Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

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Il Politecnico, Memorie, vol XXI, fascicolo II

474802
Filippo De Filippi 50 occorrenze
  • 1864
  • Editori del Politecnico
  • Milano
  • scienze naturali
  • UNIPIEMONTE
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Cerchiamo ora di applicare queste premesse ad un solo soggetto, a quello che è il nodo della grande quistione che ci proponiamo discutere.

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In questo nuovo posto incominciavamo appena a sentirci meglio assisi sul trono della natura, quando ecco sorgere Geoffroy S. Hilaire a tentare di ristabilire l'antico consorzio, dimostrando che noi pure in origine siamo stati quadrumani.

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Nell'albero simbolico in cui abbiamo per un istante rappresentato il regno animale, le specie o varietà più distinte di babbuini devono corrispondere a tanti rami verdi laterali di un ramo stipite che porta come ramo terminale il gorilla. Sieno aggruppati adesso nell'egual modo i macachi ed il chimpansé, i cercopiteci, i semnopiteci, i gibboni e l'orang-outang. Ora fatto il primo passo, non v'è ragione per arrestarsi e non fare il secondo; e così, fedeli al medesimo principio, riuniremo alla loro volta i tre rami stipiti su di un ramo stipite più vecchio; e retrocedendo sempre logicamente, nella serie delle epoche preumane, saremo condotti a far derivare tutte le scimie da uno stipite comune.

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Voi sapete, o signori, lo scherzo fatto a Platone da Diogene. Platone definisce l'uomo un animale bipede implume, e Diogene gli getta un gallo spennacchiato, esclamando: «Ecco il tuo uomo». In tutte le scuole non si fa che ripetere press'a poco la definizione di Platone, con questa sola spettacolosa riforma di dire che l'uomo è un animale bimano, piuttosto che un bipede.

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La prima impressione in guardarle è che differiscono dall'uomo siffattamente da non comprendere come mai sia messa in questione una sì grande distanza; da provare una decisa avversione a subire questo supplizio di Mesenzio a cui certi curiosi cervelli di naturalisti ci vogliono condannare. Ma l'uomo che si sente uomo non si rifiuta mai dallo spingere lo sguardo sotto il velame delle apparenze.

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Non ci resta a fare che una sola cosa: affrontarlo.

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Non crediate, o signori, che io vada, pel semplice gusto de' paradossi, a risuscitare una questione isolata di qualche cervello balzano dei tempi andati. E questa una quistione viva e cocente rimasta sotto la cenere, in aspettazione di un momento opportuno per quindi presentarsi in tutta la sua grave pienezza.

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Du Chaillou, reduce dell'occidente dell'Africa equatoriale, portò a Londra molte spoglie di gorilla e raccontò di questo orrendo scimione maravigliose cose ai cercatori di novità piccanti. Il gorilla diventò la bestia alla moda, il beniamino de' giornali e delle conversazioni della City, ricomparendo ad ogni tratto al suo posto d'onore, fra il cotone e la politica misogalla. Una viva lotta s'impegnò fra i due più valorosi campioni della scienza anatomica in Inghilterra, fra Owen ed Huxley; ed il pubblico d'oltre la Manica, così colto e così desideroso di coltura, la seguì con quell'attenzione, con quel freddo fanatismo, e con quegli scoppi umoristici che sono un'espressione costante del suo carattere. La partita era così impegnata: Owen da un lato studiando strappare l'uomo dallo stretto consorzio delle scimie; Huxley dall'altro lato lavorando a rafforzar i legami anatomici che ve lo trattengono.

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Ma le estremità anteriori ci offrono materia a ben più importante considerazione.

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Ma non mettiamo a confronto con queste scimie la testa di Napoleone o dell'imperatore Nicolò, prendiamo quella di un Papou, di un nero dell'Australia, ed allora la distanza fra i due soggetti di confronto scema d'assai. L'angolo faciale delle razze umane oscilla fra due estremi che sono 85° e 64°; ma nelle scimie troviamo un massimo poco discosto dal minimo umano; nel giovane orang-outang, in cui la prima dentizione non sia ancora compiuta, l'angolo faciale è di 60°. Una diversità fra l'uomo e la scimia da questo lato esiste senza dubbio, ma una diversità di grado e nulla più.

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I caratteri comunemente assegnati alla mano sono la mobilità delle dita, di tutte e di ciascuno, e sovratutto la mobilità del pollice divergente dalle altre dita ed a queste opponibile. Veramente questi caratteri spiccano nelle estremità posteriori delle scimie; ma, come Bory de S. Vincent ha fatto osservare, il piede può acquistare la facoltà di afferrare, quindi il carattere della mano, per la forza dell'esercizio, anche nell'uomo; e Geoffroy di S. Hilaire è andato più in là, è andato fino a sostenere che originariamente l'uomo stesso era un quadrumano.

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D'altra parte osservate i primi passi del bambino: nell'incertezza di quei movimenti esso tiene i piedi rivolti all'indentro, come a ricordo di un carattere originario che deve presto cancellarsi. Io vi chieggo perdono, o madri che mi ascoltate. La scienza, per essere fedele ed integra, è costretta ora a profanare le vostre più serene gioie.

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L'orang-outang ha il pelo molto diradato, specialmente alla faccia, alle parti anteriori del tronco e nell'interno delle coscie, nelle quali parti il nudo prevalente della pelle lascia trasparire attraverso il livido un po' di rosso-carneo; ed alla region posteriore del vertice il pelo più lungo e disposto a rosa attorno di un centro, accenna già ad una disposizione analoga a quella che si osserva nella capigliatura umana.

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L'incesso delle scimie è affatto particolare e ben diverso da quello dell'uomo: esse mettono a terra non la pianta ma il margine esterno del piede, facendo arco delle dita e rivolgendo all'indentro la parte plantare che, meno esercitata dalla pressione continua, rimane così molto meno larga della corrispondente del piede umano. Or bene, la pianta dei piedi del gorilla è già più larga in confronto di quella dell'orang-outang e dello stesso chimpansé; e la parte di essa che tocca la terra è maggiore; ed il tallone è più robusto. Per questo carattere il gorilla vince le altre scimie antropoidi.

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Ma tutto questo non basta ancora a costituire una mano. Nella famosa lotta fra Owen e Huxley, quest'ultimo ha dimostrato all'evidenza che la così detta mano posteriore de' quadrumani è un vero piede, al quale si attacca un muscolo lungo peroneo, le cui dita sono munite di un muscolo flessore breve e di un estensore breve, il cui tarso si compone di sette ossa disposte come nel piede umano; e così respinge assolutamente la denominazione di quadrumani consacrata dall'autorità di Cuvier e dal lungo uso; e ristabilisce l'antico ordine dei primati, comprendente l'uomo e le scimie, non, come aveva fatto Geoffroy di S. Hilaire, riconducendo noi uomini al tipo quadrumano, ma invece rendendo bimani anche le scimie.

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Per lungo tempo questo fenomeno è stato considerato come proprio dell'uomo, finché poi non lo si venne a scoprire anche nell'orang-outang.

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Ma indipendentemente dal trattarsi qui ancora di semplici differenze di quantità e di proporzione, si deve osservare che la enorme distanza fra due estremi, quali sarebbero per esempio un cranio della razza umana caucasica ed un cranio di babbuino, scema mettendo a confronto da un lato un cranio di un nero dell'Australia, o meglio ancora un cranio della primitiva razza dell'epoca della pietra, dall'altro lato un cranio di chimpansé nella prima età.

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Lasciamo il cranio, ed allora per la larghezza dello sterno, per la forma della scapola, per l'ampiezza e la direzione del bacino, capace a sostenere la massima parte del peso dei visceri addominali, è il gorilla che prende il sopravanzo sulle altre due scimie rivali.

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Le scimie e l'uomo posseggono intanto in comune questi distintivi, che già si possono discernere d'un colpo d'occhio sul complesso della massa encefalica: gli emisferi cerebrali si prolungano anteriormente al di là de' lobi olfattori rudimentali, e posteriormente fino a coprir tutto il cervelletto, talvolta a sopravanzarlo, e lo sopravanzano realmente sì nell'uomo che nelle scimie superiori. Dei tre lobi del cervelletto, il mediano è molto impiccolito, e ridotto a quello che gli anatomici chiamano verme.

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Volendo stare a questa divisione grossolana, rispettabile per vetustà, diremo che il midollo oblungato è la massa centrale d'onde hanno origine i nervi de' sensi e de' movimenti delle varie parti della testa, ed oltre ciò un paio di nervi, i più importanti di tutti, che, scendendo ai lati del collo, penetrano nel torace e vanno ai polmoni, al cuore, allo stomaco.

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Gratiolet, al quale è debitrice la scienza del lavoro più importante intorno a questo argomento, dà a queste province il nome di lobi, e distingue allora un lobo frontale, un parietale, un temporale ed un occipitale. Non posso entrare in minuti particolari sulla distribuzione delle pieghe cerebrali in ognuno di questi lobi; solo aggiungerò che la complicazione delle pieghe superiori del lobo frontale ed il grande sviluppo di questo lobo, sollevano, è vero, il cervello dell'uomo in confronto di quello delle scimie antropoidi, ma ancora nella linea delle semplici quantità relative. Fra i lobi parietali e l'occipitale stanno altre pieghe (quattro, quando in numero normale), che Gratiolet chiama pieghe di passaggio, tutte esterne nel cervello umano, nel quale impiccoliscono assai il lobo occipitale e fanno sparire il solco perpendicolare che lo separa dai lobi parietali: altro carattere di supremazia! Queste pieghe di passaggio sono invece nelle scimie più o meno coperte e nascoste nell'anzidetto solco; meno però nell'orang-outang che nelle altre due scimie rivali.

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Il principale risultato delle ingegnosissime ricerche di Gratiolet è questo: che la distribuzione delle pieghe o circonvoluzioni cerebrali segue, ne' così detti quadrumani, un piano caratteristico, diverso da quello delle altre grandi divisioni de' mammali, e che a questo piano si accomoda perfettamente anche il cervello umano, come il grado più elevato di una grande serie che, per le scimie antropoidi, si continua nelle altre vere scimie e termina al grado infimo degli ovistiti.

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Nella celebre collina di Sansan, al sud della Francia, Lartet ha scoperto ossami di una scimia antropoide affine a' gibboni; un'altra specie di scimia si trova in una breccia ossifera di Grecia: l'una e l'altra formazione spettano a quel terreno che i geologi dicono terziario medio o terreno mioceno. Se dobbiamo stare a qualche raro frammento fossile, le scimie discendono probabilmente ancora di un grado più in basso nella serie delle formazioni geologiche: nel terreno terziario inferiore od eoceno.

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Sarebbe del più grande interesse il rintracciare le prime origini dell'uomo nella storia del mondo, il conoscere i caratteri precisi delle razze primitive ed il far poi il confronto diretto di questi caratteri con quelli delle scimie antropoidi, ma siamo ancora assai lontani dal possedere materiali sufficienti a tanto uopo.

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Voi sapete, o signori, come da ogni parte affluiscano fatti che ci obbligano a respingere l'origine della schiatta umana molto più indietro nella serie de' secoli che non si credesse dapprima. Certamente l'uomo ha vissuto in Europa in compagnia di varie specie di mammali che sono da lungo tempo estinte, coll'orso delle caverne, col leone delle caverne, col cervo delle grandi corna, col rinoceronte dal setto nasale, coll'elefante velloso (mammouth), coll'elefante meridionale. Avanzi di scheletri umani e di oggetti lavorati dalla mano dell'uomo si trovano, insieme a resti di queste specie, entro depositi incontestabilmente naturali, non rimescolati o sconvolti dopo la loro formazione: ne' depositi immediatamente superiori alle marne ed alle sabbie subapennine. Stando alle osservazioni sin qui fatte, si direbbe che l'uomo non discende più in basso nella serie delle formazioni geologiche.

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Stando a quegli scarsi materiali che finora si posseggono, si dovrebbe credere che abbia primitivamente esistito in Europa una razza umana diversa da quelle che attualmente la abitano, una razza dal fronte depresso, dagli incisivi inclinati all'infuori; ma è ancora oggetto di questione se questa razza sia apparsa in Europa sola oppure insieme ad altre razze differenti. Sono pochi anni soltanto che tali studi, per loro stessi cotanto astrusi e delicati, sono all'onor della scienza, e quindi sarebbe temerario il precipitare ora delle asserzioni nell'uno o nell'altro verso. Non devo però passare sotto silenzio la maravigliosa scoperta fatta nel 1858 in una piccola grotta a Neanderthal presso Dusseldorf, di alcuni avanzi di uno scheletro umano assai probabilmente contemporaneo dell'elefante velloso (E. primigenius), e che sarebbero rappresentanti di un tipo umano affatto piteciforme, veramente bestiale: il cranio è segnalato dalla forte sporgenza dell'orlo superiore dell'orbita, dalla grande depressione del fronte obbliquo all'indietro, dall'occipite obbliquo al davanti, dalla grossezza delle pareti. Anche alcune ossa lunghe, sole residue del tronco di quello scheletro che andò in gran parte disperso, si distinguono per la grossezza delle pareti e per le scabrosità molto pronunciate degli attacchi muscolari.

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A quali conclusioni essi trascinino la mente ritrosa, è quasi inutile che io dica. Se l'uomo per la sua compage, per la sua configurazione, è un animale dell'ordine dei primati, appena separato dalle scimie per quella distanza che separa un genere dall'altro in un ordine zoologico; se è razionale il far derivare tutti i primati da un unico stipite; se, nella successione cronologica degli esseri viventi, le scimie hanno preceduto l'uomo, l'ultima conseguenza si presenta da se stessa, senza cercarla. Quando Lamarck, per la forza de' suoi ragionamenti, si trovava al punto di supporre una derivazione dell'uomo dalla scimia, nessuno avrebbe mai creduto che una simile proposizione potesse da senno essere sostenuta un istante. Or bene eccoci, dopo tanti anni, all'istesso punto. La mostruosa proposizione, non rabbrividite, è quanto ci è rimasto della grande lotta che il gorilla ha suscitata in Inghilterra. Potete immaginare se gli stessi spiriti di quella nazione, impassibili per abitudine ad ogni eccentricità, siansi accomodati facilmente a così inatteso blasone. Alla grandine di proteste che sotto ogni forma lo assaliva, Huxley oppose freddamente daprima le ragioni della scienza, poi queste memorande parole: se io dovessi scegliere i miei antenati fra un uomo che si vale del suo ingegno per deridere la ricerca della verità, od una scimia perfettibile, preferirei la scimia.

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Vi fu chi trovò eterodossa questa teoria, ortodossa la teoria contraria; ebbene, si potrebbero forse invertire le partite, ma io non voglio suscitare ora questo vespaio; io mi limiterò a perorare per la libertà della discussione, e a dire che ogni teoria di filosofia naturale deve essere giudicata in sé, co' suoi propri criteri, non per quelle precipitate illogiche deduzioni che possono presentarsi alla mente di taluno. Bisogna avere fiducia nella scienza. Se quello che vi urta è un errore, la scienza stessa lo troverà colla discussione pacata, condotta con quel rigoroso metodo che le è proprio; se invece è la verità, allora dobbiamo allontanare da noi il timore che due verità si contradicano.

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Sarebbe per noi profondamente umiliante se ad una scimia fosse toccato l'onore della creazione diretta ed a noi l'onta della derivazione; ma non è così. Bisogna accettare la teoria di Darwin in tutto il suo sviluppo o respingerla per intiero, o non fare il primo passo o fare anche tutti gli altri. In questa, come in tante vicissitudini in cui è posto l'ingegno umano, il peggiore sistema è quello de' sistemi misti, di quelli ibridi filosofici che si mascherano troppo soventi sotto la speciosa parola di eclettismo. L'uomo è una derivazione delle scimie, e queste sono una figliazione del ramo de' lemuri, il quale, alla sua volta, s'impianta sul ramo delle falangiste, che si collega ad altro stipite, e così via via si discende per l'albero genealogico degli animali, fino al tronco, fino ad uno stipite unico per tutti (1)Da gran tempo i zoologi sono tratti a riflettere sulla circostanza che l'ordine de' marsupiali è formato di tipi eterogenei, che, divergendo, vanno a rannodarsi con vari altri ordini di mammali placentari. I dasiuri ed il tilacino corrispondono perfettamente ai carnivori: i mirmecobi, i perameli, le sarighe, agli insettivori; il wombat ai rosicanti: le falangiste ed il koala rappresentano i quadrumani. I marsupiali inoltre hanno preceduto sulla terra i mammali placentari. È noto il fatto degli ossami di un didelfide (Thylacotherium) contenuti negli scisti iurassici di Stonesfield. Altri rappresentanti della stessa famiglia furono trovati in Europa nel terreno eoceno e nel mioceno inferiore, oltre che in America, in terreni di epoca più vicina all'attuale. Se poi teniamo conto de' numerosi tipi fossili e viventi dell'Australia, potremo dire che fra i mammali terrestri quelli che si trovano diffusi per maggior estensione sulla superficie del globo, sono stati appunto i marsupiali. Un fatto analogo si rileva dalla distribuzione delle piante. Con molta perspicacia il prof. Unger ha fatto vedere quali stretti rapporti abbia la flora eocenica d'Europa colla flora attuale della Nuova Olanda. Una flora improntata d'un medesimo carattere s'è trovata diffusa sovra la massima parte dell'emisfero orientale, ma per i cambiamenti geologici sopravvenuti in Europa ed in Asia, andò mano mano restringendosi nelle terre australi, ove tutt'ora si conserva. Molto felicemente il prof. Unger fa notare, a questo proposito, che la Nuova Olanda, lungi dall'essere, come generalmente si ripete, un continente nuovo, nel quale la creazione organica non sia ancora arrivata a quello sviluppo che ha raggiunto nelle altre parti del mondo, devesi considerare invece come il continente più antico, come quello che ha conservato il primitivo carattere della sua flora (e della sua fauna) attraverso il lungo corso dell'età geologiche* Neu-Holland in Europa, Wien, 1861. Combinando questi fatti colla teoria di Darwin, siamo naturalmente condotti a far discendere fino ai marsupiali gli stipiti di diversi gruppi naturali di mammali placentari. La grande differenza che passa fra l'esistere ed il mancare di una placenta, scema d'importanza quando si riflette che in alcuni gruppi compatti di vertebrati, ne' quali l'assenza della placenta è legge, occorre l'anomalia costante di poche specie placentarie**.Ce ne danno esempio i Seps fra i sauri, secondo le belle osservazioni del professore Studiati di Pisa, ed il Mustelus laevis, fra i pesci, secondo le classiche ricerche di G. Müller. La vescichetta ombellicale che si protrae tanto avanti nella vita fetale de' marsupiali, si conserva pure fino al termine della gestazione negli ovistiti (Rudolphi). La particolarità tanto caratteristica della mancanza del corpo calloso nel cervello de' marsupiali si presenta pure qualche volta sporadica perfino nella specie umana***. Un esemplare di cervello umano senza corpo calloso si conserva nel gabinetto di Torino. L'ipotesi della derivazione de' così detti quadrumani da equivalenti marsupiali, è pure convalidata dalla composizione delle serie, terminata ciascuna da una specie scodata. Come il ramo degli eopiteci (scimie dell'antico continente) si tripartisce ne' tre rami secondari macachi-chimpansé, babbuini-gorilla, semnopiteci-orang-outang, così ne' lemurini abbiamo le due serie Lemur-Lichanotus(con solo rudimento di coda) e Tarsius-Stenops, e ne' marsupiali la serie Phalangista-Lipurus. Ed allora cos'è questo se non un modo di concepire la creazione organica? Cos'è questo se non un senso che verrebbe dato alla parola creare, che entra così spesso nel nostro discorso ed alla quale non è congiunta alcuna idea determinata? In un pesce, per esempio in un ganoide, sviluppare in apparato polmonale la doppia vescica natatoria, è un creare il tipo rettile; abolire in un rettile il condotto arterioso, rivestire di penne il tegumento, è un creare il tipo uccello (1); Passeranno ancora molti e molti anni prima che le grandi induzioni generali della teoria di Darwin possano essere sviluppate in una serie ordinata di fatti incontrovertibili, prima che si arrivi a compiere delle serie genetiche esatte, collegando le forme ora viventi colle forme trapassate. Il materiale paleontologico di tutte le collezioni del mondo messe assieme è invero imponente, ed ogni anno si arricchisce di nuove scoperte; ma è un perfetto nulla al paragone di quanto sta ancora sepolto e sottratto, forse per sempre, ad ogni indagine umana. Queste proposizioni che io ho messe innanzi devono ritenersi come esempi atti a spiegare un'idea e nulla più. Mi basti ora salvarle dall'accusa di eccessiva avventataggine. I rapporti fra i ganoidi ed i rettili sono già da lungo tempo avvertiti e discussi. Una forma intermedia fra i pesci ed i rettili esiste nel vivente genereLepidosiren, che si può considerare come ultimo rampollo, fra breve perituro, del ramo che in lontanissima età ha dato origine ai rettili squamosi. Il maraviglioso Archaeopteryxdegli schisti di Solenhofen, dietro la bellissima analisi di Owen, è un uccello, non un rettile, come si era da principio creduto, ma un uccello affatto anomalo pel numero delle dita delle estremità anteriori, delle vertebre caudali, e per la maniera d'inserzione delle timoniere in queste vertebre. Non è troppo audace il dire che questa anomalia consiste in qualche tratto di congiunzione co' rettili.fare che in una scimia sia reso più elevato il fronte, meno acuto l'angolo facciale, più capace il cranio, più sviluppato il cervello, si allunghino le estremità posteriori, si allunghi ancora in queste il pollice dei piedi, è un creare l'uomo anatomico. Infine cosa fa la scienza? Essa non fa che sostituire alla forma simbolica della polvere della terra, la forma scientifica di un organismo, a costituire il quale ha concorso tutta la creazione precedente. La parentela colle scimie è così tutta assorbita in una parentela più generale; e lungi dall'esserne umiliato, l'uomo si sublima, pensando a quanto si riassume in lui, termine della creazione.

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Unger fa notare, a questo proposito, che la Nuova Olanda, lungi dall'essere, come generalmente si ripete, un continente nuovo, nel quale la creazione organica non sia ancora arrivata a quello sviluppo che ha raggiunto nelle altre parti del mondo, devesi considerare invece come il continente più antico, come quello che ha conservato il primitivo carattere della sua flora (e della sua fauna) attraverso il lungo corso dell'età geologiche* Neu-Holland in Europa, Wien, 1861.

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Io ho cercato di mostrarvi che nessuna di esse ha titoli assoluti di preminenza sulle altre due; che se l'una sembra prevalere per un carattere, decade poi per l'altro; che se per i caratteri del cervello, per la distribuzione del pelo, l'orang-outang vince le scimie rivali, per la forma del capo, per le proporzioni delle estremità, per il minor sviluppo delle saccocce laringee, il chimpansé vince alla sua volta l'orang-outang; che se il gorilla è l'ultima delle scimie antropoidi pe' caratteri del cervello e del cranio e per la complicatezza de' sacchi laringei, è poi superiore a tutte pe' caratteri osteologici del tronco e della estremità. Mi pare che da tutto ciò derivi chiaramente la conseguenza che noi non dobbiamo cercare in alcuna di queste scimie antropoidi il nostro stipite primitivo, bensì in una forma perduta nelle epoche preumane; in altre parole, che le scimie attuali sono il ramo cadetto e noi il ramo principale del comune tronco genealogico (1). Fra le varie pubblicazioni recentissime intorno a queste ardenti quistioni dell'origine dell'uomo, delle sue affinità zoologiche, merita un posto affatto distinto l'opera di C. Vogt, compita or ora col quarto fascicolo, che mi pervenne in amichevole dono dall'autore medesimo, una settimana dopo la mia pubblica lezione. E inutile il dire che anche quest'opera ritrae tutti i pregi onde risplendono gli scritti di quest'autore. Non si può legger nulla di più attraente per l'ordine, la lucidità delle idee, la mirabile fluidità dell'esposizione, la pienezza e la varietà del sapere. E un libro eminente che può servire di ottima base per le ulteriori discussioni in un soggetto di sì alta importanza e di sì complicate difficoltà. Come in altre sue anteriori pubblicazioni, Vogt ammette la pluralità delle specie del genere umano, e l'origine autoctona delle specie stesse. Ora, partendo dalle tre serie di Gratiolet, egli ammette pure che ciascuna serie abbia prodotta la sua propria razza (o specie) umana; e così siano derivate dall'orang outang una razza primitiva brachicefala, dal chimpansé e dal gorilla due razze dolicocefale. Resta una gravissima difficoltà, l'uomo dell'emisfero occidentale; ma a questo proposito Vogt esclama: e perché mai non faremo noi derivare dalle scimie americane le diverse specie di uomini americani? Così d'un tempo solo pone la quistione, e la tronca con un punto interrogativo. Io mi ricordo con vero piacere della circostanza nella quale quest'idea sull'origine multilaterale delle razze umane venne a balenare nella mente di Vogt. Eravamo insieme lo scorso autunno, in un lieto convegno di amici, in una delle più pittoresche valli della Svizzera; ed il luogo, l'ora, la cordiale intimità degli interloquenti, spogliavano la disputa d'ogni rigore pedantesco, e la rendevano colorita e vivace quanto mai. Ecco ora quell'idea trasferita nella grande arena della scienza, con tutta la naturale sua gravità. Vogt è certamente lontano dal pretendere che essa passi indiscussa, e che altri non trovi tutta intiera la difficoltà di connettere l'uomo americano ad un tipo locale di scimie. Le belle ricerche di Gratiolet, così giustamente apprezzate da Vogt, mettono in piena evidenza la grande inferiorità del tipo delle scimie americane, e le considerazioni degli altri ordini di caratteri confermano pienamente questa conclusione. È tale questa inferiorità, che il vero posto sistematico delle scimie del nuovo continente è nel grande intervallo che separa le scimie del continente antico da' lemurini. La connessione fra due gruppi tanto distinti è stabilita in primo luogo dal Doruculi (Nyctipithecus), il qual conserva ancora così chiari caratteri di lemurino nelle abitudini notturne, nelle proporzioni delle estremità, ne' grandi occhi, e sovratutto in un resto di comunicazione fra l'orbita e la fossa temporale: resto, che sebbene in tutte le altre scimie americane sia ridotto ad un semplice forellino che dà passaggio ad un ramoscello arterioso, pure non perde la sua significazione di carattere ad esse particolare fra le scimie, e di carattere ereditario di lemurino. Chi è seguace della dottrina di Darwin non deve provare alcuna contrarietà a convertire questi rapporti sistematici in veri rapporti genealogici; ed allora si va lontano dall'idea di far terminare la serie delle scimie americane anche soltanto ad una forma antropoide. E la portata di questa considerazione va fino ad intervenire nella quistione più generale dell'origine delle razze umane, ed a far preferire la loro derivazione da uno stipite unico alla derivazione distinta da più stipiti. .

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Chi è seguace della dottrina di Darwin non deve provare alcuna contrarietà a convertire questi rapporti sistematici in veri rapporti genealogici; ed allora si va lontano dall'idea di far terminare la serie delle scimie americane anche soltanto ad una forma antropoide. E la portata di questa considerazione va fino ad intervenire nella quistione più generale dell'origine delle razze umane, ed a far preferire la loro derivazione da uno stipite unico alla derivazione distinta da più stipiti.

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Resta una gravissima difficoltà, l'uomo dell'emisfero occidentale; ma a questo proposito Vogt esclama: e perché mai non faremo noi derivare dalle scimie americane le diverse specie di uomini americani? Così d'un tempo solo pone la quistione, e la tronca con un punto interrogativo.

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Fra le varie pubblicazioni recentissime intorno a queste ardenti quistioni dell'origine dell'uomo, delle sue affinità zoologiche, merita un posto affatto distinto l'opera di C. Vogt, compita or ora col quarto fascicolo, che mi pervenne in amichevole dono dall'autore medesimo, una settimana dopo la mia pubblica lezione. E inutile il dire che anche quest'opera ritrae tutti i pregi onde risplendono gli scritti di quest'autore. Non si può legger nulla di più attraente per l'ordine, la lucidità delle idee, la mirabile fluidità dell'esposizione, la pienezza e la varietà del sapere. E un libro eminente che può servire di ottima base per le ulteriori discussioni in un soggetto di sì alta importanza e di sì complicate difficoltà.

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Basterebbe forse, a far l'uomo, prendere una scimia, allungarvi le gambe, ottundervi l'angolo facciale, dilatare la capacità del cranio e mettervi dentro qualche grammo di sovrapeso di quella pasta fosforica che si chiama cervello? Non è serbata al naturalista qualche cosa al disopra del vano amore di Pigmalione?

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Il posto dell'uomo nella natura vuol essere determinato non da quel più o da quel meno di caratteri morfologici soggetti a variare negli stessi angusti confini della specie, ma dal confronto della virtualità propria dell'uomo con quella degli animali. Finché il naturalista ha potuto dimostrare che non v'ha altra differenza che di proporzioni, ed ancora ben lieve, tra il cervello dell'uomo e quello della scimia, ha fatto quanto la scienza chiedeva da lui. Non è più solo ora a giudicare se non vi sia del pari che una differenza di grado fra l'istinto e la ragione, o tra la ragione bestiale e la ragione umana. Quando egli avrà creduto di finir la quistione coll'asserire che tanto nell'uomo come negli animali ha sede un medesimo principio virtuale, o che non ve n'ha né in quello né in questi, vedrà avanzarsi, come una poderosa falange nel punto decisivo della battaglia, la coscienza generale, e dovrà cederle il campo.

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Insomma, o signori, non saremo indiscreti se forzeremo la mano a questo dispensatore di blasoni. Cerchiamo francamente l'investitura di un regno: una voce interna ci dice abbastanza che lo meritiamo.

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Anche qui i caratteri differenziali che sembravano per lo addietro così netti e precisi, fra animali e piante, coi progressi della scienza vennero l'un dopo l'altro a sparire, precisamente come fra gli animali e l'uomo. Il naturalista trova soventi, sotto il microscopio, minuti e semplicissimi esseri viventi ai quali non sa qual natura attribuire. Colla medesima precisa composizione, co' medesimi precisi movimenti, l'uno assorbe acqua, acido carbonico ed ammoniaca, prodotti della decomposizione continua di sostanze organiche, e sarà un vegetale; l'altro invece introduce nel suo corpicino sostanze organiche indecomposte, insomma mangia, e sarà per questo solo un animale. Ecco due potenze virtuali affatto distinte, in due semplicissimi organismi affatto simili. Della natura di questi organismi non possiamo capire nulla, finché la virtualità o potenzialità propria di ciascuno non sia tradotta in azione. La forza della logica ci obbliga a continuare le conseguenze del principio di Darwin, fino ad un'origine comune agli animali ed alle piante: eppure la distinzione de' due regni animale e vegetale è mantenuta. A nessuno è mai venuto in pensiero di toglierla, per ciò solo che è difficile, ed anzi praticamente in alcuni casi impossibile, separare con un taglio netto organismi inferiori de' due regni.

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Chi la acconsente e chi la rifiuta concorre egualmente a dimostrarla, poiché di tanti assoluti distintivi morali dell'uomo, di tanti suoi attributi esclusivi, due sono certissimi: quello di mettere se stesso in quistione, e l'altro di porsi in lotta co' suoi propri sentimenti. Chi non vuol riconoscere come appannaggio esclusivo dell'uomo il dubbio filosofico, il sentimento morale, il religioso, dovrà vedere nel fondo del calice delle miserie umane queste affatto caratteristiche e proprie, che sono il maligno sospetto, la menzogna, il suicidio.

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Un pensiero che ho preso al volo in una conversazione famigliare con un mio dottissimo amico, mi pare conduca a riconoscere un'alta ragione teleologica nel regno umano. Per verità, il naturalista deve stare bene in guardia contro il principio delle cause finali, per evitare il pericolo di fare della scienza sentimentale a capriccio: ma quando una manifestazione di questo principio scaturisce da sé, senza tormentare i fatti, io non vedo il perché si debba respingere come una tentazione funesta.Ora ascoltate. L'economia generale della natura si mantiene per l'azione combinata antagonista delle piante e degli animali. Le piante assorbono le sostanze elementari del loro organismo dal terreno in piccola parte, ed in massima parte dall'aria; e fabricano così la materia organica onde s'alimenta l'organismo animale. Sapete quanto ne' tessuti della pianta, e specialmente nel legno, sia predominante il carbonio che resta sotto forma di carbone, quando gli altri principi elementari, l'ossigeno, l'idrogeno, l'azoto, siano eliminati. Ora le piante prendono tutto il loro carbonio dall'aria, ove esiste in quella combinazione che è detta acido carbonico. L'acido carbonico dell'aria è dunque il principale alimento delle piante. Tutto il carbonio che è solidificato o nell'organismo delle piante od in quello degli animali od in que' grandi strati di lignite e di carbone fossile che fanno parte della corteccia terrestre, tutto fu preso dall'aria, e, per l'economia generale della natura, deve essere nuovamente nell'aria riversato. Ma quegli immensi strati di lignite e di carbon fossile sono un ingente capitale affatto perduto per la vegetazione, tagliato fuori intieramente dal circolo della vita. L'uomo solo è chiamato dalla natura a vivificare questo capitale, a restituirlo fruttifero per le mille e mille bocche delle sue risuonanti officine nel grande emporio dell'atmosfera. Lo stemma del regno umano abbia adunque la doppia corona dell'ordine morale e dell'ordine teleologico.

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Qui non v'è a scegliere che fra due ipotesi, che avremo il coraggio di chiamar teorie.

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La infinitamente bella e grande varietà di forme di piante e di animali che popolano ora la superficie della terra, non è apparsa tutta insieme d'un sol getto, ma è stata preceduta da una successione di altre forme diverse, di altri mondi di viventi, che hanno lasciate, a documento della loro passata esistenza, spoglie più o meno complete negli strati della corteccia terrestre.

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Le difficoltà della sua applicazione a casi concreti sono ancora assai gravi, ma in massima parte dipendenti dalla grande penuria di materiali presenti e conosciuti in confronto di quelli che sono ancora nascosti all'occhio umano. Anche per questo, di affrontare coraggiosamente un mare di questioni confidando nel tempo e nelle ulteriori scoperte della scienza, questa teoria deve aver la preferenza sopra un'altra che a tutte di proposito volga il tergo.

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È in questo modo che è sorta una vera industria che ben si può chiamare creatrice e che forma uno dei rami più importanti dell'economia rurale, industria nella quale gli Inglesi saranno sempre maestri a tutto il mondo.

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Senza questa circostanza, quale naturalista, incontrando de' buoi senza corna in qualche remoto angolo della terra, esiterebbe a farne una specie affatto particolare od anche, più che una specie, un genere? E quante razze non distinguiamo noi, oltre che di buoi, di montoni, di cavalli, di cani, razze che l'uomo perpetua o modifica o trasforma in tante guise a suo talento, secondo i suoi propri bisogni?

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L'allevatore sceglie dal suo armento quegli individui che nascono con proprietà che a lui convenga perpetuare ed elimina tutti gli altri; ecco un esempio di ciò che si chiamaelezione umana.

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D'altra parte l'accumulazione in razze permanenti di varietà accidentali non è soggetta soltanto a questa che Darwin chiama elezione umana, ma eziandio all'elezione naturale, ossia alla legge di conservazione di quelle fortuite variazioni dal tipo, che pongono gli individui in cui si sono manifestate in grado di riuscire in modo speciale vincitori nella lotta per l'esistenza (1) L'allevatore sceglie dal suo armento quegli individui che nascono con proprietà che a lui convenga perpetuare ed elimina tutti gli altri; ecco un esempio di ciò che si chiamaelezione umana. Fuori dell'azione dell'uomo, nel dominio libero della natura, ogni specie è suscettibile di presentare variazioni in direzioni diverse. Vi saranno alcune di queste variazioni che si distingueranno per qualche carattere di speciale utilità, conservatore della varietà così formata. La legge di questa conservazione è ciò che Darwin chiama elezione naturale. «Quando si vedono, egli dice, degli insetti fitofagi prender il color verde, altri che si nutrono della corteccia delle piante un color grigio screziato; il tetraone delle nevi bianco in inverno, il tetraone di Scozia colore degli scopeti, il tetraone comune color della torba, bisogna riconoscere che queste particolari tinte sono utili a queste specie che esse proteggono contro certi pericoli. Se i tetraoni non fossero frequentemente distrutti in qualche fase della loro esistenza, si moltiplicherebbero all'infinito. Essi hanno per nemici i falchi, guidati verso la loro preda dall'acutezza della vista. Io adunque credo che l'elezione naturale sia stata la causa del colore assunto da ognuna delle anzidette specie di tetraoni, ed abbia poscia continuato ad agire per rendere questo carattere permanente. Per ragioni analoghe si evita in certi paesi l'allevare piccioni bianchi, perché più esposti a divenir preda di uccelli rapaci».

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Eppure non possiamo a meno che riconoscere la derivazione di tutte queste razze da un'unica specie, che è il colombo torraiuolo (Columba livia). Cercate di far accettare questa conclusione ad un semplice amatore di piccioni, vi risponderà con una ripulsa non meno energica di quella che ci possiamo aspettare da un naturalista della vecchia scuola, davanti all'idea logica e conseguente di derivare alla loro volta da un unico e solo più lontano stipite comune tutte le specie de' colombi.

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«Quando si vedono, egli dice, degli insetti fitofagi prender il color verde, altri che si nutrono della corteccia delle piante un color grigio screziato; il tetraone delle nevi bianco in inverno, il tetraone di Scozia colore degli scopeti, il tetraone comune color della torba, bisogna riconoscere che queste particolari tinte sono utili a queste specie che esse proteggono contro certi pericoli. Se i tetraoni non fossero frequentemente distrutti in qualche fase della loro esistenza, si moltiplicherebbero all'infinito. Essi hanno per nemici i falchi, guidati verso la loro preda dall'acutezza della vista. Io adunque credo che l'elezione naturale sia stata la causa del colore assunto da ognuna delle anzidette specie di tetraoni, ed abbia poscia continuato ad agire per rendere questo carattere permanente. Per ragioni analoghe si evita in certi paesi l'allevare piccioni bianchi, perché più esposti a divenir preda di uccelli rapaci».

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L'estensione di ciascuno di questi assembramenti è arbitraria, è regolata dalle vedute particolari di chi li compone, da ragioni che ognuno valuta a suo modo. Di ciò hanno sempre convenuto i naturalisti; solo per riposare su di un assioma, erano convenuti in questo: che le specie esistono in natura; anzi avean fatto di più: aveano reso più complicato e più solenne l'assioma, traducendolo con questa frase divenuta tradizionale e come sacra nelle scuole: «Tante sono le specie, quante in origine furono create». Ma poi al caso pratico si è molto soventi nell'impossibilità di distinguere con precisione ciò che è razza da ciò che è specie: fra due specie primitivamente molto bene distinte, si scoprono molto soventi, troppo soventi per la comodità delle determinazioni sistematiche, variazioni intermedie costanti che i naturalisti incominciano già a chiamare specie darwiniane. Infine l'ultimo risultato è questo: che il famoso assioma è andato a far compagnia ad altri spezzati ceppi del libero pensiero. Una determinazione fisiologica della specie è impossibile, ed ormai non possiamo più parlare che di specie sistematiche, di specie di convenzione. Quelle che siamo abituati a chiamar razze o varietà, sono specie incipienti; quelle che noi diciamo specie sono varietà ben definite e sovratutto sanzionate da un'origine lontana.

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