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Sentenza n. 1988

333980
Cassazione penale, sezione I 28 occorrenze
  • 1998
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
  • diritto
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., già prosciolto per il delitto di spaccio di cui al capo B), dal delitto associativo di cui al capo A) per non avere commesso il fatto ai sensi dall’art. 530, comma 2 c.p.p. e tenuto conto delle circostanze attenuanti generiche riconosciute a N. G., a M. G., a T. V. e a S. A. provvedeva alla rideterminazione delle pene, confermando, nel resto, la sentenza di primo grado.

A.; 14) S. A., 15) C. S. D., nonché

. – Nel giudizio di rinvio sono state concesse le circostanze attenuanti generiche a T. V., a M. G. e a N. G., sicché, poiché la pena edittale massima per il reato di corruzione risulta inferiore a cinque anno, l pronuncia di condanna deve essere annullata senza rinvio in quanto detto reato la cui consumazione è stata contestata “fino al dicembre 1989” è estinto per prescrizione a seguito del decorso del periodo di sette anno e mezzo.

A.; 5) Z. A.; 6)M. R.; 7) S. V.; 8) T. R.; 9) T. V.; 10) M. G.; 11) LA R. G.;

., responsabile dell’Ufficio lottizzazioni del Comune di Milano, è stato condannato a due anno di reclusione, pena sospesa, a seguito di patteggiamento ex art. 599, comma 1 e 4 e 602, comma 2 c.p.p., con rinuncia agli altri motivi.

A. ha proposto ricorso per cassazione contro il capo di sentenza con cui è stato escluso l’effetto estensivo degli appelli proposti dai coimputati ed è stata confermata la condanna inflitta dal giudice di primo grado a due anno e quattro mesi di reclusione per il delitto di corruzione.

A) Il procuratore Generale di Milano impugnava la sentenza limitatamente al capo con cui il C. era stato assolto dal delitto associativo denunciandone la nullità ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e) c.p.p. per mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul rilievo che la Corte territoriale aveva del tutto trascurato alcuni elementi indiziari e aveva altresì omesso di coordinare logicamente il complesso di quelli presi in considerazione. Il P. G. ricorrente indicava, quindi, i vizi logici in cui a suo dire era incorso il giudice di rinvio nell’interpretare gli elementi probatori relativi ai vari episodi esaminati (provvista dell’alloggio di Liscate a G. C. e acquisito del terreno del Ronchetto; appalti di C. B. e V.; rapporti con Z. A.; operazione “Aiana bis”), concludendo che, nel contesto di un valutazione globale e coordinata, gli indizi assumevano i caratteri della gravità, della precisione e della concordanza e convergevano univocamente nel dimostrare che il C. era inserito nell’associazione criminosa

Daria Pesce proponeva contro la sentenza impugnata le seguenti censure: a ) violazione degli artt. 498 e 499 c.p.p. in quanto l’esame testimoniale, nel giudizio di primo grado, si è svolto con modalità tali – per responsabilità della Pubblica Accusa – da ledere i principi fondamentali della cross examination; b) errata interpretazione degli artt. 71, 74 e 75 l.n. 685-75, illogicità della motivazione e travisamento dei fatti, in quanto gli elementi probatori erano stati interpretati in modo distorto ed erano stati ritenuti decisivi per affermare la responsabilità del M. in ordine al reato associativo e ai singoli episodi di spaccio, mentre tali elementi risultavano, ad una corretta lettura, privi di univocità e di concludenza, C) errata interpretazione dell’art. 192 c.p.p. e travisamento dei fatti in riferimento all’attività di sconto di cambiali a favore di C. A., infondatamente valutata come attività di riciclaggio; d) violazione delle norme in tema di onere della prova, mancata valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti, prive di onere della prova, mancata valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti, prive di elementi a carico del M., e travisamento dei fatti in ordine alla condanna per il reato associativo e per i reati fine; e) illogicità della motivazione posta a base del disegno delle attenuanti generiche.

le ragioni giustificative della esclusione di nullità, indicate nella sentenza impugnata, devono essere condivise in quanto rappresentano il risultato di una corretta lettura della disposizione di cui all’art. 499, comma 5 c.p.p. secondo cui il “testimone può essere autorizzato dal presidente a consultare, in aiuto della memoria, documenti da lui redatti”: a tale norma espressamente rinvia il secondo comma dell’art.514 c.p.p., che, dopo avere fissato la regola generale del divieto di lettura degli atti di documentazione delle attività compiute dalla polizia giudiziaria, stabilisce, nella seconda parte, che “l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria esaminato come testimone può servirsi di tali atti a norma dell’art. 499, comma 5”.

V. proponeva ricorso facendo riferimento a quelli presentati in favore del M. da intendere “come integralmente ritrascritti”.

Nella sentenza impugnata è stata negata l’applicazione delle disposizioni di cui all’art.649 c.p.p. rilevando che, nonostante gli indubbi collegamenti del gruppo di Milano con la mafia siciliana e l’appartenenza a “cosa nostra” di C. A. e del defunto padre, il gruppo lombardo era composto, oltre che dai C., da persone non associate all’organizzazione mafiosa, sicché la composizione soggettiva dei due gruppi era certamente diversa.

Tali peculiari connotazioni oggettive e soggettive – individuate nei fatti attribuiti al N. dal giudice di merito con motivazione esente da vizi logici e giuridici – valgono indubbiamente a dimostrare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto contestato nella figura dell’associazione ex art. 75 della l. 685-75 ed impediscono la configurabilità di differenti fattispecie riconducibili a differenti norme incriminatrici, quale, ad esempio, quella del riciclaggio di cui all’art. 648 bis c.p.-

A. e di La R. G. l’annullamento della sentenza veniva richiesto per i seguenti motivi: a) inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità ai sensi dell’art. 606 lett. c) c.p.p. sotto i seguenti profili: inutilizzabilità derivata delle deposizioni rese sulla base delle intercettazioni ambientali; inutilizzabilità del contenuto delle relazioni di servizio per inosservanza degli art. 499, comma 5 e 240 c.p.p. in quanto nel corso delle deposizioni i Carabinieri erano stati autorizzati a consultare relazioni che non avevano formato nè sottoscritto; inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da imputati di reato connesso, S. M. e A. R. per violazione dell’art. 602, comma 2 e 3 c.p.p., essendo insussistente la situazione di assoluta necessità della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale; b) illogicità manifesta della motivazione sui seguenti punti: – vizi logici nell’interpretazione degli elementi fattuali ritenuti indicativi del reato associativo, la cui esistenza è stata affermata senza un serio controllo dell’attendibilità delle deposizioni e senza rigorosa verifica dell’intrinseca attendibilità dei collaboranti, incorsi in varie contraddizioni non rilevante dai giudici di merito; mancata prova dei requisiti essenziali dell’associazione; – illogicità e carenze logiche in ordine alla pronuncia di responsabilità dello Z. e del La R. per i singoli episodi di spaccio; – manifesta illogicità della motivazione e violazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p. riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio.

A., che aveva proposto appello contro la sentenza di primo grado, è stato l’effetto estensivo delle impugnazioni proposte dai coimputati.

A. rapporti economici di notevole rilievo protrattisi per molti anni; – che egli sin dal 1983-1984, quando ancora operava in Sicilia nel campo immobiliare, conosceva la natura dell’attività illecita svolta da C. G., del quale gli era noto lo stato di latitanza e lo specifico settore in cui lo stesso agiva; – che il N. aveva accettato di gestire e di investire per conto del C. e, successivamente, del figlio A. un patrimonio di oltre sette miliardi di lire, di cui gli era nota la provenienza dal traffico di droga, realizzando una serie di operazioni dirette a mascherarne l’origine e la titolarità; – che la gestione attuale per conto e nell’interesse dei C. aveva avuto carattere autonomo e fiduciario nel senso che egli poteva utilizzare liberamente le immense risorse finanziari messegli a disposizione e che tale attività egli aveva continuato anche dopo l’omicidio di C. G., nonostante che la stampa avesse indicato quest’ultimo come un esponente di spicco della mafia cui faceva capo una rete di trafficanti di sostanze stupefacenti.

A.: sono stati richiamati i risultati delle osservazioni sul territorio compiute dai Carabinieri, le dichiarazioni di M. M. in merito all’appartenenza di C. A. a “Cosa Nostra” e il giudicato formatosi, sul punto, nel processo di Palermo, nonché le dichiarazioni dei collaboratori M., Di D. e R.: in base a tali elementi, considerati precisi e univoci, è stato ritenuto che l’imputato, figlio di C. G., fondatore dell’associazione operante in via Anguissola, rivestiva un ruolo preminente nell’attività del gruppo criminale, tant’è che egli stessi collaboranti hanno concordemente riferito di avere sempre trattato con lui gli acquisiti delle partite di droga; è stata indicata la disponibilità da parte del C. di indigenti risorse finanziarie affidate all’amministrazione fiduciaria del N. e sono state valutate le dichiarazioni di quest’ultimo secondo cui era stata fornita dal C. una parte della droga, costituita da eroina “bianca”, caricata sull’autovettura Volvo nel cortile dello stabile di via Salis; è stata esclusa la violazione dell’art. 649 c.p.p. sul rilievo che il presente processo e quello svoltosi a Palermo, avente ad oggetto il delitto associativo ex art. 416 bis c.p., concernono fatti diversi nella condanna, nell’evento e nel nesso di causalità; affermata la responsabilità del C. anche per i reati contro la P.A. il cui esame è contenuto nella seconda parte della sentenza impugnata e ritenuta la continuazione con la condanna irrevocabile pronunciata dal Tribunale di Palermo, la pena veniva rideterminata in ventiquattro anno di reclusione e lire 230.000.000 di multa;

.: sono stati indicati quali elementi indiziari ritenuti gravi, precisi e concordanti della sua appartenenza all’associazione le attività di reinserimento e di riciclaggio dei capitali, di cui conosceva la provenienza illecita e che provvedeva a gestire fiduciariamente nell’interesse di capi dell’organizzazione, ponendosi, così a stabile servizio dell’associazione, è stato affermato il suo concorso morale nei reati di spaccio ed è stata ritenuta la sua responsabilità per i reati contro la P.A.; sono state concesse le attenuanti generiche, dichiarate prevalenti sulle aggravanti contestate, ed è stata ridotta la pena complessiva;

A. nonché nei confronti di N. G. limitatamente ai reati di cui agli artt. 71 e 74 della l. 685-75 del capo di imputazione sub B) e nei confronti di C. S. D. limitatamente al diniego delle attentanti generiche, rinviando ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio; rigetta il ricorso del Procuratore Generale nonché i ricorsi di N. M., G. G., B. L., Z. A., M. R., S. V., T. R. e La R. G., condannando questi ultimi al pagamento in solido delle spese processuali;

Peraltro, non può sottolinearsi che, al di là del significato da attribuire alla dichiarazione di assorbimento con cui conclude la motivazione della pronuncia n. 1114-95, essa non è sicuramente idonea a paralizzare l’effetto preclusivo destinato immancabilmente a prodursi, ope legis, per il solo fatto della statuizione di annullamento con rinvio, dato che l’irretrattabilità (o la sanatoria) delle nullità e delle inutilizzabilità pregresse è connaturata alle intrinseche connotazioni che contraddistinguono tale decisione, che, per sua inderogabile essenza, è inoppugnabile al pari di ogni altra sentenza della Corte Suprema di Cassazione.

A. in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti perché estinti per prescrizione nonché nei confronti di N. G. limitatamente ai reati di corruzione e di abuso di ufficio e nei confronti di C. A. limitatamente al reato di abuso di ufficio perché estinti per prescrizione, eliminando la relativa pena di un anno, sei mesi di reclusione e lire 15.00.000 di multa per il N. e di quattro mesi e quindici giorni di reclusione per il C.;

M. proponeva ricorso per cassazione denunciando la nullità della sentenza sotto i seguenti profili: a) violazione della legge penale in relazione all’art. 75, comma 2 l. 685-75 in ordine alla configurabilità della partecipazione a sodalizio criminoso finalizzato allo spaccio di sostanze stupefacenti, affermata senza che egli elementi fattuali denotassero l’esistenza dell’accordo su cui doveva basarsi la societas sceleris; b) inosservanza ed errata applicazione della legge penale per avere dato rilievo ad un fatto che corrisponde ad una vera e propria ipotesi di riciclaggio non punito all’epoca in cui esso è stato compiuto in quanto non erano ancora entrati in vigore gli artt. 23 e 24 della l. 19.3.1990, n.55; c) mancanza di motivazione per l’esclusione del valore probatorio della documentazione acquisita da cui emergevano elementi a lui favorevoli; d) mancanza di motivazione e inosservanza della legge in ordine alla qualificazione della pena e al diniego delle attenuanti generiche.

Non è producente l’obiezione a mezzo della quale vari ricorrenti hanno lamentato la violazione del citato art. 499, comma 5 adducendo che tale disposizione autorizza la consultazione dei soli documenti redatti dallo stesso teste, mentre nel caso in esame gli appunti o le relazioni di servizio erano, in parte, anonimi e alcuni di quelli sottoscritti, non erano riferibili aio militari esaminanti. Al riguardo, tenuto conto che la disposizione ex art. 499, comma 5 deve essere coordinata con quella di cui al secondo comma dell’art. 514 c.p.p., deve riconoscersi che la Corte di rinvio ha compiuto una corretta analisi ricostruttiva della predetta normativa cogliendone la reale ratio nell’esigenza che il documento consultato contenga la descrizione di attività di polizia giudiziaria cui ha partecipato il teste, onde non può negarsi che la disposizione è applicabile allorquando, anche se l’atto non sia redatto e formato dalla persona esaminata, questa sia chiamata a rispondere su fatti noti per conoscenza diretta e la visione del documento costituisca semplice ausilio tendente a facilitare il ricordo.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema è univocamente orientata nel senso che la notifica del decreto di citazione a giudizio effettuata, anziché al domicilio eletto, al domicilio reale, ma non a mani proprie dell’imputato, realizza una nullità assoluta che, concernendo la vocatio in judicium e, quindi, la rituale costituzione del rapporto giuridico processuale, è rilevabile e deducibile in ogni stato e grado del processo, sorgendo la preclusione soltanto con la formazione del giudicato (Cass., Sez. Un., 23 novembre 1988, Marino, e successivamente, Cass., Sez. V, 8 ottobre 1993, Bettiga; Cass., Sez. V, 20 maggio 1992, Dragone; Cass., Sez. I, 16 gennaio 1991, Saporito).

A. hanno proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi: a) violazione dell’art. 649 c.p.p. per la ragione che il C. è stato condannato, con sentenza irrevocabile del Tribunale di Palermo, per il delitto di cui all’art.416 bis c.p., in relazione all’asserito legame di appartenenza a “Cosa Nostra”, avente per fine anche la commissione di reati in materia di traffico di droga, per cui la sentenza impugnata, riguardando gli stessi fatti, è mancata correlazione tra accusa contestata e sentenza in riferimento sia al dato cronologico relativo alla durata della supposta associazione sia alla struttura del gruppo criminale, che con riguardo alla risultanze del processo e, soprattutto, a seguito della soluzione del C. dal reato associativo – è stato ricondotto dal giudice di rinvio ad una situazione fattuale radicalmente diversa da quella posta a base dell’accusa originaria, c) violazione e falsa applicazione di norme processuali in relazione all’omesso esame delle questioni di nullità e all’avvenuta utilizzazione di prove nulle o inutilizzabili (in riferimento tanto al vecchio rito quanto al nuovo rito) concernenti le c.d. “osservazioni sul territorio” e le disposizioni dei verbalizzanti dalla Corte di rinvio in palese contrasto col “dictum” della Corte di Cassazione; d) violazione degli artt. 192, comma 2 e 3, 603 , comma 3 e 624, comma 1 c.p.p. con riguardo alla illegittima rinnovazione dell’istruzione dibattimentale e al mancato controllo della intrinseca attendibilità del collaborante M. e dell’esistenza di riscontri individualizzanti; e) mancanza e illogicità manifesta della motivazione nonché travisamento dei fatti nella valutazione degli elementi probatori posti a base della condanna per il reato associativo; i cui elmetti costitutivi (in particolare quello psicologico) non erano stati oggetto di adeguato accertamento; f) violazione della legge penale e vizi logici della motivazione relativamente alla ritenuta esistenza delle aggravanti di cui all’art. 75, comma 1 e 4 della l. n. 685-75, in relazione all’attribuzione al C. della posizione di capo dell’associazione e al numero degli associati; g) violazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione nell’interpretazione degli elementi probatori venivano denunciate anche in riferimento all’affermazione di responsabilità per i singoli episodi di spaccio e, segnatamente, alla vicenda di via Salis in data 28.4.1989; h) violazione degli artt. 62 bis e 113 c.p. nonché vizi logici della motivazione in ordine alla mancata applicazione delle attenuanti e alla determinazione del trattamento sanzionatorio.

A. per

Queste stesse notazioni danno pienamente conto della incensurabilità logica e giuridica della quantificazione del trattamento sanzionatorio, tanto in riferimento ai singoli reati quanto con riguardo agli aumenti per la continuazione, risultando le pene commisurate, secondo un criterio di piena adeguatezza, alla gravità dei fatti e alla specifica capacità a delinquere di ciascun imputato.

B) Il C. chiedeva l’annullamento della sentenza formulando i seguenti motivi di ricorso: a) manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla pronuncia di assoluzione ex art. 530, comma 2 anziché ai sensi dell’art. 530, comma 1 c.p.p. per avere la Corte di merito omesso di rilevare che egli elementi probatori a discarico erano prevalenti su quelli dell’accusa; b) erronea applicazione delle norme urbanistiche con riferimento al ritenuto di corruzione ex art. 321 c.p. e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta colpevolezza per tale reato: la censura veniva illustrata rilevando che non era corretto l’assunto della Corte circa l’irrilevanza della individuazione dei rapporti tra il vincolo imposto dal piano consortile CIMEP e la variante del P.R.G., dato che per poter configurare il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio non è sufficiente l’esistenza di irregolarità meramente procedurali ma è necessaria l’illegittimità dell’atto compiuto dal pubblico ufficiale, non senza avere rilevato che, comunque, era stato ignorato che il ricorrente non aveva interesse a sollecitare la pratica con regalie e compensi ai funzionari incaricati; c) erronea applicazione della legge penale e vizi logici della motivazione in ordine alla determinazione della misura della pena e alla denegata concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti; d) gli stessi vizi sono stati prospettati con riferimento alla liquidazione del danno in favore della parte civile e alla dichiarata provvisoria esecutività delle relative statuizioni. sono stati depositati motivi aggiunti e note difensive con i quali sono stati illustrati e sviluppati i motivi del ricorso e sono state confutate le ragioni poste a base dell’impugnazione del P. G.-

A tali esatti criteri ermeneutici risulta sostanzialmente rispondente la sentenza impugnata in cui l’esclusione di inutilizzabilità derivante è stata fatta giustamente derivare dalla ragione che l’esame degli imputati e dei testi è stato del tutto autonomo dalle intercettazioni ambientali e ha offerto risultati probatori che, ai fini della formazione del convincimento del giudice, non possono reputarsi inquinanti per la ragione che essi sono assolutamente indipendenti da dette intercettazioni: difatti come ha lucidamente osservato la Corte di rinvio il solo fatto che talune domande e precisazioni sia state fatte, nell’esame delle parti, traendo spunto da conversazioni captate mediante le intercettazioni non vale a comunicare l’inutilizzabilità alle dichiarazioni spontaneamente rese nel corso dell’esperimento di attività consentite dalla legge e in nessun modo riconducibili, sul piano strutturale e funzionale, al mezzo di prova colpito dal divieto legale.

Sentenza n. 7408

335412
Cassazione penale, sezione I 12 occorrenze
  • 1998
  • Corte Suprema di Cassazione
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1 – Con ordinanza pronunciata in data 29.9.1997 nella fase degli atti introduttivi del dibattimento il tribunale di Napoli dichiarava la nullità – per omessa notificazione dell’avviso di udienza a uno dei due difensori dell’imputato A. B. avv. Rosario Ummarino – del decreto che disponeva il giudizio immediato, emesso a norma dell’art. 456 c.p.p. dal g.i.p. presso il medesimo tribunale nei confronti del B. e del coimputato F. F., e ordinava la restituzione degli atti a questo giudice per la rinnovazione dell’atto introduttivo del giudizio.

3. – La Relazione al Progetto preliminare ha reso esplicito che con la citata disposizione normativa “si è voluto sottolineare che la disciplina dei conflitti mira a regolare la sfera della giurisdizione e della competenza, e non anche i dissensi tra gli uffici in ordine a situazioni diverse; in questi casi l’interesse a una sollecita definizione del processo è parso preminente sull’interesse del giudice a non essere vincolato dalla statuizione di un altro giudice, almeno nel, caso in cui il giudice vincolante sia quello del dibattimento”.

nel procedimento a carico di:

S’intende dire cioè che la notifica del decreto di citazione all’imputato e dell’avviso d’udienza a uno dei difensori di fiducia dell’imputato medesimo, nonostante il mancato avviso all’altro difensore, non è assolutamente inidonea a instaurare un regolare i apporto processuale – affatto invalida vocatio in jus essendo solo quella contenuta in un decreto di citazione viziato da nullità di ordine generale, assoluta e insanabile –, ai fini dell’inapplicabilità dell’art. 143 disp. att. c.p.p. (v., argomentando a contrario, Cass., Sez. VI, 11.6.1996, T., rv. 206139; Sez. I, 30.4.1992, D’A., rv. 190385).

A. n. il 25.09.1969

A. n. il 25.09.1969

Dichiara la competenza del tribunale di Napoli a provvedere alla rinnovazione della citazione a giudizio e, per l’effetto, annulla senza rinvio l’ordinanza in data 21.5.1997 del medesimo tribunale, limitatamente alla disposta restituzione degli atti al giudice per le indagini preliminari.

Il g.i.p. rifiutava a sua volta di emettere nuovo decreto per il giudizio, e, rilevato con ordinanza 21.10.1997 il conflitto di competenza con il tribunale, sull’assunto dell’abnormità della regressione del procedimento per la rinnovazione di un atto nullo spettante al giudice del dibattimento ai sensi dell’art. 143 n. att. c.p.p., disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte per la risoluzione dello stesso.

(che dev’essere sul punto annullata senza rinvio), è agevole concludere che, nel caso in esame, il conflitto sollevato da quest’ultimo è ammissibile e dev’essere risolto affermandosi la competenza del tribunale a provvedere – a norma dell’art. 143 disp. att. c.p.p. – alla rinnovazione dell’avviso d’udienza al secondo difensore dell’imputato.

D’altra parte, non può neppure sostenersi che, a causa della rilevata nullità, sia stato compresso l’esercizio da parte dell’imputato del diritto di accedere – prima del dibattimento – al giudizio abbreviato a norma dell’art. 458 c.p.p., poiché l’attivazione della richiesta deve avvenire nel termine di sette giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato all’imputato, senza che assuma alcun rilievo – ai fini della decorrenza del dies a quo – la diversa ed autonoma notificazione al difensore dell’avviso per la relativa udienza, essendo comunque posta l’imputato nelle condizioni di informare il difensore medesimo entro un termine adeguato all’esercizio del diritto di difesa (Corte costit., ord. 28.12.1990, n. 588, P.; Cass., Sez. VI, 18.11.1992, G., rv. 193600).

4. – Si profila indubbiamente legittima la dichiarazione di nullità del decreto di giudizio immediato, pronunciata dal tribunale, nella fase del controllo della regolare costituzione delle parti, in dipendenza della mancata notificazione dell’avviso d’udienza ex art. 456, co. 3 e 5, c.p.p. a uno dei due difensori dell’imputato, essendo unanime ormai l’opinione che considera tale omissione come causa di nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi degli artt. 178 lett. c) e 180 c.p.p. (cfr. Cass., Sez. Un., 25.6.1997 n. 6, G., e 1.10.1991, D. L.; Sez. III, 22.11.1991, P., Giur. it., 1992, II, 564).

.), per cui la categoria dell’abnormità risulta inapplicabile quando la regressione del procedimento dalla fase dibattimentale a quella precedente, pur definitivamente conclusasi con l’emissione del decreto che dispone il giudizio, non sia giustificata da invalidità incidenti sulla regolarità della stessa costituzione del rapporto processuale attinente al giudizio: qualora l’invalidità non attenga ad un “atto propulsivo” necessario alla progressione del procedimento, la rinnovazione della citazione a giudizio spetta al giudice del dibattimento giusta il disposto dell’art. 143 n. att. c.p.p. e non è consentita dall’ordinamento la restituzione degli atti al g.i.p.

Sentenza n. 5188

335551
Cassazione penale, sezione VI 10 occorrenze
  • 1998
  • Corte Suprema di Cassazione
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A. H. U., anch’egli cittadino colombiano, al quale consegnava la borsa contenente la cocaina.

sul ricorso proposto da A. O. C. avverso le ordinanze di convalida

Il Procuratore della Repubblica di Bologna, sotto la direzione del quale si svolgevano le indagini, ha pronunciato, il 7 luglio 1997, il decreto con il quale la polizia giudiziaria era autorizzata a ritardare l’arresto dell’A. ai fini delle indagini e, per effetto di tale provvedimento, il predetto cittadino colombiano non è stato arrestato in Milano in data 10 luglio 1997, bensì il successivo 11 luglio in Napoli, dove si era recato per la consegna della sostanza stupefacente.

La norma, quindi, non afferma, che entro le ventiquattro ore l’arrestato debba essere messo a disposizione del pubblico ministero, ma assegna il termine anzidetto per l’emissione del provvedimento di arresto, dal quale, con ogni evidenza, decorreranno le successive ventiquattro ore, entro le quali l’arrestato sarà posto a disposizione dell’autorità giudiziaria.

A. O., cittadino colombiano, era colto in flagranza del reato di detenzione di cocaina (oltre 3 Kg.) in un albergo di Milano da personale del Gruppo operativo antidroga della Guardia di finanza di Bologna.

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