Il fondo di cui al comma 1 è finanziato: a) da un contributo delle aziende di cui all'articolo 48, comma 3, in misura pari a due ore lavorative annue per ogni lavoratore occupato presso l'azienda ovvero l'unità produttiva; b) dalle entrate derivanti dall'irrogazione delle sanzioni previste dal presente decreto per la parte eccedente quanto riscosso a seguito dell'irrogazione delle sanzioni previste dalla previgente normativa abrogata dal presente decreto nel corso dell'anno 2007, incrementato del 10 per cento; c) con una quota parte delle risorse di cui all'articolo 9, comma 3; d) relativamente all'attività formative per le piccole e medie imprese di cui al comma 1, lettera b), anche dalle risorse di cui all'articolo 11, comma 2.
E' esatto altresì che l'assimilazione, una volta abrogata la norma che prevedeva l'assimilazione ex lege, possa avvenire solo con provvedimento dell'autorità comunale. Ma non si condivide che la prova della normativa debba essere fornita dall'ente creditore, perché iura novit curia. E' vero poi che è prevista un'agevolazione in caso di smaltimento diretto, ma il vantaggio non consiste nell'esonero, bensì solo in una riduzione della tassa. Inoltre la prova deve essere data dal ricorrente con documenti e non con testimoni. D'altra parte non occorre un avviso di accertamento per una modifica regolamentare, perché non implica una rettifica della dichiarazione del contribuente, ed in ogni caso può essere portata agevolmente a conoscenza del contribuente mediante affissione all'albo pretorio.
Anche il regime transitorio determinerà sicuramente rilevanti problemi di natura interpretativa ed applicativa, anche se giurisprudenza e dottrina appaiono sin d'ora concordi nel ritenere che tra la vecchia e la nuova fattispecie non sussista un rapporto di continuità normativa e pertanto la disciplina previgente sia da ritenersi abrogata.
., discostandosi parzialmente dalle soluzioni prospettate, ritiene, invece, che l'azione dei creditori sociali sia stata abrogata dalla legge di riforma ed individua nella questione di legittimità costituzionale dell'art. 2476, comma 6, c.c. un possibile percorso per reintrodurla; critica, in ogni caso, la conclusione secondo la quale, dopo il fallimento della s.r.l., il curatore non sarebbe più legittimato ad esercitare in via esclusiva le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori.
E' stato con questa legge, infatti, peraltro implicitamente abrogata, che ha preso il via la passione per il gioco e l'introduzione, anche in Italia, delle slot machine. L'unico che ha avuto il coraggio di chiamarle con il loro vero nome è stato la Snai, la società che fornisce alle agenzie ippiche i servizi per la raccolta e l'accettazione delle scommesse e che dallo scorso anno è stata una delle dieci concessionarie che ha messo in rete i giochi del comma 6. Che la norma preveda, comunque, abilità o trattenimento preponderanti rispetto all'elemento aleatorio, per il comune è irrilevante, perché a vigilare sulla correttezza dell'apparecchio sono stati deputati Guardia di finanza e polizia dei giochi. Che fare, quindi, per contribuire al mantenimento della legalità in un settore di per sé pericoloso tanto da rientrare nella disciplina della pubblica sicurezza? I campi di azione sono decisamente limitati: verifica dei requisiti morali dei distributori e dei gestori e contenimento della diffusione attraverso il contingentamento. Sembra tutto molto semplice. Invece, la disciplina complessa e l'attenzione che il Ministero delle finanze vi dedica è la comprova che il comparto va tenuto costantemente sotto controllo.
Fermo restando il suesposto concetto, emerge la necessità di valutazione dell'applicazione della disciplina vigente nel momento in cui il privilegio viene esercitato, cioè viene fatto valere, o al contrario della normativa in vigore al tempo della nascita del credito e del connesso privilegio (normativa abrogata). E' plausibile affermare che una nuova normativa interna di privilegio possa essere applicata ad un rapporto giuridico sorto anteriormente alla stessa, ma che non abbia ancora esaurito i suoi effetti.
Quest'ultima legge contiene i principi fondamentali ai quali le regioni dovranno adeguare le proprie normative, a suo tempo emanate, in attuazione della legge 730/1985, abrogata. Tra detti principi rientrano i parametri per valutare la connessione tra l'agriturismo e la gestione della impresa agricola; le modalità di rilascio dei certificati di abilitazione professionale; la pubblicizzazione dei prezzi e degli orari, nonché i criteri da seguire dai comuni nell'esercizio delle funzioni amministrative di propria competenza. Scopo di questi "appunti" è quello di presentare la nuova normativa, rimandando successivi approfondimenti a dopo che siano state emanate le normative regionali di attuazione.
L'A. sostiene che la suprema Corte abbia correttamente ravvisato una continuità normativa tra la previgente e l'attuale fattispecie del delitto di abuso di informazioni privilegiate, rispettivamente previste negli artt. 180 e 184 del d.lg. n. 58/1998, uniformandosi all'orientamento che ritiene che la problematica di diritto intertemporale, originata dal sopravvenire di una norma speciale rispetto alla norma generale abrogata, debba trovare soluzione alla stregua del criterio strutturale, integrato da una valutazione dell'incidenza della novella legislativa sull'interesse giuridico tutelato. L'A. non condivide, invece, quanto sostenuto dai giudici di legittimità in merito al potere del giudice penale di mantenere il sequestro dei beni anche se l'imputato è stato prosciolto e non è stata adottata la misura della confisca, sulla base della ritenuta applicazione analogica dell'art. 1, comma 3, della l. n. 455 del 21 ottobre 1998.
Prima di esaminare il dettato normativo, è doveroso segnalare che il d. lgs. 228, che all'art. 4 disciplina l'attività di vendita degli imprenditori agricoli, non fa alcun riferimento alla legge 9 febbraio 1963, n. 59, recante "Norme per la vendita al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli da parte degli agricoltori produttori diretti" e che pertanto rimane il dubbio se tale legge, che per quasi quaranta anni ha disciplinato la materia, debba intendersi abrogata implicitamente.
La seconda massima riporta un obiter dictum della sentenza, in cui la Corte prende posizione in merito al rapporto regola - eccezione riscontrato fra la nuova regolamentazione delle fattispecie interpositorie prevista dal D.Lgs. n. 276 del 2003 (somministrazione di lavoro e comando) ed il divieto posto dalla normativa abrogata, sostenendo la perdurante valenza dei principi enunciati in giurisprudenza in tema di divieto di interposizione.
Quando il peso economico della vicenda conduce a modificare interpretazioni più che consolidate: con la sentenza in commento la Suprema Corte supera il proprio precedente orientamento e ritiene che il termine annuale di decadenza, previsto dall'art. 4 dell'ormai abrogata legge n. 1369/1960, per far valere la responsabilità solidale del committente e dell'appaltatore negli appalti interni vincoli soltanto i lavoratori, ma non gli enti previdenziali, che potranno così procedere al recupero dei contributi obbligatori, omessi dai datori di lavoro coinvolti nell'appalto, nell'ordinario e ben più lungo termine prescrizionale quinquennale fissato dall'art. 3 della legge n. 335/1995. Una domanda a questo punto sorge spontanea: l'analogo termine di decadenza previsto dall'art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 si applica ai soli lavoratori oppure anche agli enti previdenziali?
Tale disciplina ha subito, dapprima una forte erosione ad opera di molteplici interventi della Corte Costituzionale; poi, in seguito al completamento del processo di liberalizzazione del mercato che ha condotto alla trasformazione delle Poste Italiane in società di capitali, è stata definitivamente abrogata. Il mutato quadro normativo comporta che i rapporti tra poste ed utenti sono di natura contrattuale e dunque, da un lato, su Poste Italiane s.p.a. grava l'obbligo dell'esatto adempimento della prestazione, dall'altro, in caso di inadempimento, l'utente ha diritto di ottenere il risarcimento del danno subito secondo le regole di diritto privato.
Mentre l'abrogazione crea due distinte sfere di efficacia - la norma abrogata per il passato e quella nuova per il futuro -, salvo che non sia espressamente prevista la retroattività dello ius superveniens, la declaratoria d'illegittimità costituzionale - in qualsiasi momento intervenga - elimina totalmente gli effetti prodotti dalla norma invalidata e, al contempo, ne impedisce una sua applicazione per il futuro.
Sempre nella sentenza "Kyriaki Angelidaki" è inoltre di grande interesse la soluzione sulla disciplina comunitaria "secondaria", da una parte con ridimensionamento del potere di disapplicazione della norma interna in contrasto con il diritto comunitario, ma dall'altra con rafforzamento "ultracostituzionale" del potere d'interpretazione adeguata al diritto comunitario, fino al punto da legittimare l'applicazione di normativa "abrogata" della legislazione greca che consentiva la conversione a tempo indeterminato di rapporti a termine "abusivi" nel pubblico impiego, in mancanza di sanzione adeguata ed equivalente. Si prevedono riflessi sull'ordinamento italiano immediati e di grande impatto: la Corte Costituzionale è chiamata il 23 giugno 2009 a pronunciarsi su molte questioni di legittimità che riguardano la norma principale del D.Lgs. n. 368/2001 (l'art. 1 sulla clausola generale) e su importanti e criticate modifiche introdotte successivamente. Il dialogo tra la Corte di Giustizia e la Consulta è però complicato dal sostanziale revirement della Corte europea, con la sentenza "Kyriaki Angelidaki", rispetto alla precedente "Mangold".
La nuova normativa sostituisce la precedente legislazione che regolamentava la materia (D.P.R. 327 del 1964, modificato ed integrato dalle leggi: n. 191 del 1975, n. 958 del 1986, n. 64 del 1992) e che viene espressamente abrogata. Pertanto, a partire dall' 1 gennaio 2011 i Comuni dovranno compilare le liste della leva militare facendo riferimento alle nuove disposizioni dettate dal citato codice sull'ordinamento militare. È pure disciplinata la procedura relativa alla riattivazione del servizio militare obbligatorio che conduce al reclutamento dei militari, attraverso l'istituzione dei Consigli di leva e la eventuale decisione di optare per l'obiezione di coscienza.
Non può invocare nessun ragionevole affidamento il soggetto che non ha osservato "la prassi" operativa seguita dagli uffici regionali in conformità alla legge regionale ritenuta implicitamente abrogata, realizzando l'opera senza nemmeno formulare la denuncia di inizio attività, né presentare gli elaborati tecnici.
Il Tribunale di Trani ha il dubbio che la formula generica delle ragioni di carattere sostitutivo della clausola generale di apposizione del termine, di cui all'art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001, costituisca un ingiustificato peggioramento della tutela complessiva dei lavoratori a tempo determinato, rispetto alla precedente disciplina abrogata, in cui era previsto l'obbligo di indicare il nominativo del lavoratore sostituito e la causa della sostituzione. Mentre continua il duro contrasto sul punto tra Corte costituzionale e Cassazione, la Corte di Lussemburgo prende atto che la giurisprudenza interna ha, nel frattempo, già risolto il problema con l'interpretazione adeguatrice e rimette la soluzione del quesito al Giudice di merito, rafforzandone notevolmente i poteri di intervento utili a sanare gli errori di un legislatore senza obiettivi. Una sentenza molto importante, in un ambito "sensibile" di diritti fondamentali, su cui vi è stata la doppia pregiudiziale costituzionale e comunitaria.
Con le recenti riforme della legge fallimentare è stata abrogata la possibilità di avviare d'ufficio l'istruttoria prefallimentare e nella nuova disposizione di cui all'art. 7, n. 2, l. fall. si è previsto che il giudice civile deve segnalare lo stato di insolvenza, rilevato nel corso di un procedimento civile, al pubblico ministero. Tuttavia, la Corte di Cassazione, al fine di garantire il principio di terzietà e imparzialità, ha negato che il Tribunale fallimentare possa segnalare l'insolvenza rilevata nel corso dell'istruttoria prefallimentare, se quest'ultima si conclude con la desistenza dell'unico creditore istante. I giudici di merito, al contrario, hanno continuato a sostenere che anche in quest'ultima ipotesi il Tribunale fallimentare ha un vero proprio potere-dovere di effettuare la segnalazione. In questa sede l'autore ripercorre le diverse interpretazioni apparse sulla nuova disposizione dell'art. 7, n. 2, l. fall. , dedicando particolare attenzione alle ricadute che le diverse opzioni ermeneutiche possono avere in riferimento al principio della par condicio creditorum.
La disciplina dell'intertemporalità è molto complessa, data l'estesa molteplicità di varianti, a seconda che si faccia riferimento alle fattispecie o ai rapporti o alle norme, e si abbia riguardo alla diversa tipologia, sostanziale o processuale, delle norme stesse, o, ancora, si tenga conto dei rapporti tra norme in relazione ai diversi fenomeni della formale entrata in vigore o della loro efficacia, al diverso modo d'intendere il nesso tra norma abrogante e norma abrogata, alle particolari figure della retroattività o dell'ultrattività delle norme stesse in ragione dei vari momenti in cui si compone il tempo. Risulta quindi di particolare interesse l'analisi della circolare n. 17/E del 2010 nella parte in cui esamina le disposizioni attinenti alla disciplina transitoria dettata per l'applicabilità delle norme della legge n. 69/2009 nell'ambito del processo civile e potenzialmente rilevanti ai fini della loro ricaduta sul processo tributario.
La pronuncia individua i criteri di computo del reddito di lavoro autonomo da porre a base del calcolo del danno patrimoniale da invalidità temporanea e permanente, agli effetti previsti dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39, con riferimento all'art. 4, legge 26 febbraio 1977, n. 39, legge abrogata dal Codice delle assicurazioni, sostituita dall'art. 137 cod. ass. che disciplina il risarcimento del danno patrimoniale nel caso di sinistri cagionati dalla circolazione dei veicoli e natanti. Tuttavia i medesimi criteri di calcolo appaiono applicabili anche alla nuova normativa che ricalca al riguardo la precedente e la sentenza consente di fugare i dubbi interpretativi collegati alla determinazione del reddito IRPEF per il calcolo della inabilità temporanea o della invalidità permanente su un reddito di lavoro autonomo.
Infine, si analizza il caso della "Single Business Tax" del Michigan, che come noto ha ispirato il legislatore italiano per l'introduzione dell'irap [imposta regionale sulle attività produttive] e che nel 2008, anticipando ciò che da anni si proclama anche in Italia, è stata abrogata; ne emergono spunti di interesse per quel che potrebbe accadere con l'irap se davvero si giungesse alla sua eliminazione.
È stata inoltre abrogata la norma che escludeva dall'imposizione ai fini ICI i fabbricati per i quali ricorrevano i requisiti della ruralità, che rileva, ai fini IMU, solo per l'individuazione delle aliquote applicabili. Le norme vigenti, e l'interpretazione di esse fornita dal Ministero delle finanze con la circolare n. 3/DF del 2012, dovrebbero ridurre le incertezze con riguardo alla disciplina impositiva IMU dei fabbricati rurali. Con riferimento all'ICI dovuta per le annualità pregresse prosegue, comunque, il contenzioso tra Fisco e contribuenti, anche dopo l'intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, richiamato nella sentenza n. 77 del 2012, con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia nega l'efficacia retroattiva della sopravvenuta richiesta di riconoscimento dei requisiti di ruralità ai fini dell'esenzione ICI.
Infatti, dall'esito positivo del referendum del giugno 2011 non consegue la "reviviscenza" della normativa antecedente a quella abrogata. Il commento analizza, con taglio problematico, tali orientamenti della Corte.
Si discutono le conseguenze che da questa normativa discendono sul ruolo del medico legale, la cui opera, in virtù delle competenze necessarie per valutare sia la peculiarità dello stato di infermità o menomazione psico-fisica individuale e di disabilità, sia le implicazione di carattere giuridico che se ne possono trarre, può favorire una scelta ponderata sia dell'istituto da adottare in favore della persona in condizioni di svantaggio fisico o psichico (non essendo stata abrogata la disciplina sull'interdizione e sull'inabilitazione), sia delle misure di protezione che devono concretamente emanarsi per tutelare il beneficiario dell'amministrazione di sostegno. Riguardo a tale ipotesi, si discutono le implicazioni della legge in materia di consenso informato all'atto medico e soluzioni interpretative suscettibili di orientare la prassi giudiziale.
Altri importanti problemi (ri)affrontati di recente dalla Corte Costituzionale, attengono alla sorte del ricorso allorquando, nelle more del giudizio, intervengono modifiche al testo normativo sottoposto al suo vaglio, nonché la sussistenza o meno di una competenza legislativa volta a reintrodurre una norma abrogata per via referendaria. La Corte, nel primo caso, ha ritenuto permanere la propria competenza a decidere nel caso in cui le modifiche normative lasciano inalterato l'"intentio legis". Nel secondo caso, ha sanzionato l'intervento legislativo volto ad aggirare gli effetti referendari, stabilendo che tale divieto permane fino al mutamento del quadro politico e delle circostanze di fatto presenti al momento dell'abrogazione per via referendaria. Con ciò facendo, la Corte, ha evidenziato la rilevanza costituzionale degli strumenti di democrazia diretta e il divieto di aggirarli con l'esercizio della potestà legislativa.
Il presente contributo può sostanzialmente suddividersi in due parti: la prima, costituente il "corpo" dell'articolo, concernente le ragioni sottese alle decisioni della Corte d'Appello di L'Aquila e della Suprema Corte, aventi ad oggetto il dovere di segnalazione dell'insolvenza da parte del giudice civile e lo speculare dovere di attivarsi - richiedendo la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore - da parte del pubblico ministero, contestualizzandole con riferimento agli interventi giurisprudenziali e legislativi che, nel corso dell'ultimo decennio, hanno caratterizzato l'ormai abrogata disciplina dell'iniziativa d'ufficio per la dichiarazione di fallimento nonché il ruolo del pubblico ministero nel "sistema" costituito dagli artt. 6, primo comma, e 7, n. 2), l. fall. ed il suo rapporto - in tale contesto - con il tribunale fallimentare; la seconda, finale, riferita ai possibili futuri sviluppi della materia in conseguenza della questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Milano relativamente all'abrogazione dell'iniziativa d'ufficio.
La sentenza in commento è stata determinata dalla volontà della Corte costituzionale di colpire una norma che essa considerava rappresentare una grave violazione del divieto di ripristino di normativa abrogata in via referendaria. A questo fine la Corte ha allargato, come aveva già fatto in altri casi, la legittimazione delle Regioni nel giudizio in via principale. Nella sentenza non viene accertata alcuna lesione di competenze legislative regionali, e di conseguenza tale pronuncia non incide sul riparto di competenze in tema di servizi pubblici locali di rilevanza economica. Pertanto la riespansione di potestà legislativa regionale da essa derivante non è una fatto stabile e istituzionale, e comunque deve misurarsi con la necessità che la tutela della concorrenza sia assicurata in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Il legislatore statale mantiene la competenza a disciplinare le modalità di gestione e affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica in funzione di tutela della concorrenza, e nella nuova legislatura esso non dovrà considerarsi vincolato dall'esito referendario.
"CD") contenenti opere d'arte figurativa il contrassegno SIAE in vista della loro commercializzazione è una regola tecnica ai sensi della direttiva 83/189/CEE (poi codificata, e dunque abrogata, dalla direttiva 98/34/CE). Nella misura in cui tale regola non è stata notificata alla Commissione Europea nel rispetto della procedura prevista dalla direttiva applicabile, l'obbligo di apporre il contrassegno SIAE sui CD non può essere fatto valere nei confronti dei privati e deve pertanto essere disapplicato dal Giudice nazionale. La mancanza del contrassegno SIAE costituisce quindi in tali casi una mera circostanza oggettiva, lecita, priva di rilevanza penale, dalla quale il Giudice non può ricavare "indizi" in merito all'abusiva duplicazione o riproduzione dei relativi supporti. Questi, in sintesi, i principi affermati dalla sentenza in commento che ha annullato, senza rinvio, la sentenza della Corte d'Appello di Genova dell'8 marzo 2012 la quale aveva dichiarato Diao Bathie colpevole del reato di cui all'art. 171 ter della legge 22 aprile 1942, n. 633 ("l.d.a." [legge sul diritto d'autore]) "per aver detenuto per la vendita all'interno di un magazzino supporti musicali e DVD abusivamente duplicati e privi del contrassegno SIAE". In applicazione dei principi sopra espressi, la Suprema Corte ha assolto l'imputato perché il fatto (commesso in epoca antecedente alla notifica della regola tecnica alla Commissione Europea) non sussiste.
., per opera del D.lg. n. 154/2013, che, secondo una dottrina, doveva reputarsi implicitamente abrogata alla luce della legge n. 219/2012, si ripercorre la motivazione della sentenza resa, dalla Corte costituzionale, il 18 dicembre 2009, n. 335, ai sensi della quale, codesta norma non poteva essere reputata in contrasto con i principi della Costituzione, data la piena conformità del suo dettato con quello affidato all'art. 30, terzo comma, Cost. Rilevata la conformità della predetta norma ai principi costituzionali e la sua utilità, in dati casi, onde non risultasse compromessa, fra l'altro, la consuetudine di vita dei figli nati nel matrimonio, si pone in risalto come la abrogazione della medesima norma e, in generale, la riforma dello "status filiationis" sarebbero dovute avvenire, propriamente, attraverso la modifica degli artt. 29-30 Cost., quindi non per mezzo di legge ordinaria e di decreto delegato.
A chi spetta verificare la legittimità costituzionale, sotto il profilo della competenza, della legge statale abrogativa (e correlativamente l'illegittimità costituzionale di quella regionale, conseguentemente abrogata): alla Corte costituzionale o al giudice comune? E vale la reciproca, nel senso che un'identica forza abrogativa può o deve riconoscersi anche alla legge regionale successiva competente rispetto a leggi statali precedenti incostituzionali?
Da un lato eliminando la contumacia, con correlativa dilatazione - rispetto alla disciplina abrogata - dello "status" di assente. Dall'altro imponendo lo stop al processo nei casi in cui non sia possibile accertarne, neppure presuntivamente, la conoscenza da parte dell'imputato. È dubbio che la nuova disciplina sia conforme agli "standard" costituzionali e convenzionali, in particolare, per quanto concerne le ipotesi nelle quali si presume la conoscenza dell'accusa e si subordinano ad onere di prova i rimedi restitutori previsti per l'assente.
Quindi, inquadra la fattispecie in esame nell'ipotesi in cui la norma regolamentare illegittima preesista alla legge e, pertanto, venga da quest'ultima tacitamente "abrogata" alla sua entrata in vigore, cosicché poi il g.a. [giudice amministrativo] in questo caso si limita a prenderne atto e non effettua, in realtà, alcuna disapplicazione "normativa" in senso proprio. Infine, viene fatto qualche cenno alla controversa disapplicabilità nel processo amministrativo degli atti amministrativi generali e, in particolare, dei bandi di gara o di concorso.
Innanzitutto è stata abrogata la natura contravvenzionale della detta tipologia di reati, in quanto tutti, ora, rientrano nelle fattispecie costituenti delitti, sia nel caso di società quotate sia in quello di società non quotate. Con riguardo agli aspetti sanzionatori penali sono state abolite le soglie di punibilità, mentre per le società non quotate è prevista un'attenuazione delle sanzioni, anche amministrative, qualora il danno arrecato ai soci e ai creditori sia di lieve entità. Nel presente lavoro vengono soprattutto esaminati i rapporti tra le sanzioni pecuniarie previste dall'art. 25-ter del D. Lgs. 231/2001, come modificate dall'art. 12 della L. 69/2015.
., abrogata con il referendum del 1987, esso analizza la legge n. 117/1988 (comunemente nota come "legge Vassalli"), che disciplina attualmente la materia, prevedendo che il magistrato risponda non solo per dolo - come accadeva in passato - ma anche per colpa grave. La responsabilità è però indiretta perché il cittadino deve promuovere l'azione di risarcimento nei confronti dello Stato, il quale eserciterà successivamente l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato. Il saggio prosegue con un esame dei progetti di legge di modifica della legge n. 117/1988, evidenziando come gli spazi di intervento del legislatore siano molto limitati. Ciò, perché il principio di responsabilità del magistrato deve coniugarsi con quello della sua indipendenza, il quale esige - secondo la Corte costituzionale - che l'azione di risarcimento del danno venga esercitata nei confronti dello Stato, che vi sia un controllo preliminare della non manifesta infondatezza della domanda e che al giudice sia garantita l'autonomia nell'interpretazione delle norme di diritto e nella valutazione dei fatti e delle prove. Il saggio si conclude osservando che, per una maggiore tutela del cittadino danneggiato, sarebbe opportuno che il giudizio sulla responsabilità del magistrato venisse affidato a un organo esterno alla magistratura, indipendente dal potere politico. La cosa più importante è comunque la prevenzione: occorre prevenire gli errori dei giudici curando costantemente la loro formazione professionale e controllando seriamente la loro professionalità.
Nel caso in cui fosse abrogata la normativa speciale di cui le sentenze ecclesiastiche sono fatte oggetto, resterebbe poi da chiedersi se esse potrebbero fruire dello stesso trattamento introdotto per le sentenze straniere dalla legge 218/1995 di riforma del diritto internazionale privato.
Il contributo esamina alcuni dei principali profili problematici della l. 27 febbraio 2015, n. 18, in materia di responsabilità civile dello Stato e dei magistrati, facendo precedere a questa analisi una breve ricostruzione dei principi costituzionali rilevanti in materia, della portata della disciplina contenuta nel codice di procedura civile e abrogata con referendum nel 1987, della legge 17 aprile 1988, n. 117, delle pronunce della Corte di giustizia che hanno investito la normativa italiana sancendone l'incompatibilità con il diritto dell'Unione europea. La conclusione è nel senso della necessità di distinguere le misure recentemente introdotte dal legislatore per adeguare l'ordinamento interno a quello eurounitario dalle modifiche invece a tal fine non necessarie, alcune delle quali pongono seri dubbi di costituzionalità e sembrano rivelare un malcelato intento punitivo nei confronti del giudiziario.
Seppur la sentenza fondi il proprio ragionamento su di una normativa ormai abrogata [ai sensi dell'art. 85, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 276/2003], il principio di diritto ivi statuito, ben continua a produrre i suoi effetti, ora per allora, nei nuovi contesti normativi (dapprima dal D.lgs. n. 276/2003 e ora dal D.Lgs. n. 81/2015) delineati in tema di somministrazione di lavoro.
Nella vecchia legislazione, l'oggetto del falso in bilancio era rappresentato da "fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni", mentre nella nuova versione l'espressione "ancorché oggetto di valutazioni" è stata abrogata. Ad oggi sono state pubblicate due Sentenze della Corte di Cassazione sul "falso in bilancio" da parte della Quinta Sezione Penale, ma in diversa composizione: 1) Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza n. 33774/15, depositata il 30 luglio 2015 (decisa il 16 luglio 2015); 2) Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza n. 890/16, depositata il 12 gennaio 2016 (decisa il 12 novembre 2015). Le due sentenze sono di orientamento opposto: conseguentemente, per motivi espositivi, vengono trattate separatamente.
La norma consuetudinaria, che consentiva di pattuire clausole anatocistiche nei contratti bancari, è stata "abrogata" dalla Cassazione con una sentenza con cui la Corte dimostra poca dimestichezza con la teoria del diritto. Il divieto pretorio dell'anatocismo bancario ha avuto, però, vita breve: una norma scritta ripristina la possibilità di convenire clausole anatocistiche nei contratti tra le banche ed i clienti. Con l'abrogazione anche di quest'ultima norma, ad opera di un recente e contraddittorio intervento legislativo, si è creata una situazione di incertezza sull'attuale vigenza o meno, nel nostro ordinamento, di un divieto di anatocismo bancario. La soluzione che io sostengo, al termine di questa indagine, è che nell'ordinamento italiano la produzione di interessi sugli interessi, nei contratti bancari, sia ormai vietata.
Con il primo giorno successivo al sesto mese dall'entrata in vigore della citata legge verrà abrogata la precedente normativa risalente a ben 27 anni fa. La nuova legge sembra portare una vera rivoluzione in ambito di cooperazione internazionale intervenendo sulle finalità, le attività, gli attori, i destinatari e le competenze assegnate al Ministero. La centralità e l'importanza della legge sono evidenti anche per alcuni segnali di forma quali l'art. 3 che modifica il nome del Ministero degli Affari esteri (MAE) in Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI). La legge, accolta benevolmente dagli enti di rappresentanza delle Organizzazioni non governative, ha invece generato più di qualche perplessità in coloro che le norme le dovranno applicare. Di seguito si analizzano sia gli aspetti di novità che tale normativa porta nel mondo della cooperazione, sia taluni dubbi applicativi non di poco rilievo che portano con sé preoccupanti interrogativi.
La disciplina della TARI, con la Legge di stabilità 20l6 (Legge n. 208/20l5), ha subìto interventi circa i coefficienti di determinazione della Tariffa, mentre è stata definitivamente abrogata l'imposta municipale secondaria. Sono stati, inoltre, previsti più favorevoli criteri di determinazione della rendita catastale per i fabbricati a destinazione speciale, classati nei gruppi "D" ed "E". Sotto il profilo più squisitamente finanziario, la Legge di stabilità ha disposto trasferimenti compensativi, mediante incremento del fondo di solidarietà comunale, a fronte della perdita di gettito IMU [Imposta municipale propria e secondaria] e TASI [Tassa sui Servizi Indivisibili] per le esenzioni abitazioni principali e terreni agricoli nonché per la riduzione di IMU e TASI per gli immobili locati a canone concordato. È stato inoltre disposto lo stanziamento di un contributo annuo di 155 milioni di euro a ristoro della perdita di gettito per effetto delle nuove modalità di classamento dei fabbricati dei gruppi catastali "D" ed "E". Per ragione di pressione fiscale generale, infine, è stato stabilito il blocco della leva fiscale per gli enti locali.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 386/2016, ha ritenuto abrogata la clausola salva-accertamenti, contenuta nel Decreto sulla certezza del diritto, ad opera della Legge di stabilità 2016, che ha riscritto la disciplina dei termini di decadenza dell'accertamento. La decisione dei giudici di seconde cure lombardi riveste particolare rilievo, in quanto si tratta della prima pronuncia che ha esaminato il nuovo assetto dei termini di accertamento quale ridisegnato dall'ultima Legge di stabilità. Preso atto del fatto che la disciplina transitoria dei termini decadenziali ivi prevista (cfr. comma 132) conserva i vecchi termini per gli avvisi relativi ai periodi d'imposta "ante" 2016, ma non "conferma" espressamente la predetta clausola di salvaguardia, i giudici hanno concluso per l'abrogazione implicita di quest'ultima, atteso che le due norme disciplinano la medesima materia e non è applicabile il criterio di specialità. Con la conseguenza che la norma sopravvenuta (comma 132) travolge irrimediabilmente la norma preesistente (art. 2, comma 3, D.lgs. n. 128/2015).
Esce di scena, perciò, anche la c.d. clausola di salvaguardia, prevista dall'art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 128/2015, inapplicabile in quanto gravemente incostituzionale, secondo fa sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino, o, addirittura, implicitamente abrogata dalla Legge di stabilità 2016, secondo quanto espresso dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 386/2016.
Invero, sembra che la soppressione del regime comporti, se non il venir meno retroattivo "in toto" del regime, quanto meno l'impossibilità di applicazione di qualsivoglia sanzione (salvi ovviamente i procedimenti definiti), con la conseguenza che dovrebbe ritenersi implicitamente abrogata, per tali fattispecie, non solo la sanzione di infedele dichiarazione, ma anche la citata sanzione del 10%, stranamente non espressamente soppressa dalla Legge di stabilità.
Tale disciplina è stata oggetto di una profonda rivisitazione ad opera del D.Lgs. n. 147/2015 ("Decreto internazionalizzazione") e, da ultimo, del tutto abrogata dalla Legge di stabilità 2016, in conseguenza della quale i costi "black list" a partire dal 2016 risultano deducibili alla stessa stregua degli altri componenti negativi di reddito, vale a dire in presenza delle condizioni previste dall'art. 109 del T.U.I.R. [Testo Unico delle Imposte sui Redditi] (competenza, inerenza, certezza, oggettiva determinabilità). Per il 2015, peraltro, la deduzione immediata dei costi "black list" è prevista solo nel limite del corrispondente valore normale, la cui dimostrazione, secondo quanto precisato dall'Agenzia, incombe sul contribuente. La "black list" rilevante ai fini della disciplina in esame è efficace sino al 2015 e, relativamente agli Stati espunti dalla stessa nel corso di tale anno, la disciplina trova applicazione per le transazioni con fornitori ivi localizzati poste in essere sino al giorno anteriore quello di entrata in vigore del Decreto ministeriale modificativo di tale lista.