Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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cogli occhi commossi, prima che colla bocca. - A lei,  Don  Gaudenzio; mi tagli un po' di cotesto, ma, per carità, non
lascia altrui la intiera responsabilità delle conseguenze.  Don  Gaudenzio pareva creato da Dominiddio apposta per coprire
- Non è mica ch'io abbia parlato per me .... - Oh! osservò  don  Luigi, chi mai potrebbe pensarlo? E mi diè un'occhiata di
Le domande fioccavano, nè a tutto potevo rispondere.  Don  Gaudenzio era stato in seminario con un tale abatino pieno
Egli voleva sapere da me che cosa ne fosse avvenuto. -  Don  Ambrogio Marzocchi? Non lo ho mai sentito nominare. - Pare
è almeno almeno canonico del duomo. - Sarà benissimo.  Don  Gaudenzio non mi guardò più che con aria di suprema
i baffetti. Due commensali non apersero bocca, L'uno era  don  Sebastiano, il vice-curato, l'ombra di quel quadro luminoso
e non bevette che acqua, ciò che non fece, per esempio,  Don  Gaudenzio. Si era appena finito, e i commensali stavano
all'aria, maneggiava con fare sbadato, uno stuzzicadenti;  don  Anastasio, il prete che aveva fatto allibire il povero
era andato a collocarsi presso la porta da cui era uscito  don  Luigi e origliava. Solo don Gaudenzio, disteso ancora
la porta da cui era uscito don Luigi e origliava. Solo  don  Gaudenzio, disteso ancora tranquillamente davanti agii
E la sua fantasia si era accesa di più, dal giorno che  don  Corrado della Posta, com'egli chiamava l'ufficiale postale,
fatto entrare dalla parte del cortile, col permesso di  don  Corrado, che giusto in quel momento trasmetteva un
che i terremoti li facevano là, con quel pilastro, Mauro e  don  Corrado. - Perchè fate i terremoti, Dio ne scampi! Don
e don Corrado. - Perchè fate i terremoti, Dio ne scampi!  Don  Corrado si mise a ridere. E accortosi che Scurpiddu moveva
per le armi di fanteria . - Nient'altro? - soggiunse  don  Corrado, ridendo per quell' Istruzione per le armi di
a scuola e che amava d'istruirsi, era caso così raro che  don  Corrado guardava Scurpiddu dalla testa ai piedi. Scurpiddu
segnata con fitte linee perpendicolari. E si voltò verso  don  Corrado, sorridendo d'incredulità, supponendo che egli si
meteorologico! Scurpiddu uscì di là con la convinzione che  don  Corrado avesse parlato turco e avesse voluto dargli a bere
E ora che le carte son pronte ... me l'ha mandato a dire  don  Corrado della Posta… - C'è entrato di mezzo pure quello
Posta… - C'è entrato di mezzo pure quello scomunicato?  Don  Corrado non era in odore di santità presso la massaia. Don
Don Corrado non era in odore di santità presso la massaia.  Don  Pietro soleva chiamarlo protestante , perchè era liberale;
soggiunse questi, sporgendo la testa dietro le spalle di  don  Aquilante. «Andate di là; mi spiccio subito.» Don Aquilante
spalle di don Aquilante. «Andate di là; mi spiccio subito.»  Don  Aquilante abbozzò un gesto per significare: «Fate pure con
bocca simili a un torrente. E durò una buona mezz'ora.  Don  Aquilante, con una gamba accavalciata all'altra, una mano
sì.» «Compare Santi era mal consigliato», disse  don  Aquilante. «Sono vecchio, eccellenza. Ho consumato la mia
quasi bagnate di lagrime. «Ve l'ho già spiegato», disse  don  Aquilante. «Nell'operato del giudice istruttore il signor
la peggio!» «Ora non sapete quel che vi dite!», lo ammonì  don  Aquilante. «Lo so anzi, signor avvocato! E il pianto che
e giù per la stanza, stringendosi le mani. «Vedete?», disse  don  Aquilante. «Il marchese non vuole neppure aver l'aria di
vostra. E questo qui», soggiunse il marchese indicando  don  Aquilante, «vale per dieci! Alle spese penso io. Non c'è
nera e immobile come una statua su la soglia dell'uscio,  don  Aquilante, che si era già dato una spiegazione di quella
essa deve sembrargli una fantasima di mal augurio», pensava  don  Aquilante, «anche forse perché gli fa temere una ripresa
«Compare Santi però ... », tentò d'interromperlo  don  Aquilante per calmarlo. Ma il marchese non gli diè retta, e
non vuole!». «Zitto! ... Settant'onze!», buttò là in mezzo  don  Aquilante. E fece il gesto, quasi aprisse il pugno pieno di
e ripetevano insieme sottovoce: - Uh! Il Drago! Il Drago!  Don  Paolo Drago - drago di nome e di fatto, diceva la gente -
- tornate a casa, e dite a quella strega di vostra zia:  Don  Paolo non vuole che domandiamo l'elemosina! Tornate a casa.
e allo svolto dello stradone si fermarono, aspettando che  Don  Paolo si fosse allontanato; poi, saltellanti, tornarono al
strega di tua zia? - È fuori di casa. - Glie l'hai detto:  Don  Paolo non vuole che domandiamo l'elemosina? - No. - Glie lo
al braccio, borbottando e trascinando la gamba storta.  Don  Paolo l'apostrofò di lassù: - Come? Mandate quest'orfanelle
dovevano guadagnarsi da vivere così. Appena le vide,  Don  Paolo diventò un drago a dirittura. - Di nuovo qui? Su, su
in fondo alla via, si rizzò inviperita, e non attese che  don  Paolo parlasse, per urlare: - Fatevi i fatti vostri,
dragaccio! Che ve n'importa? Son figlie vostre, forse? Ma  don  Paolo, che era una linguaccia anche lui, non si lasciò
la strega, che non era stata zitta e ne aveva dette a  don  Paolo di tutti i colori, avvicinandosegli con le braccia in
E allora si vide un miracolo - come dissero poi tutti.  Don  Paolo saltava giù di sella, quasi volesse cavar gli occhi
seggiola, o su la catasta delle materasse o dei coltroni.  Don  Paolo durava quella vitaccia da più di trent'anni,
età, incontrandolo, lo fermava per domandargli: - Che fate,  don  Paolo? - Aspetto la morte, - rispondeva. - Che altro posso
si erano divertite a dargli una mano come avevano potuto.  Don  Paolo, portate le materasse al sole su la terrazza, le
ma meglio del covile dove le faceva giacere la strega.  Don  Paolo non pareva più lui, con quegli occhi sorridenti, con
io, povero usciere, eseguisco gli ordini. Dalla rabbia,  don  Paolo poco dopo leticò con la sarta che non trovava modo di
con tanto d'occhi, e subito si misero a piangere. Allora  don  Paolo diventò proprio furibondo; e dalla finestra cominciò
si rivolgeva alla gente radunatasi a godersi lo spettacolo:  don  Paolo, che sembrava un predicatore sul pulpito; la vecchia,
casa; e se mastro Roc- co il falegname non avesse detto a  don  Paolo: - Vi confondete con costei? C'è la giustizia che
con costei? C'è la giustizia che protegge le orfanelle.  Don  Paolo, ritiratosi dalla finestra, trovate le orfanelle
avuto scarpe ai piedi? - Ora cuciniamo la minestra, - disse  don  Paolo. - Vieni qua, Lisa; tu che sei la maggiore accendi il
c'era stato uomo al mondo che gli avesse. mai fatto, a lui,  don  Paolo, una soverchieria; e questa sarebbe stata proprio una
a pelare?. - gli aveva domandato il pretore. - Perchè? E  don  Paolo era rimasto un po' scombussolato, non sapendo che
sembrasse la sola ragione in quel punto. - Perchè? - ripetè  don  Paolo. - Non lo sapete neppure voi. Don paolo scoppiò: -
- Perchè? - ripetè don Paolo. - Non lo sapete neppure voi.  Don  paolo scoppiò: - Ah! dunque la legge vuole che quelle due
in settimana il consiglio di famiglia ... Vedremo... E così  don  Paolo Drago ebbe una settimana d'inferno, come diceva alle
che il pretore gli disse: - Ora il tutore siete voi! -  Don  Paolo piangeva di contentezza, e volle per forza baciargli
rabbia, peggio per lei! Quella volta, contro il suo solito,  don  Paolo fece doppia pipata. * * * Le bambine non si
le gonne da una e i busti dall'altra. Cosi l'illusione per  don  Paolo era completa; Lisa e Giovanna gli parevano proprio
le parole del pretore erano diventate un ritornello per  don  Paolo. Infine, se si rammaricava di dover morire - il
ci arrivava. - Aspetta; ti metterò qualcosa sotto i piedi.  Don  Paolo la sorvegliava, la incoraggiava. - Brava! Bene! - e
Per le bambine tutto quel tramenìo era un divertimento, ma  don  Paolo ci godeva più di loro; e dava un'occhiata ora a Lisa,
- Come Lisa e Giovanna, Dio le abbia in gloria! - pensava  don  Paolo, intenerito dal grazioso spettacolo e dai ricordi. -
bambine che ridevano, quasi facessero il chiasso, mentre  don  Paolo girava di qua e di là il pastone, ne ricacciava in
farina con le mani e le braccia impiastricciate di pasta.  Don  Paolo le avrebbe baciate, se i baci non gli fossero parsi
e spolveratevi bene! Ogni giorno, una lezione pratica.  Don  Paolo sapeva fare tutto, fin la calza, e voleva insegnargli
minestra! La scuola è per le principesse. Su questo punto  Don  Paolo non intendeva ragione. - Io sono della pasta antica,
sua mano pochi giorni prima della disgrazia. Quel gelsomino  don  Paolo lo aveva curato tant'anni, raccogliendone i fiori e
e fiorito da un pezzo. - Il gelsomino e di Lisa, - diceva  don  Paolo a Giovanna. - Perchè? - domandava la bambina un
E mentre i suonatori passavano davanti la porta di casa,  don  Paolo, che faceva ferrare l'asino, accennato a mastro
a Giovanna: - Io non m'addormenterò. - E neppure io. Ma  don  Paolo, che le aveva udite dall'altra stanza soggiunse: -
così bene, che si addormentarono profondamente. * * *  Don  Paolo, aspettando i suonatori, si era messo ad acconciare
il vento, il grugnito del contrabbasso, ma lontano assai.  Don  Pa- olo s'impazientiva delle troppe fermate, e rifletteva
oltre il suono del contrabbasso, anche quello dei violini;  don  Paolo si sentiva in- tenerire. E appena si persuase che i
... - Ora si fermano ... Invece, con gran rabbia di  don  Paolo, i suonatori erano passati oltre. Egli tremava
- Come? Non ve ne rammentate, dal gran sonno? - rispose  don  Paolo, sforzandosi a ridere. - Eppure io vi ho svegliate. E
nava, tirava vento; ma la chiesa era lì a quattro passi, e  don  Paolo non aveva creduto di commettere un'imprudenza,
- Santo Dio, voi mi spogliate! Questo è l'ultimo soldo. E  don  Paolo faceva atto d'arrovesciare una tasca. - No, ce n'è
- La faremo noi, - aveva risposto Lisa, ridendo. - Brava! E  don  Paolo si era lasciato spogliare anche delle due mezze
- C'è da prendere un malanno all'uscita! - rifletteva  don  Paolo. E infatti egli lo prese,: tosse e febbri, febbri e
suono delle sillabe. - Sedete, dottore! sedete! - disse  don  Paolo, con voce lamentosa, interrotta da colpi di tosse.
in mezzo a una via, ditemi la veri- tà! - Certe cose, caro  don  Paolo, - rispose il dottore, tirandosi le punte del
Chiesa. - Dunque sono spacciato? - Non esageriamo caro  don  Paolo!... Ecco qui un calmante per la tosse! una
Niente di grave. - La mia sentenza di morte! - pensava  don  Paolo, seguendo con gli occhi la mano che scriveva la
s'affrettò a mandargli pure suo compare, il canonico. Ma  don  Paolo, che aveva dovuto fare un bello sforzo per vincere
- Sono venuto per una visita, - si scusava il canonico.  Don  Paolo però seguitava a strillare: - No, compare; se mi
che mi son confessato e comunicato, dice: - Quel povero  don  Paolo portiamolo in paradiso, è meglio, giacchè ora si
chiacchierato troppo! Infatti, calmatasi l'eccitazione,  don  Paolo era ricaduto, ansimante, con la testa sui guanciali,
e che quasi l'accusavano di aver ammazzato il malato, visto  don  Paolo in atto di fare il cuoco, s'era messo a ridere e
a colazione? - Se volete favorire, - aveva risposto  don  Paolo, sorridendo. Ma per levarselo di torno subito, gli
del marito di Lisa che aveva posto gli occhi su Giovanna; e  don  Paolo sembrava più arzillo di quando aveva leticato con la
era nemmeno quieto e sollevato il cuore del povero  don  Antonio, il giorno che ritornò a Santafusca in compagnia di
sanguigne di un delitto. Le testimonianze di Filippino, di  don  Ciccio, di Gennariello, di Giorgio, dei contadini della
prete Cirillo fosse andato in Levante. - Fatevi coraggio,  don  Antonio, che se anche il prete è morto, non lo abbiamo
- Che volete dire ora? - Guardate là... - Dove?  Don  Antonio segnò col dito la villa dei Santafusca, che dormiva
un pezzo di strada in silenzio. Poi tutto a un tratto  don  Antonio, che non poteva fuggire alle sue meditazioni,
uscivano da Santafusca. Con questo sospetto fitto in cuore  don  Antonio entrò in casa e si fece condurre nella sua stanza,
dalla stanza dell'Intendente di finanza, nell'anticamera,  don  Crescenzo ebbe un barbaglio e vacillò: - Vi sentite male? -
Bisognerebbe sapere i numeri certi, - mormorò l'usciere, -  don  Crescenzo… vorremmo scialare, alla faccia di questo infame
visto il pallore mortale di cui si era coperto il volto di  don  Crescenzo, udendo le due sillabe crudeli. Con lo Stato non
lo Stato non fa credito. Ogni settimana, ai versamenti di  don  Crescenzo, mancavano delle somme, e ogni settimana
aspettasse il pagamento del sempre più grande debito, che  don  Crescenzo veniva contraendo verso lo Stato: ogni settimana!
all'Intendente, ed egli aggrottava un poco le sopracciglia.  Don  Crescenzo ascoltava col capo chino, sussultando quando
la cauzione e dava querela per appropriazione indebita a  don  Crescenzo. Costui aveva dato solo in un lamento, alle
andate in carcere, - aveva conchiuso il degno funzionario.  Don  Crescenzo si era messo a pregare, allora; aveva moglie e
questa volta costui lo guardava così glacialmente, che  don  Crescenzo intese; questa volta era finita davvero,
nelle loro riunioni, aveva tenuto mano al sequestro di  don  Pasqualino, così, acciecato anch'esso: e il lusso borghese
e fra tutti, era quello che meno poteva aver denaro. Ora,  don  Crescenzo non voleva cominciare per essere crudele con un
che da tre settimane non poteva dare un centesimo a  don  Crescenzo! Che importa! Era un uomo di denaro, Costa. Il
subito a parlare dei propri affari, lasciando in asso  don  Crescenzo. Egli, che con la fiducia bizzarra dei disperati
da che era principiata la decadenza: si rammentava, adesso,  don  Crescenzo, di averlo accompagnato una sera, uscendo dal
la persona che fosse venuta presso la porta, origliasse. -  Don  Ninetto, sono io, aprite, tanto so che siete in casa e non
voi? - disse egli, con un pallido sorriso. Fece entrare  don  Crescenzo nel salottino, un meschino salotto di casa
vi ho cercato alla Borsa: non ci siete andato? - domandò  don  Crescenzo, che sentì di nuovo un gran calore allo stomaco.
o quattro giorni.. - E che fate? - chiese angosciosamente  don  Crescenzo. - Che fo? Niente, - disse l'altro, con un gesto
- Rovinato, rovinato! - gridò, levando le braccia al cielo,  don  Crescenzo. L'altro si morsicava un mustacchio,
pane. Voi dovete darmi le millecento lire, capite? - gridò  don  Crescenzo, in preda a un gran furore. - Io non le ho. -
andare in carcere per voi. Trovatele. - È impossibile,  don  Crescenzo mio, - disse l'ex agente di cambio, con le
tratta di salvare un galantuomo dalla rovina. Per carità,  don  Ninetto, voi sapete quanto è caro l'onore… - Sì, - disse
- Non le ho: non le posso avere; non mi mettete in croce,  don  Crescenzo, non ho un soldo. - Mettetemi una firma sotto una
mi lasciate, in questa rovina? - rispose, quasi piangendo  don  Crescenzo. - E che cuore avete? - Che cuore, che cuore! -
sì, domani… - E per martedì mi mandate denaro? - Non credo,  don  Crescenzo, non credo, - disse con una dolcezza disperata,
- Ma proprio, non mi potete dare niente? - Ve le darei,  don  Crescenzo, ma vi giuro che non ho un soldo. A Roma…poi…
che non ho un soldo. A Roma…poi… vedrò… Deluso, eccitato,  don  Crescenzo si levò per andarsene, fra la collera e il
così dolorosa, che egli non disse altro. - Addio,  don  Crescenzo… scusate… - Addio, don Ninetto… non vi
non disse altro. - Addio, don Crescenzo… scusate… - Addio,  don  Ninetto… non vi dimenticate di me, a Roma… - Non dubitate,
poteva trovare in piazza; alla fine doveva ottocento lire a  don  Crescenzo, gliele avrebbe date, don Crescenzo gli si
doveva ottocento lire a don Crescenzo, gliele avrebbe date,  don  Crescenzo gli si sarebbe messo appresso, sino alla sera.
che scriveva i numeri col carboncino, sulla carta.  Don  Crescenzo salì gli scalini a quattro a quattro, correndo,
e gli occhi cisposi e rossastri del beone fissarono  don  Crescenzo. - Volete l'avvocato? - domandò, asciugandosi le
- Ha avuto nu tocco in salute vostra. - Gesù! - gridò  don  Crescenzo, buttando in terra il suo cappello,
poco, beveva acqua… capite… - Oh Dio, oh Dio… - mormorava  don  Crescenzo, lamentandosi. - È volontà di Dio… - mormorò il
vi è speranza. - Lo so io, perché mi dispero! - gridò  don  Crescenzo. - Dovrei piangere io, - soggiunse il beone, -
miseria, capite! - Ma come è stato, come è stato? - chiese  don  Crescenzo, mettendosi le mani nei capelli. - Aspettate un
nei capelli. - Aspettate un poco, ora vengo. E andò di là.  Don  Crescenzo si guardò attorno, sbalordito dal dolore. La
migliaia e migliaia di lire, nella sua professione!  Don  Crescenzo sentì stringersi il cuore in una morsa di sangue
Ma il ciabattino ritornava: - Che fa? - chiese sottovoce  don  Crescenzo. - Sta assopito. - Dorme? - No, è la malattia. -
è stato, come è stato? - chiese ancora, disperatamente,  don  Crescenzo. - Mah! Tante cose sono state. Ha avuto certi
dispiaceri. - Oh povero, povero! - esclamò a voce bassa  don  Crescenzo. - Questa chiamata del presidente è stata per lui
ecco la vera ragione del tocco! Come sarebbe? - Voi sapete,  don  Crescenzo, che i miei lavori di matematica, con l'aiuto di
ogni tre o quattro mesi, un ambo… soggiunse scetticamente  don  Crescenzo. - V'ingannate, si può dire che io l'ho
e bevve un sorso di vino. - Vorrei vederlo, - chiese  don  Crescenzo, improvvisamente. Entrarono nella stanzetta da
giunta sino alla vergogna. - Avvocato, avvocato? - chiamò  don  Crescenzo, piegandosi sul lettuccio. L'infermo fissò gli
vi riconosce, - mormorò il ciabattino, pigliando tabacco.  Don  Crescenzo uscì subito dalla stanza, sentendosi aggravare
morirà come un cane! Allora tutto il represso dolore di  don  Crescenzo scoppiò. - Mi doveva ottocento lire, e sono
di vino bluastro, che aveva lasciato in fondo al bicchiere.  Don  Crescenzo fuggì. Ora, a intervalli, sentiva che gli si
con cui si procurava denaro per giuocare: due volte  don  Crescenzo vi era stato, ma aveva assistito a tali scene
l'altro sempre fuori la porta. - Vi è, vi è, - disse  don  Crescenzo, irritato. - Tanto, è inutile che si neghi, io lo
occhiali sul naso. - Vengo per denaro, - disse brutalmente  don  Crescenzo. - Non ne ho, - rispose duramente il debitore. -
- Sicché sei sul lastrico? - Sul lastrico. Allora soltanto  don  Crescenzo si accorse che il viso del professore era pallido
decisione è presa: tutto per tutto! - Che cosa? - domandò  don  Crescenzo, sorpreso. - Domani accetto le offerte fattemi
come se non reggesse a quell'idea dell'abiura. Anche  don  Crescenzo, nella sua stupefazione, aveva dimenticato i suoi
la madre. - Ma lasciare la religione di Cristo! - esclamò  don  Crescenzo, con quell'orrore del protestantesimo, che è in
la sua fede, il suo Dio, per una pagnotta di pane.  Don  Crescenzo lo guardava e taceva, stupito. Lo aveva sempre
che nuovamente egli insultava con la sua apostasia. E  don  Crescenzo, sebbene ristretto di mente, comprendeva tutto lo
- Quando sarà, questo?… - chiese, dopo una esitazione,  don  Crescenzo. - Fra un mese: ci vuole un mese d'istruzione,
celando il volto fra le mani. - Me ne vado, - mormorò  don  Crescenzo, prostrato oramai, in uno stato di accasciamento
vanità, che dà il castigo divino. Quando fu nelle scale,  don  Crescenzo fu preso da tale debolezza che dovette sedersi
non avevano neppure risposto. Quando, verso le sei, entrò  don  Crescenzo, dopo aver bussato inutilmente, li trovò quasi al
rispose un gemito di sua moglie. - E quando torna? - gridò  don  Crescenzo, agitatissimo, preso da un impeto di furore. -
quell'infame? - In America, a Bonaria. Gesù! - disse solo  don  Crescenzo, cadendo di peso sopra una sedia. Tacquero. La
il rosario. Ma ambedue parevano così stanchi, che  don  Crescenzo fu preso da una disperazione, trovando dovunque
con le preghiere di perdono, con le umili scuse. Due volte  don  Crescenzo lesse quella lettera straziante, scritta da un'
E dinanzi a quel dolce e pensoso occhio di fanciulletta,  don  Crescenzo sentì legarsi la lingua e fu con un grande sforzo
la carta da cento dalle mani di sua madre e dandola a  don  Crescenzo. Ah, in quel momento, di fronte a quella povera
come se non si dovessero vedere più. Adesso, quando  don  Crescenzo si trovò sotto il portone del palazzo Rossi, dopo
il sole, nelle vie, fra le fabbriche in costruzione; e  don  Domenico Mayer, l'impiegato ipocondriaco, che in un giorno
del Popolo: l'ombra era profonda, le guardie non videro  don  Crescenzo, disteso sul sedile. Ma egli, come per un rapido
del Collegio, urlava quel che gli veniva suggerito da  don  Leandro, il servente comunale, per gli incanti che si
sentirla. - L'altro giorno intanto tu ti lavavi la bocca di  don  Domenico, per via della casa. Quel galantuomo te la
il re in persona, e non potrebbe dirmi: "Esci di lí". Se  don  Domenico ha la pancia grossa e piena zeppa di quattrini, a
sono in mano di Dio ... - Ecco, ora non la finisce piú! -  Don  Domenico gli avrebbe rotto anche l'altra gamba e lo avrebbe
mano in alto indicava ogni cosa, come sarebbe stato quando  don  Domenico avrebbe fabbricato: qui i terrazzini, lí la
- Andiamo via, se no faccio qualche bestialità! - disse  don  Domenico che masticava bile da due ore. E d'allora in poi
non si poteva murare neppure un sasso. - Finalmente  don  Domenico l'ha capita! - Lo Sciancato continuò a bandire,
faceva un movimento. - Qui son vissuto e qui voglio morire.  Don  Domenico può darsi pace; non la spunta. Ho la testa dura,
peccato. Sereno di coscienza, non faceva male a nessuno. Se  don  Domenico fidava nella propria pancia, nei propri quattrini
chi ha quattrini compera anche questa! - E intanto che  don  Domenico, dal finestrino di cucina, continuava a buttare
di Calcagno ... - E son tre voooci!! - Crepa! - rispondeva  don  Domenico. Invece crepava lui dalla rabbia, e diceva omnia
maccheroni a tradimento. - E intanto se li è mangiati! -  Don  Domenico avrebbe voluto tirarglieli, filo per filo, fuor
faceva la calza con mani che andavano leste come il vento.  Don  Domenico, sul tardi, fumando tanto di pipa, l'aspettava
meglio di quando ella aveva con sé quel forca del saponaio.  Don  Domenico le prometteva anche una mantellina nuova di panno
di Dio - egli conchiuse. Fu con questo tradimento che  don  Domenico ebbe la casa dello Sciancato, e comare Angela del
fino. - Non l'ho fatto per la mantellina - ella disse a  don  Domenico - ma per affezione alla sua famiglia. Il maggior
giallo che mi fa rivoltare lo stomaco. - Zitta! - rispose  don  Domenico, ridendo; - le sessant'onze della casa te le
a rannicchiarsi, coi suoi quattro cenci, nel tugurio che  don  Domenico dovea lasciargli abitare, giusta il contratto,
il capomastro. E un manovale aggiunse: - È mal'augurio per  don  Domenico! - Mineo, 28@ 28 maggio 1881@. 1881.
stata presa. Sospettava della moglie del mezzadro di Poggio  Don  Croce là accosto, che aveva bisogno di una chioccia, e
aveva fatto una corsa fino alla mezzadria di Poggio  Don  Croce. Davanti a la porta della casa, una ragazzina, figlia
di quella strega che voleva picchiarlo, accortosi che  Don  Pietro e Capobanda erano entrati nella vigna, non li
Tiù! Tiù ! Esclamando di tratto in tratto. - Bravo,  Don  Pietro ! Bravo, Capobanda ! - vedendo che i tacchini
lo interrogasse coi gracchi: Faccio bene? Poi, vedendo che  Don  Pietro e Capobanda , si inoltravano troppo, Scurpiddu tirò
della tacchina, poichè se l'erano presa quei di Poggio  Don  Croce, Il massaio penserebbe lui a farsela rendere: anche
Gli era balenato in mente il sospetto che quei di Poggio  Don  Croce avessero voluto vendicarsi sùbito. Ma come? Ma
alla Purità incarnata" disse Giovanni "mi vedo davanti  don  Clemente. Ti ho detto che viene alla riunione di stasera?
e poi vengono." "Te ne sei ricordata perché ho nominato  don  Clemente" disse Giovanni sorridendo. "Sì" rispose sua
sai che non credo." L'alta fronte, gli occhi azzurri di  don  Clemente tanto sereni e puri, come avrebbero conosciuta la
che il frate venisse alla riunione? Sì, n'era certissimo.  Don  Clemente ne aveva ottenuto il permesso dal Padre Abate,
lì sulla scala: "Il signor Abate Marinier, di Ginevra.  Don  Paolo Farè, di Varese, che Lei conosce già di nome." Selva
esclamava uscendo sulla terrazza: "Oh, c'est admirable!" E  don  Paolo Farè, da buon comasco, mormorava:"sì, bello, bello,"
del Francolano che serra, scuro e grande, il levante.  Don  Farè divorava con gli occhi Selva, l'autore di scritti
anche gli altri due! Per Verità né l' Abate Marinier, né  don  Farè erano attesi. Altri, invece, mancava. Mancavano un
di essere venuto. Era stato Dane, il colpevole. E per  don  Paolo Farè il colpevole era stato di Leynì. Selva protestò.
posso esser sicuro di dividere le vostre idee in tutto."  Don  Paolo non seppe trattenere un gesto d'impazienza. Anche
d'uno che approvasse poco. Ma perché, allora, era venuto?  Don  Paolo faceva smorfie di malcontento, gli altri tacevano. Vi
aveva già servito il caffè quando arrivarono, a un punto,  don  Clemente a piedi da Santa Scolastica, Dane, il Padre
professore Minucci in un legno a due cavalli da Subiaco. Ma  don  Clemente, ch'era seguito dal suo ortolano, vista la
Scese ella stessa col lume la scala a chiocciola, accennò a  don  Clemente di volergli parlare e diede un'occhiata
significativa all'uomo che gli stava dietro le spalle.  Don  Clemente si voltò a costui, gli disse di stare ad
a fronte di una inattesa opposizione. Desiderava che  don  Clemente lo sapesse, che fosse preparato. Glielo diceva lei
i suoi ospiti. E si congedava, nel tempo stesso, da  don  Clemente, non avendo intenzione, lei donna e tanto
"un'amica intima di mia sorella, certa signora Dessalle."  Don  Clemente voltò la testa di scatto, e Maria n'ebbe il
calma! Ne arrischiò una essa pure. "Lei la conosce, Padre?"  Don  Clemente non rispose. Sopraggiungeva in quel momento il
studiolo di Giovanni. Era così piccolo che il bollente  don  Farè, non potendosi tenere aperte le finestre per un dovuto
timidamente un paralume, che fu cercato, trovato e posto.  Don  Paolo si fremette dentro: "questa è un'infermeria!" e anche
di obbedire sempre l'autorità ecclesiastica legittima ..."  Don  Paolo Farè scattò. "Secondo!" Un vibrare di subiti
né su nostro labbro, né in nostro petto verso nessuno!"  Don  Paolo scattò da capo. "Odio no ma sdegno sì! Circumspiciens
no ma sdegno sì! Circumspiciens eos cum ira!" "Sì" disse  don  Clemente con la sua dolce voce velata "quando avremo
Cristo in noi, quando sentiremo una collera di puro amore."  Don  Paolo, che gli stava vicino, non rispose niente, lo guardò
le mani e gli strumenti. Questo sdegno, questa ira che Lei,  don  Paolo, dice, è una grande potenza del Maligno sopra di noi,
è accettata, si vedrà in qual modo sia da porla in atto."  Don  Paolo esclamò impetuosamente che il principio nemmanco era
grande Pescatore di Roma li frigge." "Questa è buona!" fece  don  Paolo con un sussulto di riso. Gli altri tacevano, gelidi.
sorriso: "C'est beau mais ce n'est pas la logique."  Don  Paolo scattò: "Ma che logica!" "Ah!" rispose il Marinier
maligna faccia compunta. "Se rinunciate alla logica ...!"  Don  Paolo, tutto acceso, era per protestare ma il professore
"Ma sapete bene che le similitudini non sono argomenti!"  Don  Clemente, che stava in piedi nell'angolo tra l'uscio del
a quel nobile viso di arcangelo, arrossente ma eretto.  Don  Clemente esitò un poco, e quindi parlò con la sua voce
sa? Io non dispero che possa già esistere." "Lui" mormorò  don  Paolo. "Ora" proseguì don Clemente "io vorrei dire al
già esistere." "Lui" mormorò don Paolo. "Ora" proseguì  don  Clemente "io vorrei dire al signor Abate Marinier: siamo in
quel mistico asceta, si era proposto, facendo parlare prima  don  Clemente, di dargli tempo a chetarsi. Egli scattò. La
colpire: oggi il professore Dane, ad esempio, domani  don  Farè, posdomani qui il Padre; ma il giorno in cui quella
dixerint omne malum adversum vos, mentientes, propter me."  Don  Paolo Farè saltò in piedi e abbracciò l'oratore. Di Leynì
in lui con occhi accesi di entusiasmo. Dane, Selva,  don  Clemente, l'altro frate tacevano, imbarazzati, sentendo,
i suoi piccoli occhi brillanti. Guardò l'amplesso di  don  Paolo con un misto d'ironia e di pietà, poi si alzò in
per accomiatarsi. Subito gli furono tutti attorno, meno  don  Paolo e Minucci, per non lasciarlo partire. Egli insisteva
a Farè, gli accennò di unirsi agli altri; ma il focoso  don  Paolo gli rispose con una violenta spallata, con una
da certe pietà fervorose che credono santificarsi ... Qui  don  Paolo e Minucci brontolarono: "Questo non c'entra." Il
Minucci indovinò il suo pensiero e tacque, l'inconsiderato  don  Paolo non capì nulla e strepitò che si doveva deliberare,
però; fremeva contro lo svizzero, sopra tutto. Dane e  don  Clemente erano poco soddisfatti, quale per una ragione,
suo contro Marinier e si doleva di averlo portato con sé;  don  Clemente avrebbe voluto dire che le parole del Padre
per lui. Chi gliela poteva indicare di lì? Gliela indicò  don  Clemente. Era la stessa che aveva percorso venendo da
S. Paolo. L'altro pensò invece che Marinier era Marinier.  Don  Clemente osservò che neppure tutti i Santi si potevano
lo credo" esclamò il Padre Salvati. Invece l'entusiasta  don  Faré si teneva certo che sarebbe Sommo Pontefice. L' Abate
baleno, quello cui subito non aveva pensato, la presenza di  don  Clemente, il dubbio che fosse lui l'amante scomparso di
servite della carrozza che veniva a prender lui! Anche  don  Clemente pareva molto inquieto. Selva si affrettò,
le robinie, che Maria non potesse riconoscere suo marito e  don  Clemente nelle due ombre che uscivano di casa sua. Ella,
svoltare a destra, si fermò esclamando: "Dove andate?" e  don  Clemente, forse per aver veduta questa signora ferma sulla
subito salutò allargando le braccia, come per nascondere  don  Clemente, il quale, seguito dall'ortolano, passò
ad abbracciarlo. Intanto Selva si compiacque di vedere che  don  Clemente era sfuggito all'incontro. Selva, scioltosi
di frapporsi, nel momento pericoloso, fra la signora e  don  Clemente, il Padre era anche passato quasi di corsa, ma
dove trovarlo un altro avvocato più esperto e più onesto di  don  Aquilante Guzzardi? Bisognava prenderlo così com'era, con
avere chi sa che tempesta, eh? E invece! ... », esclamò  don  Aquilante. «Per questo non ho voluto rimettere a domani la
il marchese si era seduto dal lato opposto della tavola,  don  Aquilante riprendeva: «Finalmente ci siamo!». Il marchese
segue il fatto, che cosa si può chiedere di più?» Parlando,  don  Aquilante aggrottava le sopracciglia, storceva le labbra,
da me, l'altra mattina, la povera vedova di Rocco», riprese  don  Aquilante, vedendo che il marchese stava zitto. «Sembrava
E nessuno ha udito, nella notte, neppure quel colpo.»  Don  Aquilante socchiuse gli occhi, scosse la testa e fece una
non ne facesse uscire nessun suono. «Per conto mio», disse  don  Aquilante, destandosi improvvisamente dalla concentrazione
se dico così», lo interruppe il marchese. «E avete torto!»  Don  Aquilante, col viso rischiarato da un orgoglioso sorriso di
abolire la polizia.» «È un altra quistione!», rispose  don  Aquilante. «Lasciamo andare; non mi convincerete mai, mai,
spalancò poi la vetrata e si affacciò al terrazzino.  Don  Aquilante lo raggiunse. Dietro le nuvole diradate e
«Suo marito la tiene incatenata come una bestia», rispose  don  Aquilante. «Dovrebbe immischiarsene l'autorità; farla
«Sempre così! Sarà un gran guaio anche quest'anno!», disse  don  Aquilante. «Buona notte, marchese.» Il marchese stava per
nera comparve sulla porta aperta del salotto di  don  Innocenzo, nascondendo il cielo stellato; una voce disse:
via, chi sa domani dove si sarebbe attaccato!" "Bene" disse  don  Innocenzo "parce sepulto." "E ha sentito della lettera?"
la spiegano loro?" "Lo avrà minacciato di ammazzarlo" disse  don  Innocenzo. "Gran brutte cose" concluse il sindaco "gran
si fu allontanato, Steinegge cinse col braccio la vita di  don  Innocenzo, gli posò la fronte sopra una spalla. "Povera
fortuna, e Steinegge non poteva vedere sul viso sincero di  don  Innocenzo i suoi veri convincimenti, il dolore d'aver
Edith. "Non è un poco umido?" disse Steinegge volgendosi a  don  Innocenzo. "Oh no, a quest'altezza no" rispose il curato.
aveva sonno, lo pregò di lasciarla ancora un pochino con  don  Innocenzo, per quest'ultima sera. Suo padre si dolse
al nemico. Marta recò un altro lume pel suo padrone; ma  don  Innocenzo, a un cenno di Edith, congedò la domestica, le
e non parlava; ma le si vedevano lagrime negli occhi.  Don  Innocenzo, guadagnato, oppresso da quel dolore intenso,
padre! Tanto ingiusto!" "Ma no, ingiusto" si provò a dire  don  Innocenzo. Ella alzò una mano senza rispondere, indi la
non può dire una sola parola di difesa, avendone tante, io,  don  Innocenzo, lo dimenticherò, lo abbandonerò anche col
quei discorsi orribili!" "No... non mi pare..." balbettò  don  Innocenzo. "Ho udito tutto, tutto, signor curato. Io sono
allora era negletto o respinto da tutti. Chi sa, chi sa,  don  Innocenzo, che cattivi pensieri avrà avuto, povero giovane,
Non poté continuare. "No, signora Edith" rispose  don  Innocenzo "non bisogna mettersi in mente queste cose. Come
anche lui. Preghi anche dopo" soggiunse "e faccia pregare."  Don  Innocenzo glielo promise, ma ella non era contenta ancora,
nessuno ha da saper niente e mio padre meno di tutti."  Don  Innocenzo le prese una mano, gliela strinse
della lucerna veniva meno, la notte entrava nella camera.  Don  Innocenzo si alzò. "Adesso vada a riposare" diss'egli. Ma
"Vengo subito, papà." Ella entrò nel salotto e fece a  don  Innocenzo un saluto silenzioso con la mano. Quegli raccolse
"Weh deve significare male in tedesco" disse tra se  don  Innocenzo. "Ma l'm?" Finì di cancellare la parola e
un'altra settimana. Sarei venuto al cottage a congedarmi. -  Don  Liddu, voi potete andarvene - disse miss Elsa. - Mi fermerò
- disse miss Elsa. - Mi fermerò un po' dal notaio.  Don  Liddu esitò un istante. - Oh, non abbiate paura! -
che aveva capito. - Avrò un cavaliere, caso mai ...  Don  Liddu non sa ancora capacitarsi che una signorina possa
E rideva. - E se suo papà mi domandasse ... - disse  don  Liddu per scusarsi. - Non vi domanderà niente - rispose
Non ho segreti per lui. - Voscenza ha ragione! - Povero  don  Liddu! Va via mortificato - disse Paolo Jenco, senza
pregava. - Senti, - proseguì Paolo - va' a rapportargli:  Don  Paolino diceva che voscenza è un buffone. - No, -
l'agave che volevo farle vedere" disse  don  Innocenzo a Steinegge. "Bella eh?" Era lì a godersi il
saltava sopra il valloncello, sibilava giù nel frutteto di  don  Innocenzo, sul tetto della canonica, si spandeva nei prati
rovi, era la vita, la parola, la passione del paesaggio.  Don  Innocenzo aveva fatto portar lì un sedile rustico e vi
per lui?" "Oh no, non moltissima, spero, ma via!" disse  don  Innocenzo, mortificato della poca attenzione ottenuta dal
vecchio e c'è anche altre cose da pensare!" "Venga" disse  don  Innocenzo, commosso, pigliando Steinegge pel braccio e
impreveduta. "Cosa?" diss'egli. "Venga, venga, sieda qui."  Don  Innocenzo non trovava la prima parola, stringeva
a che Ella, amico mio, ottimo e carissimo amico mio..."  Don  Innocenzo gli prese, parlando, una mano. "...intendesse
sera... ma poi adesso... credevo che fosse contenta..."  Don  Innocenzo si chinò a raccogliere le parole inintelligibili.
subito. Io farò tutto, andiamo subito." "No no no" rispose  don  Innocenzo. "Non accetterebbe un atto compiuto per amor suo
leggeremo, discuteremo... diremo male dei preti, se vuole!"  Don  Innocenzo aggiunse sorridendo queste parole, perché gli
come se fiutasse qualche putredine. "Che spropositi!" disse  don  Innocenzo con le sopracciglia aggrottate e la bocca
E questa gente guiderà il mondo? Male lo guiderà."  Don  Innocenzo si alzò in piedi, infuocato in viso, con gli
frenetica, uno strepito che impediva di udire le parole.  Don  Innocenzo sempre acceso in viso, non potendo parlare,
con passione: ch'io perdonassi." "E ha perdonato?" disse  don  Innocenzo. "Io ho fatto i più grandi sforzi" rispose
in gola soffocata. "Ho fatto quel che ho potuto" diss'egli.  Don  Innocenzo, pure commosso, tacque. Forse la coscienza lo
stette un po' silenzioso, poi abbracciò appassionatamente  don  Innocenzo, lo baciò sulla spalla, gli disse con voce
curato!" C'era della gente nell'orto, uomini e donne.  Don  Innocenzo sorpreso, affrettò il passo. V'erano la Giunta,
a domandarne l'autorevole parere. Costoro attorniavano  don  Innocenzo, parlandogli tutti in una volta, gridandosi l'un
del tal altro, discorso in chiesa, discorso al cimitero.  Don  Innocenzo ottenne a stento che si chetassero e lo segui
male doveva essere più profondo di quanto gli avesse detto  don  Innocenzo. Dov'era dunque Edith? Perché non poteva egli
discorrendo tranquillamente. "Niente di meglio" diceva  don  Innocenzo, soddisfatto, guardando Steinegge. "Ma!" rispose
fino alla cartiera." "Bravi, bravi! Vengo anch'io" disse  don  Innocenzo, che avea congedato allora allora tutta la
volta delle solite cerimonie, s'incamminò per il primo.  Don  Innocenzo colse il destro di sussurrare a Edith: "Non c'è
"Forse il Suo biglietto!" "Il mio?..." rispose Edith.  Don  Innocenzo fe' cenno di sì e andò a prendere il braccio di
di essere in fondo a una tazza di Reno." "Vuota" osservò  don  Innocenzo. "Oh, questa è un'idea triste, non affatto
che inebbria meglio del Johannisberg." "Si voltino" disse  don  Innocenzo "guardino la mia casetta come sta bene." Stava
Edith rispose con gli occhi gravi, meravigliati.  Don  Innocenzo ammutolì. "Non sarebbe il solo tesoro sepolto in
Steinegge volgendosi al curato con un gesto ossequioso.  Don  Innocenzo si schermì, arrossendo e ridendo, dall'incensata.
nel bollore dell'affetto o dello sdegno. Si voltò quindi a  don  Innocenzo senz'aspettare la replica di Edith. "Non è vero"
Eh? Non è questo?" Aperse gli occhi un momento per guardar  don  Innocenzo che rideva e tornò a chiuderli. "E adesso vedo...
di me?" diss'ella. "Vuoi viver solo?" "Come solo?" esclamò  don  Innocenzo. "Non sente che vivrebbe con me?" "Io sono
il baroccio e divise Edith da' suoi due compagni.  Don  Innocenzo si accostò rapidamente a Steinegge e gli disse
me, dimenticavo, tornavo ilare. Ieri, trovandomi ancora con  don  Innocenzo, stando nella su a chiesa, ho sentito quanto
male che si credeva." "Papà" disse Edith alzandosi "lo sa  don  Innocenzo quello che mi hai detto prima?" "Un poco, solo un
sull'erba presso a suo padre, che riconobbe la voce di  don  Innocenzo, ed esclamò volgendosi a lui raggiante: "Così
ed esclamò volgendosi a lui raggiante: "Così presto?"  Don  Innocenzo vide, comprese, non rispose. "Signor curato"
con suo padre sulla strada. "Ella ritrova un'altra Edith."  Don  Innocenzo si provò a far l'ingenuo, ma ci riusciva solo
di suo padre, appoggiandogli quasi il capo alla spalla.  Don  Innocenzo teneva lor dietro soffiando perché il capitano
passo di carica. Attraversarono così i prati senza parlare.  Don  Innocenzo non ne poteva più; si fermò trafelato. "Bella"
il signor Giacomo stesso dovessero saper qualche cosa di  don  Franco; e qualche cosa certo se ne doveva sapere a
solitari, nelle stanzette dell'ultimo piano, il prete  don  Giuseppe Costabarbieri e la sua serva Maria, detta la Maria
parte che avrebbe fatto. Il lago era quieto come un olio e  don  Giuseppe, un bel pretazzuolo, piccolo, grosso, dai capelli
Pasotti, trovata aperta la porta di strada, entrò, chiamò  don  Giuseppe, chiamò Maria. Poiché nessuno rispondeva, piantò
seggiola e discese in giardino, andò diritto al fico dove  don  Giuseppe, al vederlo, fu preso da un accesso di convulsioni
non voleva saperne di "andar su"; voleva a forza restar lì.  Don  Giuseppe si mise a vociare: "Maria! Maria!". Ecco il
il faccione della Maria ad un finestrino dell'ultimo piano.  Don  Giuseppe le gridò di portar giù una seggiola. Allora il
la presenza di sua moglie, onde il faccione scomparve e  don  Giuseppe ebbe un altro accesso. "Comè? Comè? La sciora
veder prendere due o tre di quei mostri di cavedini; e  don  Giuseppe, per quanto protestasse alla sua volta: "Oh dess!
e poi gittò egli pure il suo. Cominciò con domandare a  don  Giuseppe da quanto tempo non fosse andato a Castello. Udito
di Castello! Che cuor d'oro! E a casa Rigey c'era andato,  don  Giuseppe? No, la signora Teresa stava troppo male. Altri
avanti? "So nient so nient so nient!", fece bruscamente  don  Giuseppe. A quel precipitoso negare, gli occhi di Pasotti
brillarono. Egli fece un passo avanti. Era impossibile che  don  Giuseppe non sapesse niente, diavolo! Era impossibile che
di ciò con l'Introini! Non lo sapeva l'Introini, che  don  Franco aveva passato la notte in casa Rigey? "So nient",
aveva passato la notte in casa Rigey? "So nient", ripeté  don  Giuseppe. Pasotti sentenziò allora che il voler nascondere
nascondere certe cose note era un far pensar male. Diamine!  Don  Franco era certamente andato in casa Rigey con fini
"Pécia, pécia, pécia!", fece sottovoce, frettolosamente,  don  Giuseppe curvandosi tutto sul parapetto, stringendo la
l'avarà sentì a spongg", fece sospirando e raddrizzandosi  don  Giuseppe che intanto, avendo sentito egli pure il punger
come il pesce. L'altro ritornò all'assalto, ma invano.  Don  Giuseppe non aveva veduto niente, non aveva udito niente,
di vecchiaia e tristezza. Ecco finalmente Pasotti, ecco  don  Giuseppe che ricomincia a sbuffare: "Ah Signor! Cara la mia
ritornò, tra soddisfatto e preoccupato, nella stanza dove  don  Giuseppe stava spiegando alla signora Barborin, con gesti
pieno di ciliege allo spirito, speciale e celebrata cura di  don  Giuseppe che soleva presentarlo agli ospiti con solennità,
di strada. "L'è on bargnifòn, minga on bargnìf", esclamò  don  Giuseppe, pensando all'amo. E con quell'appellativo di
non giuocava a tarocchi. Discorrendo una sera nell'orto con  don  Franco delle solenni scorpacciate e trincate che Pasotti e
"Don Franco?", esclamò Pasotti. "Benissimo. Allora, siccome  don  Franco ha molta bontà per me, mi rivolgerò a lui." E trasse
me, mi rivolgerò a lui." E trasse la tabacchiera. "Povero  don  Franco!", diss'egli, guardando il tabacco e palpandolo con
recondito di un tartufo. Le spaventate difese di  don  Giuseppe, le difese ostinate della Maria, l'imbarazzo e lo
cerimonie, avendo già nello stomaco, oltre alle ciliege di  don  Giuseppe, anche la birra del Gilardoni; ma dovette finire
dei nuovi? Forse per la Luisina? Per quel matrimonio? E  don  Franco non veniva mai a Castello? Di giorno, no, va bene;
pazzia del marchese. «Ma come? Ma come?» Lo zio  don  Tindaro era accorso tardi; nessuno aveva pensato di farlo
Cipolla ne ha detta una più stupida: "La colpa è di  don  Aquilante che gli ha sconvolto il cervello con lo
male. Lo spiritismo? Può darsi benissimo! ... E vedrete che  don  Aquilante finirà pazzo anche lui!» «Mi par di sognare!»
non invadesse la casa. «Ma come? Ma come?», ripeteva  don  Tindaro, nel salotto dove la marchesa era svenuta per la
donne in camera per soccorrere la svenuta. Dal corridoio,  don  Tindaro e il notaio udivano gli urli del marchese,
... mani e piedi! Chi poteva mai supporre ... !» Lo zio  don  Tindaro non osava d'inoltrarsi, inorridito dalla vista
l'ostinazione della figlia), aveva voluto parlarne allo zio  don  Tindaro e al cavalier Pergola. Il vecchio rispose
mai il nome di Zòsima gli fosse venuto alle labbra. Lo zio  don  Tindaro e il cavalier Pergola entravano, a intervalli, dal
La Greca andava di accordo con lui. E se quel fanatico di  don  Aquilante aveva davvero iniziato il marchese nelle pratiche
non si può far nulla? Dobbiamo stare a guardare?» Lo zio  don  Tindaro avrebbe voluto ordinazioni di rimedi, tentativi
si mutava in ebetismo, senza speranza di guarigione. Lo zio  don  Tindaro, per la sua età, non resisteva alla tortura del
scampanellata che venia dalla camera di  Don  Luigi interruppe il racconto terribile del povero vedovo. -
ridisceso, mi appoggiò la bocca all'orecchio e mi disse: -  Don  Luigi ha bisogno di voi.. Scoccavano appunto le undici ore.
in parte se non in tutto la conversazione della cucina.  Don  Luigi mi stese la mano e mi disse: - Voi che mi parlavate
- Che cosa succede? gli chiesi. - È venuto male a  Don  Luigi, rispose tra un soffio e l'altro. - Seriamente? -
Io volai nel salotto. C'erano tutti i commensali meno  don  Sebastiano, il vice-curato, il quale notai allora con
per cui io avea spiato un momento prima; ma al mio giungere  don  Gaudenzio se ne staccò, ed io potei inoltrarmi fino al
giunto. Baccio, col viso stravolto parlava a bassa voce con  Don  Prosdocimo, i cui lineamenti severi si erano rabboniti di
è calda; si faccia coraggio. - Quel benedett'uomo, diceva  Don  Anastasio colla sua voce burbera e piena di convinzione.
per dargli udienza .... a quel .... Uno sguardo di  Don  Luigi, che aveva finito di ingoiare la pozione, gli troncò
mia grande sorpresa trovai disteso sul divano il panciuto  don  Gaudenzio, il quale, come se nulla fosse accaduto,
piano. Cadeva il sole, quando una febbre violenta assalse  Don  Luigi, dopo un sopore affannoso che era durato tutta la
inchini e raccomandandomi caldamente di restare finchè  Don  Luigi non fosse perfettamente ristabilito. - Domani, disse
delle signore, mentre attendevano davanti al cancello.  Don  Pietro - oramai lo chiamavano così - riconosciutili da
sinceramente. - Su, montino in carrozza anche loro - disse  don  Pietro - c'è posto per tutti. Non può immaginare che
di sonagli. Lassù, su la spianata davanti al Cottage ,  don  Liddu, (aveva smesso l'albergo per diventare il factotum
prima a prender possesso! - Voscenza benedica ! - le disse  don  Liddu. E le baciò la mano, quantunque miss Elsa tentasse di
 Don  Luigi uscì subito dopo il desinare, - e più tardi lo
raccolsi i miei barattoli e me ne tornai difilato a casa.  Don  Luigi non era rientrato. Baccio mi disse misteriosamente: -
premura sindacale. Inoltrandomi fra le macchie, scoprii  don  Luigi. Era seduto dietro la casupola sopra un grosso ceppo
sincera e tanto viva che non ardii combatterla, tacqui.  Don  Luigi si alzò, passò il braccio sotto il mio e mi trasse
giusto .... Cominciammo a scendere la china in silenzio.  Don  Luigi era triste, accasciato come non l'avevo mai visto. Mi
Sulzena. Allo sbocco del sentiero della Carbonaia incontrai  don  Luigi. Allora aveva dei dispiaceri ed era triste, afflitto
Egli era certo in buona fede. Eravamo in sacristia dove  don  Luigi ci aveva lasciati soli per entrare in chiesa a parare
signor Mendoza? ... Volete offendermi? - Niente affatto,  don  Barrejo. - Perché i guasconi non tollerano offese. - Lo
i guasconi non tollerano offese. - Lo sappiamo da un pezzo,  don  Barrejo, - disse il basco. Forse che non siamo del mar di
assaggiò lentamente il liquido che conteneva. - Vi avverto,  don  Barrejo, che, dopo quello che state bevendo, io non metterò
con qualche bottiglia, dei dobloni. - Uno ... uno solo,  don  Barrejo, - disse Mendoza. - In Guascogna con un doblone si
una draghinassa non meno lunga di quella del guascone.  Don  Barrejo si volse verso il basco, il quale stava
il muso! ... Via! ... Via! ... Non voglio scandali qui!  Don  Barrejo, che già vedeva rosso, divenne questa volta
un basco che abita dall'altra parte del mar di Biscaglia!  Don  Barrejo fece una smorfia, poi si slanciò come un toro
riso, si era alzato, snudando rapidamente la sua spada.  Don  Barrejo, accortosene, si volse verso di lui, dicendogli: -
voi avete detto ad un guascone del pappagallo! - gridò  don  Barrejo. - Guascone o non guascone, vi dico che se non
- I guasconi non hanno mai mangiato di questa roba, rispose  don  Barrejo. - Finitela, cialtrone! - A me cialtrone! -
fu lesto a parare. - Non è cosí che si attacca, - disse  don  Barrejo. - Il vostro maestro non valeva niente: era un vero
a parare anche quella. - Ecco una bellissima botta, - disse  don  Barrejo. - Il vostro maestro non era un vero asino. - Era
No, sono fiammingo. - Non mi rincresce di saperlo, - disse  don  Barrejo, sempre calmo. - Quella scuola non la conoscevo
- Fate pure, senza preoccuparvi della mia persona, - disse  don  Barrejo. - Allora parate anche questa! Il guascone aveva
Qui vi sono in giuoco due vite umane e non dovete parlare.  Don  Barrejo: in guardia! ... - Lasciate fare a me, compare, -
oscillazione. Studiava certamente il suo colpo misterioso.  Don  Barrejo lo fissava intensamente, come se cercasse di
del fiammingo, invece di squarciare gl'intestini di  don  Barrejo, saltò verso il fondo della sala, spaccando alcune
piazza inattaccabile, voi? - Una roccia guascone, - rispose  don  Barrejo. - Che cosa posso fare ora per voi? Riprendere la
Ve lo avevo detto io che era un ladrone patentato! - disse  don  Barrejo. - Ci ha rubato un doblone! - Scappiamo! - gridò
non valgono le armi bianche. - Io credo, signori, - disse  don  Barrejo, ringuainando la draghinassa, - che la
scendere al cancello della villa  don  Clemente si domandava con ansia segreta: l'avrà
"Sì, mi racconti." La voce era fioca e vuota di desiderio.  Don  Clemente si disse: "l'ha riconosciuta" e parlò della
sempre camminando: "Le forestiere che ho vedute, restano?"  Don  Clemente gli strinse il braccio forte forte. "Non so"
di sinistra. Là in faccia l'obliquo scoglio enorme parve a  don  Clemente, in quel momento, simbolo minaccioso di una
passati al servizio libero del monastero, aveva ottenuto da  don  Clemente licenza di passar la notte fuori, sulla montagna,
disse Benedetto. Il suo accento fu così fermo, significò a  don  Clemente tanta gravità di prossime parole, che questi non
che furono, Benedetto abbracciò il suo Maestro in silenzio.  Don  Clemente, sorpreso, sentendolo scosso da tremiti, da
Le ho però anche detto, quando Lei mi consigliava, come  don  Giuseppe Flores, di non credere nella Visione, che appunto
dal sonno per cinque minuti. Ho sognato che camminavo con  don  Giuseppe Flores sotto le arcate del cortile pensile di
di Praglia. Io gli dicevo piangendo: 'Ecco, è stato qui.' E  don  Giuseppe mi rispondeva con tanto affetto: 'sì ma non pensi
di sperare per l'anima sua e non di temere per la mia!"  Don  Clemente non poté a meno d'interromperlo. "No no no, figlio
Santa Scolastica suonava le ore. Erano dieci? Erano undici?  Don  Clemente non le aveva contate dal principio e temeva il
erboso e s'incamminarono per la ripida, sassosa mulattiera,  don  Clemente davanti, Benedetto alle sue spalle, ambedue con
della prudenza pratica, prementi, in quella distretta, su  don  Clemente e le ragioni della santità ideale, insegnate da
oscura che corre sotto la biblioteca, a una porticina.  Don  Clemente suonò. C'era da aspettare alquanto perché alle
e la sua coscienza di onesto famigliare antico, disse a  don  Clemente che il Padre Abate lo attendeva nel suo alloggio.
Clemente che il Padre Abate lo attendeva nel suo alloggio.  Don  Clemente salì con un lanternino al corridoio grande dove
da Parma ed era entrato in carica da soli tre giorni.  Don  Clemente gli s'inginocchiò davanti, gli baciò la mano. "Che
disse l' Abate. "Fate venire le dieci alle undici?"  Don  Clemente si scusò. Aveva tardato per un dovere di carità.
sedere. "Figlio mio" diss'egli. "Voi soffrite il sonno?"  Don  Clemente sorrise, non rispose. "Ebbene" riprese l' Abate
Potete dirmi di essere tranquillo nella vostra coscienza?"  Don  Clemente fu pronto a rispondere con un lieve gesto di
è tranquilla. Dunque non devo credere alla lettera?"  Don  Clemente rispose che certamente a casa Selva non ci erano
di eretici. Ma tu a, casa Selva, non ci ritornerai."  Don  Clemente baciò rassegnato la mano del paterno vecchio.
anni, è poco regolare. Cosa me ne potete dire? Sentiamo."  Don  Clemente sapeva che alcuni suoi confratelli, e non i più
a Benedetto. Neppure andava loro troppo a sangue che  don  Clemente e lui fossero tanto legati. Qualche dispiacere per
e lui fossero tanto legati. Qualche dispiacere per questo,  don  Clemente l'aveva già avuto. Comprese che quei tali non
di Brescia. Ell'avrà udito nominare la famiglia. Suo Padre,  don  Franco Maironi, sposò una donna senza nobiltà né ricchezza.
Mi ricordo! "Io non l'ho conosciuta che per fama" ripigliò  don  Clemente, sorridendo, mentre l' Abate si faceva passare con
ospitati da uno zio della sposa, ella pure orfana. Lui,  don  Franco, si fece soldato nel 1859 e morì di ferite. Sua
Ordine? Altra cosa: so che ha passato qualche notte fuori."  Don  Clemente sentì ancora corrersi un fuoco al viso. "In
puote, Però che senza colpa fa vergogna." "Oh!" esclamò  don  Clemente arrossendo, nella sua dignità vereconda, per
casa. E questi fatti soprannaturali, dite su, cosa sono?"  Don  Clemente rispose che erano state visioni, voci udite
la volontà di vedere il signor Benedetto e ordinò a  don  Clemente di mandarglielo l'indomani mattina, dopo il coro.
di mandarglielo l'indomani mattina, dopo il coro. Allora  don  Clemente si turbò un poco, dovette confessare che non
borbottò una sequela di rimbrotti e di riflessioni acide.  Don  Clemente si decise perciò a raccontare l'incontro colla
delle trame di questa fatta? Andate, adesso; andate pure!"  Don  Clemente fu per rispondere che non sapeva se si ordissero
si fosse studiato di scolpare lei e d'incolpare sé,  don  Clemente non dubitava che le cose fossero andate così. Se
cristiano che il timore suo e gli spasimi del Padre Abate?  Don  Clemente si dibatteva in testa questi problemi
di nove secoli e, sulla ogiva del portale grande dove  don  Clemente stava contemplando, la doppia riga dei fraticelli
per esse, un fiume di spiriti adoranti, contemplanti.  Don  Clemente sentì quasi rimorso dei pensieri volontariamente
Subiaco e i monti Sabini. Prima di entrar nella sua cella  don  Clemente si fermò a guardar i lumi lontani di Subiaco,
della visione affidata in iscritto alla custodia di  don  Giuseppe Flores. Egli si vide ginocchioni a Roma in piazza
moglie di avere riferito al signor Giacomo il discorso di  don  Giuseppe circa la convenienza di quel tale matrimonio. La
un divertimento squisito; dire al signor Giacomo e a  don  Giuseppe che sua moglie desiderava rimediare al mal fatto e
scena che seguirebbe fra il signor Giacomo irritato,  don  Giuseppe atterrito, la Barborin addolorata e sorda. Ma il
alle mosse e corse al "Palazz" a giustificarsi. Ella trovò  don  Giuseppe e la Maria in uno stato di agitazione
qualche cosa di grosso che la Maria avrebbe voluto dire e  don  Giuseppe no. Cedette il padrone a patto che la Maria non
persona d'un tale venuto da Milano, dove il male c'era,  don  Giuseppe aveva subito disposto che le provviste per cucina
s'era trovata, sotto i cavoli, una letterina diretta a  don  Giuseppe. Diceva così: Lei che giuoca a primiera con don
a don Giuseppe. Diceva così: Lei che giuoca a primiera con  don  Franco Maironi, lo avverta che l'aria di Lugano è molto
indescrivibile azione muta di tutti e tre. La Maria e  don  Giuseppe rappresentavano a furia di gesti e di occhiacci la
doveva essere spaventosa. Ebbe un lampo, tese il foglio a  don  Giuseppe con la sinistra, puntando l'indice della destra
fossero stati sordi, che sarebbe corsa subito a Oria, da  don  Franco, e gli avrebbe recato lo scritto. Si cacciò la carta
la carta in tasca e prese la corsa senza quasi salutare né  don  Giuseppe né la Maria che si provarono inutilmente, mezzo
entrambi s’incamminarono verso il giaciglio della morente.  Don  Ignazio trasse di sotto alla gonnella una boccetta, ne
che sotto la nera sottana batte l’anima dell’inferno.  Don  Ignazio con quella ipocrisia e sottigliezza che paiono
e sottigliezza che paiono privilegio della casta pretina,  Don  Ignazio confessore della vecchia, a forza di giri e rigiri
corporazione di S. Francesco di Paola, creando per giunta  don  Ignazio stesso esecutore testamentario. Non mancavano i
presso la riva, a pochi passi dal gran palazzo di  Don  Dïego. I fochi n'erano spenti; solo da una rossa cortina un
fu eretto dagli appaltatori dei bastioni, e regalato poi a  don  Ferrante Gonzaga per gratitudine di avere questo
Ed invece era un prete solo, un pachiderma con il tricorno,  Don  Massimo Ganassone, il priore di Micottino. Egli andò subito
toccandole la mano e dandole del lei , perché è massima di  Don  Massimo, che per pranzare bene da un prevosto bisogna prima
lacrimevole, che pareva piangesse il pranzo derelitto. Dopo  Don  Massimo, non erano sopravvenuti altri convitati; onde il
tirò giù due quaglie sul proprio tondo; cosicché  Don  Ganassone, ultimo a servirsi, si vide giungere innanzi il
e lo tira su e lo poppa a grosse ramaiolate. Quel giorno  Don  Massimo mangiò per cinque o per sei; ma non potè sbarazzare
a ciò Marcellina, benché ossequiata strategicamente da  Don  Massimo, non volle portare in tavola il budino soltanto per
Monticello restò con quattro quinti del pranzo non esitati.  Don  Massimo non potè seguitare la sua opera di distruzione,
del caso... E noi abbiamo mangiati i rimasugli di  Don  Ganassone... - È vero - disse uno degli astanti. - È vero -
tesa qualche nuova imboscata da parte del marchese e di  don  Juan de Sasebo. Attraversato il ponte levatoio senza che le
piú sulla mia via né il marchese di Montelimar, né  don  Juan de Sasebo - rispose il signor di Ventimiglia, il
- Ed esporvi a qualche nuovo pericolo. - A quale,  don  Barrejo? - A quello del matrimonio. - Diavolo d'uomo! -
tiro giuocatogli abbia narrato ogni cosa al marchese ed a  don  Juan. - Tonnerre! ... Voi mi avete cacciato una pulce in un
- disse il basco, che si teneva sempre dinanzi, mentre  don  Ercole formava la retroguardia. - Affretta piú che puoi. -
qualche gattaccio? - chiese il guascone. - Non scherzate,  don  Barrejo: questo non è il momento. Stettero in ascolto e
inquietudine. - O è invece il rombo d'una cascata? - disse  don  Barrejo. - A me sembrano cavalli - rispose Mendoza. - Che
galoppa. - Gettiamoci in mezzo alle piantagioni, - propose  don  Ercole. - Non sono le canne abbastanza alte per nasconderci
- Scommetterei dieci dobloni contro una piastra, signore.  Don  Barrejo ha fatto male a lasciare libero quel meticcio. -
del marchese di Montelimar, perché era proprio quello che  don  Juan de Sasebo gli aveva affidato, giungeva a corsa
tempo signore. Vi piacciono i gamberi? - Diventate pazzo,  don  Barrejo? - Niente affatto, signor conte. Ne ho sorpreso uno
uno attaccato ai miei stivali ed era grosso, chiedetelo a  don  Ercole che se l'è mangiato vivo, senza dividerlo con me. Il
in nostra compagnia diventano allegri e burloni, - disse  don  Barrejo. - Che cosa avete voi nelle vostre vene? - chiese
- Che cosa volete, signor conte? Il sangue guascone è cosí.  Don  Ercole legate i cavalli e cerchiamoci una deliziosa
lato della via, atterrando i cavalli del conte e di  don  Ercole. Solo quello del guascone era sfuggito
era sfuggito miracolosamente a quella tempesta di palle. -  Don  Barrejo, salvatevi! - gridò il conte il quale era subito
aveva aspettato a piè fermo gli spagnuoli, mentre Mendoza e  don  Ercole, rimessisi subito in gambe anche essi, sguainavano
tre spadaccini famosi. - Non vedete che ci chiude il passo,  don  Barrejo? - rispose Mendoza. - Dategli un calcio. I gatti
soffocato, si fece udire. - Il gattaccio soffia, - disse  don  Barrejo. - Deve essere arrabbiato. Ora t'accomodo io! Era
miagolii feroci della fiera, si era fermato. - E dunque,  don  Barrejo, che cosa facciamo? - chiese Mendoza, il quale
belva soffiava sempre e ruggiva sordamente, senza muoversi.  Don  Barrejo, seccato di non vederla avanzarsi, fece qualche
impugnava la pistola. - Il gattaccio ha paura, - disse  don  Barrejo. - Diavolo! ... Sente l'odore d'un uccisore di
che l'ho acciecato. - Ecco un uomo meraviglioso, - disse  don  Barrejo. - Io non vedevo quasi piú quel gattaccio, e lui
- Che è un mezzo guascone, se non lo è per intero.  Don  Barrejo ed il brabantino proruppero in una clamorosa
Si beve bene dunque a Pueblo-Viejo? - Benissimo, - disse  don  Barrejo. - Vi faremo assaggiare un certo Alicante che
- Vi è dunque? - Sí, il marchese si trova a Pueblo-Viejo.  Don  Barrejo ha parlato con lui, anzi ha bevuto insieme la
per difenderlo. - Per centomila demoni! - esclamò  don  Barrejo, quando ebbero salito lo scalone. - I colombi sono
e dal guascone. - Corpo d'un trombone sfiatato! - esclamò  don  Barrejo. - Il capo della scorta! Ehi, camerata, il conte
- Interroghiamo quest'uomo, signor conte, - disse  don  Barrejo. È una vecchia nostra conoscenza. - Dov'è il
per forzare gli assediati alla resa. - Tonnerre! - esclamò  don  Barrejo. - Mi ero dimenticato di quell'amico! ... Che sia
d'una trave. - Ecco l'uomo forte della compagnia, - disse  don  Barrejo, vedendo che il fiammingo non piegava sotto il
giacché non ha mai voluto dirci il suo nome, lo chiameremo  don  Ercole. Afferrarono solidamente la trave, presero la
che parve avessero sparato là dentro una cannonata. -  Don  Ercole! ... Voi siete l'eroe della giornata ... il re della
che abbiamo incontrato sulle rive del Chagres, - disse  don  Barrejo. - Sapete dove si trova la cantina? - chiese
- esclamò Mendoza, alzando il lanternone. - Chi? - chiese  don  Barrejo. - Ho udito un grido dalla cantina. - Che fortuna!
botti. - Dove si sarà nascosto quel briccone? - disse  don  Barrejo. Una voce s'alzò dietro le fila di botti di destra,
della cantina. Mendoza posò a terra il lanternone, mentre  don  Barrejo ed il fiammingo s'impadronivano di alcuni boccali
assaggiate tutte? - Tutte, - rispose il basco. - E voi,  don  Ercole? - Anch'io - disse il fiammingo. - Quali sono? I due
per niente impressionati della disperazione del taverniere.  Don  Barrejo lasciò che lo Xeres e la vecchia Malaga colassero
seguito dai suoi tre spadaccini, si presentò al palazzo di  don  Juan de Sasebo, Consigliere dell'Udienza Reale. Dire che il
subito introdotti nel gabinetto da lavoro del Consigliere.  Don  Juan de Sascho stava seduto dietro il suo enorme scrittoio,
meticcia, bensí per assassinarmi. Quanto vi ha pagato  don  Juan de Sasebo? - Ve lo dirò, quando vi avrò passata la mia
uccida, - disse poi, con voce rauca. - Io l'ho promesso a  don  Juan de Sasebo ed al marchese di Montelimar. Se mancassi
- mormorò il conte. - Marchese di Montelimar e anche voi,  don  Juan de Sasebo, me la pagherete. Si aprí il giustacuore,
guardiano. Se rifiuterà lo getterò giú dalla torre. Venite,  don  Ercole. Mentre Mendoza si strappava una manica della
guascone. - Se avremo bisogno di voi vi chiameremo, e voi,  don  Ercole, andate a tenergli compagnia. Pel momento la vostra
o d'ingannarmi. Allora bisogna riprenderlo, - disse  don  Barrejo. Senza di lui non potrò mai sapere dove quei
e studieremo sul da farsi. Conto specialmente su di voi,  don  Barrejo, che possedete una fantasia cosi ricca di trovate.
di soldati attraverso alle dune. - Tonnerre! - esclamò  don  Barrejo. - Vengono a prendere voi, - disse il conte, - Mi
- Scappiamo, - disse Mendoza. - Non potremo, - rispose  don  Ercole. - Il drappello si è diviso e s'avanza da due
lunga corsa, - aggiunse il guascone. - Io però ho un'idea.  Don  Ercole, sono ancora lontani? - Un migliaio di passi e mi è
- Perdinci! ... Che occhi che hanno i fiamminghi! - esclamò  don  Barrejo. - Vincono quelli dei guasconi. - Fuori la vostra
- Vincono quelli dei guasconi. - Fuori la vostra idea,  don  Barrejo, - disse il conte. - Non abbiamo tempo da perdere.
pure qui, anzi fareste bene a coricarvi un po', e voi,  don  Ercole, venite sulla lanterna. Io rispondo di tutto.
la sua grossa pipa. - Dove sono? - chiese il guascone a  don  Ercole. - Eccolo laggiú, il primo drappello. Il guascone
di tela cerata. - Somiglio ad un fanalista? - chiese a  don  Ercole, il quale stava legando ed imbavagliando il
toccandosi il cappello, e aiutando il mio più che  don  Chisciotte a disbrigarsi dalle staffe e a smontare. Ella
notturne. Fanno bene all'anima e al corpo. E come va ora  Don  Luigi? Attaccato, così dicendo, il cavallo ad una
di Esculapio. - Sono intirizzito, Baccio, e poichè  Don  Luigi dorme ancora, una fiammata mi farebbe bene. - Subito,
respiro, contandone i tremiti, - e veniva ad avvertirci che  Don  Luigi si era svegliato, che sospettava la presenza del
uno scambio di sguardi che non dimenticherò mai. Quello di  Don  Luigi pareva dire: «Voi sapete come e perchè!» E quello del
al vento. Salvatore, passando accanto alla Canonica, vide  don  Antonio, il prete della pieve, in maniche di camicia,
e tre generazioni erano quasi passate nelle sue mani.  Don  Antonio, collocati i quattro santi sulla panchina di pietra
perché il sasso è duro, e il sole è piú duro del sasso.  Don  Antonio, che invece amava la ciarla innocente e parlava, in
già frate converso cappuccino, che amava discutere con  don  Antonio sui casi di coscienza e di liturgia. - Aspettate
come le stelle. - Io vorrei farvi un caso di coscienza,  don  Antonio. Se una zucca, sforzando la siepe, passa dall'orto
zucca nella vostra coscienza, è un altro paio di maniche.  Don  Antonio rise gioiosamente del suo traslato, e i suoi
sotto le fregagioni di Martino. - Che cosa volete dire,  don  Antonio, con questa ipotiposi della zucca nella mia
se il viaggio era stato buono. Poi soggiunse: - Venite,  don  Cirillo; ho mandato or ora in cerca di don Nunziante, che è
- Venite, don Cirillo; ho mandato or ora in cerca di  don  Nunziante, che è andato al Comune per un contratto di
facile vederne il prezzo sostanziale. Voi fate un affarone,  don  Cirillo, e se non fosse il bisogno che mi piglia per la
cedere queste case al Comune per le scuole e ho mandato  don  Nunziante a interrogare il Consiglio, che deve appunto
di mattoni, vale di piú. Anzi io direi, mentre si aspetta  don  Nunziante, di fare un giro per i locali. E poi vi condurrò
mani, se avesse stretto quel collo entro le quattro dita,  don  Cirillo non avrebbe detto piú Jesus. - Questa è la sala di
Miss Elsa questa volta non era sola. L'accompagnava  don  Liddu con due paniere infilate pel manico alle braccia.
che opera la sinistra. - Costei, invece, va attorno con  don  Liddu che porta i panieri delle provviste, per far sapere a
gran carità! Pretesti! Pretesti! - È un caso, se oggi c'è  don  Liddu con lei. - Pretesti! ... Guardate là, intanto, il
lestamente, vedendo spuntare dal vicolo miss Elsa con  don  Liddu.
il guascone, mentre s'incamminavano verso l'abitazione di  don  Juan de Sasebo, - verremo noi ricevuti da quel signore? Un
gettatene fuori una. - L'ho qui nel cervello, - rispose  don  Barrejo. - Spiegatevi dunque. Il guascone si fermò a
la piazza, chiedendogli ove abitava il Consigliere  don  Juan de Sasebo. - Quel portone, là, di fronte a voi, -
chiusa, per impedire l'entrata a chicchessia. - Siete voi  don  Juan de Sasebo? - chiese il conte. - In persona, - rispose
- disse il Consigliere, con collera. - Lo credo anch'io,  don  Sasebo. - Ed ora? - Sono venuto a dirvi di mettere al
Cacico del Darien. - Per ordine di chi? - Del marchese,  don  Sasebo, - rispose il conte. - Avete veduto il mio
- Il figlio del Corsaro Rosso, il conte di Ventimiglia.  Don  Sasebo aveva mandato un grido. - Il figlio del famoso
- Anche quarant'otto, se lo desiderate, - rispose  don  Juan de Sasebo. - Tornerò domani sera, se non vi spiace, e
Consigliere. Me ne darete se accetterò la vostra proposta.  Don  Juan de Sasebo si era alzato, ciò che voleva significare
- Io! - esclamò il marchese. - Che cosa mi narri tu,  don  Juan? - Come! ... Non lo hai mandato? - Io non ho dato a
qui? - Domani sera. - Al mio posto che cosa faresti,  don  Juan? - Lo farei arrestare ed appiccare al piú presto. Il
- È da ieri sera che non mangio, - rispose il marchese.  Don  Juan de Sasebo lo fece passare in un vicino salotto,
- Quando lo farai appiccare? - chiese il marchese a  don  Juan de Sasebo. - Quel furfante meriterebbe almeno venti
Il padre di quello studente che firmò la cambiale a  don  Gennaro Parascandolo, vuole darmi querela per truffa…
intorno al grezzo tavolino. Entrarono Ninetto Costa e  don  Crescenzo, il tenitore di Banco lotto, al vico del Nunzio.
veder venir l'onda che lo avrebbe sommerso. Accanto a lui,  don  Crescenzo, dalla bella faccia serena, dalla barba castana
appaltatore e riccone. Gli doveva più di duemila lire, a  don  Crescenzo, il barone Lamarra, e quando costui lo ebbe
se n'era fuggito a Isernia, donde non dava segno di vita.  Don  Crescenzo fu cacciato via, in malo modo. Duemila e più lire
segreta amicizia, diremo quasi una complicità, lo unisse a  don  Pasqualino, l' assistito egli taceva sul misterioso disegno
di luce. - A Roma si è pagato settecentomila lire - disse  don  Crescenzo, per ispezzare quel penoso silenzio. - Beati
una mano sulla fronte. - Si è aperto il cielo - osservò  don  Crescenzo, sbadigliando nervosamente. - Dottore, che ora
non so quale truce proponimento. - Lo spirito! - disse  don  Crescenzo, tentando di scherzare. - Non scherziamo, -
marchese Cavalcanti. - Buona sera, buona sera, marchese, -  don  Pasqualino, tutti vi aspettavano. E si mise da parte, per
del marchese, durante la strada, era stato dubbio: pure,  don  Pasqualino, abituato alle bizzarrie dei giuocatori, non vi
Oramai, non ci credevano più, alle parole misteriose di  don  Pasqualino. E questa sfiducia risultò così chiaramente, che
ma chi porta lo scapolare della Madonna, non si bagna. -  Don  Pasqualino, voi scherzate, - disse sarcasticamente il
- Senza che mi guardiate come se voleste mangiarmi,  don  Pasqualino: col permesso di questi bravi signori, voi
assistito, on un cenno di disprezzo. - Non tanto stupido,  don  Pasqualino, - disse Cavalcanti, reprimendo a stento la sua
meditare, e guardò obliquamente la porta. - Restate seduto,  don  Pasqualino, - disse lentamente Cavalcanti. - qui dobbiamo
di guai, alcuni dei quali irreparabili. Coscienza ne avete,  don  Pasqualino? Voi ci avete rovinati! - Rovinati, rovinati! -
alla sua voce. - Nessuno di noi vi vorrebbe trattenere,  don  Pasqualino, - rispose con ossequiosa ironia il marchese
digrignando i denti, Gaetano, il tagliatore di guanti. -  Don  Pasqualino, persuadetevi che questi signori non vi lasciano
non date loro i numeri. Persuadetevi!… - osservò saviamente  don  Crescenzo, che volea fingere di essere disinteressato nella
possiamo più. O vinciamo questa settimana, o siamo perduti,  don  Pasqualino. Abbastanza abbiamo atteso: vi abbiamo creduto
è meglio, ve lo assicuro, è meglio. Siete a un mal passo,  don  Pasqualino: lo spirito vi deve aiutare. La nostra pazienza
- disse l' assistito, ian piano, come un soffio. - Capite,  don  Pasqualino, questi signori vogliono avere una garanzia e vi
avere una garanzia e vi vogliono tenere in pegno, - spiegò  don  Crescenzo, il tenitore del Banco del lotto, volendo
tenuti in asso, finora, è il tempo di parlare sul serio,  don  Pasqualino: questi signori hanno ragione, e lo so io, di
hanno ragione, e lo so io, di essere esasperati. Parlate,  don  Pasqualino, mandateci via contenti. Voi rimarrete qui fino
parlò, freddamente, il marchese Cavalcanti, - e che quindi  don  Pasqualino resterà qui, chiuso, sino a che non si sarà
che non ha paura di niente, resterà in compagnia di  don  Pasqualino. Fare del chiasso sarebbe inutile, tanto i
inutile, tanto i vicini non udrebbero; e se per caso  don  Pasqualino volesse ricorrere alle autorità per farsi
veri. oi siamo fermi. Fino a che non avremo guadagnato,  don  Pasqualino non esce il dottor Trifari si sacrificherà a
uno di noi, per turno, verrà, ogni quattro ore, a vedere se  don  Pasqualino si è deciso. Speriamo che si decida presto. -
del suo volto, la supplica dei suoi occhi. - Buona notte,  don  Pasqualino: Dio v'illumini, - disse il vecchio avvocato
gli era balenato negli occhi. - Buona notte, buona notte,  don  Pasqualino - mormorò Ninetto Costa, con un po' di
aumentando l'intensità mistica della sua voce. - Caro  don  Pasqualino, via, un buon movimento, prima che andiamo via,
indotto a rimanere a Selinunte per un giorno o due; così  don  Calogero; un po'indispettito. aveva potuto tornare a
bisogna far nulla per nuIla. Sentito! - diceva il Sarno a  don  Calogero. Questi sono gli elettori più fidi del vostro don
don Calogero. Questi sono gli elettori più fidi del vostro  don  Roberto; che fedeltà! L'altro, che era di sangue caldo,
padroni; sono banderuola, che si volgono secondo il vento.  Don  Roberto è ricco e ali' ultimo potrebbe averli dalla sua;
discorsi sono un' astuzia per ispremergli denaro. Conosco  don  Roberto, - rispose il Sarno, - non darà loro un soldo.
delle parole sorprese in bocca agli operai, fece tesoro  don  Calogero; e la sera, dopo aver visitato i malati, andò a
andò a consigliarsi con lo zio. Ti aspettavo, - gli disse  don  Achille turbato, anch' io so molte cose che Roberto non
la serva del Purpura. Stamani è giunto e subito è andato da  don  Ciccio, ove è rimasto a pranzo insieme con l'Orlando; il
e non sapeva come riferirle a Roberto. Allorché  don  Calogero giunse alla villa, il pranzo era terminato e il
di Roma e di alcuni medici che entrambi conoscevano.  Don  Calogero li salutò e poi corse in cerca di Roberto; il
il dottore, - e parliamo dei nostri affari; dell'elezione.  Don  Roberto, preparatevi a sentirne delle brutte; i vostri
dell'Orlando non hanno fatto tutto quel male che dice  don  Calogero. Sabato essi erano già stati subordinati, sabato
economiche. Io non sapevo questo fatto. Assicuratevi,  don  Roberto, che è vero. Fra di essi vi è qualche malvagio,
Ma chi mi ha scatenato contro tutta questa inimicizia?  Don  Calogero e lo scienziato tacquero; ma un nome era corso
i nervi sono sempre scossi. Il professore tornò presso  don  Calogero per indicargli la cura da seguire; Roberto rimase
tarda i due medici e Roberto rimasero in camera di Velleda;  don  Calogero avrebbe voluto vegliarla fino a giorno e Roberto
un guardiano. Poco dopo il professore partiva insieme con  don  Calogero, il quale doveva far la denunzia alla giustizia.
di gente. La signora Mugnos, Cristina, il cavalier Pergola,  don  Aquilante erano accorsi alle prime notizie sparsesi per
«Eh, via, cugina! ... Che colpa ne ha il marchese?».  Don  Aquilante l'aveva poi confortata un po', raccontando
in salotto. «È già andato a letto?», le domandò lo zio  don  Tindaro, arrivato in quell'intervallo. «Peccato! ... Volevo
del salotto, il cavalier Pergola discuteva ad alta voce con  don  Aquilante intorno ai primi capitoli della Genesi. Di tratto
Genesi. Di tratto in tratto si udiva la voce severa di  don  Aquilante che ripeteva: «Parole il cui senso non è stato
saputo dirlo; certamente avevano fatto presto. Lo zio  don  Tindaro che si era avvicinato ad essi, udito di che si
che cercavano di confortare la marchesa, il cavaliere  don  Tindaro fece il gesto di chi non vuol disturbare un intimo
a fare a modo suo, anche per picca!», concluse ridendo  don  Tindaro. «Sì, mamma; vo' vedere se m'ama!», esclamò Zòsima
quel fondo agli eredi, come vi ha consigliato lo zio  don  Tindaro, e senza volerne restituito il prezzo ... Vi prego
 Don  Silvio La Ciura si era alzato più volte dal tavolino dove
inasprito sempre più della resistenza che trovava.  Don  Silvio, interrompendo la recita dell'ufficio, era stato
tegole, quasi vi spasseggiasse a salti un grosso animale.  Don  Silvio levava gli occhi dal breviario, tendeva le mani
la porta, dietro le finestre e il balconcino. Per ciò  don  Silvio rimaneva un po' incerto se quei colpi che gli era
da dietro la porta: «Chi siete? Che volete?». «Aprite,  don  Silvio! Sono io.» «Oh, signor marchese!», egli esclamò
mano, mentre con l'altra cercava tastoni la stanghetta che  don  Silvio aveva appoggiato in un angolo. «Ho i cerini»,
della cappotta che buttò su la seggiola più vicina.  Don  Silvio non osava di tornare a interrogarlo, dopo che non
«Voglio confessarmi!». E scorgendo l'occhiata di stupore di  don  Silvio, soggiunse: «Ho anche fretta». «Eccomi», rispose il
egli aveva arruffati con rapido atto delle dita irrequiete.  Don  Silvio intanto, cavata dalla cassetta del tavolino una
a questo atto per la vostra eterna salute.» La voce di  don  Silvio aveva preso un accento solenne; e il marchese che,
ho ammazzato io Rocco Criscione!». «Voi! Voi!», esclamò  don  Silvio con voce tremante, sollevandosi a metà da sedere,
che avrebbe sofferto stando lungamente in ginocchio,  don  Silvio lo interruppe: «Per le facoltà accordatemi, vi
lo interruppe con accento di grande tristezza  don  Silvio. «Non dovevo, non potevo sposarla io, e la volevo
marchese. E sembrava minacciasse. «Ho dimenticato», rispose  don  Silvio. «Ah, signor marchese! Ah, signor marchese!»
malora! Facciamo un po' di bene, almen nell'ultima ora...  Don  Diego... non cercate madonna in questa casa... quando mi
scegliendo un altro sacerdote ... Si era lusingato che  don  Silvio La Ciura, tenuto per santo dal popolino - gli
voleva prima di ammazzare lo spergiuro! E quel sant'uomo di  don  Silvio gli proponeva di denunciarsi, di prendere il posto
le buone intenzioni di lui; non era povero di mente come  don  Silvio! E si era addormentato in ginocchio davanti a Pio IX
Dio? Chi lo ha visto cotesto Dio?» «Io vi rispondo come  don  Silvio La Ciura, quando don Aquilante voleva provargli che
Dio?» «Io vi rispondo come don Silvio La Ciura, quando  don  Aquilante voleva provargli che le persone della Santissima
Che cosa concludono quei gonzi che si affollano dietro a  don  Silvio, recitando il rosario del Sagramento, con la croce e
Sant'Isidoro recitando il rosario del Sagramento dietro a  don  Silvio che portava la croce nera, tra una dozzina di
 Don  Aquilante, venuto per parlargli delle minacciate procedure
lui e quell' altro, ammiccava strizzando un occhio. A  don  Aquilante parve molto curioso che il marchese avesse voglia
E rimase assorto, con gli sguardi fissi nel vuoto.  Don  Aquilante lo guardò stupito. «Vi sentite male?», gli
meglio.» «Sarà meglio», replicò il marchese distrattamente.  Don  Aquilante uscì dallo studio scotendo la testa. Passando
via! Volete giocare con la bambola? Mio zio è pazzo".»  Don  Aquilante sorrise. «Che vi ha detto? Che si sente?»,
egli accompagnava le parole. «È andato via! Va, viene ...  Don  Aquilante dovrebbe scacciarlo ... » «Glielo dirò ... Lo
bocca chiusa, le mani incrociate. Come si chiamava! ... Ah!  Don  Silvio ... » Che significavano quei ragionamenti? La
disse al suo compagno con un sorriso: "Padre mio."  Don  Clemente, appena arrivato a Jenne, aveva raggiunto
gran melo fiorito, che lo nascondevano ai sopravvegnenti.  Don  Clemente li affrontò solo. Al primo vederlo coloro si
retroguardia: "passate avanti!" La colonna si mosse. Allora  don  Clemente levò la mano e disse: "Ascoltate." L'uomo che non
e tre donne di Vallepietra. Subito le tre donne, scambiando  don  Clemente per Benedetto, si misero a singhiozzare e a
pose l'indice alla bocca, le campane parlarono sole. Guardò  don  Clemente come per un tacito invito. Don Clemente si
sole. Guardò don Clemente come per un tacito invito.  Don  Clemente si scoperse e cominciò a dire l' Angelus Domini .
davanti a loro e Benedetto si fece da parte, riparò dietro  don  Clemente con un involontario moto che parve deliberato.
Le due donne non s'ingannarono, passarono davanti a  don  Clemente senza neppur guardarlo, si volsero a Benedetto e
sua capanna, sul suo letto e che soffriva molto, disse a  don  Clemente: "Andiamo ad assisterlo." E si mosse con il suo
fece tutta una vampa e ripeté la sua preghiera in italiano.  Don  Clemente premette un poco, quasi senza volerlo, il braccio
E passò oltre. Entrò nella sua stamberga, solo con  Don  Clemente. Nessuno lo aveva seguito. Una vecchia, la madre
del cognac e del caffè. Benedetto chiamo a sé con un cenno  don  Clemente, gli disse all'orecchio che facesse venire
ma gli pareva duro per la povera madre di allontanarsi.  Don  Clemente uscì senza far motto. A pochi passi dalla
incastratasi nell'occhio la caramella, avanzò verso  don  Clemente che era guardato dalle Signore con ammirazione,
sorriso beffardo che quanto a sé non se ne credeva degno.  Don  Clemente gli rispose breve breve che per ora era
venivano le parole. E non si vedeva arrivare l'arciprete, e  don  Clemente non ritornava! Passi e voci sommesse si udirono
braccia di Maria si precipitò sul figlio suo. Ecco entrare  don  Clemente trafelato, con Giovanni e l'arciprete. Don
entrare don Clemente trafelato, con Giovanni e l'arciprete.  Don  Clemente aveva trovato in canonica un ecclesiastico non
Era presto detto "finirla". Ma come, finirla? La visita di  don  Clemente, che sopravvenne a questo punto del discorso, lo
le cose volsero al peggio. Udito il triste messaggio di  don  Clemente, quel prete esclamò: "Vede? Ecco i miracoli come
s'egli prima non esce e non esce per non tornarci più!"  Don  Clemente avvampò nel viso. "Non è un eretico!" diss'egli.
del resto; io non c'entro. A rivederla." Fatto un inchino a  don  Clemente, senza parole, scivolò fuori della camera. "E
ma non era neppure senza un timore fra Santo e umano di  don  Clemente, della coscienza severa che lo avrebbe giudicato.
della coscienza severa che lo avrebbe giudicato. A  don  Clemente lampeggiò, nella stretta del momento, il partito
di far presto, presto, perché quell'ammalato moriva.  Don  Clemente, trafelato, entrò nella stamberga con Giovanni e
che l'ora della potestà era venuta per i suoi avversari.  Don  Clemente, il Maestro, l'amico, gli aveva prima chiesto di
smettesse di piovere. Suonarono le quattro. Entrò in Chiesa  don  Clemente e dietro a lui entrarono Maria e Giovanni,
indicò. Parlarono del colloquio che Noemi desiderava.  Don  Clemente arrossì, esitò, ma poi non seppe come rifiutarsi a
durasse qualche ora; invece, alle tre, era morto.  Don  Clemente e l'arciprete erano usciti appena lo avevano
la debolezza dell'arciprete e non erano contenti neppure di  don  Clemente. Don Clemente non avrebbe dovuto prestarsi alla
e non erano contenti neppure di don Clemente.  Don  Clemente non avrebbe dovuto prestarsi alla cacciata del suo
corpo uno spirito ducale di bontà e di magnificenza. Perciò  don  Clemente, consigliato dall'arciprete di rivolgersi a lui,
senza dir parola. "L'ho fatto per te" mormorò alfine  don  Clemente. "Ti ho portato io il messaggio ignominioso per
allontanare Benedetto ma temeva i Superiori. Non era un  don  Abbondio, non temeva per sé, temeva per lo scandalo di un
dello spirito di Verità. Posò le mani sulle spalle di  don  Clemente. "Maestro mio" diss'egli raddolcendosi nel viso
a Cristo?" "Per l'uomo del Vangelo sta bene, caro" rispose  don  Clemente "ma ora sulla volontà di Cristo ci si può anche
di Cristo ci si può anche ingannare, bada." Il cuore di  don  Clemente non parlava propriamente così; ma le parole
sai! ho bisogno di non essere abbandonato dall'anima tua."  Don  Clemente raccolse in un fardello, maneggiandolo con mani
po' di cibo e di vino? Poi mi mandi chi mi vuole parlare."  Don  Clemente si meravigliò, nel suo interno, che Benedetto gli
poi riveduta in Chiesa, gli aveva chiesto un colloquio,  don  Clemente gli aveva stretto il braccio come per ammonirlo
braccio come per ammonirlo tacitamente di stare in guardia.  Don  Clemente, arrossendo molto, si spiegò. Aveva veduta la
forse altro" con un accento così pregno di sottintesi, che  don  Clemente, nel congedarsi, gli sussurrò: "Pensi a Roma?"
Rese il fardello al Maestro. "Addio" diss'egli.  Don  Clemente uscì a precipizio. La stanza offerta dal padrone
non sapeva di avere tanto influito su quell'uomo attraverso  don  Clemente. Suppose che avesse letto i suoi libri. Ne fu
occasione per offrire a Benedetto l'ospitalità, poiché  don  Clemente gli aveva detto che intendeva lasciare Jenne la
io non so se lo pronuncio bene perché non sono italiana, è  don  Giuseppe Flores." Benedetto trasalì. Non si aspettava
Vita." Benedetto piegò il viso, se lo nascose fra le mani.  Don  Giuseppe, caro don Giuseppe, cara grande anima pura, cara
il viso, se lo nascose fra le mani. Don Giuseppe, caro  don  Giuseppe, cara grande anima pura, cara fronte luminosa,
sole lagrime che Noemi non vide, si udì dentro la voce di  don  Giuseppe che gli diceva: non senti che sono qui, che sono
e l'indomani portarsi a Subiaco e di là, con l'aiuto di  don  Clemente, a Tivoli dove conosceva un buon vecchio prete
falce della luna verso le cime placide nel cielo di opale.  Don  Giuseppe Flores gli diceva nel cuore che sarebbe soave di
dalla febbre, nell'anima sua. Vi turbinano parole di  don  Clemente, parole di quel giovine Alberti, parole della
estreme parole non le ha  don  Diego intese? O credere non vuole che Dio possa far tanto
 Don  Giosuè stava cenando tutto solo in canonica con un boccone
desiderato di vedere un prete, e tra i preti proprio lui,  don  Giosuè, anche questo poteva essere un segno di
e non posso ingerirmi. Si potrebbe avvertire subito  don  Felice, il prevosto, o l'avvocato." "Allora non perdiamo
che tempestavano di domande la portinaia. Vedendo uscir  don  Giosuè, gli furono intorno come mosconi. "Una trappola, una
che da quarant'anni non suonava più nel vecchio orologio,  don  Giosuè Pianelli, coll'immagine del sor Tognino sotto gli
delle idee che urtano in una contraddizione. L'avvocato,  don  Giosuè, i Borrola, i Ratta, e gli altri tutti, che avevano
con tre, forse con dieci, più grandi e più formidabili. Né  don  Giosuè, né don Felice avevan potuto cavare da quella bocca
con dieci, più grandi e più formidabili. Né don Giosuè, né  don  Felice avevan potuto cavare da quella bocca chiusa,
aveva in mano una carta e che, parlando in segreto con  don  Felice, aveva dato a capire che si sarebbe venuti a una
qualche cosa per tutti... La notizia uscita di bocca a  don  Giosuè, mentre da una parte gonfiò le speranze dei parenti
- Oh! bravi ragazzi, sclamò: siete aspettati. Su, su,  Don  Luigi vi vuol vedere. E, mettendo un dito sulle labbra
della povera Gina; non sanno che la sia morta; ci penserà  Don  Luigi - intanto il pranzo è preparato .... Resti servito
devota bontà, aveva messi tutti i suoi risparmi in mano a  Don  Coriolano, che giocò in una notte tutto ciò che la povera
verso un caro figliuolo viziato. Tutto ciò che veniva da  Don  Coriolano era per l'umile istitutrice bello, grande, degno
prese la penna e buttò sulla carta queste parole: "Caro mio  Don  Cirillo, "Son partito oggi per dare qualche ordine alla
per dare qualche ordine alla Villa. È partito con me anche  Don  Nunziante, che è già informato del contratto e trova che
l'acquisto dei nuovi stabili. E rimasero d'accordo cosí:  don  Cirillo entro la settimana avrebbe scritto proponendo un
la chiave fino al mio ritorno e porterai questa lettera a  don  Ciccio Scuotto, il "paglietta", che abita presso la chiesa
indietro a benedire fissò l'occhio bianco e infossato sopra  don  Cirillo. Accosciata ai piedi del balaustro di marmo, una
raccolto nella sua compunzione, quando sentí chiamare: -  Don  Cirillo, don Cirillo, per carità... - Chi è? che cosa
sua compunzione, quando sentí chiamare: - Don Cirillo,  don  Cirillo, per carità... - Chi è? che cosa volete? - Son
muoiono di fame. - E che ci posso fare io? - Una carità,  don  Cirillo. Almeno non morir di fame. - Sono un poveretto,
vicario, ma gli è tornato troppo stretto. Pigliatelo,  don  Cirillo, prima che l'usciere se lo porti via col resto e
e pose sul banco alcune lire. - Datemi almeno dodici lire,  don  Cirillo. È un cappello nuovo coi nastrini di seta, bello,
Sarà quel capo scarico d'un mio pupillo, mi imagino - disse  don  Ignazio. - No signore. È il signor Aldo Rubieri. - Ah,
del resto non sono che le nove. - Bravo, bravo! - sclamò  don  Ignazio entrando nel salotto e mettendosi a sedere. - Oh,
se non che.... - Non è certo di ottenerla? - Come lei, caro  don  Ignazio, non è certo di ottenere il consenso di sua figlia.
un uomo celebre, assessore municipale.... - Basta basta,  don  Ignazio, non la mi faccia arrossire ora. Piuttosto le
suo compagno d'infanzia.... - Vedo dove ella tende - disse  don  Ignazio - e le risponderò francamente. La Elisa infatti
- Peggio di perdere al giuoco? - domandò con sorpresa  don  Ignazio - La dica, la dica. - È partito da Milano con
francese... forse... la di lei modella? - Precisamente.  Don  Ignazio si gettò sul cordone di un campanello e al servo
vero? - Nanà appunto. - Ah, che testa, che testa! - gridò  don  Ignazio giungendo le mani in atto di maraviglia. - Ma già
nello studio di Giovanni che ve le attendeva. Dunque?  Don  Clemente era proprio l'uomo? Marito e moglie desideravano
vostra mimica, fosse l'amante antico? È quello il vostro  don  Clemente? bene, non è lui." "Ah! Proprio no?" esclamò
così, come poteva Noemi affermare con tanta sicurezza che  don  Clemente non era l'uomo? Nelle parole, nel fare, nel viso
ripigliò suo cognato. "Questa signora ha riconosciuto  don  Clemente. Non negare, dillo, è un dovere di coscienza per
dire quello che so. Vi dico solo di far avvertire subito  don  Clemente che la signora Dessalle e io si va stamane a
Selva si guardarono. Che significava questo voler avvertire  don  Clemente? Maria lesse nel pensiero di suo marito qualche
voluto gli venisse alle labbra. "Scrivi questo biglietto a  don  Clemente, intanto" diss'ella. Ma Giovanni, prima di
che pensava. Per lui vi era una sola spiegazione possibile.  Don  Clemente era veramente l'uomo. Noemi aveva promesso alla
tenerezza offensiva e si mise a scrivere il biglietto per  don  Clemente. Non l'aveva finito di scrivere e il suo corruccio
Almeno poter prima parlare a questo frate, a questo  don  Clemente, accertarsi che sa, informarlo se non sa,
in un corpo di ghiaccio. - Non vede domattina - pronosticò  don  Angelo crollando malinconicamente la testa. - Nel suo stato
gli occhi grondanti, si volse al prete: - Glielo dite voi,  don  Angelo, a quel povero figliuolo? - Dov'è? - Dabbasso, in
di Giacomo attingesse le ragioni della sua persuasione.  Don  Angelo, nel passare dalla cucina, vide Battista in un
rispetto alla morte. - Giacomo, - disse la voce grave di  don  Angelo con quell'intonazione un po' alta ed estranea, di
Voi siete i due testimoni - disse ai due giovani la voce di  don  Angelo, che conservava in mezzo a quello scompigliato
che la divorava. - Mi ascolti, figliuola? - tornò a dire  don  Angelo. Essa fece colle palpebre un piccol segno di sí. E
contenta, Celestina, di sposare il tuo Giacomo? - sussurrò  don  Angelo, curvandosi un poco sulla testa della malata, mal
come fugge un'ombra all'avvicinarsi di una gran luce.  Don  Angelo senza pensare a cambiar stola, voltò alcune pagine
non più rosario del Sagramento per invocare la pioggia.  Don  Silvio La Ciura aveva visto assottigliarsi a poco a poco la
nell'aiutarlo a indossare i paramenti sacri per la messa,  don  Giuseppe il sagrestano gli domandava: «Avete sentito, don
don Giuseppe il sagrestano gli domandava: «Avete sentito,  don  Silvio? Il marchese di Roccaverdina ha regalato un
I frati fanno una gran processione. Non lo sapevate?».  Don  Silvio, che non voleva distrarsi dal recitare i versetti
padre guardiano ha mandato l'invito. Aspetta, che vengo!».  Don  Silvio adattatosi il manipolo al braccio destro, abbassava
di sul pancone il calice col corporale e il sovraccalice,  don  Silvio si era avviato per l'altare. Su la soglia della
«Siete avvertito: noi non interverremo. Ve l'ha detto  don  Giuseppe?» Ospite incomodo quel Crocifisso che, di tanto in
della confessione, e ch'egli assumesse le sembianze di  don  Silvio, pallido, con la stola, e inesorabile: «Bisogna