Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Elementi di genetica

418969
Giuseppe Montalenti 2 occorrenze
  • 1939
  • L. Cappelli Editore
  • Bologna
  • biologia
  • UNIPIEMONTE
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Abbiamo considerato finora sempre ibridi «mendeliani», cioè incroci fra razze che differiscono fra loro per una, o poche coppie di caratteri; ma, com’è ben noto fin dall’antichità, si possono ottenere anche ibridi fra specie diverse di animali e di piante. I più conosciuti sono gl’ibridi fra asino (Equus asinus) e cavallo (Equus caballus), che risultano alquanto diversi secondo che s’incrocia, un cavallo con un’asina, o un asino con una giumenta: nel primo caso l’ibrido si chiama mulo, nel secondo bardotto Secondo le regole della nomenclatura zoologica gli ibridi fra specie si dovrebbero indicare con una frazione in cui il nome della specie usata come maschio si scrive al numeratore, quello della femmina al denominatore, oppure scrivendo i due nomi di seguito, separati dal segno di moltiplicazione: prima il nome del maschio, poi quello della femmina. La consuetudine invalsa fra i genetisti, così zoologi come botanici, è invece l’opposta, ed a questa ci atterremo. L’incrocio A X B indica dunque che la femmina della specie A è stata incrociata con il maschio della specie B. L’incrocio reciproco è B X A. (1). È risaputo che questi ibridi, tranne rare eccezioni, sono sterili. In altri casi, non molto frequenti, l’ibridazione interspecifica dà prodotti fertili, che sono capaci di riprodursi; spesso l’incrocio fra specie differenti non dà alcun risultato.

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Un primo quesito di fondamentale importanza teorica è se la irradiazione produca una distruzione del gene, se cioè il gene mutato non sia altro che un gene distrutto, o gravemente danneggiato, d’accordo con la teoria di Bateson della «presenza-assenza», che già abbiamo visto respinta dalla maggior parte dei genetisti, specialmente in considerazione dell’allemorfismo multiplo. Già nella mutazione spontanea s’erano osservati fatti non altrimenti spiegabili che con «mutazioni inverse», ammettendo cioè che un allelomorfo recessivo potesse nuovamente mutarsi nell’allelomorfo dominante; e, nella serie degli alleli multipli, dei geni cosiddetti labili, si erano trovati varî casi del genere. Col mezzo dei raggi X è riuscito al Timoféeff-Ressovsky e ad altri, di provocare mutazioni nei due sensi, e di dimostrare così che la mutazione non consiste in un processo distruttivo del gene, ma in un’alterazione spesso reversibile. Ad esempio, dal gene W (colore degli occhi normali) si ottenne per irradiazione w e (eosin), e da questo, per successiva irradiazione, nuovamente W. Da un eosin originatosi spontaneamente

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