Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Ricordi d'un viaggio in Sicilia

169033
De Amicis, Edmondo 2 occorrenze
  • 1908
  • Giannotta
  • Catania
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Al ritorno non mi restava a vedere che Taormina, che a mezza via fra Messina e Catania. Ma non si spaventino lettori: non avranno ancora da subire la descrizione di quel famosissimo teatro greco, in cui è la scena meglio conservata di tutti i teatri antichi, e che è per se stesso il più maraviglioso bel vedere d'Italia. Tutti ne avranno letto qualche cenno descrittivo in occasione del recente viaggio che fecero in Sicilia i Sovrani di Germania, i quali manifestarono per Taormina una viva predilezione. E poi, che e mai il teatro dell'arte in confronto a quello della natura? Quello che si vede dalla sommità della gradinata, e proprio dal punto che prospetta il mezzo della scena, e uno spettacolo di cui non ha l'eguale nè Napoli, né Rio Janeiro, nè Costantinopoli. Sotto, la piccola città ridente, che si stende ad arco fra i mandorli, gli aranci, i cactus, i pini; a tergo della città, un semicerchio di monti che slanciano al cielo i vertici rocciosi coronati di castelli e di villaggi; più in là l'Etna enorme, col capo bianco tinto di rosa, che sovrasta al mar Jonio, e par che s'avanzi per immergervi il fianco; a destra e a sinistra quasi tutta la costa orientate della Sicilia, una successione infinita di curve, che sembra la ripetizione ritmica d'un pensiero gentile, dietro al quale il vostro sguardo va da un lato fino a Siracusa, dall'altro fino a Messina; e questa doppia immensa fuga di seni, di promontori, di boschi, di paesi, di giardini ride sopra la bellezza d'un mare e sotto la bellezza d'un cielo di cui non può dare idea la parola umana. Chi può maravigliarsi che davanti a un tale spettacolo l'Imperatrice di Germania abbia lasciato cadere a terra un diamante senza avvedersene? Questo mi disse quello stesso custode del Teatro che trovò il diamante fra i ruderi vicini alla porta e che lo riportò all'Augusta Signora. Ed egli stesso mi riferì con alterezza di cittadino taorminese un motto che aveva udito il giorno innanzi da una bizzarra signora straniera incantata del panorama: motto ch'io metto qui come suggello al mio povero tentativo di descrizione. - "Credo poco all'Inferno; ma credo al Paradiso perché l'ho visto... ed e questo".

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INDICE Da Messina a Palermo . . . . . . . . . . . . .5 Da Palermo all'Etna . . . . . . . . . . . . . 37 Catania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 Da Siracusa a Taormina . . . . . . . . . . .107

Pagina 145

La fatica

169264
Mosso, Angelo 2 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Stenone era nato a Copenhagen e chiamavasi Stensen, donde il nome di Steno, Stenonis. Nella corte di Toscana, insieme col Redi, fece varie importantissime osservazioni zootomiche ed esperienze sugli effetti di alcune sostanze venefiche negli animali. Redi in una lettera scritta a Stenone dice: "Si ricorderà che molte e molte volte abbiamo insieme fatto vedere al Serenissimo Granduca Ferdinando, nostro Signore, l'esperienza di far morire quasi subito gli animali quadrupedi, con l' aprir loro una vena, e poscia per l'apertura, introdotto il cannellino di uno schizzatoio pieno solamente di aria, far penetrare con forza nelle vene del medesimo animale quell' aria contenuta nel medesimo schizzatoio." Il suo celebre libro sulla miologia, Stenone lo pubblicò l' anno stesso che abjurò la fede protestante per farsi cattolico, cioè nel 1667. Cinque anni dopo lo troviamo professore di anatomia a Copenhagen. Il re di Danimarca lo aveva invitato a tornare in patria, dandogli la cattedra e la libertà di stare e vivere da cattolico. Non conosciamo bene le ragioni che indussero lo Stenone ad abbandonare dopo alquanti mesi la patria e fare ritorno in Toscana. Il Redi scrivendo nel dicembre del 1674 dice che Stenone "sarebbe stato fra poche settimane in Firenze e forse avrebbe condotto seco Swammerdam che è un giovane assai virtuoso". Questo Swammerdam è il grande naturalista olandese, uno del più forti ingegni del suo secolo, la cui vita presenta un punto di rassomiglianza curioso con quella di Stenone. Swammerdam fu soggiogato da certa Antonietta Bourignon de la Porte. L'esaltazione religiosa di questa donna esercitò un' influenza fatale sulla vita di Swammerdam, il quale diventò melanconico, pieno di misticismo, e finì per non occuparsi più d'altro che di teologia. Stenone fece la medesima fine, e la donna che lo ha dominato fu una monaca di Firenze, certa Suor Maria Flavia del Nero. Ho raccolto intorno a questo dei documenti a Firenze, ma non mi sembra che sia qui il luogo di fare una ricerca storica sulla vita intima di Stenone. Certo è stata per me una cosa divertente il rintracciare la storia di questa Suor Maria Flavia del Nero, e l' influenza che esercitò sulla conversione, e sul ritorno a Firenze di Stenone. Esistono parecchie lettere di Stenone a lei: e quando ebbe passata la giovinezza, Suor Maria Flavia del Nero scrisse nella Cronaca del Convento, che la conversione di Stenone e la vita di quel santo era stata opera sua. Da una biografia contemporanea dello Stenone si ricava che "chiamato dal duca di Annover all' ufficio di vescovo, quante penitenze, quanti esercizii di pietà, ha egli fatti! Fatto voto di andare da Firenze a Loreto, da Loreto a Roma e da Roma al luogo destinatogli, a piedi, elimosinando, dispensato prima ai poveri ogni suo avere, si è di più messo in viaggio a piede scalzo, e così è giunto a Loreto, ma con iscapito della sua sanità, ove è bi- sognato curarlo".MANNI, Vita di Stenone. Pag. 268. Quanta sono mutati i tempi! Non v' ha uomo a cui ora queste sublimi pazzie non destino un sentimento amaro di commiserazione! Eppure nella biografia del Manni si fa merito a Stenone di tutte queste sofferenze patite, che lo condussero immaturamente alla tomba. Mentre egli era nella Germania del Nord, per riconquistare al cattolicismo le provincie che aveva perduto la Chiesa, sappiamo da documenti di testimoni che esso faceva una vita estenuatissima ANON, Notizie della vita e della morte di Monsignor Niccolò Stenone. Questo manoscritto trovasi nella Biblioteca Nazionale di Firenze , dove pure conservansi parecchie lettere scritte da Stenone al Magliabecchi.. Gli ultimi anni della vita di Stenone furono quelli di un martire, finchè le penitenze e le vigilie non lo condussero alla tomba. Egli morì nel fervore della sua missione l'anno 1684, in Schwerin nel Mecklenburg. Io non so se l'amor suo per l'Italia fosse rimasto sempre così grande da desiderare che qui avessero pace le sue ossa, o se l'intolleranza religiosa di quei tempi gli abbia negato il riposo che ognuno spera di trovare nella terra dove è nato. Cosimo dei Medici fece condurre con grandi onori la sua salma a Firenze e le spoglie dell'immortale fisiologo riposano in San Lorenzo sotto la cupola grandiosa della cappella medicea, vicino ai monumenti con cui Michelangelo rendeva immortali le tombe di quei principi benemeriti delle scienze e delle arti. Un giorno sono stato a visitare la tomba di Stenone nei sotterranei di San Lorenzo: per giungervi bisogna passare sulla pietra che copre le ossa di Donatello, il grande maestro del verismo nell'arte. Di fronte vi è la cripta di Cosimo padre della patria, e a destra contro un pilastro una lapide dice:

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Questo tubo s' immetteva e si prolungava in un altro di gomma, AB, che andava a congiungersi con un timpano a leva, F, il quale per mezzo dell'asticella G scriveva i movimenti trasmessi dal cervello all' aria contenuta nell'apparecchio registratore. Riferisco un frammento preso dal mio scritto - sulla circolazione del sangue nel cervello dell' uomo dove ho studiato l'anemia e l'iperemia del cervello A. Mosso, Memorie della R. Accademia dei Lincei. Dicembre 1879. Il giorno 29 settembre 1877 ad un'ora, pom. prendo accordo col Dott. De Paoli per fare alcune osservazioni sull'anemia cerebrale. Fisso bene il disco di guttaperca sul capo di Bertino per scrivere i movimenti del cervello. La linea C della figura 2 rappresenta le pulsazioni come sono scritte dal cervello. Gli applico il mio idrosfigmografo sul braccio destro, per registrare contemporaneamente il polso di questa parte del corpo. Noi vediamo così nella linea A l' ingrossamento che succede nell' antibraccio ad ogni sistole del cuore, e nella linea C vediamo il fenomeno corrispondente nel cervello. Io avevo spiegato prima a Bertino di che si trattava, e lo aveva pregato di far bene attenzione a tutto ciò che avrebbe provato durante l'esperimento per sapercelo dire dopo. Il Dott. De Paoli si sedette innanzi a lui ed applicò i due pollici sopra le due grandi arterie che sentiamo pulsare nel collo e che si chiamano le carotidi. Quindi mentre io guardavo la penna dello strumento che registrava sopra un cilindro affumato i moti pulsatorî del cervello, il Dott. De Paoli cominciò a comprimere leggermente le arterie per chiuderle, quando vidi che scompariva il polso feci cessare. Era così tutto pronto per l'esperienza. Bertino non disse nulla. Si misse in moto l'apparecchio che fa girare il cilindro e cominciò a scriversi la linea C ed A (fig. 2). Nel punto segnato alfa si comprimono

Pagina 72

Fisiologia del piacere

170835
Mantegazza, Paolo 3 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
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La sensibilità generale, diversa nei diversi individui, li rende atti a raggiungere gradi maggiori o minori di piacere in una medesima sensazione, come la prepotenza di alcune facoltà sopra le altre determina una prevalenza di certi bisogni, e quindi di corrispondenti piaceri. Molti uomini sono, a questo riguardo, monomaniaci, o poco meno. L'esercizio di una data facoltà e dei relativi piaceri tende a perfezionarli sempre più in questi, per cui spesso diventano insensibili ad altri piaceri, che hanno trascurati per abbandonarsi alle gioie predilette. Qualche volta la monomania cresce a tal segno da far loro avere in odio alcuni piaceri, che pur sono innocentissimi, ma che hanno l'unico torto di non essere i loro prediletti. La maggior parte degli uomini però è dotata in proporzione mediocre di tutte le facoltà, e nessuna predomina in modo prevalente, per cui anche i piaceri si riducono a una media proporzionale che si può adattare a quasi tutta la massa delle generazioni di ogni tempo e di ogni paese. Molti individui non si dànno la briga di cercare una formula di piacere che si adatti ai propri bisogni. Alcuni arrivano perfino alla ridicola enormità di voler godere secondo un celebre autore. Queste però sono eccezioni mostruose, e, in generale, l'opinione pubblica, facendo da cerretano, vende a buon patto, a quasi tutti gli uomini volgari, alcune formule di piacere che si adattano ai tempi che corrono.

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Tra queste ponetene mille altre che servono a rannodarle ed a ravvicinarle, e voi avrete rappresentata la coscienza del piacere riflesso nell'umanità intera.

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Tutti questi piaceri sono fisiologici, cioè conformi a natura, e non diventano morbosi che quando vengono goduti a scapito delle facoltà più delicate del sentimento e dell'intelletto. L'uomo che li sa dominare, senza mancare di desideri, riporta una delle vittorie più difficili e rare, giacchè i piaceri del sesso sono le voluttà più violente del senso e, per moltissimi individui, le maggiori di tutta la vita. I piaceri venerei goduti con saggia economia non fiaccano che per pochi momenti l'uomo, e non esercitano che un'influenza molto minore sulla donna. La debolezza che li segue attacca l'apparato muscolare, il senso, il sentimento e l'intelletto. Il pensiero è lento e impacciato nella sua azione, le sensazioni sono ottuse, e l'aumento dell'appetito e il bisogno di riposo invitano l'uomo a riparare alla perdita di sostanza e a rianimare col sonno l'abbattuto sistema nervoso. La vita intera viene pure modificata dalla somma di molti atti voluttuosi successivi, e il sentimento ne risente la massima influenza. L'esercizio della funzione del sesso, formando il primo anello della catena sociale, ci rende più affettuosi e facili a compatire e a perdonare, mentre la vittoria completa sugli istinti della carne sublima le facoltà intellettuali a scapito del sentimento, oppure ci fa schiavi dei brutali piaceri della tavola, qualora la mente non abbia che pallidi bisogni. I piaceri del sesso hanno poi un'importanza molto diversa nella vita dei singoli individui. Chi è capace di godere dei tesori dell'intelligenza o delle squisitezze del sentimento, non dedica ai piaceri sessuali che una piccola parte di se stesso, mentre altri, per imperfezione congenita o per abbrutimento della condizione sociale, dedica la maggior parte delle sue forze alle lotte amorose. La monotona e lurida stoffa della vita di molti non porta altre tracce che una serie più o meno interrotta di punti segnati dai labili delirii di amplessi volgari. Per fortuna, però, gli individui normali, equilibrati, che non eccedono nè nell'astinenza, nè negli abusi, sono l'assoluta maggioranza, e questi della funzione, eminentemente volta alla riproduzione della specie, non fanno solo una fonte di godimento, e nemmeno la trascurano a danno dell'incremento demografico.

Pagina 36

Sull'Oceano

170901
De Amicis, Edmondo 43 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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L. 4 - Marocco. 12.a edizione.............................................................................. " 5 - Olanda. 11.a edizione................................................................................. " 4 - Costantinopoli. 14.a edizione. 2 volumi.................................................... " 6.50 - Ricordi di Londra. 9.a ediz. con 22 segni................................................. " 1.50 - Ricordi di Parigi. 6.a edzione..................................................................... " 3.50 - Ritratti letterari. 2.a ...................................................................................... " 4 - Poesie. 4.a edizione.................................................................................... " 4 - La vita militare, 15.a impressione della nuova edizione del 1880 riveduta e completamente rifusa dall'autore con l'aggiunta di due nuovi bozzetti......................................................................................................... " 4 - Gli Amici. 9.a edizione. Due volumi.......................................................... " 7 - Cuore. Libro per i ragazzi. 90.a edizione................................................. " 2 - Alle Porte d'Italia. Nuova edizione completamente rifusa ed ampliata dall'autore....................................................................................................................... " 3.50 - Sull'Oceano. 15.a edizione......................................................................... " 5 - In-8 illustrate. Marocco. Con 171 disegni di Stefano Ussi e Cesare Biseo..................................................................................................................................................... L. 15 - Costantinopoli. Con 202 disegni di Cesare Biseo.................................. " 20 - La Vita Militare. Con disegni di V. Bignami, E. Matania, D. Paolocci e Ed. Ximenes................................................................................................................ " 15 - Olanda. Con 41 disegni e la carta del Zuiderzee.................................... " 10 - Gli Amici. Edizione ridotta dall'autore e illustrata da Amato, Colantoni, Farina, Paolocci, Ximenes, Pennasilico.......................................................... " 4 - In preparazione: Maestri a maestre. EDMONDO DE AMICIS SULL'OCEANO Ventesima edizione. MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI 1890. PROPRIETÀ LETTERARIA È vietata la riproduzione anche parziale. _____ Riservati i diritti di traduzione. Tip.Fratelli Treves.

A quell'ora, nel salone di sotto, si giocava agli scacchi e al domino; i passeggieri che dormivano in coperta ricevevan gli amici nei camerini illuminati, dove bevevano il Bordeaux o la birra; e a prua, intorno all'osteria, c'era ressa di passeggieri, che si presentavano col loro buono, debitamente firmato dal Commissario, per una tazza di caffè, per un bicchierino di rum, per un mezzo litro di vino, tanto per festeggiare la giornata finita. Andai a prua, a zonzare un poco, come un malvivente, sotto la protezione dell'oscurità, nella quale apparivano come ombre dei gruppi di donne coi bimbi addormentati sul servo, degli uomini che trincavano soli, in disparte, dei giovanotti che andavano in volta, tra la folla, con dei musi di cani da caccia, ficcando gli occhi in tutti i canti. E quella sera, per la prima volta, assistetti alla separazione dei due sessi, che si faceva sotto la sorveglianza del piccolo marinaio gobbo, incaricato di mandar le donne a dormire. Erano corsi, dalla partenza, nove giorni di vita claustrale all'aria aperta: gli affetti matrimoniali s'erano riattizzati un poco, e oltre alle legittime, s'eran formate delle coppie nuove, in cui quella maniera di vita produceva lo stesso effetto che nelle altre. Ma il gobbetto grigio doveva spartirle tutto egualmente, senza considerazione di alcun diritto legale, e ogni sera alle dieci, puntuale e inesorabile come il vecchio Silva, compariva con la lanterna alla mano, e cominciava a girare per tutti gli angoli, a sciogliere amplessi e a troncar colloqui amorosi dicendo ogni cinque passi: - A letto! A letto, donne! A letto, ragazze! - Era una scena delle più comiche. Le coppie resistevano; separate qui, s'andavano a riattaccare più in là, tra il macello e il lavatoio, all'ombra della cambusa, dietro ai gabbioni, nei passaggi coperti, in tutti i luoghi dove non battesse il lume d'un fanale. E il povero gobbo ritornava sui suoi passi, ripetendo pazientemente : - Andemmo, donne! Andemmo, figgie, che l'è oôa! - Qualche volta, per ingraziarsi le renitenti, diceva: - Andemmo, scignôe! - A capo d'un quarto d'ora, le donne sfilavano in processione, in mezzo a due ali d'uomini, come a una passeggiata di gala, e sparivano l'una dopo l'altra, per le porticine dei dormitori, giù nel ventre del bastimento. Alcune tornavano indietro a porgere ancora una volta i bimbi al bacio del marito, o a stringere e ristringere la mano ai nuovi amici; altre si soffermavano a chiamare i ragazzetti rimasti indietro: - Gioanniiin! - Baccicciiin! - Putela! - Picciriddu! - Piccinitt! - Gennariello! - e la lanterna tenuta in alto dal gobbetto rischiarava degli sguardi languidi di belle ragazze, degli occhi lustri di giovanotti, delle facce di mariti scontenti, a cui il regolamento pesava. - Andemmo! Andemmo! - continuava a gridare il gobbetto. - Un po' ciù presto, scignôe! - Finalmente, anche la coda della processione fu sotto. Ma il gobbo, che conosceva i suoi polli, tornò a fare un giro a prua, sicuro di trovarci ancora qualche amoretto rintanato, qualche peccato mortale racchiocciolato al buio; e ce lo trovò in fatti, come ce lo trovava ogni sera. Seguitandolo a pochi passi, sentii le sue esclamazioni di padre guardiano scandalizzato, e le sue minacce, a cui rispondevano delle voci maschili, che lo mandavano al diavolo, ed altre, più dolci, che parea che negassero o domandassero grazia: Ma egli non fece grazia, e vidi passare di corsa delle donne col capo basso, coi capelli in disordine, che cercavan di nascondersi agli sguardi dei curiosi, e sparivano, inseguite da una scarica di colpi di tosse. Spazzato che ebbe gli ultimi rimasugli d'amore, il vecchio gobbo si fermò con la sua lanterna davanti a me, e asciugandosi la fronte con la mano: - Anche questa giornataccia è finita! - esclamò. - Ah! che mestê! - Ma sul suo viso rozzo di buon diavolaccio, mentre guardava giù per la scala del dormitorio, si leggeva un sentimento di pietà per tutta quella miseria, e fors'anche per tutti quei desideri che aveva cacciati là sotto "d'ordine superiore". - È un duro dovere, eh? - gli dissi, per attaccare discorso, e sentire una delle sue sentenze filosofiche. Egli mi guardò in viso, alzando un po' la lanterna, e, dopo un momento di riflessione, disse sentenziosamente: - Quando un ommo si trova nella posizione che mi trovo mi, di giudicare il mondo com'è che si presenta a bordo, poveri e scignori, e le cose che succedono in mare, da ridere e da piangere, tanto donne che uomini, ma ancora più le donne che gli uomini, mi creda, scignore, quello lì si forma un'idea, che non si stupisce più di niente, e compatisce tutto. - Detto questo s'allontanò; e scomparsi a poco a poco anche gli uomini, il piroscafo rimase queto e in silenzio, come uno smisurato animale che scorresse sulle acque assopito, non facendo sentir altro che le pulsazioni regolari del suo cuore mostruoso.

Pagina 115

Io però non capivo ancora come a bordo fosse possibile d'annoiarsi: anzi mi rallegrava la vista degli annoiati per la stessa ragione che si prova più piacevole il sentimento della salute in mezzo a gente che soffra il mal di mare. E quel giorno non mi poteva mancare lo spettacolo: tra il tocco e le quattro specialmente, che è sempre l'ora più terribile, incominciai a veder delle facce da far dire: - A momenti costui si decompone, e bisognerà spazzarlo fuor di coperta. - Non era la noia che il Leopardi chiama il più grande dei sentimenti umani; ma un imbecillimento compassionevole, che si manifestava in una cascaggine generale di palpebre, di guance, di labbra, come se le facce fossero fatte di carne lessa. Fra i più martoriati, trovai il genovese, che stava affacciato all'osteriggio della macchina, con un viso su cui non appariva più nemmeno un riflesso moribondo d'intelligenza. - Che cosa fa qui? - gli domandai; - come non è in cucina ? - N'era uscito allora: nessuna novità. I tagliatelli domani.... forse; ma non era accertato. E mi spiegò perchè stesse là a guardare per lungo tempo il movimento monotono di un'asta di stantuffo; una teoria sulla noia, sua personale: - Ho osservou, diceva, che la noia deriva dal non poter fare a meno che pensare a cose spiacevoli. Dunque, per scacciar la noia, non c'è altro rimedio che di non pensare, come le bestie. Ebbene, io mi metto qui, immobile, a guardare il saliscendi di quello stantuffo. A poco a poco, in meno di venti minuti, mi riduco in uno stato di completo istupidimento, un vero asino; allora non penso più a niente e non mi annoio più. No gh'è atro. - Io diedi in una risata; ma egli rimase serio, e tornò a guardar lo stantuffo con l'occhio dilatato e fisso d'un morto. Stavo per dirgli che, per cacciar la noia, sarebbe stato meglio discendere addirittura a veder la macchina; ma parendomi che si trovasse già quasi nello stato desiderato, me ne astenni. E discesi io. Un'osservazione appunto mi veniva fatta ogni giorno, passando di là: quella macchina maravigliosa, non dieci forse dei mille e settecento passeggieri del Galileo sarebbero stati in grado di dire che cosa fosse, e neppure avevan curiosità di saperlo. Così di cento altri miracoli meccanici dell'ingegno umano, dei quaii ci serviamo e andiamo alteri, noi siamo poco meno ignoranti dei selvaggi che disprezziamo perchè li ignorano. Eppure non solamente per l'ignorante che non n'ha altra idea da quella d'un pentolone gigantesco e d'un intrico misterioso di ruote, ma anche per chi ne acquistò qualche nozione nei libri, è un piacere nuovo e grande la prima volta che si decide a infilare il camiciotto turchino d'un macchinista e a discendere in quell'inferno tenebroso e sonoro, di cui non aveva mai visto che il fumo per aria. Quando s'è arrivati in fondo e si leva il capo a guardare in su, dove non appare più il giorno che come un barlume, ci pare d'essere calati dal tetto giù fra le fondamenta d'un alto edifizio; e alla vista di tutte quelle scalette di ferro ripidissime che s'alzano una sull'altra, di quelle griglie orizzontali che girano sul nostro capo, di quella varietà di cilindri, di tubi colossali e d'ordigni d'ogni fatta, agitati da una vita furiosa, formanti tutti assieme non so che spaurevole mostro di metallo, che occupa con le sue cento membra palesi e celate quasi una terza parte del piroscafo enorme, si rimane immobili dalla maraviglia, umiliati di non comprendere, di sentirsi così piccoli e deboli davanti a quel prodigio di forza. Cresce ancora l'ammirazione quando si penetra nel vulcano che dà vita a ogni cosa, fra quelle sei smisurate caldaie, sei case d'acciaio, divise da quattro strade che s'incrociano, simili a un quartiere chiuso, e infocato, dove molti uomini neri e seminudi, dai volti e dagli occhi accesi, ingoiando a ogni tratto delle ondate d'acqua, lavorano senza posa a pascere trentasei bocche roventi, le quali divorano in ventiquattr'ore cento tonnellate di carbone, sotto il soffio di sei colossali trombe a vento, ruggenti come gole di leoni. Par di ritornare alla vita quando, uscendo di là grondanti di sudore, ci ritroviamo davanti alla macchina, dove pure ci pareva, poco innanzi, d'esser quasi sepolti. E non di meno si stenta un pezzo ancora a riavere la mente libera. Il macchinista ha un bello spiegare. Quel movimento vertiginoso di stantuffi, di bilancieri e di turbine, che gl'ingrassatori rasentano con un'apparenza di noncuranza che fa rabbrividire; quel frastuono assordante che producono insieme lo strepito metallico delle manovelle, i fischi delle valvole atmosferiche, il rumor sordo delle pompe ad aria e i colpi secchi degli eccentrici; quel va e vieni di spettri coi lumi alla mano, che salgono e scendono per le scalette, spariscono nelle tenebre, riappariscono di sopra e di sotto, facendo scintillare per tutto acciaio, ferro, rame, bronzo, e rischiarando di volo forme strane, movimenti incompresi, passaggi e profondità sconosciute, tutto questo ci confonde nel capo anche le poche idee nette che avevamo prima di scendere. E ci sentiamo rassicurati davanti alla grandezza poderosa dei meccanismi; ma scema questo sentimento a poco a poco, al veder con che cura minuta i macchinisti li vigilano, e con che attenzione inquieta stanno a sentire se in quel concerto uniforme di suoni scappi la più leggera nota stonata, e se fra quei vari odori abituali si avverta menomamente il bruciato; e come corrono a toccare qua e là se la temperatura dei metalli superi quel dato grado, a vedere se spunti in qualche parte un indizio di fumo sospetto, a mantenere costante la pioggia d'olio che da cinquanta lubricatori scende di continuo su tutte le articolazioni dell'immane corpo. Perchè quel corpo immane, che affronta e vince le tempeste dell'oceano, è delicato come un organismo umano, e il più piccolo turbamento del più piccolo dei suoi membri lo sconturba tutto, e vuole un rimedio immediato. A un corpo vivo egli rassomiglia infatti, assetato, come gli uomini che gli danno il pasto, dall'incendio che gli bolle nel ventre, e costretto a tracannar senza tregua dal mare un torrente d'acqua, ch'ei gli rigetta in fontane fumanti; e tutto quel complesso di ordigni è come un torso titanico, di cui tutti gli sforzi convergono nell'impulso formidabile d'un lunghissimo braccio di ferro, col quale gira la gran vite di bronzo, che lacera l'onda e muove tutto. Si guarda e vengono in mente le antiche Iiburne, con le tre coppie di ruote ad ali mosse da buoi; e s'immagina con un senso d'alterezza lo stupore che inchioderebbe là un antico a quella vista, e il grido d'ammirazione che gli uscirebbe dal petto! Egli però non potrebbe immaginar mai quarto quella maraviglia sia costata ai suoi simili: un secolo di tentativi sfortunati, un altro secolo di trasformazioni continue, una legione di grandi ingegni che spesero intere vite attorno a un perfezionamento che un altro successivo fece cader nell'oblio, e poi il martirio del Papin, il suicidio di John Fitch, il marchese di Jouffroy ridotto alla miseria, il Fulton beffeggiato, il Sauvage impazzito, una sequela interminabile d'ingiustizie e di lotte miserande, da Iasciare in dubbio, leggendo la storia delle grandi invenzioni, se basti l'esempio del genio e della costanza eroica di chi le fete, a consolare la coscienza umana dell'ignoranza caparbia, della cupidigia feroce, dell'invidia infame che le ha combattute, e che, potendo, le avrebbe uccise. Tutto questo dice con le sue cento voci aspre e affannose quel colosso mirabile, destinato forse anch'esso a parere ai nostri nipoti lontani un rozzo e debole apparecchio di principianti.

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Lo ringraziai, scansando il dito, e mi ritrovai sopra coperta a tempo giusto per vedere per la prima volta il mio Commissario nell'esercizio delle sue funzioni di pretore, e in una causa curiosissima. Entrava in quel momento nel suo ufficio la grossa bolognese di prua, con una faccia di leonessa ferita, e col suo inseparabile borsone a tracolla. L'uscio non essendo mascherato che da una sottile tendina verde, si sentiva qualche parola. Povero Commissario! Non tardai ad avere un'idea della santissima pazienza che egli doveva esercitare in quella specie di sedute. La voce della querelante incominciò concitata dalla collera, piena di superbia e di minacce. Non capii altro se non che si lagnava d'un'ingiuria, e che questa doveva essere una supposizione che aveva fatta un passeggiero sopra il contenuto del suo borsone misterioso. Riferiva il fatto, chiedeva la punizione dell'ingiuriatore, intimava al Commissario di fare il suo dovere. Questi la richiamò al rispetto della carica e le raccomandò di calmarsi, promettendo di domandare informazioni. A quelle parole, la voce di lei si raddolcì un poco, e mi parve che incominciasse un racconto, con un'intonazione sentimentale, che s'alzava grado a grado al drammatico. Sì, era Ia sua autobiografia, una delle solite: una famiglia distinta; un parente che scriveva nei giornali, e che avrebbe messi tutti a segno; la madre, il padre, una buona educazione, e poi delle disgrazie, ingiustizia della sorte, una vita illibata.... A un tratto, la crisi inevitabile: uno scoppio di pianto. Allora udii la voce del Commissario che la confortava. E intanto si era formato davanti all'uscio un gruppo di donne e d'uomini della terza classe, fra i quali una faccia buffa di contadino, a cui mancava la punta del naso, e che doveva essere il reo, che s'andava scolpando: - Infine.... non ho mica detto d'esser sicuro, io...: non ho fatto altro che una supposizione.... - Era il reo. Infatti, essendosi affacciato all'uscio il Commissario, egli disse: - Son io, - ed entrò. Subito s'udì un'eruzione d'improperi bolognesi, che mandarono all'aria la famiglia distinta: - Carogna d'un fastidi! At el feghet d'avgnìrom dinanz? At ciap pr'el col, brott purzèll! brott grògn d'un vilan seinza educazion! - Poi s'intesero le tre voci insieme, poi quella sola del colpevole. Diamine! La cagione della lite era proprio il contenuto ipotetico di quella famosa borsa, intorno al quale si beccavano il cervello da nove giorni tutti i capi ameni di prua, facendo le più bizzarre congetture del mondo. Ma la parola incriminata non s'intese. S'intese però il Commissario fare una risciacquata al contadino, minacciandogli i ferri, e questi chieder scusa, e la bolognese brontolare ancora; dopo di che l'uno uscì a capo basso e l'altra a fronte alta; ed io, alzata la tendina verde, vidi il giudice buttato a traverso al divano, con le mani sui fianchi, soffocato da un accesso d'ilarità, e spossato dallo sforzo che aveva fatto per contenerlo. Qual'era dunque la supposizione? Che cosa ci doveva essere in quella benedetta borsa ?... Oh! Impossibile indovinarlo! Una delle più buffonesche stramberie che possano passare pel capo d'un burlone impertinente; una pensata di cui avrebbe riso sotto i baffi anche il più arcigno moralista, e a cui l'autore delle Baruffe chiozzotte, salvo il rispetto, avrebbe potuto apporre il suo nome. E fui costretto anch'io a chieder aiuto al divano. Ma dovetti alzarmi subito perchè entrava un'altra donna a lagnarsi d'una voce che avevano "messa in giro" a suo carico. Povero Commissario! - gli dissi uscendo; la giornata è cominciata male e minaccia di finir peggio. - Eh! questo non è nulla! - rispose con la sua dolce rassegnazione. E data un'occhiata al termometro: - Vedrà - soggiunse quando saremo ai trentasei gradi. - E ripresa la sua faccia di pretore, si rivolse alla nuova venuta.

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Udii con piacere la campanella che ci chiamava a tavola, dove speravo di veder un quadro più gaio.

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Giovò anche a liberarmene il comandante, che quella mattina, a colazione, era in vena di chiacchierare, e pieno di buon umore, benchè trasparisse poco dal suo cipiglio di piccolo Ercole dai peli rossi. Per il solito, quello era il suo miglior momento. Esaminati i calcoli astronomici degli ufficiali, puntata la sua carta, computato il cammino fatto e quello da farsi, se nelle ultime ventiquattr'ore il Galileo avea filato bene, e se non c'erano novità spiacevoli a bordo, egli sedeva a tavola stropicciandosi le mani, e teneva viva la conversazione. Ma pure in quei giorni esordiva con qualche invettiva marinaresca contro i camerieri, così, per abitudine, e per dare un avvertimento salutare. A uno che gli faceva delle scuse, diceva: - Va via, impostò! - A un altro minacciava due maschae (due schiaffi). A un terzo: - Mïa, sae, che se començo a giastemmâ! (bada, sai, che se comincio a bestemmiare!) E minacciava schiaffi e pedate articolarmente a Ruy-Blas, il quale rispondeva con un finissimo sorriso, come se dicesse: - Infuria, tiranno! Hai la potenza, ma non l'amore. - Veramente, per una tavola dove c'eran signore, quel linguaggio era un po' troppo.... colorito. Ma noi scusavamo, pensando ai molti comandanti d'altre nazioni, che son perfetti gentiluomini a tavola, e beoni furiosi in camerino, e ci pareva che, trattandosi d'affidar la vita a qualcuno, fosse preferibile un rusticone temperante a un gentiluomo briaco.

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Quella mattina, come sempre, diede una presa di mascalzone a destra e una presa di porto a sinistra, e poi cominciò a mangiare e a discorrere lentamente. Ricordo quella conversazione, tutta di carattere marino schietto, per la crudele tortura a cui mise il povero avvocato mio vicino. Fu prima la signora grassa, la supposta domatrice di belve, la quale mise il discorso sopra una brutta via, domandando al comandante, con una mancanza d'opportunità che tradiva la Chartreuse mattutina, quale fosse la cagione più frequente dei naufragi. Il comandante, con la bocca piena di pane, rispose che si contavano cinquanta e più maniere di naufragio: scoppi di caldaia, incendi, vie d'acqua, uragani, cicloni, tifoni, rocce, banchi di fondo, abbordi e via dicendo. Metà dei naufragi, peraltro, si poteva affermare che derivassero da ignoranza professionale, da imprevidenza, da trascuratezza, da difetti di costruzione dei legni; insomma da cause evitabili. Un anno sull'altro, seguivano da sei mila naufragi, tra bastimenti e barche; e, sciànotte, non comprendendo nella statistica la China, il Giappone e la Malesia. L'avvocato, fin dalle prime parole, s'era rannuvolato, e faceva mostra di non ascoltare; ma si vedeva che una curiosità malata lo costringeva a prestar orecchio. E fu peggio quando Ia signora, con uno di quei salti che fan le donne nella conversazione, uscì a domandare al comandante che cosa credeva che si provasse, che si vedesse, quando s'andava giù, sotto l'acqua. - Cose se prêûva, - rispose il Comandante, - no savieivo. Cosa si vede.... Ecco. Per un certo tratto Si vede ancora la luce, una luce velata, livida; poi... si è come in un chiarore crepuscolare, dicono, di un color rosso.... sinistro; e poi.... buona notte: un'oscurità completa, una grande diminuzione di temperatura, fino a zero gradi. Si gela. Però - soggiunse, rivolgendosi all'avvocato, come se dicesse per consolarlo, - può anch'essere che non ci sia oscurità assoluta, si possono dare degli accidenti di fosforescenza... poco allegri, in ogni caso. L'avvocato cominciava a dar dei segni d'impazienza, brontolando - Discorsi da farsi a bordo... vo' via da tavola, io... educazione di villan cornuti.... Allora il vecchio chileno, il genovese monocolo e il comandante cominciarono a citare e a descrivere naufragi celebri, l'uno più orrendo dell'altro; con quell'indifferenza per la morte che suole scender nell'anima per il canale cibario, quando si siede a una buona tavola; e vennero su su dalla zattera famosa della Medusa fino all'Atlas, sparito tra Marsiglia ed Algeri senza che se ne sia mai saputo notizia. Il comandante ricordò i piroscafi inglesi Nautilus, Newton-Colville e un altro, partiti da Danzica per l'Inghilterra nel dicembre del 1866, e svaniti come tre ombre, senza che si sia mai saputo nè dove, nè quando, nè come. L'avvocato smise di mangiare. Ma il comandante continuò. Con l'eloquenza che spiegan tutti parlando d'un fatto in cui rischiaron la vita, si mise a descrivere una tempesta spaventevole che aveva colto sulle coste d'Inghilterra, quando comandava ancora un bastimento a vela, e arrivato al momento supremo, imitò con una nota di testa, ma con grande verosimiglianza, il grido lungo e disperato che aveva messo il timoniere: - Andemmo a fooooooondo! A quelle parole l'avvocato s'alzò, e sbattuto il tovagliolo sulla tavola, se n'andò a passi concitati, masticando degli accidenti, che guai se n'arrivava uno al suo indirizzo. Ma siccome gli seguiva spesso d'alzarsi prima degli altri, il comandante non ci badò, per fortuna. Povero avvocato! Non era ancora uscito che si cambiò discorso ex abrupto, come se fino allora non si fosse parlato che per far dispetto a lui. Prese la parola il comandante, e cominciò a dare alla conversazione quel colorito vario e stranissimo e quell'andamento matto, che le può dare solamente il comandante d'uno di quei piroscafi transatlantici, per il quale i luoghi lontanissimi che egli tocca, e in cui vive tutta la sua vita, sono come uniti e confusi in un solo, sempre e tutto presente al suo pensiero. Dall'ultima rappresentazione del Fra Diavolo al Paganini di Genova saltò a una quistione che aveva avuto il mese avanti a San Vincenzo del Capo Verde con la negra dalle mammelle caprine, che fabbricava fiori di penne d'uccello; attaccò non so che avventura domestica del provveditore di carbone di Gibilterra con un pettegolezzo del porto di Rio Janeiro; e da una colazione a cui era stato invitato a Las Palmas, nelle isole Canarie, cascò addosso a un impiegato imbroglione della dogana di Montevideo. A me pareva di sentir parlare un uomo miracolose che vivesse ad un punto in tre continenti, e per cui lo spazio ed il tempo non esistessero. E notai che le persone con le quali aveva che fare nei porti dei suoi tre mondi, erano le sole che rimanessero fisse e distinte nel suo pensiero; e che quell'altre innumerevoli che egli imbarcava e sbarcava di continuo, passavan per la sua mente come per il suo piroscafo, senza lasciarvi altra traccia che una reminiscenza sbiadita. E poi, una conoscenza sui generis dei vari paesi, come si può acquistare a guardarli di sull'uscio: aveva sulla punta delle dita, per esempio, i prezzi del mercato dei legumi, e quasi nessuna idea della storia e della forma di governo. E così delle varie lingue, non possedeva che i sostantivi e i verbi d'una certa categoria, le monete di rame, per dir così, della conversazione, e una grammatica sola per tutte. E nel giudicare le cose del mondo, una certa ingenuità di collegiale adulto, che va in società una volta al mese; cognizioni e opinioni fuor dell'uso, poste a una gran distanza le une dalle altre, e d'una faccia sola, appunto come le città a cui egli approdava, di cui, non vedeva che il panorama marino. L'ultimo suo aneddoto fu una lite attaccata nel 1868 con un sensale di grano di Odessa, e risolta, secondo il solito, con una generosa elargizione di briscole, - delle sue. - E ghe n ho dæte! - E glie n'ho date! disse. Poi finì; parlando soltanto ai suoi vicini, con un elogio serio e ragionato di sua moglie, una donna economica, casalinga, piena di buon senso; che egli avrebbe voluto aver incontrata e sposata dieci anni prima. Alzatosi da tavola, si fermò all'uscita del salone, come soleva fare quand'era contento di sè, per veder sfilare i passeggieri, a cui faceva un leggiero cenno di saluto, con un aspetto di gravità benigna. Stando vicino a lui, colsi a volo uno sguardo severo che lanciò alla signora bionda, il cui contegno pareva che cominciasse a urtare i suoi principii rigorosi di moralità marittima, e forse più in quel momento, ch'era ancora caldo dell'apologia di sua moglie. Ma la signora passò ridendo, senz'avvedersene. Quasi nello stesso tempo rimasi stupito vedergli alzare il berretto e fare un mezzo inchino, in aria di grande rispetto, alla signorina di Mestre, che passava a braccetto con la zia. Quando fu passata, egli si voltò a' vicini, e disse gravemente - Quella figgia lì.... a l'è un angeo.

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A un dato punto, il quadro prose vita, e la pittura si cangiò in scena di commedia. II toscano piantò la compagnia, quasi bruscamente, e se n'andò difilato verso prua, con un disegno sul viso, come di rappresaglia amorosa; e un minuto dopo la signora svizzera e il tenore si separarono: questi si mise a seder in disparte e finse di leggere un libro; quella si diresse verso il marito, da cui l'argentino s'allontanò subito facendo a lei un saluto diplomatico. L'agente di cambio mi comparve accanto, come una larva. - Stia a vedere mi disse - una bell'operazione di strategia di bordo. Lei che scrive deve osservar queste cose. Il toscano s'è ritirato dal combattimento. Il tenore sta in riserva. La signora eseguisce una finta manovra in faccia al nemico. Oh perdio! Me l'han fatta ieri; non me la faranno più oggi. - In fatti la signora faceva mille moine al marito, gl'infilava il braccio sotto il braccio, gli parlava nell'orecchio, pareva che gli domandasse delle spiegazioni intorno al solcometro. E la faccia del capelluto professore era maravigliosa: rivelava un intero sistema di filosofia, che doveva essere antico in lui: egli socchiudeva gli occhi, come un gatto che s'appisola, e torceva tutto il viso da una parte, mostrando la punta della lingua, con una smorfia indicibilmente lepida; la quale però lasciava trapelare una certa intenzione astuta di canzonatura, come se in cuor suo egli ridesse di lei, di sè, dell'altro, degli altri, del mondo intero. Intanto il tenore era scomparso. E la signora si passava una mano sugli occhi e copriva col ventaglio dei piccoli sbadigli poco spontanei, come per mostrare che aveva voglia d'andar a dormire - Attenti! - disse l'agente. - Ora vien la mossa decisiva - Non lo aveva anche detto, che la signora s'era staccata dal marito, e lentamente, facendo un visetto insonnito, attraversava il cassero, per discendere. - Eh! - sclamò l'agente; il momento è ben scelto. Non c'è un cane di sicuro dentro a quei forni di sotto.... Ma c'è la giustizia di Dio! E scappò sotto egli pure. Non una di queste mosse era sfuggita a quel serpente a sonagli della madre della pianista, la quale bisbigliava le sue osservazioni alla sua vicina, la signora della spazzola; e tutt'e due, mandando scintille dagli occhi, s'alzarono a un punto solo, e si mossero.... Ma era inutile. La svizzerella tornava su, velando la stizza col suo bel sorriso, e tenendo un libro fra le mani, come se fosse scesa per pigliar quello; e due minuti dopo, dall'altra scala, ricompariva il tenore, solfeggiando e guardando il mare, con un'affettazione di indifferenza che tradiva una rabbia canina. A pochi passi dietro di lui veniva innanzi l'agente, felice, che mi fece di Iontano un cenno della mano aperta, col pollice al naso. Il tenore s'avvicinò a me, e mi disse: - Bel mare, eh?

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Intorno a quella bella e buona ragazza s'era venuto formando un cerchio d'antipatie e di rancori che non le davan più pace. Tutti gli spasimanti non guardati o ributtati con uno sguardo o con un atto di disgusto, le eran diventati nemici, e quel suo contegno dignitoso e immutabile gli aveva inaspriti a poco a poco fino all'odio. Dicevano che era "stupida come una scarpa", un pezzo di carne, senza sangue, tutta mani e piedi, imbottita di cotone davanti, e certi denti! Al dispetto degli uomini s'era aggiunta la gelosia delle donne, rabbiose di vederle ai fianchi cento "imbecilli" in adorazione. La bolognese e le due coriste, in ispecie, le lanciavano delle occhiate da bollarla a fuoco. Avevano cominciato con chiamarla, per sarcasmo, la principessa; poi a dire che tutta quella modestia di monachina era un'impostura; e infine a mettere in giro a suo carico ogni specie di calunnie. Non si può dire la sudiceria dei discorsi che le si tenevano intorno, la turpitudine delle osservazioni che si facevano sulla sua persona, ad alta voce, provocando delle risataccie insolenti, di cui non le poteva sfuggire il significato. Era un vero fiore in mezzo a un letamaio. L'avrebbero insultata a faccia aperta, le avrebbero messo le mani addosso, non per altro che per avvilirla, se non fosse stato il timore delle autorità di bordo. Il cuoco medesimo era diventato furioso, e non mostrava più al finestrino che la faccia terribile d'un sultano offeso. Per due o tre giorni le aveva ronzato intorno il toscanello di prima classe, s'era già fin anche messo in relazione col padre; e tutte quelle canaglie avevan già dato il mercato concluso e l'affare fatto; ma poi aveva smesso tutt'a un tratto, senza che si sapesse perchè. Il solo rimasto devoto, innamorato più che mai, preso fino al midollo delle ossa, poveretto, era quel tale giovane mingherlino, con una borsa di cuoio alla cintura, che pareva preso alla pania; - un modenese, scrivano di professione, - solo, - del quale s'era incapriccita pubblicamente una brutta loschetta di terza, coi capelli rossi e il viso cruscoso, ch'egli non curava. La sua passione, cresciuta flno all'istupidimento, era diventata lo spasso di tutti: gli tiravano dei sospironi a raglio dietro le spalle, gli cantavano

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I belli umori, invece, si raccoglievan quasi tutti sul castello centrale, che offriva maggior spazio a far buffonate, ed era come una piazza di villaggio, un luogo di passo, comodo ai crocchi e al pettegolezzo. Qui, nell'angolo a sinistra, vicino al palco di comando, c'era conversazione e chiasso dal levar del sole fino a notte. Il buffone della brigata era un contadino del Monferrato, quello stesso che aveva fatto la supposizione scandalosa sul borsone della bolognese: una faccia di brighella, a cui mancava il naso. Tutta la terza classe sapeva come l'avesse perso: gliel'aveva portato via con una sciabolata un carabiniere briaco, che egli, stracotto pure, aveva provocato una notte, in un vicolo del suo villaggio; ma il comico stava in questo, che la mattina dopo, sperando di trar partito di quello snasamento, egli aveva ricorso, per farsi risarcire dei danni, alle Autorità, a cui il carabiniere s'era ben guardato di far rapporto; e frutto del ricorso eran stati varii giorni di carcere, dopo molte corse al tribunate del circondario, e cento lire di multa. Costui aveva sbagliato mestiere: era un pagliaccio nato : contraeva e allungava il muso come una bestia, ballava dei balli grotteschi di sua invenzione, contraffaceva la gente in maniera maravigliosa, e quando passava un'autorità di bordo, salutava con un atto di finto rispetto, che faceva crepar dalle risa. Dopo di lui, il più famigerato era un ometto dalla testa pelata, con un grosso orzaiolo a un occhio, un ex portinaio, il quale si teneva sempre accanto una gabbia con due merli, che curava molto, contando di venderli a Buenos Ayres a ottanta lire l'uno: affare tentato da molti altri. E doveva la sua popolarità a un tesoro pornografico che aveva ereditato da un parente: un grosso quaderno tutto pieno di caricature oscene, di sciarade sporche o di aneddoti, i quali, letti a pagina piegata, eran brani di vite di santi, e a pagina aperta, troiate dell'altro mondo. Costui aveva sempre intorno un gruppo di dilettanti di grasso, che rileggevano cento volte al giorno le stesse lordure, buttandosi a traverso alle panche dal ridere, con gli occhi lacrimanti di gioia. E allora egli alzava la fronte come un attore applaudito, felice. Un terzo, un cuoco d'osteria, era un tipo frequentissimo a bordo: il sapientone che, per essere già stato una volta in America, s'arroga una superiorità professorale sui suoi compagni di viaggio, spiega a modo suo tutti i fenomeni marini e celesti, sdottora di meccanica navale, parla del nuovo mondo come di casa sua, e a tutti spaccia consigli, e dà di villano ignorante a chi non gli crede: il Commissario l'aveva sorpreso una volta che spiegava il movimento rotatorio della terra, con una meta in mano, schiantando spropositi da far fermare il bastimento. A tempo perso, sonava anche l'ocarina. C'era infine un barbiere veneto che brillava per la sua abilità d'imitare la voce del can da pagliaio che abbaia alla luna: un ululato lamentevole che straziava i nervi, ma che avrebbe ingannato tutti i cani d'Italia. Ma già tutti gli "specialisti" eran stati scovati e costretti a dar saggio di sè: un vecchio giardiniere, fra gli altri, s'accoccolava dietro una stia e imitava l'anelito rabbioso d'uno per cui volere non è potere, con una perfezione insuperabile: un vero artista, dicevano, ed era tenuto in gran conto. Lì poi giocavano a tarocchi, a pila e croce e alla tombola, e cantavano per ore intere; giocavano perfino a mosca cieca, dei lanternoni coi capelli grigi, e a guancialin d'oro, come rimbambiti. Il grande spettacolo, poi, era quando ci veniva da prua, preso da un estro di mattoide, il saltimbanco tatuato, e camminava con le gambe per aria, faceva il serpente o la ruota, in mezzo a un subisso di applausi, sempre torvo nel viso, come se facesse quello per castigo; dopo di che se n'andava senza far parola, com'era venuto. Ma quell'allegria pareva spesso più voluta che spontanea, e quasi una specie di ubriachezza a digiuno che si procurassero per scacciare i ricordi tristi e i presentimenti cattivi; poichè era veramente un furore come coglievano a volo ogni minimo pretesto per stordirsi col baccano. Si gittavano alle volte in cento contro it parapetto o s'affollavano in cerchio precipitatamente, levando un rumor di grida, di fischi, di miagolli, di chicchiricchi, che si spandeva per tutto il piroscafo e faceva voltare il viso inquieto agli ufficiali: ed era per un cappello caduto in mare, o perchè un di loro s'era tinto il naso di nero, cadendo sopra la boccaporta d'una carboniera. E quando passava in mezzo a loro una ragazza o una donna che non appartenesse a nessuno, era un coro di schiocchi di lingua, di trilli d'uccelli, di voci onomatopeiche d'ogni intonazione e significato, che obbligava la disgraziata a darsela a gambe. La serva negra dei brasiliani, sopra tutto, quando passava di là per andar a mangiare o a dormire nelle terze, mostrando il bianco degli occhi e dei denti come per mordere, suscitava una tal musica di versi d'amore animaleschi, che pareva di sentire l'urlo d'un serraglio in calore. E avevamo il fatto nostro noi pure. E di fatti, tolta la vernice, a chi l'aveva, della buona educazione e della cultura, c'era poi una gran differenza tra il castello centrale e il cassero di poppa? Come si sarebbero trovati facilmente i tipi gemelli e le analogie delle conversazioni! E incredibile come ci conoscevano, e con quanto fondamento di vero spettegolavano alle nostre spalle scoprendo il lato ridicolo di tutt i noi. Per via indiretta lo venivamo tutti a risapere. Conoscevano qualche cosa dell'indole e delle abitudini di ciascuno, per mezzo dei camerieri di bordo e dei servitori privati dei passeggieri, ed erano al corrente della nostra piccola cronaca quotidiana, come segue nelle botteghe e nelle soffitte riguardo ai casigliani dei piani signorili, e quel che non sapevano indovinavano, e commentavano ogni cosa. Ad alcuni avevano messo dei soprannomi, di altri contraffacevano l'andatura e la voce. Voltandoci indietro all'improvviso quando si passava di là, sorprendevamo sempre tre o quattro che si ammiccavano, o ricomponevano in fretta il viso da una smorfia di canzonatura. Quelle eran le nostre Forche caudine.

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E quella scenata seguiva davanti a uno degli aspetti più stupendi che offrano l'oceano e il cielo nella regione dei tropici. Essendosi squarciato poco innanzi al tramonto il velo fitto di vapori che ci avvolgeva da tre giorni, il sole calava nel mare come un rubino enorme, gettando sulle acque tranquille una lunghissima striscia purpurea abbagliante come un torrente di lava accesa che corresse a incenerire il Galileo. E quando il sole toccò l'orizzonte, le nuvole, infocate del più pomposi colori, cominciarono a svolgersi lentamente, presentando mille forme maravigliose, che ci facevano stare a bocca aperta, e sclamare man mano che si cangiavano: - Che peccato! - come allo svanire d'un sogno incantevole. Erano monti d'oro, da cui precipitavano fiumi di sangue, fontane immense di metalli in fusione, padiglioni sublimi, sfolgoranti di sotto d'una così gloriosa luce, che, a fissarvi lo sguardo, la mente vacillava un momento, e s'aspettava con un senso quasi di trepidazione l'ultima visione di Dante, i tre giri di tre colori e d'una contenenza, dipinti dell'effigie umana, davanti a cui mancò possa all'alta fantasia.

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Quando fummo più vicini, il legno a vela salutò per il primo con la bandiera. Il Galileo rese il saluto. Allora cominciò tra il piroscafo e il veliere un dialogo affrettato, che l'ufficiale traduceva a voce per noi, e che gli emigranti seguitavano con gli occhi, in silenzio, come se capissero. Era un bastimento italiano, tenuto là immobile dalle calme equatoriali. Per prima cosa, disse il nome dell'armatore: Antonio Paganetti. Poi: - proveniente da Valparaiso, diretto a Genova. - Da quanti giorni in viaggio? - Da due mesi. - Da quanti giorni fermo ? - Da diciotto. - Quello pittin! (Quel poco!) - esclamò l'ufficiale. E l'altro: - Prego di annunziare la nostra presenza al rappresentante del nostro armatore a Montevideo. Nessuna avaria. Tutti bene. - Bisogno di nulla? - Grazie. - Buon viaggio. - Buon viaggio. Quanto ci parve grande, veloce, allegro il Galileo in confronto a quel piccolo legno immobile, con forse dieci o dodici uomini d'equipaggio, condannato a galleggiare come una cosa morta, chi sa per quarto altro tempo, sotto il raggio terribile del sole dell'equatore! Con un sentimento di pietà lo vedemmo a poco a poco rimpiccolire, diventare un punto bianco, e nascondersi dietro l'orizzonte; ma di pietà da egoisti, simile a quella dei viaggiatori che dai vagoni ampi e comodi d'un treno di strada ferrata lanciato a tutta forza, vedon di sfuggita la carrozza barcollante sotto la pioggia, tirata da un cavallo sfinito, per una via fangosa della campagna. E non da altra cosa che da quel confronto nacque una corrente di buon umore che si diffuse da prua a poppa, e durò fino a sera. Ma quello era il giorno delle novità. A desinare, prima di sedersi, il comandante disse a voce alta: - Scignori, abbiamo a bordo un passeggiere di più. Molti non capirono. - Un bel maschiotto, - soggiunse, - che ha appena un'ora e tre quarti. Tutti si rallegrarono ridendo e commentando. Da un leggiero rossore che passò sul viso della signorina di Mestre, capii che doveva aver partorito la contadina del suo paese. - È nato nell'emisfero boreale, - concluse il comandante; - ma lo battezzeranno nell'altro. Domani si passa l'equatore.

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E l'allegria crebbe ancora a pranzo, dove, eccettuati il garibaldino e la signora della spazzola, che rimase muta e digiuna con lo scopo visibilissimo di fare un dispetto visibile a suo marito, tutti chiacchierarono calorosamente, come una gran tavolata di buoni amici. E si ebbe la grande sorpresa, quella sera, di sentir la voce dei coniugi brasiliani, i quali, messi sul discorso dagli argentini, ed eccitati a poco a poco dall'amor di patria, descrissero con una eloquenza ammirabile, che ci fece rimaner tutti, le bellezze del loro paese, dalla grande baia di Rio Janeiro, coronata di monti a pan di zucchero, e tempestata d'isolette coperte di palme e di felci gigantesche, alle vaste foreste oscure, somiglianti a fitti colonnati di cattedrali senza termine, popolate di scimmie e di pantere, corse da sciami di pappagalli verdi e rosati, sorvolate da nuvoli di gemme e di fiori con l'ali, e di coleotteri accesi. E la conversazione essendosi allargata su quell'argomento, tutti i passeggieri che avevan visitato il Brasile si misero a raccontare e a descrivere insieme, e allora tutta la flora e la fauna brasiliana furono messe sossopra, e passarono sopra la tavola i tapiri e i cocodrilli dei fiumi immensi, i rospi enormi che latrano, i pipistrelli mostruosi che dissanguano i cavalli, le serpi orribili che succhiano il seno alle donne, e le rare che cantano sulle cime degli alberi, e le tartarughe lunghe due metri, e le enormi formiche di San Paolo che gl'indigeni mangiano fritte ; e alla descrizione agglungendosi l'armonia imitativa, fu un frastuono di muggiti, di gracchi e di sibili che pareva d'essere davvero in mezzo a una foresta dei tropici, e in qualche momento si provava un senso di ribrezzo. I soli che non sentissero nulla erano gli sposi, che approfittando della distrazione dei parlatori, si passavano con riguardo il braccio intorno alla vita, bruciati con gli occhi dalla pianista; e la signora bionda, la quale distribuiva occhiate luccicanti all'argentino, al peruviano, al toscano, al tenore con una prodigalità veramente un po' troppo vistosa ; tanto che il comandante, alla fine, si lasciò scappare di bocca la sua frase d'ammonizione : - Quella scignôa a me comença a angosciâ Quella signora mi comincia a stomacare. - Ma fu rasserenato dal brindisi del marsigliese; il quale si levò in piedi, e sporgendo innanzi il busto patagonico, e alzando sopra il capo la tazza dello Champagne, disse con accento grave: - Je Bois à la santé de notre brave Commandant... a la Société de navigation.... à l'Italie, messieurs! - E tutti applaudirono, fuorchè il mugnaio. Ed io gli perdonai in quel momento lo strazio che faceva della mia lingua, e quello che s'immaginava di aver fatto delle mie concittadine.

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Il prete napoletano avrebbe amministrato il così detto battesimo di necessità; al quale doveva aver la mano, poichè aveva viaggiato nei suoi primi anni per quelle campagne solitarie degli Stati lontani dell'Argentina, dove, non essendovi chiese; e conservando appena gli abitanti disseminati una grossolana tradizione della religione cattolica, accadeva che al passaggio d'un prete accorressero a chiedere il battesimo perfin dei giovinotti a cavallo. Egli s'era offerto cortesemente, senza domandar patacones, e un cameriere gli aveva visto tirar fuori la mattina una stola e una cotta, che portavano non dubbi sogni d'un lungo e avventuroso servizio. Al bimbo, secondo l'uso, si sarebbe messo il nome del piroscafo, Galileo; il quale aveva già una dozzina di figliuoli omonimi, sparsi pel mondo. Madrina (sántola) sarebbe stata la signorina di Mestre. Per padrino s'era offerto il comandante; ma il deputato argentino l'aveva indotto a cedergli l'ufficio, per la ragione che il bambino essendo destinato alla cittadinanza del suo paese, toccava a lui a dargli il benvenuto nel nuovo mondo, come rappresentante della Repubblica.

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Ma quel giorno il mare era azzurro, e a traverso al buon umore della popolazione di terza, come per una trasparenza morale, si potevano fare molte osservazioni psicologiche nuove. Poichè bisogna notare: sotto la trama dei dispetti e degli odî se n'era ordita, in quei sedici giorni di viaggio, un'altra di simpatie, d'amori e di ripeschi, molto intricata, e assai più variopinta dell'altra. Il Commissario sapeva tutto o quasi, per veduta propria e per quello che gli andavano a riportare, richieste o no, quindici o venti comari informate d'ogni braca, le quali esercitavano a prua lo stesso ufficio che la madre della pianista e l'agente di cambio facevano a poppa. Ed era un divertimento impagabile il sentirgli sfilar la corona delle passioni, sul palco di comando, con gli occhi sulla folla, indicando via via i personaggi, con quella sua parlata lenta di giudice di pace, comicissimo dentro e grave di fuori. La prua tutta nera di gente ci si stendeva di sotto come un vasto palcoscenico scoperto, accarezzato in quel momento da una brezza morbida, che faceva sventolare i panni distesi a asciugare e svolazzar le cocche dei fazzoletti e i capelli sulle tempie alle donne. Ed egli raccontava. Gli amori eran molti, ed essendo costretti a rimanere la più parte, o sempre o quasi sempre, nei confini d'una castità rigorosa, s'erano venuti rinfiammando e inasprendo, si può dire, a veduta d'occhio, come non accade mai nelle città o nelle campagne. Non c'era donna giovane, maritata o ragazza, che non avesse il suo o i suoi vagheggiatori. impudenti o prudenti, cotti più o meno, e sì o no corrisposti, alla coperta o alla palese. La continenza, e quell'aver sempre l'oggetto lì sotto gli occhi, quasi a contatto, nel disordine del vestito della mattina, o nell'abbandono del sonno lungo il giorno, e nella nudità libera della maternità, aveva fatto nascere capricci e passioncelle vive anche per matrone rustiche semisecolari, che sul continente non sarebbero state degnate d'un pizzicotto. Le giovani poi, se non eran facce da far paura, avevano addirittura dei cerchi di sospiranti; alcuni dei quali, dopo qualche tempo, si stancavano, e si voltavano a ciondolare intorno a un'altra bellezza, lasciando ad altri il posto vuoto; e così i gruppi si venivano mutando. C'erano concupiscenze passeggiere e contemplazioni platoniche, che miravano, più che altro, a ingannare il tempo, e anche corteggiamenti burleschi, fatti per spassare i camerati. Ma c'erano pure innamoramenti seri di maschi presi fino all'anima, d'un'audacia e d'una brutalità che sfidava la luce del sole e il regolamento di disciplina, ostinati e gelosi come arabi, che non volevano concorrenti d'attorno e minacciavano coltellate a destra e a sinistra. Questi avevano tutti i loro posti fissi, di dove durante il giorno, quando non si poteva nulla tentare, covavano oggetto dei loro spasimi con occhi di sparvieri che fissan la preda, e ingiuriavano perfino coloro che, passando, intercettassero i loro sguardi. Avevano preso fuoco perfin certe teste grigie, certi bifolchi cinquantenni dalla pelle di rinoceronte, nei quali si sarebbe detto che la scintillaccia non si dovesse più accendere nemmeno per confricazione. Uno di questi, un monferrino con un muso di cinghiale, era diventato addirittura canuto spettacolo per la contadina di Capracotta, il cui visetto tondo di madonna mal lavata, colorito dal riflesso del suo fazzoletto a rose vermiglie, faceva girar la cùccuma anche a vari altri, non ostante la presenza d'un lungo marito barbuto. Le due coriste che andavano in giro dalla mattina alla sera, ridendo con tutti, strofinandosi a tutti, tastate da tutte le parti, pareva che si divertissero particolarmente a fuorviare i buoni mariti: le mogli le odiavano come la peste, e le apostrofavano senza complimenti, dietro le spalle e davanti, minacciando di ricorrere al Commissario, perchè ripulisse la prua, ch'era una cosa che metteva schifo. Ma non eran le sole: c'eran delle altre facce rotte di città che seducevano i padri di famiglia con un po' di farina sul muso e un po' di porcheria nel fazzoletto, e passavan davanti alle mogli costumate con un certo ghigno da schiaffi, dandosi l'aria di signore: un'infamia; che cosa ci stava a fare a Genova la questura? Ma l'avevano amara soprattutto con quello scimmione di negra dei brasiliani, che non veniva che all'ora dei pasti, e Ia sera, ma che aveva acceso un vero vulcano di passionacce: pareva impossibile, dicevano, con quella nappa rincagnata e quel fetore di caprone; e tutti dietro e intorno, come cani in fregola, a fiutare quel sudiciume, e lei ci sguazzava. Già per essa due mariti erano andati a un pelo dal pigliarsi a pugni, e all'uno la moglie aveva fatto una scenata che s'era intesa fin dalla macchina, all'altro la sua aveva ammollato un sonoro manrovescio, ch'egli aveva puntualmente restituito, riserbandosi a pagare gl'interessi in America. La grossa bolognese, almeno, serbava un certo decoro, voleva portare intatto nell'altro mondo, diceva il Commissario, il suo nome di ragaza unesta: si buccinava bensì che avesse il cuore ferito da un emigrante svizzero, e la sua condotta notturna era dubbiosa; ma di giorno, tra la gente, serbava una dignità d'arciduchessa, tanto più dignitosa, anzi, e più sprezzante, quanto più cresceva intorno a lei l'insolenza delle supposizioni facete intorno al mistero della sua inseparabile borsa. C'eran poi molte altre che, anche nell'amore, davano buon esempio: ragazze morigerate, o almeno timide, che amoreggiavano decentemente con dei giovani per bene, i quali s'atteggiavano ad amici del cuore o ad amanti di seri propositi, e stavano tutto il giorno imbastiti alle loro gonnelle, in atteggiamento languido, ma rispettoso, sotto gli occhi dei parenti. Ma, in generale, la galanteria aveva dei portamenti e parlava un linguaggio che doveva accelerare e raffinare in modo speciale l'educazione dei fanciulli, e delle molte ragazzine tra i dieci e i quattordici anni, ch'erano a bordo, e che in quel serra serra vedevano e sentivano tutto. I più bassi istinti, domati nella vita ordinaria dalla fatiche, o dormenti nella quiete solitaria dei campi, s'erano risvegliati a poco a poco, come bisce, nel petto di tutta quella gente affollata e scioperata, ai calori tropicali, e quando l'oscurità della sera imbaldanziva i circospetti e toglieva ogni freno agli impronti, se ne intravvedevano e se ne sentivano di quelle da far arrossire dei corazzieri a cavallo. Per la forma, s'intende, essendo pornografia a grossi bocconi; chè, quanto alla sostanza, era la stessa che in molti salotti come si deve si distribuisce e si inghiotte a pillole d'oro, senza che nessuno si scandalizzi. E poi.... che succedeva poi? Interrogato su questo punto, il Commissario s'arricciava il baffo destro, tentennando il capo. Senza dubbio, regolamento parlava chiaro, il comandante non transigeva, e il piccolo gobbo era incorruttibile; ma la prua era vasta, rischiarata poco, piena d'angoli bui e di ripari opportuni; e tra gli emigranti, più dell'invidia e della gelosia che li avrebbero spinti a disturbare, poteva il sentimento della solidarietà, fondato sull'hodie mini cras tibi, che gl'induceva a proteggere. Oltre di che, durante la notte, il gobbo non era sempre lì sulla scala del dormitorio a fare la guardia, e spesso s'addormentava; e allora era una baldoria di contrabbandi, una tarantella di peccati mortali, che, se la vedevan le stelle della Croce, spettatrici degli amori all'aria aperta degl'Indiani, dovevan proprio dire che tutti gli uomini son fratelli. Nelle notti senza luna e senza stelle, in special modo, e quando il caldo era forte, non sarebbe bastato un battaglione di gobbi. Giusto, il mio buon scrignuto passò mentre parlavamo di lui, con una boccetta d'olio in una mano, e seguendo forse un suo corso di pensieri, mi disse : - Scià sente:l'è pezo una bionda che sette brunne. (È peggio una bionda di sette brune.) Poi, raccoltosi un momento, e alzando l'indice, soggiunse: - Se e' porcaie pesassan saiescimo zà a fondo da sezze giorni. (Se le porcherie pesassero, saremmo già a fondo da sedici giorni.) E aoa cöse gh'è? (E ora cosa c'è?)

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Mentre ero su quei pensieri, corse un brivido da poppa a prua, e cento voci inquiete, mille visi paurosi s'interrogarono a vicenda. Il piroscafo stava per fermarsi. Molti s'affollarono ai parapetti, a guardar giù, senza saper che cosa; altri corsero dal comandante; qualche signora si preparava a svenire. Il piroscafo si fermò. E impossibile esprimere l'impressione sinistra che produsse quella quiete improvvisa, e che triste figura di povero balocco spezzato fece tutt'a un tratto quell'enorme bastimento immobile e silenzioso in mezzo all'oceano! Come svanì subito la fiducia nelle sue forze e nella potenza dell'uomo! E nello stesso punto si rivelò la malvagità umana che gode del terrore e delle angosce altrui: dei passeggieri spargevan la voce che stesse per scoppiare una caldaia, che si fosse rotta la chiglia e che entrasse acqua nella stiva. S'udirono grida di donne. I fuochisti che, terminato il loro turno, risalivano in coperta col torso nudo e nero, furono circondati, incalzati di domande affannose. Gli ufficiali andavano di qua e di là dicendo parole che il mormorìo della folla non lasciava intendere. Finalmente si diffuse a prua e a poppa una notizia rassicurante: - non era nulla: il riscaldamento d'un cuscinetto dell'asse motore; si stava riparando; fra un'ora si sarebbe ripartiti. - Tutti respirarono; alcuni, che pure s'eran fatti pallidi, scrollaron le spalle, dicendo che avevano indovinato alla prima; ma la maggior parte rimasero sopra pensiero, come accade quando s'è sentito una puntura o un battito irregolare del cuore. Quella macchina, di cui nessuno parlava prima, diventò allora il soggetto di cento discorsi, tutti pieni di una sollecitudine e di un rispetto fanciullesco, che faceva sorridere. Perchè, insomma, essa era il cuore del piroscafo, è vero? Il Comando è il cervello, e se il cervello si guasta, si può vivere ancora; ma se il cuore s'arresta, tutto è finito. E come si chiamava il macchinista? Aveva l'aria d'un uomo di intelligenza e d'esperienza. Non parlava mai. Doveva aver molto studiato. Avrebbe saputo cavarci d'impaccio. Tutti ne facevan le lodi, senza conoscerlo. Solamente il mugnaio scrollava il capo, con un sorriso di pietà, portando a spasso pel cassero la sua pancia vanitosa. Macchinisti italiani! Egli si aspettava di peggio. Americani o inglesi avevano ad essere. Ma la pitoccheria nazionale non ne voleva sapere. - Faltan patacones! - gli rispondeva il prete. (Mancan gli scudi.) Ma a capo a mezz'ora le conversazioni languivano, quell'ora benedetta non passava mai, le inquietudini rinascevano. - Ma che ci voglia tanto, perdio, a far raffreddare un cuscinetto! - esclamava più d'uno che non sapeva neppure che cosa fosse. - È una vergogna! Ma che cosa stillano là sotto? Chi ha mai visto dei buoni a nulla.... Ah! finalmente! La macchina dà segno di vita, l'elice si scuote, il mare gorgoglia: sia ringraziato il cielo! Si va.

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Proprio nel momento che, non conoscendosi ancora la causa della fermata improvvisa, si poteva temere un pericolo grave, e tutti lo temettero, trovandomi io sulla piazzetta, vidi il mio vicino di dormitorio voltarsi a guardar sua moglie, che stava su, appoggiata al parapetto del cassero, e questa, come se avesse preveduto quell'atto, fissar lui. Fu uno di quegli sguardi che rivelano l'anima come un raggio esaminato allo spettroscopio dimostra la natura chimica della fiamma che lo vibra. Non era nè d'ansietà, nè di paura, e neppure di curiosità dubitosa; ma uno sguardo freddo e tranquillo, il quale esprimeva la profonda certezza che avevan tutti e due dell'indifferenza assoluta dell'un per l'altro, anche davanti a quel pericolo sconosciuto da cui poteva uscire la morte. S'erano detti a vicenda con gli occhi: - Io so che non t'importerebbe nulla di perdermi, tu sai che perderei te con lo stesso cuore. - Dopo di che la signora si staccò dal parapetto, e il marito guardò altrove. Questo sarebbe stato il loro addio, se una disgrazia Ii avesse divisi per sempre. Ma che cosa era accaduto tra loro perchè nello stesso tempo s'odiassero a quel segno e rimanessero uniti? Sempre mi ritornava alla mente, a mio malgrado, questa domanda. E pensai che ci dovessero essere dei figliuoli di mezzo, che li costringessero a stare insieme; o un figlio unico, che in casi simili è un legame più forte che parecchi. Nessuno a bordo li conosceva. Quel continuo sorriso forzato, e quasi tremante, di lei, ispirava a tutti una certa ripugnanza, benchè essa, indovinando quel sentimento, si sforzasse di vincerlo, cercando di dare al suo viso e alla sua voce un'espressione di bontà e di tristezza, come se fosse addolorata, ma rassegnata ai falsi giudizi. Egli parlava con pochissimi. Pareva impacciato con la gente, come tutti quelli che sanno che la loro infelicità è manifesta, e si vergognano o si sentono offesi della pietà, che essa ispira. S'indovinava peraltro da certe espressioni rapide dei suoi occhi e della sua bocca, ch'egli doveva essere stato altre volte d'animo aperto e incline all'amicizie gaie, e buono fors'anche; ma che tutte le molle della sua natura s'erano spezzate o allentate una dopo altra in una lunga lotta contro un avversario più forte e più tenace di lui. Era facile accorgersi, in fatti, che egli temeva sua moglie, ma che questa non temeva lui. Si capiva dallo sguardo di sospetto che egli volgeva intorno quando scambiava qualche parola con la signora argentina o con la brasiliana; davanti alle quali stava in quell'atteggiamento di rispetto amorevole e triste che suol tenere con le mogli degli altri chi è infelice con la propria, e vede in ognuna di quelle l'immagine d'una felicità, o almeno d'una vita tollerabile, che a lui non è concessa. E faceva tanto più pena quella timidità di fanciullo martoriato in quell'uomo alto e complesso, a cui rimaneva ancora nei lineamenti una certa bellezza virile. A guardarlo da vicino, gli si vedeva quel tremito frequente dei muscoli delle labbra, che distingue gli uomini abituati a comprimere la collera, e quel modo di fissar gli occhi nel vuoto, senza sguardo e per lungo tempo, che è proprio delle tristezze che vagheggiano il suicidio. E non mostrava mai la noia e l'impazienza degli altri passeggieri: egli pareva indifferente al tempo come i prigionieri condannati a vita. Io non mi sarei maravigliato affatto se avessi inteso dire da un momento all'altro ch'egli s'era gittato tra le ruote della macchina. Forse, a casa sua, avrà avuto la distrazione del lavoro o del movimento, qualche amico, o un vizio con cui cercava di stordirsi: per qualche ora, almeno, non avrà veduto sua moglie. Ma là, su quei quattro palmi di tavolato, esser costretto a vederla e a toccarla di continuo, a odiarla e a esser odiato sotto gli occhi tutti, e a respirare alito suo in una segreta senza luce e senz'aria, era insieme il supplizio della reclusione, della berlina e della galera. E non un'anima umana con cui sollevarsi! Perchè a nessuno egli aveva fatto ancora la minima confidenza, chè si sarebbe risaputo, essendo smaniosi tutti di penetrare il loro segreto. E neppur essa parlava. Erano due tombe chiuse, in ciascuna delle quali si dibatteva un mostro sepolto vivo, senza chiedere aiuto nè pietà.

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La brezza era quasi cessata, e il mare dormiva, in modo che la sera tardi quando scendemmo per coricarci, scorrendo il piroscafo senza scosse e senza scricchiolio, si sentivano tutti i più leggieri rumori da un camerino all'altro, come in quei pericolosi alberghi a tramezzi di legno di certe piccole città del Reno, nei quali le Guide raccomandano di "essere discreti." Quando entrai nel mio camerino, sentii la voce soffocata della signora che parlava rapidamente, con un tuono aspro e monotono, come se facesse una lunga recriminazione, riandando il passato, ricordando fatti e persone; e la voce del marito rispondeva basso, a intervalli, con rassegnazione: - Non è vero, non è vero, non è vero. - Ma incalzando sempre più e inasprendosi l'accusa, le denegazioni di lui pure s'andavano inasprendo e precipitando. L'infelice, impotente a lottare, e neppur più curante oramai di serbare nelle dispute la dignità d'uomo, era ridotto alla misera difesa della femminetta che ripete per un'ora la stessa parola, per paura che il silenzio assoluto non le tiri addosso di peggio. Ma tutt'a un tratto si riscosse, e mise fuori un'onda di parole incomprensibili, furibonde, oltraggianti, disparate, troncate da un gemito di cane arrabbiato, che mi fece fremere.... S'era addentato le mani. Essa rise. Stetti un momento in ascolto, aspettando il rumore d'una ceffata o il rantolo di lei afferrata alla gola. E intesi invece daccapo la voce di lui, ma umile e supplichevole, che pronunciò più volte un nome, "Attilio'", la voce di un uomo che si confessa vinto, che domanda grazia, che consente a tutto, purchè una cosa sola gli sia concessa. Attilio doveva essere un figliuolo, e suo padre uno di quegli uomini, spesso anche fortissimi di tempra, che l'affetto paterno rende pusillanimi, e tien curvi, con le braccia incatenate, sotto al flagello della donna che li può ferire a morte in quell'unico affetto. Non mi parea possibile che a quella supplicazione miseranda non rispondesse la voce della moglie impietosita, e tesi orecchio.... Non udii risposta. Scricchiolarono le assicelle d'una cuccetta: Ia signora si era coricata, senza rispondere. Allora sentii come il rumore d'una mano che frugasse violentemente dentro a una valigia, e mi passò pel capo che egli cercasse una rivoltella. Ma lei continuava a tacere. Quel disgraziato non aveva neppure più il conforto d'essere creduto capace d'un atto di disperazione. Mentre stavo ansioso, aspettando il colpo, s'affacciò un uomo al mio camerino, e al chiarore incerto del lume a bilico riconobbi l'agente. Non intesi bene le sue prime parole perchè badavo al mio vicino: ma nessuno scoppio s'udì: gli era mancato forse il coraggio, come altre volte: intesi invece il rumor d'un corpo che si lascia cadere, come spossato, e il colpo d'una mano sopra la fronte. L'agente non s'avvide di nulla. Aveva ben altro pel capo. Veniva a sfogare la sua stizza con me. Il suo camerino era diventato inabitabile.... da un uomo. Egli aveva infilato un pastrano, e da mezz'ora girava in pantofole per i corridoi, aspettando che i suoi due vicini s'addormentassero. - La grammatica spagnuola, - dissi. Per l'appunto, la grammatica spagnuola; non era altro; ma battevano troppo spesso sul paragrafo delle interiezioni. Gl'importava assai che quello stucchino di Lucca della signora terminasse con dire l'Ave Maria. II peggio era che mentre i primi giorni i suoi colpi di tosse e le sue gomitate contro al tra mezzo gli intimidivano, ora ci avevan fatto l'orecchio, e se ne infischiavano. Facevano delle vere orgette da "gabinetto particolare", rosicchiavan dei dolci portati via da tavola, sorbivan del rosolio: gli pareva perfino che facessero dei giochi di ginnastica da camera, con salti e rotoloni; un monte di monellerie che non si sarebbero immaginate mai a vederli di sopra, con quella timidezza bugiarda di santerelli. Il giorno dopo si sarebbe vendicato; li voleva perseguitare da poppa a prua come un aguzzino, senza lasciarli rifiatare un minuto, e farli diventar pavonazzi a ogni boccone, alla mensa. Che facce! Nulla di più insopportabile del settimo sacramento a bordo, quand'era fresco. Intanto gli toccava di galoppare. Ma non aveva perso il suo tempo. Uscendo dal camerino aveva visto sparire in fondo al corridoio traversale un fantasma bianco, e riconosciuto la signora svizzera; ma non gli era riuscito di scoprire dove si fosse rimbucata, non essendo possibile dall'argentino dell'occhialetto, perchè gli argentini s'eran tutti raccolti nel camerino del gaucho, di dove usciva un tintinnìo di calici, nè dal toscano, che da due sere andava a prua, dove pareva che avesse un rigiro. Sospettava del discendente degli Incas; ma aveva bisogno d'accertarsi. Quanto al professore, credeva che fosse sul cassero, ad aspettare una pioggia di stelle cadenti: quando la signora voleva sbrigarsene si lagnava del caldo, diceva che in due nel camerino si soffocava, e allora lui andava su a studiare le costellazioni. Certo che quel tegamaccio della cameriera genovese, che la notte stava sempre di guardia al crocicchio dei corridoi, non ci doveva star soltanto per sorvegliare il suo Ruy Blas, ma anche per proteggere le scappate di lei, chè altrimenti non sarebbe stato credibile che le passasse sui piedi con tanta disinvoltura. Gli era anche parso di veder trasvolare nell'ombra la negra, e s'era fissato in testa che il marsigliese avesse iniziato un torso di studi sulla razza etiopica. E anche la cameriera veneta gli era parso che quella sera girasse per i corridoi con un becco concupiscevole, che gli destava dei sospetti. Insomma, era una notte agitata, nessuno dormiva, ci sarebbe stato molto materiale per la piccola cronaca del giorno seguente. Già aveva veduto mettere il viso all'uscio due o tre volte la madre della pianista, spiando intorno con una curiosità fiammeggiante. E a proposito: egli seguitava a tener d'occhio la figliuola, a cui brillava il viso di tanto in tanto, quando qualcuno passava; ma chi fosse questo qualcuno non aveva ancora potuto scoprire, perchè sempre, quando aveva visto una di quelle illuminazioni istantanee, eran passati parecchi, e la giovane volpe era così pronta a raccogliere lo sguardo, che non gli era riuscito mai di coglierne la direzione. Oh! una passioncella senza conseguenze, un foco occulto: era tenuta a catena: tutto sarebbe finito in una lettera e in un colpo di forbici.... Ma qualche cosa c'era, e avrebbe indagato ancora. E non avevo inteso la novità? Avevano mandato in fretta a chiamare il prete napoletano, che era uscito a passi di dromedario, infilandosi il tonacone: qualcheduno doveva star male a prua. - Basta, - concluse, - vado su in riposteria a bere un bicchiere di birra, e poi rivengo giù a vedere se si son quetati: accidenti! Buona notte.

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Di fronte a me, chiacchieravano senza un riguardo al mondo l'avvocato e il tenore, e intesi che parlavan della Grecia. Udii esclamare : - Giorgio Byron! - Poi l'avvocato che diceva: - Dunque lei non tien conto delle forze del panslavismo? - Ah! - rispose il tenore, - non mi parli del panslavismo. Per sua regola, non venga mai a par-la-re-a-me del panslavismo! - Sentii dei frammenti di conversazione del prete napoletano col chileno, che dovevan esser ritti in mutande, ciascuno sull'uscio del suo camerino: - Cuando se produce un movimiento de baja en el precio del oro sellado.... - Finalmente tutti tacquero. Ma quando non s'è preso sonno subito, in quelle notti afose, dentro a quelle stie di camerini, non c'è da sperare altro che uno stato di dormiveglia affannoso, nel quale il senso della vista e dell'udito rimangon come velati, ma non sopiti, e il sogno, se si può chiamar sogno ancora, piglia un andamento ad altalena vertiginoso, trasportandoci senza posa dal mare a casa nostra, e di qui sul mare, e poi daccapo a casa, con una lucidità di visione e una brutalità, di disinganni che è un supplizio. E quante volte poi, a casa, anche anni dopo, si rifanno quei sogni medesimi, come se fossero rimasti stampati indelebilmente nel cervello, al pari di cose reali, distintissimi dagli altri innumerevoli della vita, quasi che fossero impressioni d'altra vita! E ricordo il rumor dell'acqua che batteva contro il fianco del bastimento, a pochi centimetri dal mio capo, e che in quel silenzio dello scafo si sentiva più netto che mai: un bisbiglio continuo ed eguale per lunghi tratti, il quale rompeva in parole più alte, in risa rattenute, in sibili sottili, e si smorzava in fruscii leggerissimi, e poi, páffete! uno schiaffo rabbioso, e poi un'altra volta un mormorìo di preghiera, come se il mostro chiedesse di entrare, promettendo che non farebbe male a nessuno, giurando che era mite e innocente. Ah! l'ipocrita! E senza tregua, egli striscia, raspa, lecca, picchia, certa una fessura, si stizzisce di trovar chiuso e saldo, e si lamenta, si maraviglia che si diffidi di lui, e riperduta la pazienza ad un tratto, torna a schernire, a minacciare, a pestar la porta come un padrone sdegnato. E a quella parlantina infaticabile s'uniscon dentro ogni sorta di rumori sospetti: l'anello dell'uscio, la bottiglia dell'acqua, il lume sospeso: a momenti giurereste che c'è un altro che dorme accanto a voi, che una persona gira nel vostro camerino e fruga nelle vostre valigie. E vi riscotete all'improvviso: una persona è entrata veramente e si avvicina. È il cameriere, che viene a vedere se è chiuso il finestrino, e che, dato uno sguardo, scompare. E allora sentite altri rumori sopra coperta, passi precipitosi come di gente che accorra a un pericolo, strepiti incomprensibili, che nella quiete della notte paiono enormi, e fan sospettare un disastro: udite dei passeggieri che escon dal camerino, salgono a vedere, e ridiscendono. Nulla: eran due marinai che tiravano una corda. Richiudete gli occhi, ricominciate a sognare, vi risvegliate di sobbalzo a un rumore assordante e terribile: questa volta qualche cosa è accaduto! è seguito uno scoppio! s'è fracassata Ia poppa! Niente, un piovasco. Ah! finalmente si potrà dormire. Ma a traverso al finestrino appare un leggiero chiarore cinereo. Spunta l'alba. Maledizione! Ancora cinque giorni!

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Via via che salivano, gli emigranti passavano davanti a un tavolino, a cui era seduto l'ufficiale Commissario; il quale li riuniva in gruppi di mezza dozzina, chiamati ranci, inscrivendo i nomi sopra un foglio stampato, che rimetteva al passeggiere più anziano, perchè andasse con quello a prendere il mangiare in cucina, all'ore dei pasti. Le famiglie minori di sei persone si facevano inscrivere con un conoscente o col primo venuto; e durante quel lavoro dell'inscrizione traspariva in tutti un vivo timore d'essere ingannati nel conto dei mezzi posti e dei quarti di posto per i ragazzi e per i bambini, la diffidenza invincibile che inspira al contadino ogni uomo che tenga la penna in mano e un registro davanti. Nascevan contestazioni, s'udivano lamenti e proteste. Poi le famiglie si separavano: gli uomini da una parte, dall'altra le donne e i ragazzi erano condotti ai loro dormitori. Ed era una pietà veder quelle donne scendere stentatamente per le scalette ripide, e avanzarsi tentoni per quei dormitori vasti e bassi, tra quelle innumerevoli cuccette disposte a piani come i palchi delle bigattiere, e le une, affannate, domandar conto d'un involto smarrito a un marinaio che non le capiva, le altre buttarsi a sedere dove si fosse, spossate, e come sbalordite, e molte andar e venire a caso, guardando con inquietudine tutte quelle compagne di viaggio sconosciute, inquiete come loro, confuse anch'esse da quell'affollamento e da quel disordine. Alcune, discese al primo piano, vedendo altre scalette che andavano giù nel buio, si rifiutavano di discendere ancora. Dalla boccaporta spalancata vidi una donna che singhiozzava forte, col viso nella cuccetta: intesi dire che poche ore prima d'imbarcarsi le era morta quasi all'improvviso una bambina, e che suo marito aveva dovuto lasciare il cadavere all'ufficio di Pubblica Sicurezza del porto, perchè lo facessero portare all'ospedale. Delle donne, le più rimanevano sotto; gli uomini, invece, deposte le loro robe, risalivano, e s'appoggiavano ai parapetti. Curioso! Quasi tutti si trovavano per la prima volta sopra un grande piroscafo che avrebbe dovuto essere per loro come un nuovo mondo, pieno di maraviglie e di misteri; e non uno guardava intorno o in alto o s'arrestava a considerare una sola delle cento cose mirabili che non aveva mai viste. Alcuni guardavano con molta attenzione un oggetto qualunque, come la valigia o la seggiola d'un vicino, o un numero scritto sopra una cassa; altri rosicchiavano una mela o sbocconcellavano una pagnotta, esaminandola a ogni morso, placidissimamente, come avrebbero fatto davanti all'uscio della loro stalla. Qualche donna aveva gli occhi rossi. Dei giovanotti sghignazzavano; ma, in alcuni, si capiva che l'allegria era forzata. Il maggior numero non mostrava che stanchezza o apatia. Il cielo era rannuvolato e cominciava a imbrunire. A un tratto s'udiron delle grida furiose dall'ufficio dei passaporti e si vide accorrer gente. Si seppe poi che era un contadino, con la moglie e quattro flgliuoli, che il medico aveva riconosciuti affetti di pellagra. Alle prime interrogazioni, il padre s'era rivelato matto, ed essendogli stato negato l'imbarco, aveva dato in ismanie. Sulla calata v'era un centinaio di persone: parenti degli emigranti, pochissimi; i più, curiosi, e molti amici e parenti della gente d'equipaggio, assuefatti a quelle separazioni. Installati tutti i passeggieri, seguì sopra il piroscafo una certa quiete, che lasciava sentire il brontolio sordo della macchina a vapore. Quasi tutti erano in coperta, affollati e silenziosi. Quegli ultimi momenti d'aspettazione parevano eterni. Finalmente s'udiron gridare i marinai a poppa e a prua ad un tempo: - Chi non è passeggiere, a terra! Queste parole fecero correre un fremito da un capo all'altro del Galueo. In pochi minuti tutti gli estranei discesero, il ponte fu levato, le gomene tolte, la scala alzata: s'udì un fischio, e il piroscafo si cominciò a movere. Allora delle donne scoppiarono in pianto, dei giovani che ridevano si fecero seri, e si vide qualche uomo barbuto, fino allora impassibile, passarsi una mano sugli occhi. A questa commozione contrastava stranamente la pacatezza dei saluti che scambiavano i marinai e gli ufficiali con gli amici e i parenti raccolti sulla calata, come se si partisse per la Spezia. - Tante cose. - Mi raccomando per quel pacco. - Dirai a Gigia che farò la commissione. - Impostala a Montevideo. - Siamo intesi per il vino. - Buona passeggiata. - Sta bene. - Alcuni, arrivati allora allora, fecero ancora in tempo a gettare dei mazzi di sigari e delle arance, che furon colte per aria a bordo; ma le ultime caddero in mare. Nella città brillavano già dei lumi. Il piroscafo scivolava pian piano nella mezza oscurità del porto, quasi furtivamente, come se portasse via un carico di carne umana rubata. Io mi spinsi fino a prua, nel più fitto della gente, ch'era tutta rivolta verso terra, a guardar l'anfiteatro di Genova, che s'andava rapidamente illuminando. Pochi parlavano, a bassa voce. Vedevo qua e là, tra 'l buio, delle donne sedute, coi bambini stretti al petto, con la testa abbandonata fra le mani. Vicino al castello di prua una voce rauca e solitaria gridò in tuono di sarcasmo: - Viva l'Italia! - e alzando gli occhi, vidi un vecchio lungo che mostrava il pugno alla patria. Quando fummo fuori del porto, era notte. Rattristato da quello spettacolo, tornai a poppa, e discesi nel dormitorio di prima classe, a cercare il mio camerino. Bisogna dire che la prima discesa in questa specie di alberghi sottomarini somiglia deplorevolmente ad una prima entrata nelle carceri cellulari. In quei corridoi stretti e schiacciati, impregnati delle esalazioni saline dei legnami, di puzzo di lumi a olio, d'odor di pelle di bulgaro e di profumi di signore, mi ritrovai in mezzo a un andirivieni di gente affaccendata, che si disputavano i camerieri e le cameriere con quell'egoismo villano che è proprio dei viaggiatori nella furia del primo installamento. In quella confusione, rischiarata inegualmente qua e là, vidi di sfuggita il viso ridente d'una bella signora bionda, tre o quattro barboni neri, un prete altissimo, e una larga faccia tosta di cameriera irritata, e udii parole genovesi, francesi, italiane, spagnuole. Allo svolto d'un corridoio m'imbattei in una negra. Da un camerino usciva il solfeggio d'una voce di tenore. E di faccia a quel camerino trovai il mio, un gabbiotto di una mezza dozzina di metri cubi, con un letto di Procuste da un lato, un divano dall'altro, e nel terzo uno specchio da barbiere, posto sopra una catinella incastrata nella parete, accanto a un lume a bilico, che dondolava con l'aria di dirmi: Che matta idea t'è venuta d'andare in America! Sopra il divano luccicava un finestrino rotondo somigliante a un grand'occhio di vetro, in cui mi venne fatto di fissare lo sguardo, come in un occhio umano, che mi ammiccasse, con un'espressione di canzonatura. E in fatti, l'idea di aver da dormire ventiquattro notti in quel cubicolo soffocante, il presentimento dell'uggia e dei calori della zona torrida, e delle capate che avrei dato nelle pareti i giorni di cattivo tempo, e dei mille pensieri inquieti o tristi che avrei dovuto ruminare là dentro per lo spazio di seimila miglia.... Ma oramai non valeva pentirsi. Guardai le mie valigie, che mi dicevano tante cose in quei momenti, e le palpai come avrei fatto di cani fedeli, ultimi resti viventi della mia casa; pregai Dominedio che non mi facesse pentire d'aver rifiutato le proposte d'un impiegato di una Società d'assicurazione, che era venuto a tentarmi il giorno prima della partenza; e benedicendo nel mio cuore i buoni e fidi amici che m'erano stati accanto fino all'ultimo momento, cullato dal caro mare della mia patria, m'addormentai.

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Solamente la signora bionda trillava d'allegrezza sul cassero, passeggiando a braccetto a suo marito, che andava accarezzando con la voce, con lo sguardo e col ventaglio, come una sposa di sette giorni, forse per compensarlo di qualche grave jattura che gli preparava per più tardi, e di cui le luccicava il pensiero nell'azzurro delle pupille infantili; mentre lui, al solito, arrotondava la schiena, e facea con gli occhi socchiusi e la punta della lingua quel leggerissimo sorriso canzonatorio per sè, per lei, per gli altri, per l'universo, che era come la smorfia simbolica della sua quieta filosofia. Su tutti gli altri pareva che gittasse un'ombra di tristezza il pensiero di quel morto che s'aveva a bordo, e che si doveva buttare in mare la notte; e tutti gli occhi si volgevano ogni tanto a prua, inquieti, come se tutti avessero temuto di vederlo apparir da un momento all'altro, resuscitato, per maledire alla sua spaventevole sepoltura. Ed era l'argomento di tutti i discorsi, i quali si facevan gradatamente più neri, come se via via che cresceva l'oscurità, quel corpo si allungasse, e dovesse a notte fitta arrivare coi piedi fino a poppa, a urtare negli usci dei camerini. E il pranzo fu pocò allegro. S'impegnò tra il comandante e il vecchio chileno una discussione lugubre su questo soggetto: se il cadavere buttato in mare con un peso ai piedi, sarebbe arrivato al fondo intero; o se per effetto della pressione enorme delle acque disfacendosi e staccandosi i tessuti, non sarebbe arrivato che lo scheletro. Il comandante era del secondo parere. Il chileno, invece, sosteneva il contrario, dicendo che la pressione della massa d'acqua soprastante essendo trasmessa da quella che impregnava il corpo, in maniera da esser sentita in tutte le direzioni e oppostamente in tutti i punti, ne seguiva che il corpo avrebbe dovuto scendere illeso. Poi, accordandosi sulla velocità iniziale, sull'aumento di velocità nella discesa e sulla profondità massima dell'Atlantico, calcolarono che il cadavere avrebbe impiegato un'ora a compiere il suo viaggio verticale. - Adagio, però, - disse il chileno, - il cadavere può trovar delle correnti che lo risospingano in su ad una grande altezza. A quest'immagine del cadavere che tornava in su, m'accorsi che il mio vicino avvocato cominciava a fremere. Nondimeno stette fermo lì, coraggiosamente. Ma il genovese ebbe la cattiva ispirazione di riferire la descrizione, letta in un giornale di New-York, della discesa d'un palombaro, il quale aveva trovato dentro alla carcassa d'un piroscafo andato a picco i cadaveri dei naufraghi mostruosamente gonfiati, ritti nell'acqua, con gli occhi fuor della fronte e con le labbra cadenti, così orrendi a vedersi al lume della lampada, che gli s'era agghiacciato il sangue nel cuore ed egli avea preso la fuga come un pazzo; e a quell'uscita l'avvocato non potè più reggere: balzò in piedi, e sbattendo la forchetta sul piatto: - Un po' di riguardo, signori! esclamò, e prese l'uscio. Il comandante, stizzito di quella scena, non parlò più, e il desinare finì nel silenzio. Ma al momento di alzarci, il genovese mi s'avvicinò col viso allegro, e mi disse all'orecchio: - È per mezzanotte!

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Appena svegliato, sentii che l'aria era carica d'elettricità: una sfuriata di gelosia della cameriera genovese, portata via dalla passione a tal segno, che inveiva a voce alta per i corridoi contro il Ruy Blas infido, ripetendogli cento volte il nome dell'animale nero, senza un rispetto al mondo, come se fosse stata nel bel mezzo di piazza Caricamento: a fatica riuscì l'agente di cambio a farle chiudere la fontana degli improperi, minacciandola di andar diritto dal comandante. Salgo su: trovo il comandante fuor della grazia di Dio, che agitava per aria un foglio, interrogando il Commissario, e minacciando di correr lui in persona a piggiali a pê in to cu tutti e quarantasette. Gli avevan fatto ricapitare poco prima una lettera, firmata alla meglio da quarantasette passeggieri di terza classe, i quali si lagnavano del vitto, sollecitando in special modo "una maggior varietà nella guernizione dei piatti di carne" che era sempre la medesima; il che, diceva la protesta, deve cessare. La protesta era stata promossa dal vecchio toscano dal gabbano verde, e scritta sur un foglio di carta che rivelava un istintivo abborrimento del lavatoio in tutti quanti i sottoscrittori; la qual cosa inaspriva incredibilmente la collera del comandante, che sospettava in quella sudiceria una intenzione d'offesa, e voleva dare una lezione esemplare. Intanto ordinava un'inchiesta. Di più, il Commissario gli riferiva che durante la notte non si sapeva quali passeggiere di terza avevan tagliuzzato colle forbid il vestito di seta nera di quella certa signora, senza motivo alcuno, per pura malvagità, e che questa volta la povera donna, stata paziente e timida fino a quel giorno in mezzo a ogni sorta di sgarbi, aveva perso il lume degli occhi, ed era corsa a chiedere giustizia, singhiozzando, soffocata dall'angoscia e dall'ira. Si trattava di scoprir le colpevoli. Ma c'era altro. Non si sapeva chi, per non essere costretto a succhiare e costringere i marinai a dar l'acqua a bidoni, aveva spezzati tutti i bocchini dei cernieri dell'acqua dolce. Ma s'era sulle tracce dei rei. Si trattava di stabilire il castigo. La giornata s'annunziava male.

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Per noi di prima le cose si guastarono ancora alla colazione, che fu cattiva, e resa peggiore dal silenzio e dal cipiglio addirittura tragico del comandante, il quale avea sul cuore un affare, oltre a quello dei quarantasette, assai grave. Un'ora prima gli s'era presentata con molta dignità la madre della pianista, e gli avea sfoderata una protesta in tutte le forme contro gli svolazzamenti lenti notturni della signora svizzera, la quale, a ore incredibili, passava in abbigliamenti leggerissimi davanti al suo camerino, attiguo a quello di lei, con molto scandalo della ragazza; quando pure lo scandalo non era peggio; il che accadeva tutte le volte ch'essa mandava il marito su, a studiare il cielo stellato, e nel camerino non restava sola. Ci doveva essere di balla qualche persona di servizio; oramai non si parlava d'altro a poppa; era una cosa che non poteva durare; il signor comandante avrebbe dovuto metter riparo. E il comandante, stuzzicato nel suo debole, aveva gettato fuoco e fiamme, e promesso in so zuamento Sul suo giuramento. di dir quattro parole delle sue a quel barbagianni di professore, e alla signora, se fosse occorso, e anche a quell'altro o a quegli altri, chè il bastimento non era quello che credevano, e che avrebbe fatto rispettare la decenza, perdio, da tutti quanti, a costo di mettere i marinai di sentinella nei corridoi. E aveva concluso solennemente: Porcaie a bordo no ne veuggio. C'era dunque da aspettarsi una scenata. Durante tutta la colazione, intanto, egli saettò occhiate da Torquemada sulla signora bionda, che molti altri guardavano, parlandosi nell'orecchio, senza che ella s'avvedesse di nulla. Stringata in una deliziosa veste color di tortora, più fresco e più vispa che mai, empiva l'orecchio a suo marito di cinguettíi e di trilli, sorridendo a tutti i suoi amici coi suoi dolci occhi senza pensiero, simili a due belle finestre d'una sala vuota, mostrando in mille modi i denti bianchi, le mani piccole, il braccio tornito, l'anima misericordiosa. E dopo colazione ricominciò il suo va e vieni sul cassero, interrotto da scomparse improvvise a cui seguivano riapparizioni aspettate, inconsapevole, poveretta, della spada di Damocle che le pendeva sui riccioli biondi; anzi sempre più gaia e più viva, quanto più le cresceva la noia d'intorno, e come animata da un ardore d'eroina che allattasse degli assediati sfiniti, dicendo con gli occhi che non era sua colpa se non poteva fare di più in sollievo dell'umanità sofferente, ma che faceva tutto quel che poteva. Fuor d'ogni dubbio, s'era rimessa sul serio con l'argentino; ma il tenore e il toscano non erano abbandonati, e il Perù pareva che stesse per entrare nella confederazione.

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Insomma, stando a terra, avevo pur desiderato molte volte di trovarmi a una tempesta di mare. Ecco dunque una buona fortuna per l'artista. Ma quando, voltatomi a guardare sulla piazzetta, vidi accorrere intorno al comandante, ufficiali, macchinisti, marinai, camerieri, e il comandante gesticolare come se desse ordini premurosi, e poi tutti sparpagliarsi di corsa da varie parti, e gittarsi ad assicurare le lance, a fermare le stie, a chiudere le boccaporte, con furia precipitosa, aprendo a spintoni la folla che fuggiva sotto i primi spruzzi del mare, allora, dico la verità, cercai in me l'artista e non ce lo trovai più. Mi parve anzi che fosse già scappato da un quarto d'ora.

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Guardai intorno a me: c'eran già dei visi pallidi. Ma in alcuni la curiosità, in altri l'avversione ad andarsi a chiudere in camerino, prevaleva ancora. Le signore si stringevano al braccio dei mariti. Gli uomini si tastavano a quando a quando con un'occhiata, ciascuno pigliando animo e alterezza dalla faccia dell'altro, che gli pareva più brutta di quello che supponesse la sua. A un tratto passò sul cassero uno spruzzo violento, e s'intese un: Nom de Dieu! - e poi una risata forzata. II marsigliese era stato scappellato e infradiciato da capo a piedi. Nello stesso punto salirono correndo quattro marinai a portar via i sofà e le seggiole. Poi arrivò il Commissario gridando: - Sotto, signori! Si chiude il salone, si spiccino. - Allora s'intese un grido dell'anima: - Oh Dio! Dio mio! - Era la sposa. Non si può immaginare l'eco intima che ha in tutti quel primo grido, quella prima irresistibile confessione del terrore della morte, da cui tutti sentono smascherato violentemente lo stato d'animo che dissimulano agli altri e a sè stessi. E allora fu una fuga disordinata e precipitosa a traverso al polvischio degli spruzzi che già saltavano per tutta la larghezza della coperta, in mezzo a una confusione di voci concitate e discordanti: - Oh Pablos! Pablos! - Presto, signori, presto. - Santa Maria benedetta. - Siamo serviti. - Dio mio! - Accidémpoli! - Coraggio, Nina. - Que relàmpagos! - Sciä faççan presto, per dio santo! - Ebbi appena il tempo di vedere le punte degli alberi che descrivevan per aria dei grandi archi di cerchio, e un infernale rimescolìo di gente alla porta del dormitorio di terza, e fui spinto nel salone. Una signora inciampò e cadde a traverso all'uscio. Per un momento m'apparì sulla piazzetta il Commissario, come ravvolto in una nuvola d'acqua, e sentii il nitrito lontano d'un cavallo. L'uscio fu chiuso. E nello stesso tempo uno scroscio formidabile e vicinissimo del fulmine e uno spaventoso movimento di fianco del piroscafo, che sbattè i passeggieri parte sul tavolato e parte contro le pareti, tolsero l'ultimo dubbio a chi ne poteva ancora avere: era una tempesta.

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Non difficile per la ragione che teneva inquiete molte donne della terza classe, le quali - mi disse il Commissario - immaginavano che il piroscafo si dovesse infilare in una specie di canale strozzato fra le rocce, dove non avrebbe potuto passare che scorticandosi, a rischio d'andare in pezzi, come le barche per l'apertura della grotta azzurra di Capri; ma perchè, a cagion della nebbia, e del gran numero di bastimenti che s'incontrano là, in quel vestibolo dell'oceano, dove si baciano quasi i due continenti, era molto facile un abbordo, che poteva mandarci tutti a fondo, senza lasciarci il tempo di recitar l'atto di contrizione. Fu quindi necessario di procedere con grandissima cautela. E allora si vide una scena mirabile, da cui si sarebbe potuto cavare un grande quadro, intitolato in genovese: - A füffettaLa tremarella. - solenne e comico a un tempo. Il Galileo andava innanzi Ientissimamente dentro alla nebbia densa, che intercettava la vista da tutte le parti, a brevissima distanza dal bordo; tutti gli ufficiali stavano all'erta; il Comandante, ritto sul palco di comando, mandava sotto ordine su ordine, di piegare dall'uno o dall'altro lato; la macchina a vapore gittava ogni momento la sua voce d'allarme, una specie d'urlo rauco e lamentevole, come l'annuncio d'una disgrazia. E a destra, a sinistra, davanti, di dietro, rispondevano altri suoni rauchi e sinistri di piroscafi invisibili, alcuni lontani che parevano ruggiti di leoni dell'Africa, altri vicinissimi, come di piroscafi che fossero sul punto d'investirci, altri radi e fiochi, altri fitti e affannosi. come grida umane che minacciassero e supplicassero insieme. E ad ogni suono, tutti i mille e seicento passeggieri, affollati e ritti in coperta, si voltavano vivamente di là donde il suono veniva, con gli occhi spalancati, trattenendo il respiro, e molti accorrevano da quella parte, dando colore di curiosità alla paura, ma col viso brutto, come aspettandosi di veder apparire la prua d'un colosso che ci venisse sopra. Non si sentiva una voce in quella moltitudine, non si vedeva un viso che sorridesse. Istintivamente le famiglie si stringevano, molti s'andavano affollando vicino alle lance sospese, altri adocchiavano di traverso i salvavite appesi qua e là, tutti volgevano alternatamente gli occhi al comandante, come all'immagine d'un santo protettore, e diritto davanti a sè, su quella nebbia malaugurosa, che poteva nasconder la morte. Uno solo pareva indifferente sul cassero di poppa, ed era il mio vicino di tavola, l'avvocato, seduto con le spalle al mare, che leggeva; e già stavo per ammirare il suo eroismo; ma subito mi disingannai, osservando che il libro gli ballava tra le mani la più allegra danza che possa mai ballare un bicchiere di zozza nel pugno d'uno sbornione condannato. E quella musica funerea di segnali durò più d'un'ora, e con essa il silenzio pauroso a bordo, e quell'andare lentissimo del piroscafo, come d'un esploratore che s'avanzasse nell'agguato d'una flotta nemica. Un'ora eterna. Infine non si sentì più che qualche suono lontano, il piroscafo cominciò a correre più rapido, e il comandante, scendendo dal palco col fazzoletto alla fronte, diede il segnale della liberazione. Giravamo allora intorno al Capo Spartel, e il Galileo faceva la sua entrata nell'Atlantico, in mezzo a uno sciame saltellante di delfini, salutati dagli emigranti con un concerto di grida e di fischi. La nebbia quasi a un tratto svanì, e a sinistra si mostrò la costa d'Africa: una catena di monti lontani, d'una chiarezza di cristallo. E l'Atlantico ci cullava con le sue onde lunghe e placide, simili a vastissimi tappeti azzurri, frangiati d'argento, scossi da miriadi di mani invisibili, gli uni dietro gli altri, senza fine; a traverso ai quali il Galileo distendeva, passando, uno sterminato strascico di trina bianca. Non era diverso il nuovo mare da quello donde uscivamo; eppure ci veniva fatto di alzar la fronte come se lo spirito fosse più libero e l'occhio spaziasse più lontano, e di ber l'aria a lunghe inspirazioni, con un senso nuovo di piacere, come se già ci portasse i profumi potenti delle grandi foreste dell'America latina, alla quale andava diritto il nostro pensiero con un volo di seimila miglia. Il cielo era tersissimo, e pendeva sull'orizzonte uno spicchio bianco di luna, quasi svanito nella soavità dell'azzurro. Pareva che quell'oceano, a cui la maggior parte di noi aveva pensato fino allora con inquietudine, ci dicesse: - Venite, sono immenso, ma buono.

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Quei tristi inneggiavano al vento pampero, a cui dovevano quelle otto ore di morte. Ma il vento pareva che fosse caduto quasi del tutto, benché il mare durasse agitatissimo. Delle facce immelensite si sporgevano fuori degli usci, in aria interrogativa, e poi rientravano in fretta. Una voce, che mi parve quella del Secondo, gridò dall'alto della scala: - È passata, signori! - e gli risposero varie esclamazioni dei camerini: - Oh buon Dio! - Ma è vero proprio? - Laudate Dominum! - Che il diavolo ti porti! - Ah! son mezz'andato! - Ma un fremito di vita ricorreva da tutte le parti, come in un cimitero sotterraneo, dove i morti cominciassero a fregarsi gli occhi e a stirare le braccia. Mi sentii toccare la spalla: era l'agente, in veste da camera, con un livido a traverso il mento, ma allegro. - Ah! che scena! - disse - ho sentito tutto. - Parlava degli sposi: nel momento del pericolo s'eran messi a pregare, e poi s'erano scambiati gli addii, singhiozzando; lui le aveva chiesto perdono d'averla indotta a quel viaggio; s'erano dato il bacio supremo, anzi molti baci supremi. - Ah! Nina mia! -Ah! moe poveo Gêûmo! - E... niente spagnuolo, oh no davvero. Detto questo, scomparve, ma tornò un minuto dopo, a zig zag, facendomi cenno d'accorrere presto, che c'era una grande cosa da vedere. Lo seguitai alla meglio: si fermò davanti al camerino dell'avvocato, ch'era aperto, e mi disse di guardare, dando in una risata. Oh mostro non mai veduto! Io non riconobbi subito una creatura umana in quella informe cosa che vidi distesa a traverso al tavolato, e da cui usciva il guaito che fa Ernesto Rossi sotto le spoglie di Luigi undecimo atterrato da Nemours. L'avvocato, bocconi, insaccato in non so quale vestimento di salvataggio inglese o americano, imbottito di sughero, aveva una gobba sul petto e una sul dorso, ricoperte da una specie di corazza di cotone forte, e una corona di vesciche gonfiate intorno al busto, che gli davan l'aspetto d'un bizzarro animale mammelluto, cascato a terra senza sensi, vinto dai dolori d'un'esuberanza di latte. Quel carico enorme di ridicolo su quel pover'uomo così disfatto e così infelice destava una compassione infinita. L'agente si chinò per richiamarlo in vita, ed io lo lasciai all'ufficio pietoso.

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Ci torniamo a guardar faccia a faccia. Ma com'era brutto ancora, e malauguroso! Grandi onde nere, biancheggianti di schiuma alle creste, tumultuavano, restringendo l'orizzonte da ogni parte, sotto una volta tenebrosa di nuvole, rotta qua e là da squarci grigi di luce crepuscolare, e come agitata da una nuvolaglia sottostante mobilissima e maligna, che volesse ricominciare la lotta. Il piroscafo era tutto bagnato come se in quelle sette od otto ore fosse stato sommerso da un capo all'altro. Per tutto correvan rigagnoli e s'allargavan chiazze d'acqua súdicia. I tetti, le pareti, gli alberi, le lance sgocciolavano come del sudore della battaglia. A poppa e a prua s'agitavano ancora i marinai, con grandi stivaloni, inzuppati da capo a piedi, coi capelli appiccicati alla fronte e al collo, rotti dalla fatica. Incontrammo nel passaggio coperto il comandante, tutto rosso, sudato e sbuffante, che ci passò accanto senza vederci. E picchiando spallate e fiancate dalle due parti del passaggio, sguazzando nella melletta color di carbone, urtati dalle persone affaccendate dell'equipaggio, arrivammo a prua.

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E il Commissario scriveva e scriveva, e si vedeva ripassar dinanzi l'un dopo l'altro i protestanti della montagna a cui aveva fatto delle reprimende, le ragazze che gli avevan rotto la testa con gli amori, le mamme che l'avevano infastidito con le gelosie, gli innamorati impudenti le comari mettiscandoli, i rissanti che era stato costretto a spartire e a punire; e a ciascuno mostrava di riconoscerlo con un sorriso, o con un scotimento di capo, o con una buona parola. Ed io, accanto a lui, non mi stancavo di riguardar quel camerino pieno di registri e di tabelle, pensando a quanti racconti di miserie e bugie romanzesche di ragazze e ire di litiganti e pianti di donne aveva già intesi. E più che altro mi attiravano i sacchi della posta, accumulati in un canto, legati e suggellati. Poichè v'eran là dentro i frammenti del dialogo di due mondi: chi sa quante lettere di donne che per la terza o quarta volta chiedevano dolorosamente notizie del figliuolo o del marito, che non si facevan vivi da anni; e supplicazioni perchè tornassero o le chiamassero a raggiungerli; domande di soccorso, annunzi di malattie, e di morti; e ritratti di ragazzi che i padri non avrebbero più riconosciuti, e richiami desolati di fidanzate e menzogne impudenti di mogli infedeli e ultimi consigli di vecchi: tutto questo mescolato a letteroni irti di cifre di banchieri, a epistole amoroso di ballerine e di coriste, a prospetti di negozianti di vérmut, a fasci di giornali aspettati dalla colonia italiana, avida di notizie della patria; forse anche l'ultima poesia del Carducci e il nuovo romanzo del Verga: una confusione di fogli di tutti i colori, scritti in capanne, in palazzi, in officine, in soffitte, ridendo, piangendo, fremendo. E tutti quei sacchi si sarebbero sparpagliati fra pochi giorni dalle foci del Plata ai confini del Brasile e della Bolivia e fino alle rive del Pacifico e nell'interno del Paraguay e su per i fianchi delle Ande, a suscitare allegrezze, rimorsi, dolori, timori; i quali poi, alla volta loro, pigiati in altri sacchi, avrebbero fatto in direzione opposta il medesimo viaggio, ammucchiati in un altro camerino come quello, dove avrebbero visto passare altre processioni di povere genti, che se ne ritornavano al mondo vecchio, forse meno poveri, ma non più felici di quando l'avevano abbandonato con la speranza d'una sorte migliore.

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. - II lavoro fu interrotto da un'apparizione improvvisa della bolognese, che veniva con tutte le furie addosso a lagnarsi d'una nuova sanguinosa offesa d'un canaglia d'erbóff, il quale, passandole accanto e toccandole la borsa misteriosa, le aveva detto, con evidente allusione a quel certo supposto irripetibile: - Pagano dogana. - Essa lo voleva vedere sul palco di comando coi ferri ai piedi e alle mani, o avrebbe proclamato davanti a tutti i Consoli d'America che gli ufficiali del piroscafo tenevano mano a tutti i più sfacciati boletàri di terza per avvilire le ragazze onorate. Essendo vicina l'America, non parlava più del parente giornalista. Il Commissario la rimbeccò, senz'alterarsi, promise che, finita l'iscrizione, avrebbe fatto giustizia, e si voltò in tronco verso due contadini irritati, i quali ritornavano a farsi cancellare dall'elenco, per non cadere nelle mani di quei boia de lader che si offrivano di sbarcare gratis gli emigranti per essere i primi a spogliarli e a far delle proposte sporche alle loro donne. Erano evidentemente notizie raccolte calde calde a prua, dove degli agitatori lavoravano a scaldare le teste. Andato là, in fatti, vidi sul castello il vecchio dal gabbano verde che perorava in mezzo a un uditorio più numeroso del solito, appoggiandosi, forse per simpatia politica pel color rosso, all'áncora di speranza, e scotendo al vento i capelli grigi. La sbarbazzata del comandante per la protesta dei quarantasette non l'aveva punto intimidito; egli aveva risposto che si sarebbe fatto sentire sui giornali. Ora poi la vicinanza della terra della libertà lo imbaldanziva anche più, e non solo non abbassava più la voce quando qualche dissanguatore del popolo passava da quelle parti, ma la gonfiava, rauca e rude come il suono d'un trombone, tendendo le corde del collo da far crepare la pelle. Egli dava degli ammonimenti da cui si capiva che non faceva quel viaggio per la prima volta: che si guardassero dagli argentini, dai faccendieri della colonia italiana, dai Consoli, dai protettori di tutte le tinte, ch'eran tutti d'accordo, tutti farabutti che tiravano a ingrassarsi a spese dell'immigrazione. Badassero sopra tutto, sbarcando, ai bagagli, ch'eran rubati a man salva; tenessero d'occhio le mogli e le figliuole, chè s'eran dati dei casi nefandi, delle violenze consumate dagli agenti del governo, alla faccia del sole, sotto gli occhi dei padri e delle madri. E niente asili, ch'eran baracche sconquassate, dove ci pioveva nei letti, e non davano da sfamarsi, o mettevan nella minestra delle porcherie che istupidivano, che riducevano un uomo a non saper più fare il più semplice conto, e allora venivano innanzi le birbe a proporre i contratti. - All'erta, figliuoli! - gridava, - all'erta bene, o sarete assassinati peggio che in patria! Guai a chi si fida! - Ma non era il solo che arringasse: altri crocchi qua e là stavano intenti ad altri oratori, sorti lì per Iì, quella mattina. Sul castello centrale'teneva conferenza l'ex cuoco dottore, dilettante d'ocarina. Egli ne aveva visto d'ogni colore, sapeva ogni cosa, aveva un consiglio franco e sicuro per tutti, in qualunque parte dell'America andassero, come se in ogni parte fosse vissuto molti anni, e avesse esercitato tutti i mestieri. Diceva dei tiri scellerati che si facevano agli emigranti che avevan qualche cosa: cessioni di terre lontane per un boccon di pane; terre fertili e irrigate, dove si sarebbero fatti ricconi in dieci anni; e i merli, vuotata la borsa e partiti, trovavan poi dei deserti di sabbia, un'aria miasmatica, gli indiani a poche miglia, i leoni in volta la notte, e dei serpenti di cinque metri che s'infilavano nelle case. E costretti a scappare dalla fame, dovevano viaggiare a piedi per centinaia di miglia prima di trovare un luogo abitabile, flagellati dalla pioggia per settimane intere, e portati via da venti d'inferno, che travolgevano i cani e le vacche come foglie secche. A quei discorsi alcuni, sospettando l'esagerazione, alzavan le spalle, e se ne andavano; ma molti bevevan tutto, e rimanevano pensierosi, con gli occhi al tavolato. In altri crocchi, però, predicavano degli ottimisti: un mondo nuovo, non più tasse, non più leva, non più tirannie: la terra germogliava a toccarla appena con I'aratro, la carne a cinquanta centesimi il chilogrammo, paesi di quattromila anime dove non si vedeva la grinta d'un "signore." E citavano casi di rapide fortune, i granai ricolmi, i lavoratori dei campi che pagavano un professore apposta per i loro figliuoli. " Viva l'America! Finirete di tribolare, sangue d'un cane!".

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Erano i cinque argentini, in compagnia del prete napoletano, che venivano per la prima volta a prua a dare un'occhiata ai loro ospiti. Il prete doveva spiegare al deputato un qualche suo progetto d'impresa finanziaria, perchè gli dicea forte, agitando la mano come un ventaglio: - ... si se encontràran los accionistas para un gran banco agricola-colonizador.... - Ed io mi unii a loro, spinto da una più viva simpatia, in quegli ultimi giorni, per i figli di quel paese a cui tanti miei concittadini stavano per affidare le sorti della propria vita. E cercavo sul loro viso le impressioni dell'animo. Ma essi guardavano e non dicevano nulla. Gli occhi loro, per altro, e ogni minimo atto rivelavan la soddisfazione d'orgoglio ch'ei risentivano al veder tutta quella gente, la quale andava a chieder sostentamento alla loro patria, la maggior parte per sempre, e i cui figliuoli a venire, nati cittadini della repubblica, avrebbero parlato la loro lingua e non più imparato la propria, e mostrato forse vergogna, come troppo spesso accade, della loro origine straniera. Essi forse, guardandoli, si rappresentavano con l'immaginazione tutti quei mangiatori di terra e trafficanti liguri all'opera, e vedevan guizzare le barche cariche sulle acque del Paranà e dell'Uruguay, allungarsi a traverso alle foreste le nuove strade ferrate degli stati tropicali, alzarsi i canneti di zucchero nei campi di Tucuman, e i vigneti sui colli di Mendoza, e le piantagioni di tabacco nel Gran Chaco, e le case e i palazzi sorgere a mille a mile, e miriametri quadrati di deserto verdeggiare e indorarsi sotto la pioggia dei loro sudori. Un'onda di cose mi venne allora alla bocca, da dir loro. Voi accoglierete bene questa gente, non è vero? Sono volontari valorosi che vanno a ingrossare l'esercito col quale voi conquistate un mondo. Son buoni, credetelo; sono operosi, lo vedrete, e sobrii, e pazienti, che non emigrano per arricchire, ma per trovar da mangiare ai loro figliuoli, e che s'affezioneranno facilmente alla terra che darà loro da vivere. Sono poveri, ma non per non aver lavorato; sono incolti, ma non per colpa loro, e orgogliosi quando si tocca il loro paese, ma perchè hanno la coscienza confusa d'una grandezza e d'una gloria antica; e qualche volta sono violenti; ma voi pure, nipoti dei conquistatori del Messico e del Perù, siete violenti. E lasciate che amino ancora e vantino da lontano la loro patria, perchè se fossero capaci di rinnegar la propria, non sarebbero capaci d'amar la vostri. Proteggeteli dai trafficanti disonesti, rendete loro giustizia quando la chiedono, e non fate sentir loro, povera gente, che sono intrusi e tollerati in mezzo a voi. Trattateli con bontà e con amorevolezza. Ve ne saremo tanto grati! Sono nostro sangue, li amiamo, siete una razza generosa, ve li raccomandiamo con tutta l'anima nostra! E non so che riserbo sciocco, - che in quel caso era peggio che sciocco, vile - mi trattenne dal dire quelle cose. Essi m'avrebbero ascoltato con stupore, certo; ma forse non senza commozione. II mare era così bello! E pareva che ognuno lo dovesse rispecchiare dentro di sè. Fin dal mattino s'eran visti all'orizzonte dei velieri e dei piroscafi di paesi diversi, diretti al Plata, e vari stormi d'uccelli erano venuti intorno al Galileo a gridargli il ben arrivato. Finito quel rimescolìo per I'iscrizione, tutti s'erano quetati, e si mostravano inclinati alla benevolenza. Parecchi emigranti che avevano ottenuto di entrare in prima classe a cercar sottoscrizioni per due lotterie, d'un orologio d'argento e d'una vecchia incisione della Madonna, a benefizio di due famiglie povere, raccolsero un monte di firme a sessanta centesimi: la estrazione, diceva il foglio, si sarebbe fatta la mattina del giorno dopo "con le garanzie volute, davanti al macello." Dopo mezzodì, non nacque più alcun diverbio a bordo. Le terze classi ebbero un piatto di braciole con patate che raddolcì molti cuori. E anche il nostro desinare fu tale da far brillare di soddisfazione perfin l'occhio unico del genovese, e reso più saporito anche dall'idea di quel "qualche cosa dopo" che dice il Brillat-Savarin dover essere nell'aspettazione dei commensali, perchè un pranzo riesca davvero piacevole: e questo era per noi il pensiero dello spettacolo che ci avrebbe offerto il piroscafo il giorno dopo, all'apparire della terra. I discorsi, che subivano già Ia forza d'attrazione dell'America, s'aggirarono tutti sui paesi vicini, come se già vi fossimo stati. Fra tre giorni si sarebbe sentito il Poliuto al teatro Colon, e al Solis Crispino e la Comare, col Baldelli. Si discusse il disegno della nuova piazza Vittoria a Buenos Ayres e quello del nuovo Ospedale italiano a Montevideo. I presidenti delle due repubbliche furono notomizzati fibra per fibra, e si fecero molti commenti minuti e calorosi sui giornali benevoli e ostili alla nostra immigrazione nelle due capitali. Solamente il garibaldino taceva, con un velo di tristezza sul viso, piú fitto che gli altri giorni. E tacevano anche i miei due vicini di camerino. Ma sui loro visi c'era qualche cosa d'insolito. l'espressione dell'odio, come sempre; ma animata da un pensiero nuovo, come se al loro arrivo avesse a seguire qualche avvenimento, che ciascuno dei due sperava favorevole a sè e spiacevole all'altro, e da cui dovesse, in certo modo, esser decisa la loro contesa; e non si guardavano in faccia, ma s'indovinava una lotta muta e concitata fra loro, come se si pungessero i fianchi a pugnalate sotto la tovaglia, senza farsi scorgere. Avendo steso la mano tutti e due insieme per prendere una saliera, e previsto a tempo che le loro mani si sarebber toccate, le ritirarono tutti e due nello stesso punto, e continuarono a mangiar senza sale. E anche I'idea che, arrivato in America, non avrei più avuto davanti agli occhi quello spettacolo miserando, mi rallegrava.

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A un tratto il canto cessò, come se l'attenzione del marinaio fosse improvvisamente attirata altrove, e udii dalla parte del palco un grido altissimo - lungo - interminabile - lamentevole: - L'America! Mi corse un brivido per le vene. Fu come l'annunzio d'un grande avvenimento inatteso, la visione immensa e confusa d'un mondo, che mi ridestò tutt'in un punto la curiosità, la maraviglia, l'entusiasmo, la gioia, e mi fece scattare in piedi, con un'ondata di sangue alla fronte. Un altro grido, ma di mille voci, rispose a quel primo, e nello stesso tempo il piroscafo s'inclinò fortemente a destra sotto il peso della folla accorrente. Corsi sul cassero, cercai all'orizzonte.... Per qualche momento non vidi nulla. Poi, aguzzando lo sguardo, distinsi una striscia rossastra che si perdeva a destra e a sinistra in due lingue sottili, simile a una nuvola leggerissima che lambisse la faccia del mare. E stetti qualche minuto a guardare, stupito come gli altri, senza sapere di che. Molte esclamazioni proruppero intorno a me. - Estàmos a casa! - Ghe semmo finaïmente! - Quatre heures, vinticinque minutes! - esclamò il marsigliese, guardando l'orologio: - l'heure que j'avais prevue. - Ecco la vera tierra del progreso! - gridò il mugnaio. - Il tenore disse semplicemente, con l'aria di dire una cosa profonda: - L'America! - La signora grassà, sovreccitata, chiamava l'uno e l'altro per nome, fraternamente, per pregarli che guardassero, che facessero festa a quel lembo di terra, ch'essa vedeva forse assai più vasto di noi. La sola faccia che rimaneva chiusa era quella del garibaldino, e al vederlo, provai un nuovo senso di ripulsione per lui, parendomi che fosse troppo, che fosse una miseria ignobile alla fine quella di veder tutto l'universo morto perchè son morte quattro povere illusioni nel nostro povero cuore.

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Il sole intanto era andato sotto, diritto davanti a noi, di là dalla terra, e si vedeva un crepuscolo stupendo, bello quanto più belli che avevamo visto sui tropici; spettacolo frequente in quella parte d'America, per effetto della grande quantità di vapori che s'alzano dalle acque del Plata e dei due fiumi enormi che lo formano; i quali vapori, accumulandosi in alto, quando l'aria è queta, si tingono di luce e la sfumano e la rifrangono con una forza di colori che vince ogni fantasìa. Non appariva più all'orizzonte che una zona fiammeggiante, ma rotta in mille forme di cattedrali d'oro, di piramidi di rubini, di torri di ferro rovente e d'archi trionfali di bragia, che si sfasciavano lentamente, per dar luogo ad altre architetture più basse e più bizzarre, le quali finirono con presentare l'aspetto delle rovine ardenti d'una città sterminata, e poi d'una serie di giganteschi occhi sanguigni, che ci guardassero. E di sopra il cielo era oscuro, e il mare di sotto, nero. A quella vista, s'era rifatto il silenzio a prua, e gli emigranti guardavano, trasecolati, come se quello fosse un fenomeno arcano, proprio di quel paese. S'intravvidero alcuni isolotti: Lobos a sinistra, Gorriti a destra, poi l'isola di Flores, poi i fanali dei banchi d'Archimede. Il silenzio era così profondo a prua, che si sentiva distintamente lo strepito della macchina. Il piroscafo filava come una barca sur un lago. Un emigrante esclamò: - Che bel mare! - Non siamo più in mare, - osservò un marinaio, ch'era accanto a me. - Siamo nel fiume. L'emigrante e i suoi vicini si voltarono a cercar l'altra riva, e non vedendo che la linea netta dell'orizzonte marino, rimasero increduli. Ma navigavamo già di fatto nel Plata, la cui riva destra era a più di cento miglia da noi. Quando l'ultima luce crepuscolare disparve, vedemmo scintillare i fanali di Montevideo, e una striscia lontana e confusa di case, rischiarata qua e là vagamente, e una selva di bastimenti, di cui non si vedevan che le punte. Oramai si sapeva che non si sarebbe più sbarcati, e la folla era stanca delle commozioni della giornata; ma tutti rimasero sopra coperta per gustare il piacere della fermata. Di Iì a poco, in fatti, il piroscafo cominciò a rallentare il corso e l'anelito; poi parve appena che si movesse; e infine quel mostruoso cuore di ferro e di fuoco che da ventidue giorni batteva affannosamente, diede l'ultimo palpito, e il colosso s'arrestò, morto. A un fischio che suonò sul palco, le due áncore enormi si staccarono dai suoi fianchi, e caddero fragorosamente, trascinando con la rapidità del fulmine le loro grandi catene, che sollevaron scintille dai due occhi di ferro; il mare gorgogliò sul davanti; il piroscafo tremò, e ritacque. I suoi due giganteschi artigli avevano afferrato il fondo del fiume. Gli emigranti stettero ancora qualche minuto ad assaporare la sensazione nuova dell'immobilità e del silenzio, e poi scesero a lunghe file, lentamente, nei dormitorî, e anche i passeggieri di prima, non allettati dal movimento dell'aria, si ritirarono.

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Fui tentato di ripetergli il suo ritornello: - Porcaie a bordo.... Ma egli mi prevenne domandandomi col viso serio: - Che cosa faranno in casa sua a quest'ora? Guardai orologio e risposi: - A quest'ora la mia casa è al buio, e tutti dormono. Egli si mise a ridere, fregandosi le mani. - Anche vosciâ sciâ gh'è cheito! - disse. - (Anche lei c'è cascato.) - A quest'ora in casa sua ci batte il sole, e i suoi ragazzi domandano il caffè e latte. Non ci avevo pensato. Ma il buon comandante, che era veramente contento, mi domandò ancora se, prima d'imbarcarmi, avessi pregato l'armatore di avvertire la famiglia appena ricevuto l'annunzio dell'arrivo. Risposi di sì. - Ebbene, - disse, - fra tre ore la sua famiglia saprà che è arrivato in America in buona salute. Non avevo pensato neanche a questo, e discesi, contento anch'io, a dormire il mio ultimo sonno nel ventre del Galileo.

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Erano saliti a bordo allora un impiegato gallonato del porto di Montevideo e un medico, - quello un omone con un fil di voce, questo un mezz'uomo con una voce di gran cassa; - i quali, dopo essersi informati dello stato sanitario dei passeggieri, si recarono a prua a contare il personale d'equipaggio. Tutti i passeggieri di terza, intanto, s'andavano radunando sul cassero centrale per sfilare davanti all'impiegato uraguayo che li doveva numerare, e al medico, che avrebbe fatto in disparte le facce sospette. Dal castello centrale si dovevano avanzare a uno a uno, passare sul ponte che correva di sopra alla "piazzetta" e poi, scendendo dal cassero per la scaletta di destra, tornare a prua. Sull'ampio castello centrale non c'era più un palmo di spazio vuoto: una folla fitta come un reggimento in colonna serrata lo copriva da un capo all'altro, non levando che un leggiero mormorìo. Il cielo era rannuvolato; il fiume immenso, d'un color giallo di mota; e la città di Montevideo, lontana, non appariva che come una lunga striscia biancastra sopra la riva bruna, rilevata dalla parte d'occidente in un colle solitario, il Cerro, memore di Garibaldi: un paesaggio vasto e semplice, che aspettava il sole, in silenzio. Lontano fumavano dei vaporini che venivano verso di noi.

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Erano di quei sessagenari soli che non potevano sbarcare senza che un parente prossimo si presentasse all'arrivo a farsi mallevadore dei loro mezzi di sussistenza. Ora i parenti che aspettavano non s'erano fatti vedere, e naturalmente, perchè essi dovevano sbarcare a Buenos-Aires; ma confondendo in quel momento l'Uruguay con l'Argentina, e trovandosi soli, si credevano perduti. Che cosa sarebbe accaduto di loro? Non si può dire l'angoscia e l'avvilimento di quella povera gente, che dopo aver abbandonato l'Europa, si credevano respinti dall'America, come inutili carcasse umane, neanche più buone a ingrassare la terra, e già immaginavano un viaggio di ritorno disperato alla patria, dove non avevano più affetti, nè casa, nè pane. Il Commissario cercava di persuaderli, che non s'era nell'Argentina, ma nell'Uruguay, che i loro parenti si sarebbero presentati a Buenos-Aires, dall'altra parte di quel fiume che vedevano, che si rassicurassero, che s'angustiavano senza perchè. Ma quelli non intendevano ragione, erano come istupiditi dall'affanno, e parevano anche più miseri e più infelici in mezzo all'allegrezza chiassosa dei giovani che ogni momento li urtavano, passando, e gridavan loro nell'orecchio: - Allegri, vecchi! - Viva la repubblica! - Viva l'America! - Viva la Plata! Stentai a liberare per un momento da loro il Commissario, per salutarlo, e da lui ebbi ancora notizia del giovane scrivano, il quale, disperato di doversi separare dalla genovese, che sbarcava a Montevideo, era stato preso da un accesso di convulsioni e metteva sottosopra il dormitorio. Poi andai a salutare gli altri ufficiali, che avrei riveduto di là a due mesi a Buenos Aires, dopo altre due traversate dell'oceano. Volli anche salutare il mio povero gobbo, che trovai sulla porta della cucina, con una padella alla mano. - Oh! finalmente! - esclamò, tirando un respiro di soddisfazione, - ci avremo ora dozze giorni senza donne! - Eppure - gli dissi - voi finirete con pigliar moglie. - Mi - rispose, toccandosi il petto col dito - piggià moggê? - Poi in italiano, con una curiosa intonazione declamatoria: - Questo non sarà giammai! - E mi soggiunse nell'orecchio, contento: - Dozze giorni! - ma vedendo avvicinarsi il comandante, disse in fretta: - Scignoria, bon viaggio! - e strettami la mano, mi voltò il popone, e scomparve.

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Per liberarmi dai pensieri sconfortanti, andai a passare un'ora sulla piazzetta, uno spazio che era dalla parte sinistra del piroscafo, compreso tra il castello centrale e il cassero di poppa; al quale avevan dato il nome di piazzetta perchè, aprendosi lì le porte del salone, della sala da fumare e della dispensa, vi si formavano ogni momento dei crocchi di passeggieri, e il luogo essendo riparato dai venti alisei che soffiavano in poppa, ci venivano delle signore a ricamare o a leggere. E in fatti gli davan una cert'aria di piazzetta da palco scenico i camerini che v'eran da un lato, simili alle casette mobili delle scene, con le loro finestre a persiane, e il passaggio coperto che vi sboccava, come una strada pubblica. Lì si andava a vedere il cammino fatto e i gradi di longitudine e di latitudine, scritti ogni giorno sopra una lavagnina, appesa alla porta del salone; ci, venivano per solito gli ufficiali a prender l'altezza del sole, e ci affluivano le prime notizie della piccola cronaca quotidiana. Era un cantuccio dove si fumava il sigaro con piacere, come davanti a un caffè, con una certa illusione d'esser a terra, e di far vita cittadina. Qualche volta vi cascava uno spruzzo d'acqua improvviso, che innaffiava i ricami e i libri alle signore, e queste scappavano; ma ritornavan poco dopo. E là, nei primi giorni, avevan fatto conoscenza fra loro la maggior parte dei passeggieri.

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Era un torinese, agente di una casa bancaria di Genova, il quale andava all'Argentina quasi ogni anno; uno di quegli uomini che si danno a conoscere a fondo in un'ora: una figura di brillante comico, vestito bene, bianco di capelli e nero di baffi, con un viso serio che faceva ridere, degli occhi di scolaretto, un cervello pieno di bubbole, un buon umore inalterato e una parlantina facilissima; un poco toscaneggiante, ma senz'affettazione; tormentato da una curiosità di comare, non occupato d'altro che della gente che aveva intorno, e accorto e perseverante come un vecchio poliziotto a indagare e a scoprire i fatti di tutti, e abilissimo a cavarne materia di spasso per sè e per gli altri, senza destar mai la diffidenza di alcuno. Egli conosceva vita e miracoli di parecchi passeggieri, coi quali aveva già fatto una o due volte Ia traversata dell'oceano; e dopo dieci minuti di conversazione cominciò a domandarmi familiarmente, accennando l'uno o l'altro: - Sa chi è quello lì? Sa chi è quella signora? - Ma io non potei dargli retta subito, perchè un altro personaggio attirò la mia attenzione: il tipo di una razza di gente curiosa, che ancora non conoscevo.

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In quel momento ci passò davanti un passeggiere, il genovese che a tavola sedeva alla destra del Comandante, un onesto bofficione di cinquant'anni, con un occhio solo e una barba di crino di spazzola; e, passando, fece all'agente un atto della mano, che non compresi. Poi salì sul cassero. Domandai che cosa quell'atto volesse dire. - Vuol dire - mi rispose l'agente - che oggi a desinare ci saranno i maccheroni al sugo. - E mi abbozzò il ritratto di quel signore. Era un negoziante agiato, stabilito a Buenos Ayres, - un infelice come se ne trovan tanti, che, pure godendo a bordo d'un'ottima salute, non possono nè discorrere, nè leggere, né pensare, e s'annoiano in un modo inimmaginabile, d'una noia che Ii sgomenta, li tortura, li uccide. Quello là, per sollevarsi un poco, s'era dedicato alla gastronomia, a cui per natura tendeva; aveva fatto relazione col cuoco; era il primo a saper la mattina che cosa si sarebbe mangiato la sera, e ne portava in giro la notizia; entrava venti volte al giorno in cucina, stava a veder pelare i polli, discorreva con gli sguatteri, visitava i forni, bazzicava col pasticciere e con l'oste di prua, scendeva nei magazzini dei viveri, beveva dieci bicchierini di vermouth per far venire l'ora del desinare, e parlava poco, ma non d'altro che di pappatoria, e quando non s'occupava di questa, stava delle ore nella sua cuccetta, con le mani incrociate dietro la nuca con gli occhi sbarrati, come un ipnotizzato, tirando degli sbadigli da leone, enormi e lamentevoli, l'un sull'altro, senza interruzione, da far pensare (ammessa la fede di non so che popolo, che ad ogni sbadiglio esca dalla bocca dell'uomo l'anima d'un antenato) ch'egli avesse già esalata fin l'anima di padre Adamo. - Conosce altri? - domandai. - E come no? (Pretto argentino. Y como noo? cantato: tutti gli italiani se lo appropriano.) Ma questa volta, trattandosi di persone molto vicine a noi, abbassò la voce, e mi disse nell'orecchio che guardassi nell'angolo della piazzetta, a sinistra. Fra le signore, ce n'era una di quarant'anni, di occhi grandi e scrutatori, smorticcia, vestita elegantemente: un viso singolare, che, visto un po' di lontano, quando sorrideva, mostrando i bei denti bianchi, pareva bello e buono, e andava a genio; ma, ad avvicinarsi, vi si vedeva come saltar fuori dei tratti duri, delle piccole rughe cattive, e una di quelle bocche amare di ambiziosi delusi e d'invidiosi, che rivelano l'abito d'una maldicenza spietata. Accanto a lei stava seduta una seccherella di ragazza, dell'apparenza d'una quindicina d'anni, d'un biondo slavato, col vestito corto: un viso che non diceva nulla, chino sul ricamo. La signora leggicchiava un libro, ma alzando lo sguardo pronto ed acuto ad ogni passo, ad ogni parola che sentisse intorno a sè, vicino o lontano. Erano madre e figliuola, mi disse l'agente; avevano fatto il viaggio con lui l'anno scorso sul Fulmine: la madre aveva condotta la figliuola a perfezionarsi nel pianoforte in Germania: nate in Italia, oriunde spagnuole, stabilite nell'Argentina. La madre aveva una lingua da tanaglie, capace di far nascere un subbuglio in un piroscafo, rosa a tal segno dalla gelosia dei cenci, che ogni nuovo vestito di signora che apparisse a bordo, le era come un colpo di navaja nel fianco. - E che le pare della figliuola? - Non mi pareva nulla: una figura di educanda cresciuta male, senza sangue in corpo, da baloccarsi ancora con le bambole. - Ah! che granchio! - esclamò l'agente - mi scusi. - E mi tirò dall'altra parte della piazzetta per parlar più libero. Quel piccolo crostino a cui nessuno badava era un vero soggetto psichiatrico, da dar a studiare agli alienisti. Nel viaggio dell'anno prima, sul Fulmine, c'era uno degli ufficiali di bordo, suo amico, un bel giovane, che discorreva qualche volta con la madre, e che in tutto il viaggio non aveva forse scambiato venti parole con quell'acqua cheta bruttina, dalla quale era guardato con l'occhio della più ranquilla indifferenza. Ebbene, lì dentro s'era acceso uno di quegli amori violenti che divampano solamente a bordo, nel silenzio del camerino, in mezzo alla solitudine dall'oceano, dove le anime s'aggrappano qualche volta alle anime con la rabbia con cui s'avvinghiano i naufraghi alle tavole galleggianti. Appena sbarcate a Genova, la signora e la ragazza erano partite per la Germania, e l'ufficiale aveva ricevuto il dì dopo una lettera di otto pagine piene d'una passione così furibonda, di frasi così roventi; ma che frasi! grida d'amore dà far fremere, un tu brutale ad ogni riga, cascate d'aggettivi insensati, parole ch'eran morsi, baci e singhiozzi, un linguaggio incredibile e irripetibile, - a tredici anni! - e misti a questa lava molti spropositi grammaticali e ortografici, e in mezzo a due fogli.... dei capelli. E guardandomi fisso, soggiunse: - Dei capelli. Ma Dio sa do-ve ave-va la te-sta quando se li era tagliati! Ha capito? - E da notarsi: una lettera senza indirizzo per la risposta, una lettera senza secondo fine, dunque, non altro che uno sfogo irrefrenabile dell'anima e del corpo martoriati da venti giorni di silenzio e d'[imp]ostura. Io tornai a guardar la ragazza, e mi scappò detto: - È impossibile! - Ma l'agente fece un gesto, come se avessi negato la luce del sole. Era vero. E con questo?... Un documento umano. Ecco tutto.

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E andai a guardarlo anch'io, dall'altra parte, poichè dal giorno della partenza non ci si era ancora mostrato così: tutto a belle onde allegre, che venivan su morbide e lucide di cento sfumature verdi e azzurre di cristallo, di velluto, di raso, sormontate di ciuffi e di pennacchi d'argento e di criniere bianche arricciate, e di mine piccole iridi brillanti a traverso a un polverio finissimo di gocciole, su cui si levavano qua e là degli spruzzi candidi altissimi, che eran come le grida di gioia di quella folla danzante al sole, sotto le carezze dell'aliseo. Si vedeva onda gonfiarsi quasi fino all'altezza dell'opera morta, e svanire ad un tratto, come una minaccia che si risolvesse in ischerzo, e poi daccapo sollevarsi, come per dire una parola, e risedere indispettita di non poterla dire, per dar luogo ad altre onde che accorrevano, ci guardavano, e sparivano anch'esse, col loro segreto. E si sarebbe rimasti per ore a contemplare quel formarsi e dissolversi continuo di catene di monti nevosi, di valli cupe, di province solitarie e fantastiche, formate, disperse, rifatte, scompigliate come la faccia d'un mondo dal capriccio d'un Dio. Ma quel ribollimento era intorno a noi solamente: lontano, tutt'in giro, il mare era come immobile, d'un azzurro ridente, e tutto picchiettato di macchiette bianche, che parevan le vele di una flotta infinita che ci accompagnasse.

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Con un gazzettino vivente com'era quell'agente bancario, non tardai a conoscere, anche senza volerlo, quasi tutti i passeggieri di prima. La mattina seguente egli mi si venne a mettere accanto a tavola, al posto dell'avvocato, che non s'era levato da letto. Ogni giorno egli faceva una mezza dozzina di conoscenze nuove. La sera avanti aveva attaccato conversazione con gli sposi, che occupavano il camerino accanto al suo, ed essendosi accorto ch'eran così timidi e impacciati davanti alla gente, si proponeva di stuzzicarli un poco. Appena seduto, domandò allo sposo, che gli era seduto di faccia, se aveva riposato bene. Quegli rispose bene, grazie, guardandolo con occhio inquieto. - Eppure -, disse l'altro con l'aria più naturale del mondo, fissando lui e lei, - mi è parso che questa notte il mare fosse agitato. - I vicini sorrisero, e quelli, arrossendo tutti e due, si misero a osservare le posate con attenzione profonda. Ma l'agente non mostrò d'avvedersene. E attaccò il lucignolo subito, parlando piano e spedito, senza far però mono onore alla cucina del Galileo. Il prete lungo era un napoletano, stabilito da circa trent'anni nell'Argentina, dove ritornava dopo un breve viaggio in Italia, fatto, diceva (ma era dubbio), per vedere il Papa. Gli aveva inteso raccontar la sua storia una sera. Era andato all'Argentina senza camicia, aveva fatto il parroco nelle colonie agricole nascenti, in varii Stati della Repubblica, in terre quasi disabitate, dove andava a portare il viatico a cavallo, galoppando per notti intere, col santissimo Sacramento a tracolla e la rivoltella alla cintura, e diceva d'esser stato più volte assalito, e d'essersi difeso a rivoltellate, e che anche si era dato il caso di viaggiatori, i quaIi, incontrandolo al lume della luna, atterriti dalla sua gigantesca ombra nera, s'erano dati alla fuga. Si capiva che doveva aver curato altrettanto la borsa propria che l'anima altrui, facendosi pagar matrimoni e sepolture a prezzi d'affezione, tant'è vero che si vantava francamente d'aver messo insieme un buon gruzzolo, e non parlava d'altro che di pesos e di patacones, con un certo giro inquietante delìa mano a ventarola, e con un accento di Basso porto, che trent'anni di parlata spagnuola non eran riusciti ad alterare. Del tenore sapeva poco: doveva avere una bella voce, ma un po' di gatto scorticato: del resto, il solito pavone in corpo: fin dal primo giorno andava mostrando ai passeggieri un giornale logoro, con un articoletto di cronaca teatrale, in cui erano sottolineate le parole: quest'artista possiede la chiave del cuore umano; e quella chiave del cuore diceva l'agente che lo faceva pensare a quella di casa dei suoi uditori; ma si poteva anche ingannare. Credeva che stesse preparando un concerto vocale e istrumentale per la sera del passaggio dell'equatore. Conosceva meglio la signora bionda dalle calze nere, svizzera italiana, moglie d'un italiano, professore non sapeva di che a Montevideo: aveva fatto con lei il viaggio da Genova in America due anni prima. Una amabilissima creatura, buona come il pane, un cervello di passero, bella e ignorante come una dalia, una vera fanciullona di trent'anni, a cui la condizione degli uomini soli in un lungo viaggio di mare ispirava un sentimento di pietà amorosa e coraggiosa. In dieci anni, rifacendo ogni tanto una scappata in patria, essa aveva già rallegrato del suo riso infantile e consolato della sua dolce pietà sette o otto piroscafi, e godeva d'una certa celebrità simpatica presso le società di navigazione. Nel viaggio di due anni avanti, fra l'altre, le era seguita un'avventura comica con un deputato argentino, il quale si trovava appunto con noi, per caso, sul Galileo. Costui, che era un signore faceto e amabile, ma assestato e intollerantissimo del disordine nelle cose sue, occupava un camerino sopra coperta. Ora mentre egli giocava nel salone o passeggiava a prua, la signora e una sua amica avevano preso l'abitudine d'andargli a metter tutto sottosopra per farlo poi ammattire a riordinare. E il gioco era riuscito bene parecchie volte. Ma un giorno, essendosi arrischiata sola la svizzerella a fare solito arruffìo, era sopraggiunto all'impensata argentino e, montato sulle furie, aveva chiuso l'uscio del camerino per obbligarla a rimettere ogni cosa al suo posto. Senonchè le cose spostate essendo molte, il lavoro di riordinamento era durato un pezzo, e levatasi in quel frattempo una burrasca per effetto d'un colpo di vento improvviso, la signora aveva dovuto rimaner chiusa là dentro per varie ore, mentre di sotto, pei corridoi, il marito spaventato la chiamava da ogni parte ad alte grida, e voleva che si gettasse una lancia in mare per ripescarla, senz'accorgersi della ridente commiserazione che lo circondava. Nondimeno tutto era finito senza guai. Ma in questo viaggio pareva che il signore e la signora non dessero segno di conoscersi. Io mi voltai a guardar lui, in fondo alla tavola: era un bruno tra i trentotto e i quaranta, di profilo energico, con l'occhialetto: una faccia d'uomo, infatti, da non permettere che gli si violasse impunemente il domicilio. Quanto al marito professore, disse l'agente, era un bel capo: appassionato, sebbene avesse una faccia più letteraria che scientifica, per gli studi di meccanica nautica: passava la giornata in gravi meditazioni davanti alla macchina, ai timoni, ai verricelli, a ogni più piccolo ordigno del piroscafo, facendosi dare dagli uffiziali delle spiegazioni minute, che andava poi a ripetere a prua, per il gusto di sbocconcellare al popolo il pane della scienza, mentre altri gli addentava il suo a poppa. Ma in quel momento io stavo osservando, accanto all'argentino, un signore biondo slavato, con due favoriti che parevan due salici piangenti di capelli, come quei che si vedono nelle vetrine dei parrucchieri; il quale girava intorno degli occhi di pesce sospettosi, e non parlava a nessuno. Domandai all'agente se sapeva chi fosse. Oh! un bel caso. Si sospettava che fosse un ladro fuggitivo. Ne correva la voce sul Galileo. Era un francese. Non si sapeva quale dei passeggieri, leggendo il Figaro arrivato a Genova il giorno stesso della partenza, aveva creduto di riconoscere una maravigliosa rassomiglianza fra quella faccia strana e diffidente, e certi connotati che dava il giornale parigino di un cassiere di non so quale casa bancaria di Lione, scappato tre giorni prima, lasciando un vuoto di macchina pneumatica. Egli avrebbe fatto delle investigazioni: alla peggio, sperava di scoprire il segreto all'arrivo, quando fosse salita a bordo la polizia. Della coppia matrimoniale che sedea dirimpetto a costui, non aveva ancora chiesto informazioni: erano i miei due vicini di camerino, quelli della spazzola: la signora, sulla quarantina, piccoletta, con due occhi freddi, e un perpetuo sorriso forzato sulle labbra sottili; non brutta, ma di quelle persone a cui l'animo ha guastato il viso, le quali, a primo aspetto, ispirano ripugnanza per cagion del male che debbono fare agli altri, e compassione per quello che debbono soffrire esse medesime: il marito, una figura di maggior di cavalleria in riposo, d'animo forte, pareva; ma domato da una natura più forte della sua, e logorato da un'afflizione sorda e immutabile. Non si parlavano mai, come se non si conoscessero, e non erano mai insieme, fuorchè a tavola; ma il mio vicino aveva osservato che lei saettava a lui delle terribili occhiate di traverso, quando le pareva che fissasse qualche signora: all'affetto morto era sopravvissuta la gelosia dell'orgoglio. Una coppia male accoppiata, insomma, come due forzati stretti da una catena, fra i quali ci doveva essere un'avversione profonda, e un mistero. Quello che conosceva meglio di tutti era il comandante: bravo marinaio, rozzo e irascibile, possessore d'un vocabolario maravigliosamente ricco di sacrati e d'ingiurie genovesi, che prodigava al basso personale dell'equipaggio: vere litanie d'improperi, condotte con un crescendo di effetto irresistibile; e altero della vigorìa dei suoi pugni, dei quali s'era molto servito durante i suoi vent'anni di onorato comando. Aveva una fissazione, quella d'una severità assoluta in fatto di morale. Porcaie a bordo no ne véuggio. - Non voglio porcherie a bordo - era il suo intercalare. Voleva il bastimento casto come un monastero, e credeva d'ottenerlo. All'occasione dava delle lezioni memorabili. In uno degli ultimi viaggi, avendo scoperto una sera che due passeggieri di diverso sesso, non legati nè dal codice nè dalla chiesa, erano addormentati in un camerino di coperta, egli aveva fatto inchiodare una grand'asse a traverso all'uscio, e ce l'aveva lasciata fino a che i due, il dì seguente, morsi dalla fame, dopo aver picchiato furiosamente, erano stati costretti a uscire coram populo, mëzi morti da-a vergêugna. Ma aveva rischiato d'ammalare dalla rabbia nell'ultima traversata, portando da Buenos Ayres a Genova un'intera compagnia lirica, e un corpo di ballo di cento e venti gambe; a tener a segno le quali non ci sarebbero stati sul piroscafo abbastanza assi nè chiodi; e tutta la sua eloquenza minacciosa nella lingua del scì non aveva impedito che il Galileo si convertisse in un paradiso maomettano, filante dodici miglia all'ora. In condizioni ordinarie, peraltro, quando non era soverchiato dal numero e dall'audacia del nemico, era rigoroso al punto da non tollerare nemmeno un corteggiamento discreto. Ma si vantava di far stare tutti a segno senza mancare menomamente alle leggi della cortesia, di saper dir tutto a tutti senza offendere. Quando un passeggiere si stringeva troppo intorno a una signora, egli lo chiamava in disparte, e gli diceva rispettosamente: - Mi scusi, lei comincia a diventar nauseante (angoscioso). Porcaie a bordo no ne vêuggio. - Del rimanente, un galantuomo. Il vecchio maestoso che gli stava accanto - l'Hamerling -, era un chileno, un gran signore, chiamato a bordo quello che fa forare una montagna, perchè aveva fatto quel po' di viaggio dal suo paese (trentacinque giorni di mare) per andare a comprare delle perforatrici in Inghilterra, non trattenendosi in Europa, dallo sbarco all'imbarco, che due settimane precise. Serio, come sono i chileni in generale, e di modi aristocratici, aveva bazzicato nei primi giorni la brigata degli argentini; ma questi avendolo punto in una disputa sull'eterna questione dei confini meridionali delle due repubbliche, egli se n'era scostato, e non parlava più che col comandante e col prete. Altri non conosceva, per il momento, il mio vicino. Ma andava spiando un giovane toscano sbarbatello e azzimato, seduto a tavola davanti alla moglie del professore, addosso alla quale lasciava gli occhi, assorto a tal segno che qualche volta gli rimaneva Ia forchetta per aria, a mezza via tra il piatto e la bocca, come colpita anch'essa d'ammirazione. Costui aveva l'aspetto d'un Don Giovannino affamato, che facesse la prima volata lunga fuori di casa; ma dotato, sotto quell'apparenza di primo amoroso esordiente, d'un'audacia unica; e mentre circuiva la svizzera, che doveva aver conosciuto a terra, faceva ogni momento delle escursioni a prua, fiutando l'aria come un poledro stallino, la sera in special modo, con molto rischio di farsi spolverare dagli emigranti i panni attillati, ch'ei cambiava due volte al giorno. Ciò dicendo, l'agente fece rotolare un'arancia fin quasi sul piatto dello sposo, e tese improvvisamente la mano, dicendo: - Favorisca... - Povero sposo! Proprio in quel momento, approfittando della solita confusione d'ogni fin di pasto, egli lasciava spenzolare il braccio destro sotto la tavola, mentre la sposa teneva nascosto nello stesso modo il braccio sinistro: alla improvvisa domanda, le due mani risalirono vivamente sopra la mensa, separate, è vero, ma troppo tardi: la "casta porpora" aveva già tradito il segreto. - Son troppo felici, - mi disse sotto voce l'agente; - gli voglio amareggiare la vita. - Poi s'alzò, e mezz'ora dopo, salendo sul cassero, lo vidi sul castello centrale, che discorreva con un prete delle seconde classi. Ma queste, quasi spopolate, non dovevano offrire gran pascolo alla sua curiosità. C'eran due preti vecchi che leggevano quasi sempre il breviario; una vecchia signora sola, con gli occhiali verdi, che sfogliava dalla mattina alla sera una raccolta di antichi giornali illustrati, e una famiglia numerosa, tutta vestita a lutto, che formava in mezzo al piroscafo un gruppo nero e triste, immobile per ore intere. Solamente i due ragazzi più piccoli facevano qualche volta, per il ponte pénsile, una scappata fin sul cassero di poppa, dove la signorina dalla croce nera li carezzava mestamente, con le sue manine affilate d'inferma.

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Scendendo dal castello di prua, mi trovai faccia a faccia col medico: un napoletano, Giovanni Nicotera pretto sputato, ma con gli occhi e i modi d'un altro, distratti e flemmatici: caso non raro di rassomiglianza fisica fra persone di natura opposta. Scesi con lui nell'infermeria, una specie di stanzone oblungo, rischiarato dall'alto, con due ordini di cuccette all'intorno. C'era un bambino malato di rosolìa, un amore di bambino, coi capelli biondi arricciolati, rosso dalla febbre, e accanto a lui, in piedi, una campagnuola dei dintorni di Napoli, un pezzo di donna, che appena visto il medico, si mise a piangere, soffocando i singhiozzi nelle mani. Il medico esaminò il bambino, poi le disse in tuono di rimprovero: - La malattia fa il suo corso. Non v'avete a inquietare. Levatevi quell'ideaccia dal capo. - E mi spiegò che certe donnaccole le avevano sconvolto l'anima dicendole che, se fosse seguìta una disgrazia, le avrebbero buttato il bambino in mare: a quest'idea essa si disperava. Poi domandò forte, voltandosi da un'altra parte: - E voi, come va? -, Allora vidi spuntare di dentro a una cuccetta bassa la testa d'un vecchio macilento; il quale, malgrado che il medico vi si opponesse, volle cacciar fuori le gambe, e mettersi a sedere sull'orlo della sua buca. Era vestito. Rispose con un filo di voce: - Non c'è tanto male. - Il medico lo esaminò, e crollò il capo. Aveva una polmonite grave, s'era dovuto coricare il dì dopo della partenza. Era un contadino pinerolese, solo, che andava all'Argentina a raggiungere un suo figliuolo. Io gli domandai in che parte dell'Argentina si trovasse. Non lo sapeva. Il suo figliuolo minore era andato all'Argentina tre anni prima, lasciandolo a casa con l'altro, che gli era morto. Allora quello gli aveva fatto scrivere che andasse con lui, mandandogli un buono per il viaggio, ma senza dargli indirizzo preciso perchè lavorava alle strade e mutava sede. Gli aveva però indicato il modo di ritrovarlo. E dicendo questo il povero vecchio ficcò la mano scarna in una tasca del petto, e ne cavò una manata di carte logore e unte, che incominciò a far scorrere con le dita tremanti. In quel punto un movimento brusco del piroscafo lo fece urtar forte col capo calvo contro il tutto della cuccetta: egli vi passò la mano su, per sentir se c'era sangue, e riprese a far passare i fogli: buste lacere, carte con cifre - forse gli ultimi conti del padrone - una ricevuta, un piccolo calendario. Trovò finalmente un mezzo foglio sgualcito, dove era scritto a caratteri grossi, ma schiccherati d'inchiostro e quasi illeggibili, il nome d'un villaggio della provincia di Buenos Ayres, nel quale, al tal numero della tal via, egli avrebbe trovato ospitalità in una famiglia piemontese, presso di cui, dentro il mese, sarebbe venuto a prenderlo un patriotta, suo compagno di lavoro, che avrebbe condotto dov'era il figliolo: 'I me Carlo. Con quelle indicazioni, vecchio, malato, ignaro di tutto, era partito per l'America! - Ho gran paura -, disse il medico uscendo - che sia partito troppo tardi.

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L'imbarco degli emigranti..........................Pag. 1 Nel golfo del Leone.......................................... 10 L'Italia a bordo................................................... 25 A prua e a poppa ............................................. 40 Signori e signore.............................................. 69 Rancori e amori................................................ 80 Sul tropico del Cancro................................... 120 L'Oceano giallo............................................... 142 Gli originali di prua......................................... 166 Il dormitorio delle donne............................... 186 Il passaggio dell'Equatore............................ 202 Il piccolo Galileo............................................ 222 Il mare di fuoco.............................................. 243 L'Oceano Azzurro.......................................... 258 Il morto............................................................ 285 La giornata del diavolo................................. 309 In extremis...................................................... 329 Domani!........................................................... 359 L'America........................................................ 383 Sul Rio de la Plata......................................... 403

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