Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

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L'Opinione

541848
Quintino Sella 50 occorrenze
  • 1863
  • Tipografia dell'Opinione diretta da C. Carbone
  • Torino
  • alpinismo
  • UNIPIEMONTE
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Avevamo a nostra disposizione tre barometri secondo il sistema di Fortin, costrutti da Fastré di Parigi, ed appartenenti l'uno al conte di S. Robert, l'altro a te, ed il terzo a me. Avevamo inoltre un barometro aneroide recentemente costrutto dal Casella a Londra, e poi gli occorrenti termometri, ecc. I barometri erano stati paragonati col barometro della specola di Torino, e furono ancora paragonati tra di loro e riferiti al tuo, il quale avendo un tubo di diametro maggiore, ci dava certezza di minori errori di capillarità.

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Un altro inconveniente era a superarsi, quello di riferire direttamente le nostre osservazioni a quelle dell'Accademia delle scienze di Torino, la cui specola è a distanza ragguardevole dai siti, che noi volevamo esplorare, e dove, sinché non siano attuati alcuni provvedimenti di recente ordinati dall'Accademia appunto coll'intento di coadiuvare le determinazioni barometriche fatte nelle montagne, non si fanno che tre osservazioni al giorno. Dalle quali due cause conseguono divarii abbastanza ragguardevoli, come dimostrano le determinazioni dell'altezza del Monviso fatta dal Mathews. Infatti quella che derivò dal paragone colle osservazioni fatte a Ginevra fu di 3909 metri, e quella derivata dal paragone colle osservazioni del Gran San Bernardo fu di 3844 metri, cioè 65 metri meno.

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Però, ove si abbia contemporaneamente il barometro a mercurio e l'aneroide, si può far uso di questo per determinazioni approssimative fra due successive stazioni del barometro a mercurio. Ed in questo modo noi traemmo anche partito dall'aneroide Casella.

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Nel 1856 io aveva esperimentato nelle valli di Cogne un aneroide di Lerebours: tornai a Torino coll'indice spostato di quasi due centimetri. L'aneroide Casella che noi avevamo si comportò molto meglio, ed ecco le differenze fra le indicazioni del medesimo e le indicazioni del barometro a mercurio ridotte alla temperatura 0°, che osservammo nella nostra gita ad altezze diversissime: 6,83 mm; 11,86 mm; 9,38 mm; 6,54 mm; 1,86 mm; 4,91 mm.

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La strada da Saluzzo a Verzuolo e Piasco lambisce le ultime falde delle Alpi, che vanno ivi a seppellirsi sotto le alluvioni. Esse constano di scisti diversi più o meno calcariferi, sopra i quali sono aperte molte cave, i cui prodotti trovansi troppo bene rappresentati nella raccolta mineralogica della scuola di applicazione, perché io abbia a discorrertene qui.

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Lascierò a te, che non dubito studierai minutamente i dintorni del Monviso, lo indagare accuratamente l'andamento interessantissimo della stratificazione di queste montagne, giacché in questa gita io non fui che touriste, a null'altro intento, che a raggiungere la vetta del Monviso.

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Solo mi permetterò di notare, che per buona parte della valle della Varaita gli strati sembrano avere una direzione quasi parallela a quella dell'asse della valle, ed un'inclinazione verso il sud. Indi nasce, che spesso, mentre la pendice settentrionale va dolcemente alla cima senza interruzioni, la pendice meridionale termina invece contro testate di strati rotti a picco.

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Oltre Sampeyre i larici, che si erano fin là tenuti sulle pendici, scendono sino al fondo della valle, e vi abbondano i salici in guisa da dare a questa un carattere speciale. È notevole il Salix viminalis per la sua frequenza, ed il Salix alba per l'altezza a cui giunge.

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Alle osservazioni fatte a Sampeyre col tuo e mio barometro, contrapporrò quelle fatte contemporaneamente a Verzuolo dal sig. Pulciano:

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Eravamo partiti alle cinque da Saluzzo, e, malgrado un'ora di sosta a Verzuolo, giunsimo alle 9 1/2 a Sampeyre, ove ci fermammo oltre un'ora e mezza per lo asciolvere e per lasciar riposare i cavalli.

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La vettura ci condusse quindi per una strada in via di compimento sino a Torrette, onde dopo mezz'ora di passeggiata a piedi si giunse a Casteldelfino ad un'ora pomeriggio.

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Questo degnissimo sacerdote, che è ad un tempo ardito ed esperto montanaro, non solo ebbe le più minute cure di noi durante il nostro soggiorno a Casteldelfino, ma ci procacciò quanto occorreva per la salita del Monviso, cercandoci i più robusti alpigiani a guide ed a portatori degli innumerevoli arnesi di che la Provvidenza, sotto le spoglie del conte di S. Robert, ci volle muniti.

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Spendemmo il rimanente della giornata a Casteldelfino nel lasciar passare un temporale di poca importanza, nel visitare i dintorni che sono stupendi, e nell'ordinare l'occorrente pel giorno seguente.

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A conseguire questo scopo occorre: che il ministro dei lavori pubblici applichi un bricciolo dei sussidii stradali al compimento della strada di valle Varaita; che qualcuno stabilisca a Casteldelfino una locanda decente e discreta; finalmente che il Comune faccia costrurre nella parte alta del vallone delle Forciolline una casipola di rifugio, ove possa pernottare chi va al Monviso. Sarebbe infatti necessario l'avere lì un quid, come la cosi detta Casa d'Asti per chi sale il Rocciamelone, ove ricorderai che pernottammo senza la noia di trascicare tende, o di passare la notte a cielo scoperto.

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Dirimpetto a Casteldelfino e sulla destra del Chianale v'ha un castello diroccato, che venne distrutto nel principio dello scorso secolo, allorquando queste valli passarono dal dominio della Francia a quello di Casa Savoia. La vista di cui si gode da queste rovine era per noi interessantissima. Si vedeva benissimo la vetta del Monviso e la costola che ne scende verso il sud-ovest.

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Lo stato maggiore (Le Alpi che cingono l'Italia) assegna a Casteldelfino un'altezza di 1323 metri, determinata anche col barometro. Non so però a qual parte di Casteldelfino si riferisca questa determinazione.

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La massa enorme di arnesi che trascinammo con noi non richiese meno di sette robusti portatori, oltre alle tre guide che certo non salirono a mani vuote. Erano tre codeste guide, o meglio accompagnatori, poiché niuno di loro era stato mai sul Monviso, ma ciò non ostante essi mostrarono tanto valore, e possono oggi essere di tal sussidio a chi voglia tentare la salita del Monviso, che te ne debbo fare i nomi. E sono Gertoux Raimondo di Casteldelfino, borgata del Puy, già soldato, ed oggi, a momenti perduti, fortissimo cacciatore di camosci; Bodoino Giuseppe, anche di Casteldelfino, e parimenti antico soldato, ed Abbà Gio. Battista, contadino di S. Robert a Verzuolo.

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Non è a dire se al cospetto di questa bella traccia degli antichi ghiacciai, confermata da un ciottolo striato che io aveva poco innanzi trovato, non si ricordasse il nome di te, che avesti la invidiabile ventura di dimostrare pel primo la estensione degli antichi ghiacciai in Italia; di te che fosti primo a chiarire come quelle singolari colline (composte indifferentemente di ghiaia impalpabile e di massi enormi), che chiudono gli sbocchi delle più grandi valli alpine, altro non sieno che stupende morene lasciate da ghiacciai, i quali dalla vetta delle Alpi si estendevano fino a toccare la pianura del Po.

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V'ha però una differenza capitale fra queste due piante resinose, ed è che mentre il larice dai 2374 metri, da noi determinati alla fontana dei Gorghi, scende fino a Sampeyre, cioè a 977 metri, vale a dire si estende per una altezza di 1400 metri, il pino cembro non scende che fino a 1780 metri, e si estende quindi soltanto per una altezza di 600 metri.

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Fino a questo punto noi eravamo giunti per sì facile strada, che per vero, nonché impossibile, ma neppure malagevole pareva che potesse essere la salita al Monviso, ma qui esso si presentò ad un tratto in tutto il suo orrore, e non ti nascondo che cominciammo se non a titubare, almeno a capire come l'opinione popolare lo reputasse inaccessibile. Ma perché meglio ci intendiamo, è necessario dare un qualche cenno sulla forma del Monviso.

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Immagina posto verticalmente uno di quei pugnali triangolari con cui solevano talvolta sbudellarsi i nostri padri: supponi quindi che si giri una delle costole del medesimo infino a che venga a porsi nello stesso piano verticale contenente un'altra costola, ed avrai una idea della forma del Monviso.

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Questa fissilità veramente straordinaria e la poca alterabilità chimica degli strati sono tra le cause principali, a cui il Monviso debbe la sua forma attuale. Infatti, se tu supponi un terreno di questa fatta sollevato a grande altezza, capirai che le acque ed i ghiacciai facilmente si apriranno nel medesimo vie e solchi profondi, traendo seco a precipizio le parti degli strati superiori, le cui basi si trovino corrose, e lasciando sempre contorni angolosi a burrati e dirupi ripidissimi. Codesti solchi frequenti e profondi sono anzi caratteristici di questa fatta di montagne, e ricevono dagli abitanti il nome di coulor dal francese couloir.

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Non è quindi malagevole a capire come il Monviso sia per tanti secoli stato dichiarato inaccessibile anche dai più arditi montanari, che ne vivono a' piedi. E per fermo veramente impossibile pare la salita fra le due costole che guardano Torino, ovvero fra la costola settentrionale, e quella che va al S. 0., troppo aperto essendo l'angolo che esse fanno tra loro, e troppo erti i burroni ed i precipizii dai quali sono tagliate.

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A partire dalla Maita Boarelli trovammo il fondo della valle coperto di neve, ad eccezione dello sporgere che qua e là facevano masse di roccia in posto, ovvero di rottami d'altezza un po' notevole. A quanto ci si diceva, il vallone delle Forciolline suole a questa stagione essere sgombro di neve, ma quest'anno la quantità di neve che cadde nelle Alpi fu tale che non si ha ricordanza di altrettanta da un pezzo.

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Sarebbe stato desiderabile ed importante l'attendarci più in su, onde essere il giorno susseguente più vicini alla vetta del Monviso, ma i portatori delle tende e degli altri arnesi doveano tornare la sera stessa a Casteldelfino, e fu giuocoforza il porli in libertà in tempo utile. Essendo ancora alto il giorno, ci diemmo ad esplorare i dintorni ed andammo a visitare il passo delle Sagnette, per cui dal vallone delle Forciolline si scende nella valle del Po.

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A distanza la pianura del Po ove si distinguevano benissimo parecchie città e le strade ed i fiumi, che sembravano liste d'argento. Indi emergevano le Alpi, i cui contrafforti parevano dalla nostra altezza umili collinette. Sotto noi, tanto che sembrava, avremmo potuto lanciare in essi una pietra, i laghi da cui hanno origine la Lenta ed il Po, e certe roccie montone bellissime che non posso a meno di indicare alla tua attenzione. Attorno a noi guglie tagliate a picco, precipizii, orrori veramente sublimi. Massi enormi parevano tenere alla montagna per poco più di un filo, e certe piramidi acutissime sembravano doversi precipitare in basso con lieve spinta. Le roccie stesse sopra le quali noi ci trovavamo, erano in siffatta guisa fratturate, che non pareva gran fatto prudente lo scuoterle di soverchio. Regnava quel singolare silenzio sepolcrale che fa tanta impressione sulle alte montagne al di sopra dell'abitato, delle foreste e dei torrenti.

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Dall'ultima osservazione si concluderebbe che il passo delle Sagnette è a 2973 metri sul mare.

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Taluno di noi aveva spinto il sibaritismo fino al farsi trasportare un materasso a soffietto! Io trovo che stendendo sulla terra un pastrano impermeabile all'umidità, ponendo come origliere il sacco a martelli da geologo, e gettando sul corpo un paio di coperte, si può dormire con tutto il comfort desiderabile.

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Robert aveva pensato a tutto; non mancava neppure la senapa di Mail, grand moutardier de LL. MM. les empereurs di non so quanti imperi! Non credo che siensi fatti mai di così fatti festini a tanta altezza ed in siti così selvaggi. Le severe cime che ci contemplavano debbono esserne state scandalizzate.

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Il passaggio dalle discussioni parlamentari e dalla snervante vita sedentaria a questi faticosi esercizi era stato forse troppo repentino, ed il sangue aveva ricevuta una scossa subitanea, che mi dava una agitazione febbrile. Ma il mio amico Barracco che era presso a poco sulla nuda terra, sebbene allevato in mezzo alle delizie di Napoli, e fra tutti gli agi compatibili con una delle più grandi fortune d'Italia, dormì saporitissimamente tutta la notte. E poi mi si discorra della mollezza dei meridionali!

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Indi è che, oltrepassato il ghiacciaio e giunti ai piedi di una delle tante pareti di che si forma il seno, in cui eravamo, spedii innanzi la più esperta delle nostre guide, il Gertoux, a riconoscere la via, onde non esporre la comitiva ed avviarsi per qualche cattivo passaggio che non si riescisse a superare.

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È istinto naturale a chi non è esperto di ghiacciai, l'abbandonare in così fatti casi ogni oggetto, che si abbia in mano, onde cercare di aggrapparsi direttamente al suolo colle mani. Ma siccome neppure le unghie nel ghiaccio non penetrano, vuolsi invece stringere con tutta forza il bastone ferrato senza cui non si debbe mai attraversare un ghiacciaio. Con un po' di sangue freddo, anche quando si comincia a sdrucciolare, si riesce a ficcare nel ghiaccio la punta del bastone e vi si apre un solco, per cui la velocità del corpo comincia a diminuire e ben presto si riesce a fermarsi.

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A un certo punto ci affacciammo alla costola, che scende al sud-est, onde gettare gli occhi nella valle del Po e della Lenta. Non scorderò di leggieri il tremendo precipizio, che ci si aprì davanti. A molte centinaia di metri sì scorgevano i laghi ove questi fiumi hanno origine e parevano quasi a perpendicolo sotto i nostri piedi. Si fece rotolare in basso qualche masso: il masso che scendeva, urtando le pareti, ne staccava altri e giù tutti per l'orribile precipizio con fracasso spaventevole. Ma il gioco non era senza pericolo per noi e poteva riescir fatale a chi si fosse dall'altra parte avventurato a qualche esplorazione: e tosto si smise.

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Il fatto sta che mi posi a correre su per la scogliera, che stavamo scalando, con maggiore agilità che se fossi in riposo da una settimana, e ben presto giunsi a calcare la vetta. Qualche istante dopo arrivava il signor Giacinto di S. Robert, e poi man mano tutti gli altri.

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Ma il Gertoux non tornava: ci diemmo a chiamarlo poiché la nebbia era sì fitta, che a poca distanza nulla si vedeva. La nostra voce era ripetuta sei o sette volte dall'eco, che per quelle balze rimbombava chiarissimo, ma nessuna traccia di risposta. Finalmente ricomparve il Gertoux, che era stato trattenuto da passi difficilissimi e ci annunciò, che si poteva giungere alla cima. Tosto ci alzammo seguendo il Gertoux con più animo che mai e ad un bel punto ecco la cima!

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Egli venne per la valle del Guil (territorio francese), ma il tempo era così poco propizio che si decise a scendere per la valle del Pellice a Pinerolo senza essere riescito nel suo intento.

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Una miglior sorte coronava la sua costanza nel 1861; ed infatti, rimontata la valle della Varaita fino a Casteldelfino, e indi salendo pel fianco sinistro della valle di Chianale e di Vallante giungeva sopra una delle tre costole principali che scendono dal Monviso, cioè sopra quella che è diretta al sud-ovest. Una di quelle enormi spaccature a picco, che tanto caratterizzano il Monviso, gli impedì di giungere per questa via alla sospirata vetta, da cui non era più separato che da un'altezza di 430 metri. Ivi pernottava il Mathews, e non scoraggiato per nulla scendeva il giorno dopo nella parte superiore del vallone delle Forciolline, ed ascendendo poscia nell'intervallo compreso fra la costola sud-ovest e la costola sud-est del Monviso, assai più vicino a questa che non a quella, poté finalmente porre piede sulla cima il 30 agosto 1861. Erano con lui il signor Jacomb, e due guide di Chamounix, Michele e Gio. Batt. Croz.

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Era naturale che quella benedetta ostinazione del Gertoux, nel volersi tenere a sinistra piuttosto che a destra, ci portasse sulla punta occidentale, ma ora si trattava di vedere se vi era modo di arrivare alla punta orientale.

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Ed ei trovò i due termometri; ma siccome temevamo, che nel trasportarli si spostasse l'indice di questi strumenti, che sono a maximum ed a minimum, gli ingiungemmo di lasciarli al loro posto.

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Si avviò poscia il Gertoux per tornare, ed ebbe un momento a trovarsi a cavallo dell'acuto spigolo, che divideva i due versanti di neve, e scendeva con notevole inclinazione. Egli era quindi con mezzo il corpo in aria e nella quasi impossibilità di adoprare il bastone con frutto. Vi fu un momento in cui lo credetti perduto, ma alla fin fine ci arrivò sano e salvo.

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Le feci tacere osservando, che non era quello il modo di far coraggio a chi si trovava in pericolo. E veramente il pericolo era grande, imperocché egli procedeva reggendosi per una parte coll'ascella che posava sullo spigolo sopradescritto e dall'altra colle grappe, che col battere a più riprese, ei cercava di far penetrare nel ghiaccio.

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Ci limitammo a porre dentro al medesimo una carta di visita coi nostri nomi. Intanto io ardeva dal desiderio di salire anche l'altra cima. Mi volsi a quella delle altre due guide che aveva le grappe ai piedi, e la richiesi di accompagnarmi: io sarei andato fra il Gertoux e lui, tutti e tre legati ad una corda. Mi rispose che neppure per mille lire si sarebbe arrischiato a questo passo.

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Lasciammo quindi un termometro a maximum e minimum in un interstizio naturale esistente negli scisti al nord ed a qualche metro dall'uomo di pietra.

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Forza fu adunque rassegnarci a scendere, ad alle tre ci posimo per via, se non altro lieti di esser riesciti nel nostro intento.

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cosicché noi i quali ci trovavamo a forse 30 metri sopra il lago superiore delle Forciolline, eravamo a 2796 metri sul mare.

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Questo passaggio è a 2962 metri sul mare, come dall'osservazione seguente:

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Non è a dire quanto codesti ripetuti successi spronassero i touristes italiani a non indugiare ulteriormente la salita di questo monte, il quale dopo la cessione della Savoia, con cui tanta parte del Monbianco passò alla Francia, è forse, ed anzi senza forse, la più bella sommità alpina che sia rimasta per intiero alla ItaliaLa cima del Monviso è al di qua della linea di separazione delle acque, e dista di circa due chilometri dal confine francese.. Nelle appendici dell'Opinione avrai letto il principio di una briosissima descrizione della settimana spesa attorno al Monviso da alcuni animosi giovani. Ed appena giunto in Torino mi recai stamane dal sig. Vialardi che ne faceva parte, e vi ammirai parecchie interessantissime fotografie, le quali, senza che occorra sforzo d'immaginazione, tutto vi trasportano col pensiero in mezzo a quelle ertissime e curiosissime balze. Una ostinata e gelida nebbia fu di ostacolo a questi coraggiosi giovani, e la cima non poté essere vinta.

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Anche a Vienna si è fatto un Alpenverein; ed un primo interessantissimo volume è appunto venuto in luce in questi giorni.

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Questa nuova salita sul Monviso varrà a porre fuori di dubbio come essa si possa fare e presto e (relativamente parlando) facilmente. La è una gita, che da Torino si compie comodamente in quattro giorni e può quindi raccomandarsi a chiunque voglia farsi un'idea delle incomparabili soddisfazioni che si provano nei viaggi alpini.

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Mi recai quindi a tentare il Barracco onde venisse a rappresentare l'estrema Calabria, di cui è oriundo e deputato, su questa estrema vetta delle Alpi Cozie. Il Barracco, il quale fu già presso alla vetta del Monbianco, e che, per quel che io sappia, fu il primo italiano a salire sulla höchste Spitze del Monrosa, non fu lungo a persuadersi, e la sera del 9 agosto partimmo per Saluzzo onde visitare il conte di S. Robert a Verzuolo, e proporgli di tentare in tutti i modi la salita del Monviso, in compagnia di qualche ardito montanaro.

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