogli » andare qua e colà per paura della furia vostra. » M'ha detto un certo maestro, che qualche volta » andate al suo collegio, e che, a pena entratovi, » stornate i discepoli dallo studio e i maestri » dall'insegnare, parlando di dottrine, di scienze, » d'armeggiare, di saltare il cavallo, e di » tutto quello che volete e potete, sì che nessuno » si può salvare dalla furia vostra. Se un povero » uomo prende licenza da voi per andare a casa » sua, e voi subito volete accompagnarlo per forza, » come se foste l'ombra di lui; perseguitandolo » fino in sull'uscio, e sulle scale, e nelle » stanze ancora. Se per caso si narra qualche novella » per la città, voi siete come una rondine » ora qua, ora colà a dirla e ridirla a tutti quanti. » Né giova punto ch'altri vi faccia intendere che » la sa: perché voi volete cominciarla a dispetto di » tutti, aggiungendovi anche un proemio. Parlate » di predicatori, d'innamoramenti, di battaglie, » del vostro servo, e delle finestre di casa » vostra, con tanto tedio di chi v' ascolta, che, » appena avete favellato, l'uno si dimentica tutto, » l'altro sbadiglia sonniferando, e c'é chi vi pianta » là nel mezzo del ragionamento. Sicché se vi trovate » con uno ch'abbia da sedere a un magistrato, » a una predica, a mensa, a una commedia, siete » cagione che siede mezz'ora dopo il bisogno alla » sua faccenda. E crede che piuttosto vi contentereste » di morire, che di non superare il cicalamento » delle gazze, de' pappagalli, delle rondini, » e di quante bestie fanno schiamazzo. Or gli è » pure gran peccato a non aver tante gole quante » canne ha l' organo, da poter cavar fuori le parole » da tutte! Basta che siete giunto a tale, » che non v'importa più che ciascheduno si fugga » da voi, come da un can guasto, e che fino i » fanciulli di casa vostra si ridano di voi: perchè » quando la sera il sonno comincia ad aggravarli, » vi pregano a contar loro qualche cosa » per dormire più presto». Gli inconvenienti a cui va incontro un uomo che parla troppo, sono i seguenti: 1.° Egli affatica i suoi polmoni; 2. E' spesso costretto a ripetere le stesse cose, il che cagiona noia agli altri e svela i limiti del suo spirito; 3.° S'espone a dire degli spropositi volendo parlare di cose che non gli sono famigliari, e dimostra di non saperne alcuna, giacché quelli che sanno una cosa bene, si astengono dal parlare di quelle che ignorano;

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Occupata più a gozzovigliare che a discorrere, si trovava inoltre separata dalle altre classi pel sucidume in cui era involta.

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e in cambio dell'arrosto vende le novelle della città a' commensali, e del padrone

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Convinte della loro nullità, inclinano a credersi scopo dell'altrui sprezzo, e si confermano in questa idea ad ogni minima cerimonia che per inavvertenza venga con esse trascurata. Una parola sfuggita in un momento di calore, di vivacità, d'allegrezza, viene da esse esaminata con tutto il rigore, non dico della logica, ma del puntiglio, staccata da quelle circostanze che se non la giustificano pienamente, la dimostrano figlia piuttosto dell'irriflessione che della malizia. » L'esser tenero e vezzoso anco si disdice assai, » dice monsignor della Casa, e massimamente » agli uomini; perciocché l' usare con sì » fatta maniera di persone non pare compagnia » ma servitù; e certo alcuni se ne trovano che » sono tanto teneri e fragili, che il vivere, e dimorar » con esso loro, niuna altra cosa é che, » impacciarsi fra tanti sottilissimi vetri; così temono » essi ogni leggier percossa, e così conviene » trattargli e riguardargli: i quali così sì » crucciano, se voi non foste così pronto e sollecito » a salutargli, a visitargli, a riverirgli, » ed a risponder loro, come un altro farebbe di » un'ingiuria mortale; e se voi non date loro così » ogni titolo appunto, le querele asprissime e le » inimicizie mortali nascono di presente. Voi mi » diceste messere, e non signore. E perché non » mi dite voi V. S.? lo chiamo pur voi il signor » tale. Ed anco non ebbi il mio luogo a » tavola ! E ieri non vi degnaste di venir per » me a casa, come io venni a trovar voi l'altr'ieri. » Questi non sono modi da tener con un » mio pari. Costoro veramente recano le persone » a tale, che non è chi li possa patir di vedere, » perciocchè troppo amano sé medesimi fuor » di misura; ed in ció occupati, poco di spazio » avanza loro di poter amare altrui; senza che » gli uomini richieggono che nelle maniere di coloro » co' quali usano, sia quel piacere che può » in cotale atto essere; ma il dimorare con si » fatte persone fastidiose, l' amicizia delle quali » sì leggermente, a guisa di sottilissimo velo, » si squarcia, non è usare ma servire, e perciò » non solo non diletta, ma ella spiace sommamente. » Altri a nissuno mai fanno buon viso; e volontieri » ad ogni cosa dicono di no; e non prendono » in grado nè onore nè carezze che loro si » faccia, a guisa di gente straniera e barbara; » non sostengono d'essere visitati ed accompagnati; » e non si rallegrano de' motti, nè delle piacevolezze; » e tutte le proferte rifiutano. Messer » tale m'impose dinanzi, ch'io vi salutassi per » parte sua. - Che ho io a fare dei suoi saluti? » - E messer cotale mi dimandó come voi » stavate. - Venga, e sì mi cerchi il polso». La naturale rozzezza dell'uomo, la mancanza d'educazione, una stolta vanità, la piccolezza di spirito, talvolta dei risentimenti amari, talvolta l'impossibilità di partecipare ai piaceri sociali, bastano a spiegare in generale gli accennati difetti. Una causa speciale d' irritabilità e ruvidezza si era per l'addietro uno stolto orgoglio di famiglia, per cui alcuni, persuasi d'essere vasi d'oro , e credendo tutti gli altri di fango, sfuggivano ogni contatto con essi, si mostravano alieni da ogni confidenza, s'atteggiavano a sprezzo abituale come quell'Omberto Aldobrandeschi a cui Dante fa dire,

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Infatti Giove non parla a Giunone senza dirle molti improperi, Giunone non risponde che sullo stesso tono. Dopo si nobile esempio figuratevi come dovevano parlare gli dei minori. Fra i tratti caratteristici degli avvocati inglesi i viaggiatori fanno osservare un tono ardimentoso che somiglia all'impudenza. Que' causidici si permettono i sarcasmi più indecenti, le personalità più ingiuriose contro la parte avversaria; essi apostrofano anche i testimoni nel modo più villano ed offensivo, collo scopo di turbarne l'animo e indebolirne le disposizioni. Essi per altro si tirano talvolta addosso delle repliche che gli espongono alle risate dell'udienza. In una causa che discutevasi avanti il banco del re, fu prodotto un testimonio che aveva il naso estremamente rosso: l'avvocato avversario volendo intimidirlo, gli disse, dopo che il testimonio ebbe prestato il giuramento: Vediamo ciò che avete da dirci col vostro naso di rame. - Pel giuramento che ho prestato, replicó il testimonio, io non vorrei cambiare il mio naso di rame colla vostra fronte di bronzo. - Un paesano del Berkshire andava a deporre in una causa che discutevasi a Guildhall: » Uomo dall'abito di » pelle, gli disse l'avvocato Wallace, quanto guadagnate » voi a giurare? » - Signor avvocato onoratissimo, rispose il paesano, se voi non guadagnaste ad abbaiare ed a mentire più di quel che io a giurare, voi portereste ben presto un abito di pelle come lo porto io. 4.° In forza di questo riscaldamento o in mezzo a questa lotta di vanità, ciascuno s'ostina del primitivo parere, benchè il discorso il dimostri persuaso del contrario. « Quando un uomo s'é ostinato a dire: La » non ha ad essere altrimenti, io intendo che la » cosa vada così, o così; va, picchialo, spingilo, » dagli d'urto, tu cozzi con una torre, hai a » fare con un greppo, e non ti riesce altro, se » non che tu medesimo t'indurì, e a poco a poco » senza avvedertene , come chi è tocco dalla pestilenza, » che dall'uno s'appicca all'altro, tanto » sei tu ostinato e duro nella tua opinione, quanto » egli nella sua, e non c'è più verso, che nè » l'uno né l'altro si creda d'avere il torto». Gli amici dell'abate Regnier gli davano il titolo di abate pertinax, perché,

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1.° Talvolta é meglio lasciar cadere una celia senza risposta, di quello che impegnarci in un combattimento con persona che forse non mirò a pungerci; oltredichè si evitano degli schiarimenti che in vece d'avvicinare gli animi, gli allontanano di più. 2.° Quando non vi è possibile dissimulare e vedere gli altri a ridere a vostre spese, ridete voi pure, e soprattutto non mostrate risentimento o dispiacere, come é stato detto di sopra. Si veggono ogni giorno persone incivili che non sanno rispondere ad un innocente scherzo fuorchè con ingiurie e villanie; perciò ogni persona prudente, che non vuole compromettersi, sfugge il loro incontro. 3.° Se non é permesso di rispondere con asprezza, è permesso redarguire, e rimandare la palla a chi la gettò; è questo il diritto del giuoco che ogni persona ragionevole dee rispettare.

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I gabinetti di lettura sono una conseguenza dello spirito socievole dello scorso secolo; si procura a tutti un mezzo d'istruzione con pochi soldi. Non tutti possono leggere tutti i libri; ciascuno è costretto a ristringersi nella sua sfera; ma nella conversazione i libri letti da uno, divengono mezzi d'istruzione per gli altri: in caso di bisogno egli vi dà in un quarto d'ora il frutto di dieci ore di lettura. II. Se nelle dispute che sogliono nascere nelle conversazioni, i due contendenti restano per lo più del loro parere, l'influenza delle dispute sulle opinioni non lascia d'essere reale; giacché 1.° Gli spettatori disinteressati formano il loro giudizio sulle ragioni allegate pro e contro da' disputanti. La voce, il gesto, il tuono di essi rendono, per così dire, più acuti i tratti del loro spirito e più profondamente nell' altrui memoria gl'imprimono; 2.° Quegli tra i contendenti che ha torto, e che nella disputa chiuse gli occhi alla verità, non conserva questa ostinazione, allorché riflette poscia di sangue freddo, e sovente s'accosta al sentimento che aveva combattuto. Intendo qui parlare delle persone di spirito e di buona fede; giacché gli spiriti falsi e vani, o gli uomini di partito, pè quali la conversazione è un'arena ove combattono da gladiatori, non aspirando di giungere alla verità ma di conseguire una apparente vittoria, questi non riescono nelle loro dispute che a raddoppiare il velo che ingombra il loro intelletto e a vie più nelle loro opinioni smarrirsi. III. In una conversazione generale, quegli che parla si vede cinto di una specie di uditorio che lo anima e lo sostiene: questa circostanza dà allo spirito maggiore attività, alla memoria maggior fermezza, al giudizio maggior penetrazione, alla fantasia de' limiti che non gli permettono di divagare. Il bisogno di parlar con chiarezza, lo sforza a dar qualche attenzione allo stile e ad esporre con qualche ordine le sue idee; il desiderio d'essere ascoltato favorevolmente, gli suggerisce tutti i mezzi d'eloquenza di cui la conversazione famigliare é capace. Quindi la conversazione é la prima e la migliore scuola per gli uomini che a parlare in pubblico si dispongono. All' opposto un uomo che vive solitario nel suo gabinetto, non stimolato a far passare le sue idee nell'altrui animo, non vedendosi avversari a fronte, non avendo obbiezioni da combattere, non impara forse giammai quest'arte delicata che sa convincere gli spiriti senza offendere l'amor proprio, e con bel garbo costringere l'altrui inerzia all'esame d'un pregiudizio, pungendola con qualche tratto piccante. Altronde sempre solo con sé stesso e senza oggetti di confronto; disposto a riguardare ciascuna idea che gli si presenta, come una scoperta; non mai esposto a queste piccole lotte di società che danno sì prontamente a ciascuno la misura delle sue forze, egli inclinerà a formarsi un'opinione esagerata de' suoi talenti e ad esporre le sue idee con aria imperiosa ed offensiva. Si può dire delle conversazioni ciò che Alfieri dice dei viaggi:

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., la memoria de' danni che produceva l'uso della tortura nella procedura criminale, e distruggerete la riconoscenza di cui il genere umano é debitore a Beccaria che riesci a farla cessare, dicasi lo stesso di tutti gli altri usi, consuetudini e costumi barbari che le leggi attuali proscrivono. I governi europei hanno due nemici: I primi dichiarano dannosa la civilizzazione, quindi tendono a distruggere il rispetto dovuto ai principi che la promovono. I secondi accettano che la civilizzazione si sviluppa da sé stessa, e condannano i principi che concorrono a promoverla (Smith, Des causes des richesses ecc., t. III, pag. 54-55-435, ecc. - Say, Encyclopédie progressive, premier cahier, pag. 356 357. - Dunoyer, Revue enciclopédique, mai 1827, pag. 618-620). I primi che dicono che sone inutili le dighe; i secondi che le dighe s'alzano da sè stesse: entrambi distruggono la riconoscenza dovuta all'ingegnere che le immagina e costruisce. Declamando contro i vizi attuali si lusingano alcuni di dar prove di virtù e di zelo. Ricorrono frequentemente a questo mezzo, per procacciarsi fama, coloro cui mancano le qualità necessarie per conseguirla. Quindi in tutti i secoli la generazione attuale fu dipinta come la più cattiva di quante la precedettero; perciò si fece costantamente l'elogio delle età passate e delle popolazioni distanti; e il volgo si lasciò ingannare da questa illusione morale simile alle illusioni ottiche, perché ciascuno sente i mali attuali e ignora i passati e lontani. Le madri ripetendo all'orecchio de' fanciulli la parola lupo, ed accompagnandola colla fisonoinia e colle attitudini del terrore, riescono a spaventarli. I pedanti ripetendo le parole semplicità de' nostri maggiori, ed accompagnandole colla fisonomia e colle attitudini dell'approvazione e del rispetto, sono riusciti a creare un idolo nell'opinione, e vogliono che pieghiamo avanti d'esso il ginocchio. Poco manca che non ci provino che le acque salgono in vece di discendere. Pretendere che lo stato attuale della civilizzazione sia scevro da vizi, sarebbe pretendere che fosse scomparsa dalla terra la natura umana, cioé che si fossero ritirate le acque che urtano contro e filtrano tra le dighe sociali. Dire che i vizi attuali sono peggiori de' vizi degli scorsi secoli, è dire che i frutti domestici sono più amari che i frutti selvatici; é dire che la acque sbrigliatamente inondatrici sono preferibili ai fiumi muniti di dighe regolari. Prima d'addurre i fatti che smentiscono le opinioni volgari, addurrò alcuni principii che serviranno a schiarirli. 1.° Si può risguardare la sensibilità dell'uomo come una quantità costante in tutti i secoli; 2.° I piaceri fisici, intellettuali, morali si disputano a vicenda questa sensibilità; 3.° A misura che cresce la porzione occupata dagli uni, scema quella che rimane agli altri, ed a vicenda. Ora negli scorsi secoli erano nulli i piaceri intellettuali, perché massima l'ignoranza; minimi i piaceri morali, perché massima la ferocia. Dunque la maggior parte della sensibilità doveva essere da' piaceri fisici occupata. 4.° La sensibilità occupata da' piaceri fisici istupidisce le forze naturali dello spirito, e rende l'uomo simile ai bruti. Noi ci avviciniamo dunque ai costumi de' bruti a misura che ci avviciniamo alla pretesa semplicità de' nostri maggiori. La ragione vede corruzione e delitti ove l'immaginazione de' poeti finse l' età dell' oro.

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Screditante gli altrui vizi ciascuno si lusinga di dar prova di contraria virtù; quindi nelle conversazioni ciascuno chiama a sindicato la riprovevole condotta degli estranei od assenti: ciascuno ride delle umiliazioni cui è condannato un leccazampe; ciascun parla con orrore d'un tradimento; ciascuno sviluppa le circostanze che aggravano un delitto ecc. Escono dalle conversazioni de' gridi che chiamano gli sguardi del pubblico sul magistrato corrotto, sul giudice venale, sull'amministratore infedele, ecc. Allorché la condotta di qualche persona potente non é ben nota, ciascuno degli astanti comunica agli altri le sue viste; si mettono al vaglio i fatti e le congetture, si confrontano le realtà e le apparenze; si richiamano le notizie anteriori e concomitanti, e finalmente si giunge a smascherar l'impostura. L'opinione pubblica va ad attingere alle conversazioni i documenti che giustificano i suoi decreti di onore o d'infamia. Le conversazioni sono come le sentinelle notturne che ad ogni ora si comunicano il grido di sorveglianza, onde reprimere ne' pubblici perturbatori il desiderio di far del male. Le conversazioni offrono il destro di pronte benefiche soscrizioni a vantaggio de' poveri. L'interesse che la padrona di casa sà destare nell'animo de' suoi amici a favore di una famiglia o d'una classe sventurata, il desiderio comune di dare prova di generosità, l'altrui esempio che fa forza anche ai più renitenti, tutto concorre a far riuscire immediatamente un progetto generoso che senza le conversazioni resterebbe sventato o verrebbe troppo tardi; quindi con piccolo incomodo degli astanti si raccoglie in più crocchi una somma ragguardevole e sufficiente al bisogno. A Verona, trovandomi una sera alla conversazione d'una signora che non soleva andare al teatro, ma univa nella sua casa vari amici, ella ci disse: Signori, dimani a sera non ci vedremo, perché andró al teatro - Come al teatro! - Sì, giacchè la serata va a vantaggio de' poveri. - Dunque ci vedremo, risposero tutti. Infatti la sera susseguente non solo ciascuno degli astanti andó al teatro, ma condusse seco quattro o cinque amici, cosicché il palco della signora fu un andirivieni continuo, ed una specie di guerra a madama l'invisibile, la quale si gloriava nella sua sconfitta.- Ecco la civilizzazione: beneficenza unita al piacere; onore al bel sesso che la promove.

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T'ho insegnato ad allontanare dalla persona ogni apparenza che i sensi degli astanti potrebbe offendere od indisporne l'animo; ad atteggiarti in modo da presentare l'immagine della grazia scevra d'ogni affettazione; a sfuggire ogni atto capace d'esporti al ridicolo delle persone di senno, od irritarne il gusto; a richiamare nell'altra mente ricordanze piacevoli e allontanarne le moleste; a prestarti di buon grado agli altrui innocenti desiderii, ma soprattutto non sospenderne o ritardarne illeggittimamente il corso: a non inacerbire l'altrui amor proprio con mostra di sentimento diverso dalle sue pretensioni, od inferiore ad esse. Comparirai con abito che dalla taccia di spilorceria ti sciolga, senza passare i limiti del tuo stato economico e della convenienza. Saresti stolto se tu facessi consistere il tuo merito nello splendore dell'abito; ma lo saresti ugualmente se sprezzassi l'opinione del volgo che dall'abito ti giudica. Segui dunque le mode del paese in cui ti trovi, allorchè l'onestà, alla decenza, alla salute non s'oppongono. Non sarai per orgoglio o finta astrazione restio a dare o rendere il saluto, come non ne sarai prodigo per vanità o adulazione. Tutti i tuoi atti e le tue parole saranno segni della sensazione piacevole che ti arreca chi viene a visitarti; o quando la stima, l'affezione, la riconoscenza ti condurranno a visitare gli altri, non dimenticherai il tempo che rubi alle loro occupazioni, e la noia che può cagionare la tua comparsa. Non renderti incivile per troppo civiltà, nè importuno per eccessiva cortesia. Guardati dal fare il generoso con moneta di parole, se non vuoi essere confuso coi ciarlatani. Ordinato nelle idee, esatto ne' racconti, breve nell'esposizione, morale ne' sentimenti, da un lato non innesterai nel discorso equivoci plebei, delti scurrili, immagini oscene od indecenti, dell' altro, contento d'essere chiaro, lascerai l'affettata ricercatezza delle parole a'pedanti.

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T' ho detto come tu debba scherzare co' giovani, ingentilirti colle belle, a serietà atteggiarti ed a rispetto co' vecchi. Riservato nell'accettare amici per non esporti a pentimento, ricorderai più i doveri dell'amicizia che i diritti, ricercherai all'amico più consigli che lodi; ai nuovi amici non darai sugli antichi la preferenza, e molto meno concederai alle preghiere dell'estraneo ciò che alle istanze dell'amico negasti. Non dimenticare che

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Il giovine non fuggirà la conversazione delle donne oneste, giacché solamente in loro compagnia imparerà a rattemprare l'effervescenza dell'età, a ingentilire colla grazia le maniere, a piegare i movimenti a leggiadria, la placidezza del discorso senza viltà, la modestia senza timidezza, il coraggio senza impeto, il brio che sa rispettar la decenza, l'allegrezza che non diviene smodata quelle fine attenzioni che prevengono i desiderii senza mostrar d'occuparsene, e quel conversare libero e cordiale che non degenera in confidenza temeraria e plebea. Swift attribuisce la decadenza della conversazione in Inghilterra all'esclusione delle donne; da ciò nacque una famigliarità grossolana che porta il titolo d'allegrezza e libertà innocente, « abitudine dannosa, » egli dice, ne' climi del Nord, ove la poca » pulitezza e decenza che abbiamo, si è introdotta » per così dire, di contrabando e contro la naturale » inclinazione che ci spinge continuamente » verso la barbarie, e non si mantiene che per » artifizio ».

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Se vuoi piacere ne' crocchi sociali, lascia a ciascuno il tempo ed offrigli il destro di dire ció che sa, e fagli sincero applauso se dice cose d'applauso meritevoli. Recherai noia nelle conversazioni se usurperai il diritto d'eterno parlatore, se parlerai a lungo di te, delle cose tue, de' tuoi poteri, ovvero se t'asterrai da ogni parlare, facendoti supporre indiscreto o maligno osservatore. La libertà frenata dalla decenza e la più perfetta uguaglianza sono le basi della conversazione; la franchezza, l'amenità, la confidenza ne fanno tutta la spesa; i mutui riguardi, le compiacenze, le attenzioni, amabile la rendono e cara; l'irritabile vanità, le orgogliose pretensioni, l' umor acre, le disposizioni malinconiche, l'esattezza del cerimoniale ne sono il flagello. Non si può celiare con persone che bando diritto d'affettare la serietà dell'asino; nè il piacere comparisce a battuta d'orologio. Ricordati che il motteggio, ugualmente che il sale, vuol essere adoperato con precauzione; i motteggi troppo pungenti fanno nascere odii mortali, de' quali ogni uomo ragionevole dee sfuggire lo scontro. Ti renderai più amabile chiudendo gli occhi sui difetti degli altri, che non ti renderai stimabile per la tua prontezza a schernirli. Per conseguire la stima delle persone oneste è necessario che tu renda a ciascuno ció ch'egli ha diritto d'esigere da te, a' tuoi superiori rispetto e sommessione, a' tuoi uguali dolcezza e compiacenza, a' tuoi parenti attaccamento ed amore, a' tuoi amici confidenza ed affezione, a' tuoi nemici generosità e disprezzo, agl'infelici condiscendenza e umanità a tutti buona fede e que' servigi che il tuo poter ti permette; ma devi fare tutto ciò senza fasto, senza affettazione e senza vanità. In onta delle tue buone intenzioni e della tua savia condotta, aspettati de' nemici; l'altrui vanità, interesse, invidia, diffidenza, malvagità può creartene non pochi senza tua colpa; o tanto peggio per te, se i malvagi non ti guardano in cagnesco, e non ti screditano gli ipocriti. Non concederai a questa canaglia il piacere d'aver turbata la tua tranquillità, che li renderebbe più audaci; ma rifletterai che le menzogne contro una condotta costantemente onesta e regolare sono strati di nebbia che non fan breccia; la polve che la malvagità sollevò per ingombrare la virtù, si dissipa presto, e la piramide resta.

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Tu mi dirai che ti porti alla conversazione non per esercitare la pazienza, ma per andare a caccia di piaceri innocenti e vorresti poterli còrre o tra i fiori del discorso, o nelle maniere delle persone, o tra ameni sentimenti e gentili. Ti ricorderó dunque la massima raccomandata di sopra, cioè avvezzati a riguardare le cose dal lato ridicolo; ed eccotene alcune fonti succintamente. Ti porgeranno grato spettacolo. 1.° Le variazioni delle passioni, per cui lo stesso uomo passa facilmente da' giardini d'Epicuro ai portici di Zenone, ed é a vicenda di voto o mondano per trimestre, e per cui non di rado

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Infatti nissuno ama di perdere a nissun giuoco, non tanto per interesse quanto per amor proprio; giacché dalla perdita risultano idee umilianti e contrarie all'opinione abituale che ciascuno erasi formata in mente della sua destrezza e fortuna. Voltaire, benché uomo di spirito, o perché uomo di troppo spirito, non poteva tollerare il padre Adam quando questi lo vinceva agli scacchi od al bigliardo. Un principe assiro uccise il figlio di Gobyas alla caccia, perché quel giovine era riuscito a ferire un orso ed un lione contro cui il principe aveva slanciate le sue frecce inutilmente. VI. Uomo probo non si permette la minima soperchieria nel giuoco; egli vuole poter dire, io non ho fraudato giammai, senza che la coscienza lo smenta: egli teme che l'abitudine d'ingannare nelle cose piccole diminuisca la sua delicatezza nelle grandi. Ogni frode dovrebbe essere punita colla perdita di una, due o tre partite, secondo la sua importanza, ed a giudizio inappellabile degli astanti. VII. La somma giocata dev'essere tenuissima e sempre inferiore alle finanze del men ricco tra i giocatori; altrimenti alcuni non giocheranno per non restare esposti a gravi perdite, altri giocheranno con grave loro danno per non comparire spilorci: l'uno e l'altro caso annulla il piacere della conversazione e lo deprava. VIII. Il prodotto delle vincite debb'essere impiegato a vantaggio comune; questa regola diminuisce il dispiacere delle perdite, e neutralizza l'avidità del guadagno. IX. Il tempo destinato al giuoco non deve superare i due terzi del tempo consacrato alla conversazione; e questa non deve succedere a spese de' doveri e degli affari di maggiore importanza. X. Non si deve costringere con importunità nissuno a giocare, come non si deve costringere nissuno a bere. XI. Non si devono accoppiare nel giuoco persone nemiche o reciprocamente odiose. Egli è questo un problema, talvolta difficile per la padrona di casa, e a scioglierlo bene ci vuole occhio fino e pratica di mondo.

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L'altrui distrazione, oltre d'essere un affronto a chi parla, giunge a turbare le di lui idee, mentre all'opposto l'altrui attenzione le raccoglie.

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É quindi grave inurbanità, allorché qualcuno parla, trastullarsi col ventaglio, col cane, coi guanti, colla tabacchiera, col cappello, ovvero volgere qua e là il capo, e far gesti con questo e sorridere a quello, in somma mostrare un'aria di volto che alla sensazione comune eccitata da' discorsi del parlante, non corrisponda. In forza di queste distrazioni, quando il discorso è inoltrato e diviene interessante, siamo costretti a confessare che ce ne sfuggi il filo, e con altrui noia preghiamo chi parla a rannodarlo nella nostra mente.

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Per modestia intendesi quella virtù che si astiene dal prevalersi de' propri talenti e della propria abilità in modo spiacevole a quelli con cui viviamo. Ella é veramente una virtù, giacché riesce a reprimere la naturale tendenza che spinge ciascuno ad esagerare i propri pregi e farli sentire agli altri.

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Invitare più persone di quel che possa comprendere il locale, è invitarle ad essere soffocate dal calore, a restare in piedi con sommo disagio, a non essere servite se hanno sete ecc. Quest'uso regna in Inghilterra ne' così detti routs o grandi conversazioni. - Una signora sceglie una giornata in cui terrà un rout. Ella spedisce dei biglietti d'invito a più centinaia di persone, non perché sono suoi parenti, suoi amici, suoi conoscenti, ma perché le ha vedute: e perchè la loro presenza acquisterà credito alla sua assemblea.

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