Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Natura ed arte

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Giovanni Virginio Schiaparelli 50 occorrenze

Come suol fare a periodi alternati ora di 15 anni, ora di 17 anni, il pianeta Marte nell'autunno scorso passò ad una delle sue minori distanze da noi, avvicinandosi alla Terra fino a 47 milioni di chilometri, ed apparve luminoso e magnifico più che mai non sia stato dal 1877 a questa parto. A quella distanza, il globo di Marte, di cui il diametro arriva a circa 7600 chilometri, sottendeva nell'occhio dell'osservatore terrestre un angolo di 25". Sopra un tal globo ed a tale distanza si possono discernere, con telescopi di sufficiente potenza, le configurazioni topografiche del pianeta con un grado di minutezza e di precisione di cui si può avere un'idea dai qui annessi disegni. E reciprocamente, ad uno spettatore collocato in Marte non riuscirebbe troppo difficile distinguere sulla Terra particolarità del medesimo ordine di grandezza. L'esperienza dimostra, che con un istrumento di dimensioni affatto comuni, munito di una lente obbiettiva di 20 centimetri di diametro, una macchia luminosa su fondo oscuro (od oscura su fondo luminoso) si può distinguere senza troppa difficoltà in Marte alla sopradetta distanza di 47 milioni di chilometri, quando ad un discreto contrasto di colore essa congiunga un diametro reale uguale a 1/50 del diametro del pianeta, cioè a 153 chilometri. Epperciò, usando sufficiente diligenza, si potranno scoprire in Marte, con un obbiettivo della detta dimensione, tutte le isole non minori della Sicilia e tutti i laghi non minori del Ladoga, isole come l'Islanda e Ceylan; laghi come quello di Aral ed il Victoria Nyanza devono esser molto cospicui. Similmente una striscia luminosa su fondo più oscuro, secondo le fatte esperienze, dovrebbe essere ancora visibile quando la sua larghezza non fosso minore di 1/100 del diametro di Marte, cioè di 80 chilometri o giù di lì. Quindi lingue di Terra od isole oblunghe come la Jutlandia e Cuba e l'istmo centrale Americano; stretti di mare e laghi oblunghi come il Tanganyika, il Nyassa od il Mar Vermiglio di California dovrebbero esser visibili da un ipotetico abitante di Marte, che vi ponesse molta attenzione. Facilissimi dovrebbero essere per lui oggetti come l'Italia, l'Adriatico, il Mar Rosso, Sumatra e Nippon.

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Tali sono press'a poco i limiti a cui può arrivare la visione dei particolari di Marte esaminato con una lente obbiettiva di 20 centimetri in quelle occasioni, in cui si trova alla minor possibile sua distanza da noi. Negli ultimi tempi tuttavia gli ottici hanno imparato a costruire lenti obbiettive di molto maggior potenza così per riguardo alla amplificazione, come per riguardo alla precisione delle immagini; quindi i limiti sovra accennati sono stati spesso oltrepassati, malgrado che le difficoltà di esatta costruzione crescano in misura assai maggiore che le dimensioni di questi telescopi giganti.

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L'idea di popolare gli astri e le sfere celesti d'intelligenze pure o corporee, di animali e di piante, non è nuova; ed una curiosa rassegna sarebbe a farsi di tutti gli scrittori antichi e moderni che si esercitarono su questo tema, incominciando dal Sogno di Scipione di Cicerone, e dalla Storia veridica di Luciano Samosatese, e venendo già per Dante, Giordano Bruno, Ugenio e Kircher a quegli eleganti novellatori francesi Cyrano di Bergerac, Fontenelle, Voltaire, i quali posero negli spazi celesti il teatro delle loro argute o satiriche descrizioni, per arrivare in ultimo al celebre Hans Pfaal d'Amsterdam, ben noto ai lettori di Edgar Poe. La maggior parte di questi scritti però o professano di esser pure immaginazioni poetiche, o sono scherzi di ingegno

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Ma pur troppo è da confessare che, quanto a risultati di osservazione, finora abbiamo poche speranze e nessun fatto. La Luna, che di tutti gli astri è senza paragone il più prossimo a noi, e nella quale oggetti di 400 e 500 metri di diametro sono visibili senza troppa difficoltà nei potenti telescopi del tempo moderno, la Luna non ha dato fatti, e non dà neppure speranze. Più la si esamina, e più si ha ragione di credere, che sia un deserto di aride rupi, privo d'ogni elemento necessario alla vita organica. Né fatti, né speranze si possono avere dallo studio della superficie di Venere, che fra tutti i pianeti è quello che può avvicinarsi maggiormente alla Terra. La sua atmosfera è perpetuamente ingombra di dense nuvole, le quali finora hanno impedito, ed impediranno probabilmente ancora per lunghi secoli (se non per sempre) di conoscere i particolari del suo corpo solido, e quanto su di esso avviene. Per ragioni non dissimili (a cui si aggiunge la grande lontananza) nulla avremo a sperare in quest'ordine di idee dallo studio dei grandi pianeti superiori, Giove, Saturno, Urano, e Nettuno. Quanto a Mercurio, le sue osservazioni sono di una estrema difficoltà, avviluppato com'egli è di continuo nella luce del Sole; tanto, che solamente negli ultimi anni è stato possibile discernervi entro qualche macchia con sufficiente frequenza e determinare il vero periodo della sua rotazione. Non parliamo né del Sole, né delle stelle, né delle comete, né delle nebule; tutti corpi, dei quali la costituzione fisica non sembra propria alla produzione e alla conservazione della vita, almeno nelle forme con cui noi l'intendiamo.

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Tutte le nostre speranze si sono quindi poco a poco concentrate su Marte il solo astro che possa giustificarle sino ad un certo punto, siccome or ora si vedrà. Tali speranze si sono accresciute ed hanno raggiunto anzi presso alcuni un grado di esaltazione quasi febbrile, dopo che un esame accurato di quel pianeta ha fatto scoprire in esso alcuni cambiamenti, e un sistema di misteriose configurazioni, in cui con un po' di buona volontà si potrebbe congetturare piuttosto il lavoro di esseri intelligenti, anzi che la semplice opera delle forze naturali inorganiche. L'ultima grande apparizione di Marte ha dato origine ad espressioni entusiastiche di tali speranze, specialmente presso i Nordamericani; i quali, possedendo nel loro Osservatorio di California il più gran cannocchiale che mai sia stato costrutto, avrebbero tutto il diritto al vanto di aver scoperto non solo un nuovo mondo, ma anche una nuova umanità. Ma in Francia l'agitazione delle menti ispirata dal Flammarion ha prodotto effetti anche più straordinari: ivi con tutta serietà sono proposte ingenti somme come premio a chi sarà primo a dimostrare, per mezzo della diretta osservazione, che esistono in alcuno degli astri indizî certi di esseri intelligenti. In America poi ed in Francia si sta macchinando la costruzione di nuovi telescopi d'inusata potenza, il costo dei quali si conterà per milioni. Fra tanti segni

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Nella scala delle orbite planetarie, la Terra occupa, a partir dal Sole, il terzo posto e Marte il quarto. L'orbita di Marte comprende quindi dentro di sé l'orbita della Terra; ed è di essa più grande nel rapporto di circa 3 a 2. Ambedue le orbite sono di forma leggermente ovale, ma così per l'una come per l'altra la differenza fra il più grande e il più piccolo diametro è relativamente trascurabile: in altre parole, la differenza di queste orbite da un circolo perfetto è assai poca, tanto che occorrebbero disegni in molto grande scala per renderla sensibile a misure fatte col compasso. Il Sole non si trova nel centro né dell'una, né dell'altra, e questo difetto di centratura è assai maggiore per Marte che per la Terra. La Terra gira intorno al Sole in ragione di 30 chilometri per minuto secondo; Marte in ragione di 24 chilometri. Essendo questi più lento, e dovendo percorrere un circolo più

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dei tempi questo almeno ci dà diritto a sperar bene dell'avvenire. L'ansietà con cui molti guardano alle tenebre del futuro non mi sembra in ogni parte giustificata. Non è vero che l'età presente, più delle passate, manchi di elevati principi e di aspirazioni ideali. Il secolo decimonono può considerare con orgoglio quello che ha fatto; il suo posto negli annali del progresso umano non sarà senza gloria. A costo d'incredibili fatiche e di eroici sacrifizi esso ha compiuto ormai l'esplorazione di tutta la superficie terrestre, sulle cui carte non restano che poche lacune. Penetrando nelle viscere del nostro pianeta, ha mostrato la storia delle trasformazioni a cui fu soggetto, ed ha rievocato dal loro sepolcro le infinite generazioni che lo popolarono per milioni di anni. Coll'investigazione archeologica, collo studio dell'etnografia e della filologia ha ritrovato i veri titoli di nobiltà del genere umano, e fatto risorgere alla luce del giorno i primi prodotti delle sue civiltà. Con estese associazioni di pazienti e di instancabili osservatori ha iniziato lo studio dell'atmosfera, e delle sue leggi, che sarà uno dei grandi problemi del secolo XX. Ma tutto questo non gli è bastato; e dopo aver proseguito energicamente nello studio dei cieli, della materia, e delle forze naturali l'opera dei secoli anteriori e fondata la chimica degli astri, di cui prima pareva follia parlare; ora aspira a più alta meta, e ansiosamente comincia a spiare, se qualche voce di simpatia e di fratellanza non ci possa venir dalle profondità cosmiche; e per ottenerne indizio è pronto a spender per un solo telescopio più somme, di quante ne abbian spese in favore della scienza pura tutti i secoli precedenti insieme considerati. Ecco uno, un solo dei tanti aspetti nobili, moralmente grandiosi, poetici, sotto cui si presenterà alla posterità imparziale quel secolo, che allo spettatore unilaterale sembra essere per eccellenza il secolo della prosa, dell'egoismo, della meccanica brutale, dei godimenti materiali. Noi siamo migliori di quello che crediamo essere! La stessa difficoltà che proviamo ad esser contenti e soddisfatti di noi medesimi, è un segno di progresso e di forza. Ma torniamo al nostro argomento.

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grande, impiega, a far il suo giro completo intorno al Sole, 687 giorni, quasi il doppio dei 365 che impiega la Terra a fare il proprio.

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Mentre l'orbita della Terra è quasi esattamente centrata sul Sole, quella di Marte è invece notabilmente eccentrica: la loro proporzione e disposizione può vedersi rappresentata nella figura qui a lato, dove S rappresenta il Sole, il circolo minore è quello della Terra, il maggiore quello di Marte. Ora si vede subito, che quando i due pianeti si avvicinano fra loro nella parte più serrata dell'intervallo fra le due orbite, la Terra essendo in T e Marte in M, si ha il massimo avvicinamento possibile, siccome (con poca differenza) è accaduto nel 1877 e nel 1892, e di nuovo accadrà nel 1909. Queste, che ricorrono ad intervalli alternati di 15 e di 17 anni, diconsi le grandi opposizioni. Marte allora è veramente stupendo a considerare coll'occhio nudo, ma più ancora col telescopio. Tuttavia anche in tale favorevolissima posizione il suo diametro apparente non supera la settantacinquesima parte del diametro apparente del Sole o della Luna: così che occorre un telescopio amplificante 75 volte perché in esso Marte si presenti come la Luna all'occhio nudo. Ma nelle comuni opposizioni non si arriva neppure a tanto: e quando i due pianeti occupano i punti designati sulla figura con T' M', la minima loro distanza T'M' è quasi doppia della TM. In queste opposizioni meno fortunate il massimo diametro apparente a cui Marte può arrivare non supera 1/150 del diametro lunare, ed è necessario amplificarlo 150 volte per vederlo come la Luna ad occhio nudo. La sua superficie apparente e la sua luce sono allora soltanto il quarto di quella che si vede nelle grandi opposizioni.

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Mentre adunque in questa un telescopio di mediocre potenza è capace di rilevare montagne, valli, circhi e crateri senza numero ed un'infinità di altri particolari topografici,La carta lunare di Schmidt, fatta con telescopi di 10 a 15 centimetri, ha due metri di diametro ed in essa son figurati nientemeno che 32.586 crateri.ben altro potere ottico sarà necessario, perché si possano vedere distintamente in Marte anche soltanto le configurazioni delle macchie principali. L'esperienza ha fatto vedere che non è difficile di rilevar nella Luna, col soccorso dei maggiori telescopi, un oggetto rotondeggiante di mezzo chilometro di diametro, o una striscia di 200 metri di larghezza. In Marte si può arrivare a distinguere come punto un oggetto rotondeggiante di 60 a 70 chilometri di diametro, e come linea sottile una striscia di 30 chilometri di larghezza. Il corso di un fiume come il Po sarebbe facile a distinguersi nella Luna su quasi tutta la sua lunghezza, ma nessuno dei maggiori fiumi della Terra riuscirebbe a noi visibile in Marte. E mentre nella Luna una città come Milano (od anche soltanto Pavia) sarebbe già un oggetto ben vidibile a noi, in Marte non potremmo sperare di vedere neppure Parigi e Londra, ed appena con molta attenzione sarebbe possibile distinguervi isole rotondeggianti della grandezza di Majorca, od isole allungate, grandi come Candia e Cipro.

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Pochi anni dopo, Domenico Cassini a Bologna (1666) non solo riconobbe diverse macchie, ma dal loro rapido spostarsi sul disco fu condotto a scoprire la rotazione del pianeta intorno ad un asse obliquo, a similitudine della Terra: dalla qual rotazione definì la durata in 24 ore e 40 minuti. I telescopi usati da Cassini erano lavorati in Roma dal più celebre artefice ottico di quei tempi, Giuseppe Campani, i cui lavori godettero di un incontrastabile primato per quasi cent'anni, fino a che per opera di Short, di Dollond e di Herschel tale vanto passò per qualche tempo all'Inghilterra. E con telescopi di Campani fece Bianchini in Verona nel 1719 i primi disegni alquanto accurati delle macchie di Marte, scoprendo in esse particolari abbastanza difficili, quale per esempio la sottile penisola che nella carta annessa porta il nome di Hesperia. Verso la fine del secolo scorso Herschel e Schroeter dallo studio delle candide macchie polari del pianeta dedussero l'obliquità del suo asse di rotazione rispetto al piano dell'orbita, quell'angolo, cioè, che per la Terra costituisce l'obliquità dell'eclittica, ed è poco diverso nell'uno e nell'altro pianeta.

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Carta generale del Pianeta Marte secondo le osservazioni fatte a Milano dal 1877 al presente.

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Ordinando rispetto a questi punti le diverse particolarità topografiche riuscì a costruire la prima carta areografica: la quale, comechè ancora incompleta e necessariamente limitata a poche macchie principali, è tuttavia monumento onorevole della sua cura e diligenza, e rappresenta per la descrizione di Marte quello che 2000 anni fa la carta di Eratostene fu per la geografia terrestre. Questa carta per più di 30 anni fu non soltanto la migliore, ma anzi l'unica; e soltanto verso il 1860 si cominciò a fare nello studio del pianeta qualche progresso ulteriore, specialmente per le osservazioni di Secchi, Dawes, Kaiser, e Lockyer. Da quell'epoca e specialmente a partire dalla grande opposizione del 1862 quei progressi si vennero accelerando, ed a ciò contribuirono non poco i grandissimi telescopi, che negli ultimi tempi gli ottici, specialmente quelli d'America, hanno imparato a costruire.Una storia completa di tutte le osservazioni fisiche e topografiche fatte su Marte dalla metà del Secolo XVII fino al 1892 si ha nell’opera di Flammarion intitolata: La Planète Mars et ses conditions de habitabilité: synthèse générale de toutes les observations, climatologie, méteorologie, aréographie, continents, mers et rivages, eaux et neiges, saisons et variations observées: illustré de 580 dessins télescopiques, et 23 cartes. Paris 1892. 600 pagine in grande 8.°.

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Tutte queste osservazioni però non erano sufficienti a dare una descrizione completa della superficie di Marte. Come vero fondatore dell'Areografia Parola che significa descrizione di Marte ed è derivata dal nome greco di questo pianeta, Ares, come dal nome greco della Terra è derivato il nome della Geografia. dobbiamo considerare il tedesco Maedler, il quale nel 1830, valendosi di un perfettissimo telescopio di Fraunhofer (celebre ottico di Monaco, per cui opera il primato nella costruzione dei telescopi passò verso il 1820 alla Germania), vide e descrisse le macchie del pianeta incomparabilmente meglio che tutti gli astronomi anteriori. Maedler fu il primo a determinare con misure bene ordinate la posizione di un certo numero di punti principali sulla superficie di Marte rispetto all'equatore e ad un primo meridiano, che è quello notato zero sull'annessa carta.

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Non si creda tuttavia di poter accedere a questo studio così attraente senza aiuto ottico proporzionato alla difficoltà della cosa. La sempre grande distanza del pianeta, e la piccolezza relativaIl suo diametro sta a quello della Terra in rapporto prossimamente di uno a due, o più esattamente di 11:21. Un grado geografico, che sul globo della Terra rappresenta 60 miglia di 1832 metri ciascuno, sul globo di Marte rappresenta quasi esattamente 60 chilometri. del medesimo non permettono di usare con molto frutto amplificazioni inferiori a 200 e 300, né telescopi di lente obbiettiva inferiore in diametro a 20 centimetri: questo nelle grandi opposizioni, come quelle del 1877 e del 1892. Ma nelle opposizioni meno favorevoli (ed in quelle appunto suole Marte dispiegare i suoi fenomeni più curiosi) lo studio dei più delicati particolari non si può far bene con amplificazioni

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L'emisfero australe, il quale a causa dell'inclinato asse di Marte suole presentarsi meglio alla nostra vista nelle grandi opposizioni, che nelle altre, è stato rilevato principalmente negli anni 1877-1879, con un telescopio di 22 centimetri d'apertura. Ma per l'emisfero boreale, che si presenta in prospettiva conveniente soltanto nelle opposizioni meno favorevoli, si è potuto negli anni 1888 e 1890 approfittare di un istrumento molto più grande, il cui vetro obbiettivo ha 49 centimetri di diametro, e permette di spingere l'amplificazione di Marte fino a 500 e 650.

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Grande Telescopio Equatoriale della specola di Brera (da una fotografia di A. Trubetzkol).

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Quanto al telescopio di tre metri di diametro che si vuoi preparare in Francia per l'esposizione del 1900, e sul quale già si è mosso tanto rumore, aspetteremo a parlarne quando sarà fatto. Non ha da essere un telescopio a vetri, come i precedenti, ma un telescopio riflettore nel quale la lente obbiettiva sarà surrogata da un grande specchio. Senza dubbio, la maggior facilità e la minore spesa di questa maniera di telescopio permetterà di raggiungere dimensioni molto maggiori che colle lenti di vetro: anzi esistono già in Inghilterra ed in Francia parecchi di tali strumenti da uno a due metri di diametro, i quali prestano utillissimi servizi in molte ricerche e segnatamente in tutte quelle che richiedono gran copia di luce senza molto riguardo alla precisione dell'immagine ottica: per esempio nello studio del calore lunare e nella chimica celeste. Ma quanto a visione distinta, gli specchi di grande dimensione finora si son dimostrati troppo inferiori alle lenti di corrispondente potenza: e riguardo all'esplorazione dei mondi planetari non sarà permesso di fondare sul futuro telescopio di Parigi molto grandi speranze.

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Le geminazioni delle linee oscure del Pianeta Marte quali furono osservate a Milano principalmente nel 1881 e nel 1888.

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alcune decine di chilometri, per alcuni più sottili e più difficili a vedere la larghezza non supera che alcune unità della stessa misura. Perciò assai diversa è la facilità con cui si possono riconoscere e figurare con disegno; e bisogna aggiungere, che questa facilità è molto variabile secondo il tempo e sembra dipendere in molti casi dalla stagione che domina lungo il loro corso. Spesso si vede qualcuno di essi traversare una delle nevi polari, formando una traccia nerissima, che ha tutto l'aspetto di una spaccatura di esse nevi. Queste linee sono i così detti canali di Marte, così denominati per pura convenzione analoga a quella per cui alle grandi macchie si è dato il nome di mari e di continenti. Ma della loro natura finora poco o niente si è potuto accertare. Il nome di canali però e la regolarità loro apparente ha indotto molti uomini di calda fantasia a ravvisare in essi opere artificiali gigantesche di esseri intelligenti; ipotesi questa che per ora non è ancora stato possibile dimostrare che sia vera o falsa. Gli spiriti scettici hanno poi facilmente troncato la questione, negando a queste formazioni ogni esistenza obbiettiva, e dichiarandole come fantasmi creati dall'immaginazione sulla base di visione confusa ed imperfetta.

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Questo fatto, che è stato verificato centinaja e migliaja di volte, basta da solo a dissipare qualunque dubbio potesse nascere intorno alla realtà dei canali, e non lascia luogo a parlar d'illusioni ottiche.

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Lo studio di tutti questi enigmi è appena cominciato; nulla ancora vi ha di certo sui principi a cui si dovrà appoggiare una razionale interpretazione dei medesimi. Tutto dipenderà

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Si concluse giustamente da questo, dover esse occupare i poli di rotazione del pianeta, o almeno trovarsi molto prossime a quei poli. Perciò furono designate col nome di macchie o calotte polari. E non senza fondamento si è congetturato, dover esse rappresentare per Marte quelle immense congerie di nevi e di ghiacci, che ancor oggi impediscono ai navigatori di giungere ai poli della Terra. A ciò conduce non solo l'analogia d'aspetto e di luogo, ma anche un'altra osservazione importante.

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In ogni clima e sotto ogni zona la sua atmosfera è quasi perpetuamente serena e trasparente abbastanza per lasciar riconoscere a qualunque momento i contorni dei mari e dei continenti, e per lo più anche le configurazioni minori. Non già che manchino vapori di un

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Oltre a queste regioni oscure e luminose, che noi abbiamo qualificato per mari e continenti, e la cui natura ormai non lascia luogo che a poco dubbio, alcune altre ne esistono, veramente poco estese, di natura anfibia, le quali talvolta ingialliscono e sembrano continenti, in altri tempi vestono il bruno (anche il nero in certi casi) e assumono l'apparenza dei mari; mentre in altre epoche la loro colorazione intermedia lascia dubitare a qual classe di regioni esse appartengano. Quasi tutte le isole sparse nel Mare Australe e nel Mare Eritreo appartengono a questa categoria, così pure le lunghe penisole chiamate Regioni di Deucalione e di Pirra, e in contiguità del Mare Acidalio le regioni sognate coi nomi di Baltia e di Nerigos. L'idea più naturale e più conforme all'analogia sembra quella di supporre in esse vaste lagune, su cui variando le profondità dell'acqua si produca la diversità del colore, predominando il giallo in quelle parti dove la profondità del velo liquido è ridotta a poco od anche a niente, e il colore bruno più o meno oscuro nei luoghi dove le acque sono tanto alte da assorbire molta luce e da rendere più o meno invisibile il fondo. Che l'acqua del mare o qualsiasi acqua profonda e trasparente

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Esse percorrono sul pianeta spazi talvolta lunghissimi con corso regolare, che in nulla rassomiglia l'andamento serpeggiante dei nostri fiumi; alcune più brevi non arrivano a 500 chilometri, altre invece si estendono a più migliaja, occupando un quarto ed anche talvolta un terzo di tutto il giro del pianeta. Alcuna di esse è abbastanza facile a vedere, e più di tutte quella che è presso l'estremo limite sinistro delle nostre carte, designata col nome di Nilosyrtis: altre invece sono estremamente difficili, e rassomigliano a tenuissimi fili di ragno tesi attraverso al disco. Quindi molto varia è altresì la loro larghezza, che può raggiungere 200 od anche 300 chilometri per la Nilosirte, mentre per altre forse non arriva a 30 chilometri.

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Il disco di Marte allora non era più rotondo, ma alquanto deficiente a cagione della non diretta illuminazione del sole; rassomigliava alla Luna due giorni prima del plenilunio. Comparando il disegno colla carta è facile riconoscere in quello la costa molto accidentata del Mare Eritreo, che corre press’a poco lungo l’equatore del pianeta. Molto evidente è il doppio corno del Golfo Sabeo, e a destra di esso il Golfo delle Perle. Il continente al di sotto dobbiamo immaginarlo giallo brillante; lo si vede solcato da parecchi canali, nei quali non sarà difficile ravvisare il Phison, l’Eufrate, l’Oronte, il Gehon, l’Indo, l’Idaspe e la Iamuna. L’Eufrate dava sospetto di esser duplicato. In alto del disco il Mare Eritreo e il Mare Australe appaiono divisi da una gran penisola curvata a guisa di falce, prodotta da una insolita appariscenza della regione detta di Deucalione, la quale si allungò quest’anno fino a raggiungere le isole Noachide ed Argyre, formando con queste un tutto continuato, con deboli traccie di separazione, sulla lunghezza di quasi 6000 chilometri. Il suo colore, molto meno brillante che quello dei continenti, era un misto del giallo di questi col bruno grigio dei mari contigui. In alto l’ovale chiara deve immaginarsi del bianco più splendido e più puro: rappresenta la calotta delle nevi australi, ridotta alla forma ellittica dallo scorcio della prospettiva, molto obliqua in quel luogo. Perché non bisogna mai dimenticare che davanti a noi abbiamo, sotto forma d’un disco, la curvatura d’un emisfero..

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Le geminazioni non si manifestano tutte insieme, ma arrivata la loro stagione cominciano a prodursi or qua, or là, isolate in modo irregolare, o almeno senza ordine facilmente riconoscibile. Per molti canali mancano affatto (come per la Nilosirte, a cagion d'esempio), o sono poco visibili. Dopo aver durato qualche mese, si affievoliscono gradatamente e scompajono fino ad una nuova stagione egualmente propizia a questo fenomeno. Così avviene che in certe altre stagioni (specialmente presso il solstizio australe del pianeta) se ne vedono poche, od anche non se ne vede affatto. In diverse apparizioni la geminazione del medesimo canale può presentare diversi aspetti quanto a larghezza, intensità e disposizione delle due strisce: anche in qualche caso la direzione delle linee può mutarsi, benché di pochissima quantità; sempre però deviando di piccolo spazio dal canale con cui è associata strettamente. Da questa importante circostanza si comprende immediatamente, che le geminazioni non possono essere formazioni stabili della superficie di Marte, e di carattere geografico, come i canali. La seconda delle nostre carte può dare un'idea approssimativa dell'aspetto che presentano queste singolarissime formazioni. Essa comprende tutte le geminazioni osservate dal 1882 fino al presente; nel riguardarla bisogna tener a mente, che non di tutte l'apparizione è stata simultanea, e che pertanto quella carta non rappresenta lo stato di Marte in nessun'epoca; essa non è che una specie di registro topografico delle osservazioni finora fatte in diversi tempi su quel fenomeno.

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Vicende di vegetazione su vaste aree e generazioni d'animali anche minimi in enorme moltitudine potrebbero benissimo rendersi visibili a tanta distanza. A quel modo che un osservatore posto nella Luna potrebbe avvedersi delle epoche, in cui sulle nostre vaste pianure succede l'aratura dei campi, il nascere e la messe del frumento; a quel modo che il fiorir dell'erba nelle vastissime steppe dell'Europa e dell'Asia deve rendersi sensibile anche alla distanza di Marte per una varietà di colorazione; così può certamente rendersi visibile a noi un eguale sistema di operazioni che si produca in quegli astri. Ma come difficilmente i Lunari ed i Marziali potrebbero immaginare le vere cause di tali mutazioni d'aspetto senza aver prima qualche conoscenza almeno superficiale della natura terrestre: così anche per noi, che tanto poco conosciamo dello stato fisico di Marte e nulla del suo mondo organico, la grande libertà di supposizioni possibili rende arbitrarie tutte le spiegazioni di tal genere, e costituisce il più grave ostacolo all'acquisto di nozioni fondate. Tutto quello che possiamo sperare è, che col tempo si diminuisca gradatamente l'indeterminazione del problema, dimostrando, se non quello che le geminazioni sono, almeno quello che non possono essere. Dobbiamo anche confidare un poco in ciò, che Galileo chiamava la cortesia della Natura, in grazia della quale talvolta da parte inaspettata sorge un raggio di luce ad illuminare argomenti prima creduti inaccessibili alle nostre speculazioni; di che un bell'esempio abbiamo nella chimica celeste. Speriamo adunque, e studiamo.

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A partir da quel punto fino alla metà d'agosto, per lo spazio di 80 giorni e più, l'orlo circolare della regione nevata andò restringendosi con molta regolarità, avvicinandosi al polo in ragione di 13 chilometri al giorno: così che a mezzo agosto il diametro delle nevi da 2800 chilometri si trovò ridotto a 600. Durante questo intervallo, e precisamente verso la fine di giugno, si manifestò nella calotta bianca una grande spaccatura, che ne separava un segmento di considerabile ampiezza. Quest'ultimo scomparve presto, e non restò che la massa principale, notabilmente diminuita.

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Le prime osservazioni si fecero in Australia alla fine di maggio col gran telescopio dell'osservatorio di Melbourne, essendo il pianeta ancora a grande distanza della Terra. Il 25 maggio (epoca, che per l'emisfero australe di Marte corrispondeva press'a poco alla metà della primavera) i ghiacci si estendevano tutt'intorno al polo australe fino a 67° di latitudine; l'area nevosa formava una calotta ben terminata e simmetrica di 2800 chilometri di diametro.

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Da che si è incominciato a studiar Marte con qualche attenzione, è questa la prima volta in cui è accaduto di osservare la completa dissoluzione delle sue nevi antartiche. Essa si può stimare avvenuta circa 55 giorni dopo il solstizio australe, cioè dopo l'epoca, in cui la massima intensità della radiazione solare si fece sentire in quella regione. Nel 1862, trovandosi il pianeta in una stagione identica, Lassell vide quelle medesime nevi ancora molto estese: 94 giorni dopo il solstizio australe il loro diametro non era minore di 500 chilometri. Nell'anno 1880 io le vidi ancora a Brera 144 giorni dopo il solstizio australe. Possiamo argomentare da questo, che in Marte, come sulla Terra, il corso delle stagioni non è perfettamente il medesimo in tutti gli anni, e che si danno colà, come presso di noi, estati più lunghe o più calde, ed altre più brevi o più fresche.

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Carta generale del pianeta Marte secondo le osservazioni fatte a Milano dal 1877 al presente.

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Le geminazioni delle linee oscure del Pianeta Marte quali furono osservate a Milano principalmente nel 1882 e nel 1888.

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emisferi veramente si manifesta a chi consideri le cose con molta precisione; differenza principalmente derivata da ciò, che nell'emisfero australe le aree continentali sono meno estese che nell'emisfero boreale. Ma questo fatto, quantunque degno di studio per il suo

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Bastan questi riflessi a persuaderci, che le molte strisce oscure, onde il pianeta è solcato per ogni verso, larghe talvolta quanto il Mar Adriatico od il Mar Rosso e quasi sempre assai più lunghe, non possono, malgrado il nome da noi loro assegnato di canali, rappresentare nella loro vera larghezza arterie di deflusso delle acque boreali. Se tali fossero, basterebbero a dar passo in poche ore a tutta quanta la grande inondazione. Non solo le acque non potrebbero esser impiegate a colture che richiedessero la durata di alcuni mesi, ma giungerebbero al mare e vi si perderebbero prima che un vantaggio qualunque se

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Fino a questo punto abbiam potuto arrivare, combinando il risultato delle osservazioni telescopiche con probabili deduzioni tratte da principi conosciuti della Fisica, e da plausibili analogie. Concediamo ora alla fantasia un più libero volo; sempre appoggiati, per quanto è concesso, al fondamento sicuro dell'osservazione e del ragionamento, tentiamo di renderci conto del modo, con cui sarebbe possibile in Marte l'esistenza e lo sviluppo di una popolazione d'esseri intelligenti, dotati di qualità e soggetti a necessità non troppo diverse dalle nostre: e sotto quali condizioni si potrebbe ammettere, che i fenomeni dei così detti canali e delle loro geminazioni possano rappresentare il lavoro di una simil popolazione. Ciò che diremo non avrà il valore di un risultato scientifico, ed anzi confinerà in parte col romanzo. Ma le probabilità a cui per tal modo arriveremo non saranno minori che per tanti altri romanzi più audaci e meno innocui, che sotto il sacro nome di scienza si stampano nei libri e si predicano nelle assemblee e nelle Università.

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E se in Marte esiste una popolazione di esseri ragionevoli capace di vincere la Natura e di costringerla a servire ai propri intenti, la regolata distribuzione di quelle acque sopra le regioni atte a coltura deve costituire il problema principale e la continua preoccupazione degli ingegneri e degli statisti.

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Proseguendo nelle nostre deduzioni arriveremo a comprendere senza difficoltà, che, regnando in Marte il potere della gravità, quantunque in misura assai minore che sulla TerraL’intensità della gravità alla superficie di Marte è minore nel rapporto di 3 a 8 di quella che ha luogo alla superficie della Terra. Quindi quel peso, che noi chiamiamo di 8 chilogrammi, potrebbe esser sostenuto in Marte da quel tanto di forza muscolare, che a noi occorre per sostenere 3 chilogrammi., i liquidi diffusi alla superficie del pianeta tenderanno a scendere ai luoghi più bassi; e che le zone oscure destinate alla vegetazione saranno più basse delle aree luminose circostanti, in cui l'acqua non può penetrare. Quello pertanto che a noi appare sotto aspetto di striscia oscura, e che da tutti finora si è chiamato canale, sarà un grande avvallamento della superficie, esteso secondo la linea retta o secondo il circolo massimo, sopra larghezze e lunghezze comparabili a quelle del Mar Rosso. D'or innanzi daremo ad esso il nome più proprio di valle. La larghezza di una tal valle è in tutti i casi presso che uniforme, e tale dobbiamo credere ne sia pure la profondità, che diverse ragioni c'inducono a credere molto piccola, e certamente poi molte volte minore della larghezza. L'osservazione ci accerta che una tal valle fa sempre capo co' suoi estremi o ad un mare, o ad un lago, o ad un'altra valle consimile. E poiché il color oscuro, effetto della vegetazione e dell'irrigazione, ne occupa tutta l'apparente larghezza, dobbiamo ritenere, che i due pendii laterali siano accessibili alle acque tanto bene quanto il fondo. Quale poi sia stata l'origine di tali valli così numerose ed intrecciate, come si vede sulla carta, non è ora opportuno discutere; però l'enorme loro larghezza non ci dà confidenza di soscrivere all'opinione di coloro, che le credono prodotto di uno scavo artificiale.

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La mente nostra non è avvezza a concepire tali grandiose opere come effetto di potenze comparabili a quella dell'uomo. Quando però dalla considerazione generale di questi fatti si scende allo studio minuto dei loro particolari, e sopratutto si ferma l'attenzione sopra le misteriose geminazioni e sulla straordinaria regolarità di forma ch'esse presentano, l'idea che qualche parte almeno secondaria vi possa avere una razza di esseri intelligenti non può esser considerata come intieramente assurda. Anzi, al punto in cui siamo giunti, e data la verità delle cose sin qui esposte, tale supposizione perde quel carattere d'audacia che ci spaventava da principio, e diventa quasi una conseguenza necessaria.

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La loro larghezza è per tale scopo eccessiva, né a questo scopo corrisponde bene il loro variabile aspetto, e la loro geminazione. Ciò che noi vediamo là, o che finora abbiam chiamati canali, non sono larghissimi corsi d'acqua, come da alcuno fu creduto. L'ipotesi più plausibile è quella di considerarle come zone di vegetazione, estese a destra e a sinistra dei veri canali, i quali esistono sì lungo le medesime linee, ma non sono abbastanza larghi da poter esser veduti dalla TerraUna striscia oscura della superficie di Marte non può esser osservabile coi presenti nostri telescopi, se non ha almeno 30 o 40 chilometri di larghezza.. Queste zone di vegetazione facilmente si distaccano sulle circostanti regioni del pianeta per un colore più cupo, dovuto, com'è da credere, al fatto stesso dell'inaffiatura (si sa che il terreno bagnato è di color più oscuro che l'asciutto e disseccato dal sole) e anche in parte senza dubbio alla presenza stessa della vegetazione; mentre per le aree aride e condannate a perpetua sterilità rimane invariato il color giallo uniforme che predomina su tutti i continenti. Questo colore dobbiamo d'or innanzi considerare come rappresentante il deserto puro ed assoluto; e pur troppo si può far stima, che i nove decimi della superficie continentale di Marte ad esso appartengano.

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Le nevi del polo boreale, a misura che saranno disciolte, correranno all'Oceano seguendo le ampie valli, che loro offrono la strada più facile. Se il fondo delle valli è concavo (come nella maggior parte delle nostre), l'acqua vi si riunirà in una corrente di larghezza molto limitata, e non potrà occupare i pendii laterali, né produrre sopra di essi l'innaffiamento e le vegetazioni che soli possono renderli a noi visibili. Il corso d'acqua o canale esisterà, ma difficilmente prenderà tale ampiezza.da rendersi sensibile al telescopio. Insomma noi non ne vedremmo nulla. Perché l'acqua e la vegetazione potessero

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Così stando dunque disposte le cose; essendo giunta l'estate dell'emisfero Nord, e la grande inondazione boreale essendo arrivata alla massima altezza; il Gran Prefetto dell'Agricoltura ordina che si apran le chiuse più alte, e che sia immessa l'acqua nei due canali più elevati a destra e a sinistra della valle (segnati colle lettere m m' nella figura qui sopra). L'irrigazione si estenderà sopra

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In A A sono le sponde della valle, in B il suo fondo. Se al giungere delle inondazioni s'immettesse l'acqua nella valle senza altro apparato, essa si raccoglierebbe tutta al fondo sotto forma di un gran fiume in quantità probabilmente eccessiva, mentre i pendii laterali rimarrebbero asciutti. Per dare a tutta la valle la irrigazione necessaria così in quantità come in durata, i nostri ingegneri avrebbero scavato (e così dobbiam supporre abbiano fatto anche gl'ingegneri di Marte) a diverse altezze sui due pendii una serie di canali paralleli fra loro e paralleli alle sponde della valle; canali di dimensioni comparabili alla nostra Muzza, al Canale Cavour, al gran Canale del Gange Quest’ultimo canale è capace d’irrigare sopra tutta la sua lunghezza (che è di 500 chilometri) una zona di terreno larga 35 chilometri. Più non si richiede per i canali qui sopra descritti.. Simili canali, di cui non è necessario qui precisare il numero, sono rappresentati sulla figura dalle incavature segnate colle lettere m, n, p... Fra due canali contigui il terreno segue il pendio naturale verso l'asse della valle, in modo che l'acqua da un canale più alto (come quello segnato m) possa arrivare a quello che gli sta sotto (come quello segnato n) espandendosi gradatamente su tutta la zona coltivata intermedia m n. I due canali più bassi serviranno ad irrigare la zona più bassa di coltivazione, che occupa il fondo della valle. All'estremità boreale di questa stanno i robusti argini, che trattengono entro i dovuti limiti, e fino al tempo opportuno, le acque della grande inondazione; ivi si chiudono e si aprono le porte d'afflusso: mentre per l'estremità australe e più bassa accadrà l'uscita delle acque residue, che vanno a raccogliersi nell'Oceano australe.

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L'apertura dei canali e l'immissione delle acque nelle campagne di una data valle non si potranno quindi fare a caso, ma dovranno succedersi con certa regola, onde tutte le zone, anche le più alte, possano ricevere il fluido benefico e conservarlo per tanto tempo, quanto ne richiede il ciclo vegetativo delle colture adottate. Male si provvederebbe a questo, se, per esempio, prima che la grande inondazione sia giunta al colmo, si cominciasse a consumar l'acqua per uso delle zone più basse: perché in tal modo potrebbe avvenire che l'inondazione non raggiungesse il livello necessario per irrigare le zone più alte. Queste ultime pertanto dovranno avere la precedenza in ogni caso.

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Avremo allora qualche cosa di simile ad un vasto impaludamento, nel quale potrebbero ottimamente svolgersi una flora ed una fauna somiglianti a quelle della nostra epoca carbonifera. Con tali ipotesi è possibile renderci conto delle strisce oscure semplici; rimane però inesplicato il fenomeno della loro temporanea geminazione. Non si riesce a comprendere perché in una medesima valle l'innaffiamento e la vegetazione si faccian talvolta sopra una linea unica, tal'altra invece si dividano sopra due linee parallele di larghezza e d'intervallo non sempre eguale in ogni tempo, tra le quali resta uno spazio infecondo o almeno non irrigato. Qui la supposizione di un intervento intelligente è più che mai indicata. E il modo di questo intervento dev'esser determinato dalle condizioni particolari fatte dalla natura ai supposti abitatori del pianeta.

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Ammesse le linee principali del nostro quadro, non sarà difficile il compierlo nei particolari, e disegnare coll'immaginazione i grandiosi argini necessari per contenere nei giusti limiti l'inondazione boreale; i laghi o serbatoi secondari di distribuzione, necessari per dare le acque a quelle valli, che non fanno capo direttamente a quella inondazione; le opere occorrenti per regolare la distribuzione secondo il tempo e secondo il luogo; i canali di primo, secondo, terzo... ordine destinati a condurre le acque su tutto il terreno irrigabile; i numerosi opifici, a cui le acque potranno dar moto nel loro scendere dai ciglioni laterali della valle al fondo della medesima. Marte dev'esser certamente il paradiso degli idraulici!

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Bello altresì sarà indagare, se sia meglio ordinar politicamente il pianeta in una gran federazione, di cui ogni valle costituisca uno stato indipendente, oppure se forse, a reggere quel grande organismo idraulico da cui dipende la vita di tutti, e a conciliare le diverse necessità delle diverse valli, non sia forse più opportuna la monarchia universale di Dante. Ed ancora si potrà discutere, a quale rigorosa logica dovrà essere subordinata la legislazione destinata a regolare un così grandioso, vario e complicato complesso d'affari: quali progressi debbano aver fatto colà la Matematica, la Meteorologia, la Fisica, l'Idraulica e l'arte delle costruzioni, per arrivare alla soluzione dei problemi estremamente difficili e varii, che si presentano ad ogni tratto. Qual singolare disciplina, concordia, osservanza dello leggi e dei diritti altrui debba regnare sopra un pianeta, dove la salute di ciascuno è così intimamente legata alla salute di tutti; dove son certamente sconosciuti i dissidii internazionali e le guerre: dove quella somma ingente di studio e di lavoro e di mezzi, che i pazzi abitanti d'un altro globo vicino consumano nel nuocersi reciprocamente, è tutta rivolta a combattere il comune nemico, cioè le difficoltà che l'avara Natura oppone ad ogni passo.

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Di tutto questo, o caro lettore, lascio a te l'ulteriore considerazione. Io scendo dall'Ippogrifo; tu, se ti aggrada, puoi continuare la volata. Messo t'ho innanzi, omai per te ti ciba.

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