Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Numero di risultati: 59 in 2 pagine

  • Pagina 2 di 2

L'angelo in famiglia

182492
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Pagina 208

Galateo morale

196229
Giacinto Gallenga 1 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
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Ora poichè uno di essi abbraccia un più vasto concetto, e risponde alle condizioni che da noi si richiedono per le opere che intendiamo introdurre in questa Biblioteca, lo destinammo a far parte della medesima, certi di fare cosa grata ai suoi numerosi acquisitori. E questi, vogliasi per l'argomento essenzialmente opportuno, e per l'assegnata insieme e briosa trattazione, crediamo lo troveranno senza meno degno di stare a fianco dei volumi già in essa pubblicati dello Strafforello e del Lozzi. Confidiamo pertanto che questo volume valga ad accrescere il favore che dal pubblico italiano vien dimostrato a questa nuova ed utilissima nostra Raccolta. Marzo 1871. A MASSIMO D'AZEGLIO A GIUSEPPINA V'era proprio il bisogno DI UN NUOVO GALATEO? Un vecchio professore di mia conoscenza, avendo, or son vent'anni,composto una dozzina di Romanze ed altrettante Elegie, sotto il nome di Singhiozzi, ebbe la rara fortuna di trovare un buon diavolo d'Editore, che acquistò il suo manoscritto a un prezzo quasi doppio del valore della carta. Volendo in seguito questo Mecenate tentar di rifarsi da quell'inconsiderata spesa, stampò le canzoni del maestro in un'edizione di duecentocinquanta esemplari, di cui cencinquanta trasmetteva ad amici e corrispondenti, e degli altri riuscì nel giro di pochi mesi a vendere, parte a contanti, parte a scadenze, poco meno di una quarantina. Egli è vero che si aiutò in questa bisogna dell'infallibile mezzo dei richiami nelle quarte pagine dei giornali, nonché di uno stupendo articolo di sua fattura in laude del libro, nel quale articolo si leggeva, fra le altre cose «che da lungo tempo si faceva sentire il bisogno di un volume di poesie intitolate Singhiozzi: e che quel vuoto, mercé la pubblicazione delle ballate sentimentali del professore X, si poteva dire oramai tappato ecc. ecc.». Seguiva l'elogio della carta, dei caratteri, della tipografia, ecc. ecc. Con non minore verità si potrebbe asserire, che da tempo immemorabile si sentiva in Italia, anzi in Europa, il bisogno di un libro interessante che, sotto il titolo di Galateo popolare, insegnasse agli uomini a non odiarsi, a non ammazzarsi, a non portarsi astio ed invidia ecc. ecc., a non guardarsi in cagnesco ecc., a sacrificarsi, se portava l'occorrenza, gli uni per gli altri, ecc. Infatti, il fare un buon libro dipende, scriveva la buon'anima del Balbo, dal saper scegliere un buon soggetto, ma più di tutto un soggetto nuovo. Ora v'ha qualche argomento che sia stato meno trattato, massime in questi ultimi tempi, del Galateo? Io, per mia parte, sarei impacciato a citarvi più di un centinaio di scrittori su tale materia. E gli antichi? miserabili! non conoscevano che il Della Casa, il Gioia, e, se volete, il Cortegiano del Castiglione. È ben vero che sulla civiltà, sulla urbanità, sui doveri, in casa e in società, cui debbono osservare gli uomini, hanno scritto più o meno ampiamente, più o men direttamente, e il Pandolfini, e il Pellico, e il Tommaseo, e il Balbo, e il D'Azeglio, e il Parravicino. Ma chi conosce quella gente? Anche tra gli stranieri, vi fu chi si occupò a descrivere gli uffici del viver civile, come il La Bruyère, il Fenélon, il De Gerando,il Chesterfield, il Frank, il Francklin, l'About, lo Smiles. Ma di quei volumi, comunque eccellenti, nessuno porta il nome di Galateo. E da noi, come ho detto più sopra, si sentiva il bisogno di un libro che avesse questo titolo. Ecco uno dei motivi dell'opera. Dico uno soltanto, perché ve ne sono degli altri. Udite. Ad onta di tanti lavori, di tanto faticare di quegli illustri che hanno scritto così stupendamente sulla civiltà, sulla cortesia, sulla gentilezza, ditemi: queste belle cose sono esse rispettate scupolosamente e sempre da tutti? E se non altro, l'arrivo di una qualunque opera che tratti della materia, non arrecherà per lo meno il vantaggio d'invogliare colui che soltanto ne legge il titolo, a ricorrere ai volumi di quegli egregi maestri che prima d'oggi ne parlarono con tanto ingegno e dottrina? Quante volte un modesto sunto di storia, pubblicato da un giornale, non fu eccitamento a meditare le opere d'un Cesare, d'un Tacito, d'un Sallustio, d'un Machiavelli, d'un Botta, d'un Sismondi? Quante volte un male abboracciato articolo di economia politica non fu occasione per cui uno si desse a studiare lo Smith, il Say, il Romagnosi, il Filangeri? E quante volte ancora un'improvvida legge di un tristo ed illiberale ministro non fu la causa, perché uno spendesse utilmente il tempo nella lettura degli ordinamenti di Solone e di Licurgo, dei codici di Giustiniano e di Napoleone, delle opere di Montesquieu e di Beccaria? Tale io mi credo fosse lo intendimento di Colui che metteva in campo il progetto di concorso per un Galateo: se pure egli non volle con questa sua proposta dare un benevolo avviso a quegli Italiani che, in causa delle politiche emergenze, onde furono gli animi occupati in questi ultimi tempi, non poco rimettevano di quella civiltà e gentilezza, che formavano un giorno il loro precipuo vanto. In tutte due i casi è a commendarsi il prof. Baruffi di aver ricordato, mediante l'avviso di tale concorso, il bisogno che stringe di far prestamente ritorno a quelle sane regole di Galateo, che come servono a distinguere le colte dalle selvaggie nazioni, son pure di freno potentissimo ai popoli che le osservano onde non ricadere nelle bruttezze, nei disordini, nelle licenze, che accompagnano mai sempre l'ignoranza e la barbarie. Io ebbi in animo di rispondere, secondo le mie modestissime forze, al concetto del programma di concorso, prendendo, per base della civiltà, la virtù, da cui parmi debba essa dipendere: convinto qual sono che il carattere civile di un popolo è inciso nel suo sentimento morale e che là dove è viziato quest'ultimo, quello è in sul declinare od è già perito. Gli esempi di Grecia, di Roma, di Spagna, di Francia, d'Italia nostra, di tutte, si può dire, le nazioni, sono lì a provarlo: l'epoca della loro massima civiltà corrispose a quella della loro massima moralità. Le turpitudini della nobiltà ai tempi di Luigi XIV e XV furono il preludio degli atroci delitti onde venne insanguinata la Francia sullo scorcio del passato secolo, furono preparazioni a quelle interminabili guerre, il cui solo utile fu un vano prestigio attorno al capo d'un uomo sulla cui tomba, malgrado i suoi trionfi, il più gran poeta de' giorni nostri poteva chiedersi, dubitando: se fosse stata quella una vera gloria? Cosi avviene che là, dove i Governanti danno l'esempio della corruzione nei costumi, dello sfregio alle leggi, si vedono contemporanearaente dar lo spettacolo ai popoli di barbari eccessi, e irridere sconciamente, incoraggiati dai loro satelliti, alle sventure e alle stragi de'cittadini. Esempi: Silla, Nerone, Tiberio, Eliogabalo. E là, dove un popolo non sa acconciarsi ad ubbidire alle leggi civili,e giocoforza che esso cada inesorabilmente sotto il dominio della sciabola e del bastone. Fermo in questo concetto, io mi studiai di esporre i doveri che incombono a colui che in qualunque condizioni si trovi, e quali che siano le sue relazioni in privato od in pubblico cogli altri cittadini, vuole acquistarsi salda riputazione di uomo onesto e civile. Né io sarò per offendermi se il mio lavoro non avrà la buona ventura, d'incontrare il favor vostro, o lettori: perché sarebbe soverchio il pretendere che la sola buona intenzione, non sussidiata dal valor dell'ingegno, quella buona intenzione che ha il potere di salvare gli uomini, avesse pur quello di condurre a salvamento, quand'anche poveri di spirito, i libri. GALLENGA GIACINTO. Avevo appunto ultimata questa specie di prefazione, quando mi giunse da un illustre patrizio torinese il seguente cortesissimo eccitamento a pubblicare il mio libro. Capii che ogni esitazione, dopo quelle sue parole, doveva scomparire: il giudizio dell'autore della Storia della legislazione italiana e dell'Autorità giudiziaria non era cosa da mettersi in non cale; e mi pare che avrei, anche da questo lato, mancato alle convenienze, non pubblicando il mio Galateo. Ecco un estratto della gentilissima lettera ricevuta: Cadenabbia (Lago di Como) 15 ottobre 1870. «L'insegnare la buona creanza ed i rudimenti del vivere sociale è un servigio che si rende alla Società, che ogni dì più si vede quanto abbisogni di ammaestramento anche in questo genere. Nella gentilezza del tratto si racchiude pure in qualche parte quella dell'animo, ed il Galateo, quale ella lo ha concepito ed espresso, va più in là della scorza esteriore e prepara frutti maggiori del semplice pregio delle apparenze ». FEDERIGO SCLOPIS. AVVERTENZA In quest'opera s'incontreranno moltissime, qualcuno potrebbe anche dire, non a torto, soverchie citazioni. La scusa si comprende in una modestissima confessione che io sono costretto di fare, checché ne costi al mio amor proprio d'autore. In uno scritto qualunque il nome dello scrittore entra in grandissima parte a destare e sostener la curiosità e l'interesse di colui che lo legge. Quindi chi è totalmente sconosciuto, quando non possa, con segni di straordinario ingegno, vincere d'un subito l'apatia con cui viene accolto il suo primo esperimento, non ha altro mezzo di procacciarsi un po' di benevolonza dal pubblico, fuorché quello di circondarsi dei nomi, dell'autorità, di quei sommi, che in altre epoche e in varie maniere hanno trattato lo stesso argomento. E subito, per farne un'applicazione, vi citerò le belle parole del Manno. «Due cose principalmente muovono il lettore alla confidenza: il senno degli scrittori che rende sempre testimonianza a se stesso ed il valore dei documenti nel quale si fa fondamento. Se chi scrive palesa fedelmente le fonti dalle quali derivò le sue relazioni, tanta maggiore sarà in chi legge la fiducia, quanto in chi scrive è maggiore l'impegno di non toccare una troppo facile mentita». Io poteva è vero, con qualche maggior fatica ed astuzia, ma, certo con molto minore sincerità, come pur troppo veggo essersi fatto da taluni in qualche opera da cui ebbero a riscuotere — non so con quanta soddisfazione della loro coscienza - lodi, onori e ricchezze, poteva raffazzonare in qualche modo le cose dette da altri, vestire di altre forme i loro stessi pensieri, per modo che qualche inesperto potesse credere che io ne fossi stato lo inventore. Ciò mi vietava, all'infuori di ogni morale considerazione, l'indole stessa del libro: con che coraggio avrei inculcato agli altri la civiltà e la cortesia, la decenza e la giustizia, quando avessi io primo, scrivente, data esempio d'inurbanità , di latrocinio , spigolando nei campi di quei grandi ingegni, senza rendere avvisati i lettori, che quelli, non io, erano i proprietari della messe raccolta? «Letteraria ingiustizia - conchiuderò col Manno - può essere appellata l'ingratitudine di quegli autori, i quali dopo aver arricchiti i loro volumi di pensieri altrui, non degnano di un'annotazione il nome dello scrittore da essi saccheggiato, confidandosi, o della distanza dei luoghi o della diversità della lingua, per cui torni più malagevole il riscontro delle due scritture». Di un tale sconcio io non volli poter essere accusato: e se ebbe a soffrirne da un tal procedere la mia superbiuccia, non potrà, dirsi almeno che, in urto ai principi nel libro stesso raccomandati, io mi sia reso colpevole di letteraria pirateria.

Pagina Copertina

Le buone maniere

202473
Caterina Pigorini-Beri 1 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
  • paraletteratura-galateo
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Anche colle sue amiche più care non esagera l'espressione del suo affetto, non le bacia e abbraccia troppo spesso, specialmente in società, dove ciò sveglia una idea di sdolcinatura poco conveniente e di attestati iperbolici d'un affetto, che è tanto più sicuro e fedele quanto è meno rumoroso e esteriore: invece la sua amicizia non prodigata alla prima venuta e colla dignità d'un carattere che lampeggia nella prima gioventù per illuminare nell'età matura l'intelletto e il cuore, sarà costante, ferma, serena: essa apporta, come si esprime felicemente la Baronessa di Staaffe, nel commercio della vita usuale colle sue amiche un capitale di onestà sincera e franca, che nell'impedirle l'adulazione le darà modo di non scorgere neppure i difetti e qualche volta gli errori delle altre, senza gelosia per loro meriti, per la loro bellezza e per la loro ricchezza, compiacendosi anzi di poterli far ammirare insieme con lei dagli altri. In una conversazione se le tocca per vicino un interlocutore un po' noioso non sbadiglia, cosa che si può sempre evitare pur di comprimere il primo impulso; è caso qui, come in tutte le cose della vita, di un buon principiis obsta, come diceva il Conte Zio al Padre Provinciale nell'affare del Padre Cristoforo. Sentendosi a ripetere, da un vecchio specialmente, un aneddoto, un fatterello, una spiritosità, un racconto, avrà la pazienza di ascoltarlo colla stessa serietà e la stessa attenzione come se non lo avesse mai sentito dire. Evita con ogni studio di raccontare fatti e di accennare ad avvenimenti che potrebbero offendere o affliggere inavvertentemente le persone intervenute, e non perde mai la buona occasione di tacere, come dice una dama amabile; cosa di cui nessuno ebbe mai a pentirsi. Se sa sonare o cantare non si fa soverchiamente pregare prima di corrispondere all'invito, e sopratutto non mostra di essersi preparata all'invito stesso, cavando fuori il quaderno della musica, il che è ridicolo. Se ognuno fa l'esame di coscienza trova in sè di aver riso di siffatte evidenti vanità. Se uno non è sicuro di sè stesso e di quello che sa, può sempre evitare una inutile agitazione, non esponendosi volontariamente ad un cimento che può produrre una freddezza invincibile nell'ambiente. Il ridicolo doloroso che copre un oratore, un artista, un dilettante ad un insuccesso, dovrebbe allontanare ogni persona ragionevole dal presentarsi in pubblico: una giovinetta specialmente potrebbe danneggiare per sempre la sua riputazione, benchè sia una mancanza tutta convenzionale e non di sostanza. Bisogna ricordarsi che come i senatori considerati isolatamente erano, secondo il motto latino, buonissimi uomini ma il Senato tutto insieme mala bestia (Senatores boni viri Senatus mala bestia), così ciascuno da sè e in sè è disposto all'indulgenza, messi tutti insieme sono giudici crudeli e qualche volta inesorabili. Nessuna belva è più fiera d'una folla anche riunita a scopo di beneficenza o di pietà. L'anima collettiva non è più semplice nè libera, e diventa severa, dispotica, egoistica; e perchè è una belva a molte teste, e il collettivismo non è che una folla limitata ed è necessariamente, pel suo stesso carattere, contraria alle belle maniere e alla delicatezza dei sentimenti, la giovinetta non perderà neppure questa bella occasione di starsene in disparte, pensando a quel motto profondo di una signora di grande esperienza e valore e che dominò un uomo potente e famoso: - La donna che fa parlare di sè è perduta - L'uomo che non fa parlare di se è perduto. Naturalmente questo motto profondo deve essere interpretato con misura e con riserva: ogni cosa sotto il sole ha il suo tempo. E il tempo nostro è molto diverso nei costumi di quello che era nel secolo XVIII, come ognuno sa. È certo che le fanciulle debbono nelle conversazioni numerose avere un riserbo accurato, specialmente con persone appartenenti all'altro sesso. Non è interdetto ad esse di cercare di piacere a coloro che le circondano: anzi è soltanto per questo che l'educatore cerca di ornarne il carattere di quelle qualità esteriori, le quali sono la moneta spicciola di quel gran tesoro nascosto che è la virtù sincera, forte e operosa: a questo esse riusciranno con tanta maggiore facilità quanto più cercheranno di rendersi amabili mostrando di apprezzare il valore altrui, di non insuperbirsi del proprio, di esser grate a coloro che si adoprano al loro vantaggio e sapranno fare qualche sagrifizio personale con buona grazia, come se per esse fosse un piacere non un disagio, e rispettare le opinioni, i pareri, i giudizii e sia pure, i pregiudizii degli altri. Evitando le arie languenti e le pose dette romantiche, silenziosa di un silenzio comunicativo e intelligente, non distratto e isolatore, una fanciulla bene educata sfuggirà ugualmente le mosse vivaci e virili che sono stonature nelle armonie sociali, e ornando la sua mente di geniali studi senza ostentazione di dottrina o di emancipazione grottesca e antisociale, uniformerà la sua condotta a quella della moglie d'un illustre inglese, che fu tanto fortunato da poterne scrivere così: «È avvenente; ma di una bellezza che non risulta nè dai lineamenti nè dalla carnagione nè dalle forme; sono ben altre le qualità con cui incatena gli animi e li volge a suo favore: la dolcissima sua indole, la benignità, l'innocenza, la sensibilità che trasparisce dalla sua fisionomia sono i pregi che ne compongono la bellezza. Il suo volto non ferma punto l'attenzione al primo istante, ma in ultimo uno rimane sorpreso di essersi accorto così tardi che è bella. «I suoi occhi sono dolcissimi: però sanno anche imporre riverenza quando vogliono: essa si fa obbedire come un uomo buono fuori del suo ufficio, non per l'autorità ma per la virtù. «Questa donna non è fatta per essere oggetto di ammirazione a tutti, ma per formare la felicità di uno solo. «Essa ha tutta la fermezza che può accordarsi colla delicatezza, e quanta soavità si può avere senza che ecceda in debolezza. «La sua voce è una dolce musica sommessa, non fatta per dominare nelle pubbliche assemblee, ma per deliziare coloro che sanno distinguere una società da una folla: ed ha un bel vantaggio, che bisogna esserle vicini per udirla. «Descrivendo il suo fisico se ne descrive anche il morale: uno è la copia dell'altro; la sua intelligenza non si rivela in una copiosa varietà di oggetti, ma nella buona scelta che essa sa farne. E non ne dà saggio col dire o fare cose singolari, ma piuttosto coll'evitare cio che non deve nè fare, nè dire. «Nessuno alla sua giovane età può conoscere il mondo meglio di lei, e nessuno mai fu meno corrotto da questa conoscenza. «La sua urbanità deriva piuttosto da naturale disposizione di rendersi accetta, che da alcuna regola, e perciò tanto piace a coloro che sanno apprezzare le belle maniere, come a quelli che non sanno. «Ha mente solida e ferma che non parrebbe derivare dalla sensibilità del carattere femminile, come la compattezza del marmo non deriva dalla pulitura e dal lustro che gli è dato. «Ha quei pregi che si richiedono a farci stimare le virtù veramente cospicue del suo sesso; e tutte le seducenti grazie che ci fanno amare finanche i difetti che scopriamo negli esseri deboli e leggiadri come lei».

Pagina 96

Angiola Maria

207178
Carcano, Giulio 3 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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O terra solitaria e ridente, che il lago da ambo i lati abbraccia col suo limpido specchio, o paesello che siedi su la china del promontorio, incoronato d' alberi d' ombra perenne e rallegrato da un misto digradar di sparsi colori, il verde delle rive ancora erbose, il rosso e il gialliccio delle foglie che cominciano ad appassire, il cupo del pino, dell' elce e dell' abete, e il roseo degli odorosi ciclamini che tutto l'anno rivestono la tua bella pendice, addio!... Noi lasciamo le tue ore tranquille, l' innocente allegria de' suoi passatempi, l'aria tua sincera e salubre, i lieti diporti su l'acque, i sentieri serpeggianti su per la montagna; noi abbandoniamo la casipola che un' annosa vite, ombreggia, la remota dàrsena con le sue barche peschereccie, la scoscesa costiera del lido, la chiesa antica, modesta, e la cappelletta al crocicchio del bosco.... Addio! Ma la memoria de' luoghi, che un tempo avemmo cari, dove passammo gli anni giovanili in libertà e in pace, questa memoria che si nasconde nel cuore, ma non si cancella mai, verrà con noi, cara e segreta compagnia. E quando sorgeranno nel mezzo della vita i giorni delle lunghe prove e della tradita fatica, quando, fra il rumore del mondo e l'angustia del futuro, volgeremo indietro uno sguardo al tempo che prometteva felicità, allora ci sarà dolce il tornare, almeno col cuore, a riposarci in que' luoghi, dove la solitudine è piena de' nostri primi amori e di tante piccole storie da fanciulli; dove conosciamo ogni palmo di terra, ogni albero, ogni cespuglio; dove ne pare meno amaro il ricordarsi del dolore sofferto. L' oscura sorte d'Angiola Maria sta per mutarsi: un giorno, una parola, cambiano tante cose quaggiù; bastò un giorno per sedurre i pensieri della giovinetta con le lusinghe d' una vita più bella, d' una vita che fino a quel tempo le era stata un sogno fuggitivo, dal quale senza rammarico si risvegliava. La dimestichezza nata fra lei e le due damigelle, il rivedersi tutt'i giorni, la concordia de' pensieri e de' cuori, la necessità di cercarsi, di volersi bene, quella fiducia della giovinezza così schietta nell'anime buone, tutto si combinò per condurre Maria a lasciarsi vincere dalla preghiera d' Elisa e di Vittorina d'accompagnarle quell' inverno a Milano. Esse speravano, in segreto, di persuaderla poi a venir con loro in Inghilterra. Avrei dovuto dirvi prima, che il vecchio lord, al cader dell' autunno, stanco della lunga solitudine, e ristorato alquanto in salute, aveva, con gran rammarico delle due fanciulle e d'Arnoldo, risoluto di passar l'inverno nella città. Però, quando bisugnò partire, fu Vittorina che trovò lo spediente d'acconciarla bene per tutti.Un bel dì, fece a suo padre molte carezze e una preghiera; e il lord, colto in buon momento, acconsentì. Non occorre dirlo, la mamma Caterina non si lasciò neppur essa lungamente pregare; che anzi non capiva in sè atti piacere, mentre Elisa l'assicurava che si sarebbero tenuta la sua cara Maria, come una compagna, un' amica, e al primo giorno della primavera gliel'avrebbero restituita, e tant'altre promesse. E poi, la buona vecchia voleva troppo bene alla figliuola; appena questa parlava, ella non sapeva trovar più ragione in contrario. - Oh l' amar molto è la gioia e il martirio delle povere madri! Il più serio fu, quando bisognò scriverne al vicecurato. Maria sapeva i pensieri, sapeva il cuore di suo fratello; dubitava che quella, partenza così nuova, quel lasciar sola la madre per tutto l' inverno, non dovesse a lui parer bene. Tremava la povera fanciulla nello scrivere e suggellar quella lettera, tremava, nè sapeva il perchè. Ma bisognò farlo; sua madre non aveva posta altra condizione, tranne questa, che vi fosse il consenso di don Carlo. Chi si pigliò la briga di portar la lettera al suo destino fu lo stesso Arnoldo, per una buona ragione che coverse di due buone scuse, cioè di fare una visita all'amico, e di percorrere un' altra volta, innanzi abbandonarla, quella bella contrada. Prima che uscisse l'alba della vegnente mattina, una barca lo traghettò a ****, dov' erano i cavalli di suo padre Qui giunto, condusse fuori uno svelto e brioso leardo; montò in sella, e seguitando i sentieri lungo la montagna, viaggiò tutto il giorno, per arrivare innanzi sera alla lontana parrocchia. Più d' una volta falli il cammino, e gli fu forza tornar indietro, rifare lunghi tratti della strada già corsa; onde sentiva dispetto dell'indugio, e compassione della sua povera cavalcatura. Già da parecchie ore il cavallo andava di buon portante o di galoppo su per quelle strade appena praticabili, e sbuffava dalle nari per la lunga fatica; la sua criniera ondeggiava sollevata dalla gentile brezzolina d' ottobre; le ferrate sue zampe percotevano con violento passo sui grossi ciottoli di que' sentieri franati: ma il giovin cavaliere non pareva mai stanco di tener piede in ista fra. Soltanto egli lasciava, a quando a quando, che il cavallo continuasse di passo la via, e intanto gli accarezzava il collo e la criniera. A mezzo del cammino, scese di sella, e fermossi per breve tempo in un deserto casolare, il quale d'osteria non aveva che l'insegna; un tugurio. dalla mala sorte collocato in fondo di solitaria valle. Condusse egli stesso il suo cavallo in un canto della corte, innanzi a una mangiatoia tarlata; poi entrò nella cucina, sedette, e senza parlare si refiziò con un stantio resto di torta, e con certo cacio di capra che gli fu messo innanzi, e che poi inaffiò d'un bicchiero di vino acido; e pure l'ostessa ne aspettò un pezzo il complimento. Era una giovine e tarchiata valligiana, la quale gli s'era piantata in faccia, con le pugna appuntate sul descaccio zoppo, quantunque fosse piú usa a guardare, con due occhi grigi e furbi, il bel muso d'un contrabbandiere a lume di luna, che non la faccia dilicata e i capegli biondi d'un giovinotto inglese innamorato. Ripigliò il cammino, e lungo la strada, la sua fantasia, seguendo sempre gli stessi pensieri, vestiva d' una immagine sola la varia scena della natura ridente o selvaggia ch'egli attraversava: i gruppi d' alberi, i casali, i dirupi e le frane, il ruscello e il torrente, la piccola pianura e la greggia col mandriano, il paesetto e il cimitero, tutto pareva fuggirgli dinanzi, come fosse nel paese delle visioni. Una sola meditazione nutriva il suo cuore; nè quel pensiero era mai così forte, come quando traeva fuori la lettera di Maria, e contemplava con segreta dolcezza le parole della soprascritta; la quale, del resto, non poteva esser più semplice, nè so che incanto avesse. A un'ora di notte arrivò alla parrocchia, e scavalcò all'uscio d'una povera abitazione, che un pecoraio gl'insegna come quella del vicecurato. E lo trovò nella più interna delle due camere, ch'erano tutta la casa, Io trovò a vegliare in mezzo a' suoi volumi, qua e là sparsi, ammucchiati o aperti, al lume d'una piccola lucerna. Al vedere l'inaspettato visitatore, il prete s'alzò, e, fattosegli incontro, sorrise; poi, senza parlare, gli strinse con molto affetto la mano; ma il suo volto era pallido, malinconico il sorriso; lo stesso suo andare aveva qualche cosa di penoso e d'incerto. « Siate il benvenuto, amico mio! Dunque non l' avete dimenticato il povero prete? Nella mia solitudine, la vostra venuta è una benedizione. Oh credetelo! il mio cuore ve n'è riconoscente. » « Mio buon Carlo, tocca a me a domandarvi perdono, se è la prima volta che vengo a visitarvi; non ho tenuta la mia promessa, lo so; ma.... mio padre.... » « Non, dite altro: vi so troppo buongrado del piacere che adesso mi fate; e v' assicuro ch' io aveva gran bisogna di vedere un volto amico. » « Vi trovo assai mutato da tre mesi; magro, sparuto: siete stato forse malato? » « No! sto bene: è l'animo ch'è malato. Ma di me non parliamo; voi.... » « Ho una lettera per voi.... una lettera di Maria, di vostra sorella. » « Che? accadde qualche disgrazia?... di mia madre....» « Oh! sta bene e vi saluta, la buona donna; è ben disposta e così lieta! » « Dio la benedica! Ma questa lettera di Maria.... » « Eccola: essa vi domanda che consentiate di lasciarla per qualche tempo con noi, che andiamo a passar l'inverno a Milano.... Le mie sorelle anch'esse ve ne pregano. » disse il prete, maravigliando e cadendo d'improvviso in gravi pensieri. Indi aperse lentamente il foglio, lo lesse attento, e ripiegatolo l' intascò. Il giovine lo riguardava, in atto di serio esitare. Indi a poco il prete gli domandò: « Quando contate di partire? » « Domattina, forse. Perchè.... non so se mio padre.... » dubitando rispose. « Domattina, dunque, avrete la mia risposta per Maria. » E ciò detto, il prete mutò discorso, nè più parlò di sua madre, nè di sua sorella. Ma raccontò all'amico la vita che menava in quella valle; vita di sacrifizio, di coraggio, e che avrebbe presto distrutte le forze d'altri uomini di tempra più salda della sua. Quella remota parrocchia di poveri terrazzani, dispersa in abituri e capanne, senza ricolto e senza decime, metteva a dura e continua prova il ministero dell'uom del Signore, chiamandolo a tutte l' ore dov' era bisogno di consolazione, dove stavano il pianto e la fame. Ma fattasi l'ora tarda: « Pensiamo a voi; » disse don Carlo. « Voi siete stanco, rotto dal viaggio; qui nel paese non c'è locanda di sorte, chè altri non vi capita se non qualche vagabondo, o al più due volte l' anno qualcuno che abbia perduta la strada. Se v' accontentate, vi cedo il mio letto; già lo sapete, siete sotto il tetto d'un povero romito.... » Ma negando l'altro in ogni maniera: « Bene, » soggiunse il prete, « il mio Bernardo (è un buon cristiano di questi monti che m'aiuta e mi serve) vi preparerà alla meglio un lettuccio sul canapè ch'è nell'altra stanza. Scusatemi, amico; v' accorgerete stanotte di non essere nelle belle case, e nei buoni letti della vostra Londra. Ora addio, e buona notte! » Arnoldo si coricò; ma alle stanche membra non concede- vano riposo l' ardore e l' inquietudine della mente combattuta da cento pensieri più strani delle larve d'un cattivo sogno. Vegliava dunque, e dopo qualche tempo s' accorgeva che nella stanza vicina il prete era pur desto; poiché la lucerna mandava ancora, per alcune fessure dell'uscio, il sottile suo raggio. Dapprima non gli giungeva all'orecchio nè voce nè respiro; poi intese come il muover lento e grave d'un passo che misurasse chetamente la stanza. Il giovine si traeva sotto le coltri, cercando dormire, ma invano.... Origliava, non fiatava; passò un' ora, ne passò un' altra: e sempre sentiva il prete andare e venire su e giù lentamente per la camera. Tutto ad un tratto lo riscosse uno strepito, come lo scricchiolar d'una seggiola sotto il peso di persona che sopra vi s' abbandoni; in quella, gli parve d'udire un affannoso sospiro, e poi queste parole: - Mio Dio!... dammi forza e costanza!... Allora, vinto da non so che terrore, stava per balzar dal letto, quando s' accòrse che la lucerna era spenta, e che tutto era silenzio. Alla mattina, Arnoldo pensava di chiedere al prete, in nome dell'amicizia, la spiegazione di quel mistero, la causa della preoccupazione grave e dolorosa in cui l'aveva trovato. Nondimeno, quando se lo vide venire incontro, con aspetto serio ma tranquillo, per fargli nuove scuse di quella sua meschina ospitalità, e s'accorse ch'esso troncava ogn'inchiesta, la quale a lui riguardasse, pensò che doveva essere un segreto geloso e profondo, uno di que' segreti che si trema di confidare anche al cuor dell'amico, e tacque. Con involontario turbamento Arnoldo ricevette la lettera che il vicecurato aveva scritta in risposta a quella di Maria. Quando, preso commiato e salito in sella, il giovine ripetè un saluto, il prete gli s'avvicinò, e strettagli forte la destra: « Arnoldo, » disse « voi siete un uomo onesto, e il cuor vostro è buono e generoso. Voi siete abbastanza felice, ma io non ho più nessuno quaggiù!... Il futuro c' incalza e trascina, Dio solamente lo conosce: se dunque a Lui piacesse che non ci avessimo a incontrar più su la terra, e se mai l'avvenire vi menasse di nuovo in quest'Italia, non dimenticate mia madre e mia sorella. Confortate, l'una, proteggete l'alba.... Fortunato voi, se avrete questa consolazione di poter dire: - C'è alcuno. che mi ama e mi bene- dice: - Addio! Arnoldo si sentì commosso fino alle lagrime, ma fattosi forza: « Addio! » rispose « virtuoso amico. State di buon animo; spero che ci rivedremo ben presto. Addio! » E, dato di sprone al cavallo, s'allontanò. Due giorni appresso, la famiglia de' Leslie era partita dalla villa, e Maria aveva abbandonato la natale sua terra. La man della fanciulla aveva tremato nell' aprir la lettera di suo fratello; erano poche linee che dicevano: - « Chi deve avere maggiore pena che tu parta di qui, mia cara Maria, è la nostra buona mamma. S' ella dunque vuol farlo questo sacrifizio, e tu segni la tua volontà. La famiglia, nel cui seno ti ritrovi è raro esempio di nobiltà vera e onesta. Ma non ti scordar mai, sorella, chi tu sia! Conserva il tuo cuore; pensa che un cuore come il tuo è una gemma, la quale, perduta una volta, non si ritrova mai più. lo spero, peraltro, che la tua lontananza non sarà lunga: quando ritornerai,fa di trovare ancora nella tua povera casa, sotto il cielo che il Signore t'ha dato, quegli stessi pensieri e quella stessa vita che ora vi lasci. E se mai temi che non sia per essere così, oh! non abbandonare, te ne scongiuro, la tua povertà e il silenzio dell'oscurità nella quale sei nata. Addio, mia sorella! Che il Signore t'accompagni! « CARLO » Caterina pianse nel leggere questa lettera così semplice, ma non ebbe cuore di stornar la figliuola dalla proposta partenza. Maria mise insieme le sue poche robe; e la mattina, nell'andare dall'una all'altra stanza, le pareva che quell'abbandono le pesasse sul cuore, e quel breve viaggio le fosse imposto come una penitenza. La buona madre anch'essa, venuto il momento di staccarsi dalla sua Maria, sentì un segreto dispiacere, quasi un pentimento d'avere accondisceso all'impensata a quella partenza; e le tornarono in mente le parole che ripeteva un tempo il suo pover uomo, quando la signora contessa volle tenere con sè la fanciulletta: - Verrà un.-giorno che ve ne pentirete, e non vi sarà più rimedio! - Ma non disse nulla, e le cacciò via quelle parole, come un tristo pensiero. Nel tragittare il lago, per raggiungere le carrozze del lord, le quali stavano aspettando su l' opposta riva, Maria non potè nascondere l' angoscia che la stringeva, benché non piangesse. Dilungandosi dalla sponda, guardava la madre sua e la vecchia Maria, che dalla soglia della casa le mandavano ancora baci d'amore; guardava la sua finestretta e la pergola del cortile. E certamente, se non era la presenza del vecchio signore, che quantunque buono e carezzevole con lei, pure la teneva nell' imbarazzo della suggezione, avrebbe lasciato libero sfogo alle lagrime. Elisa, guardandola con mestizia, la compativa; Vittorina l'abbracciava, ripetendole le più liete cose che siensi dette mai, per consolare chi abbandona la prima volta i luoghi a cui una vita serena di molt' anni donò tanta e così vera bellezza. Nel tempo di quel tragitto, un giovane barcaiuolo accompagnava il lento batter del remo nell' acqua cori una semplice canzone del suo paese, su andar della seguente: IL COMMIATO. CANZONE DEL BARCAIUOLO.

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Pure viveva contenta, e con un sordo sogghignare, diceva spesso: Chi molto abbraccia, nulla stringe; ma chi sa contentarsi del poco, campa un pezzo e col cuor largo. - Quel negoziante, al quale certi lontani parenti della contessa, appena ne furono gli eredi, avevano venduto il palazzo, dovette accettare tra gli altri patti anche la noia di tenersi in casa la vecchia vedova. E questa poi fu sempre ostinata a non voler abbandònare la dimora dov' era vissuta per trent' anni; di modo che il nuovo padrone mise giù il pensiero di farla sloggiare con le buone, come aveva stimato facile, nella fiducia che la vecchia sarebbe presto ita a cercar posto nell' altro mondo. A quest' antica conoscente, alla signora Giuditta, come in tutto il quartiere era chiamata, affidò dunque il vicecurato la sua afflitta sorella. Essa li aveva tante volte portati su le sue braccia l' uno e l' altra in giorni più lieti, quand' erano ancora ragazzetti, che non se n' era punto dimenticata; ma, da tanto tempo non avendoli veduti, quasi non lo credè vero, quando le si fecero conoscere. Pure li ricevette a braccia aperte, e domandò loro del buon Andrea, della comare Caterina, del palazzo, di cent' altre cose e perfino del vecchio bracco Azor; rammaricandosi di tutto quello che non era più, e benedicendo il cielo che la buona Caterina del fattore vecchio si ricordasse ancora di lei. Nell'ignota dimora della vedova Giuditta, don Carlo dunque pensò di nascondere Maria dalle ricerche e dalla persecuzione dell' uomo ch' egli credeva suo seduttore; giacché aveva mente di fermarsi ancora per qualche giorno a Milano, e di ricondurre poi egli stesso la fanciulla alla madre. Maria, ne' primi dì, non seppe accomodarsi alla nuova solitudine. Ignara di quanto fosse avvenuto, dopo che aveva abbandonato la casa de' Leslie, di quel che potesse fare Arnoldo per ritrovarla, e forse sedotta ancora da una lontana idea di rivederlo, di separarsi in pace da lui, idea che la sua virtù e l' affetto le richiamavano sempre, non come una colpa, ma come unica consolazione, passava le ore in una dolorosa rassegnazione. Non piangeva più, ma faceva ogni sforzo per ritornare il più che potesse alla memoria di sua madre: solo qualche volta, in segreto, ripeteva ancora il nome di colui che per il primo aveva occupato il suo cuore, sentendo ch' essa non avrebbe più potuto voler bene a nessuno, come n' aveva voluto a lui. Ella non usciva mai, e stava sempre in compagnia della vedova, la quale non sapeva immaginare perchè una creatura, giovine e bella come Maria, fosse così tacita e mesta. Intanto il fratello suo passò que' pochi giorni visitando gli amici che gli restavano; antichi compagni di scuola, alcuni de' quali erano a quel tempo parrochi nella città, altri procacciavan di guadagnarsi, con la penna e con gli studi, una vita stentata, ma libera e onesta. E nel rinnovarsi di conoscenze che avevano messa profonda radice ne' cuori, per quella corrispondenza di sentimenti e di simpatie, ch' è sì bella quando la sorgente n' è virtuosa e schietta, e fedele la ricordanza, come gli parve di ringiovenire, di ritornare a quell' età d' affetto e di desiderio, quando si crede che la buona volontà sia tutto, e nulla la difficoltà delle opinioni e del potere altrui; quando è certa e giusta l' aspettativa, e santa l' energia della fede e del contraccambio!... Con quali sinceri trasporti gli amici si rividero, s' abbracciarono! con che fratellanza di gioia e di dolore rinnovellarono le memorie della giovinezza! Come lagrimarono i compagni che non erano più, ch' eran mancati nell' ora migliore! come compiansero a quelli che avevano tradito le speranze di loro concette, un bell' avvenire, la vita intera!... E le promesse di star sempre uniti col cuore, se con le persone non potevano, d' adempiere insieme all' eterno dovere di render migliori gli altri, di non cader mai d'animo, nè per la tirannia de' pregiudizi e del tempo, nè per la cieca guerra delle passioni, e di servire liberamente alla causa della verità, preparando d'accordo, per quanta forza e per quanto cuore in essi era, il bene e la giustizia a pro di tutti; queste altissime promesse si ripeterono, più d'una volta, ne'loro ragionari dolci e solenni; e furono santificate da' voti e dalle preghiere di que' giusti e generosi che amavano e che soffrivano. Così alcuni di que' dì felici, che il buon prete non credeva di trovare più su la terra, e dietro a' quali ' animo suo aveva ben sovente sospirato nelle solitudini della campagna, in mezzo alla povertà e alla dura vita del contadino, o sotto gli umili archi della chiesa del suo villaggio, alcuni di que' dì felici sorgevano ancora per lui; e lo consolavano nel momento che, ferito nella più viva parte del cuore, s' era umiliato innanzi alla superbia degli uomini, all' ingiustizia delle cose. Di che egli si rallegrava con sè medesimo, chè da gran tempo aveva rinunciato all' allegrezza: nè alcun funesto presentimento venne, a turbar la purità di quell' affetto antico e santo, e il felice presagio di un' età migliore.... Ma troppo spesso le nostre più vive speranze son le più vane. Un giorno - non eran passate più di due settimane dacchè Maria stava in casa della vedova - le due donne avevano apprestato un desinare assai modesto, e aspettavano il vicecurato. È passato il mezzodì passano una, due, tre ore, ed esse attendono ancora, e il vicecurato non comparisce. Su le prime, non si danno pensiero del tardare, rassicurandosi nell' idea che forse qualche impreveduta circostanza ne lo trattenga. Ma poi, all' abbassar del giorno, quando l' una e l' altra ebbero finito di ripetere le usate scuse che si van cercando per ingannar l'angustia dell'aspettare, allora, con quel senso di tristezza che desta il veder farsi sera, cresce in loro il dubbio e l' inquietudine: e taciturne entrambe, si pongono a sedere presso una delle finestre che dà sul cortile, s' interrogano a vicenda con gli occhi, guardano ogni momento verso il cancello del palazzo, in attenzione curiosa, d' ognuno ch' entri o passi. Da quella finestra vedevasi, per il vano del portone, lungo tratto della frequentata corsia. Si fece notte, le campane delle chiese erano già silenziose per tutta la città, e le donne aspettavano ancora. In ogni passeggiero che attraversasse quel breve spazio, pareva loro di riconoscere il prete; ma nessuno mai s' arrestava, nessuno svoltava in quella porta. Maria ben voleva persuadersi che nulla ci fosse di più naturale di quell' assenza, ma invano; un interno timore la vinceva, andava immaginando qualche cosa di funesto; un pericolo, un tradimento, una sciagura improvvisa; e già, come una spina, le stava fitta in cuore l' angustia che il suo Carlo non avesse a ritornare mai più! La vedova, indispettita alla fine di quel lungo tedio, cominciò a sfogarsi, a brontolare fra sè e sè: « Vedete mo,

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Tale è il rovescio miserando e scandaloso che si fa d' ogni buono in cattivo, quasichè, per mutar di vocabolo, mutino le cose: ma dando così chiaro a vedere che ogni uomo sente che non è stromento di scelleratezza, e che tale è necessità per esso la virtù, che il delitto non abbraccia se non colorato dalle tinte di quella. Anche scellerato, ama d' ingannarsi che non è; epperò, perdendo la virtù, ne conserva la divisa, onde molta è la ciurma degl' ipocriti: e così, se dappertutto ove sono uomini il delitto ha schiavi, in nessun luogo regna a fronte scoperta. Quindi accade che, se in così fatti tempi sorge un magnanimo amico della virtù e del vero, tutti se gli fanno intorno co' sassi; ed è ben conseguente, perocchè se giunga face là ove tutti hanno bisogno di tenebre per ascondere la colpa, tutti si sforzano di spegnerla subitamente. Delitto dell'amore di noi medesimi, che giustificando i propri errori è pur d'uopo che le virtù contrarie condanni per evitar contraddizione: sicchè in cuore invidia l'altrui virtù, e col labbro la lacera e la condanna. Del resto, la verace virtù che passeggia nel mezzo alla finta, tacitamente denunzia la colpa nascosa sotto le sue larve, e coll' opera del paragone squarcia la veste dell' impostura la più veneranda e la più astuta. Allora si distingue la virtù dall'ipocrisia che fa studio d'imitarla, coll' eguale facilità che da un re di scena un re da trono: ed è per questo che in tale condizione di tempi la virtù e la sapienza sono guardate come due possenti nemiche; è per questo che solo compaiono attraverso lo squarciato manto d'un' illustre povertà, e che sempre le ritrovi fuggiasche sulle spinose vie della persecuzione, e spesso ancora fra le catene, e dentro la carcere dell'omicida e del ladro. » .... « Le grandi speranze e i grandi sforzi sono dei generosi; le forti presunzioni e i deboli attentati, de' superbi.... Io tutto spero, tutto tento, nulla presumo! » .... « Se è vero che dal conoscere scende ogni volere, e dal volere ogni .operazione umana, con cui si satisfà all'inesorabile bisogno, si accontenta il desio insaziabile, e si avverano le indelebili speranze, nella cui somma soltanto può essere riposta quella felicità ch' è data ai mortali; se è vero, io dico, tutto questo, deve scusarsi la nostra curiosità che tutto ad un solo sguardo vorrebbe possedere lo scibile umano. Anzi questa curiosità io la reputo come il possente motivo onde la natura invita l' uomo a ricercarla nel sacrario della scienza: come col desio della felicità lo spinse alle perenni agitazioni delle sorti mortali. Quindi è che, una volta messa sulle vie delle indagini per un sì grande impulso, non già s'avanza gradatamente e con tarda saggezza, contenta ad un vero discreto; ma impaziente delle sagge dimore della riflessione, si avanza baldanzosa, prima fidata al solo probabile, poi al verisimile, ed in ultimo anche al falso in colore di vero; e così, per volere acquistare la vetta per la più spedita via, corre la più lubrica; e correndo questa, bene spesso precipita al basso. A spogliar la cosa di veste metaforica, fatto è che quando cessa il vero, ce lo fabbrichiamo coll' ipotesi del nostro cervello; e vien poi una demenza filosofica, che delira argomenti in suo soccorso; i quali, accreditati dall' umano orgoglio e dall'umana ignoranza, gli ottengono la cittadinanza del vero; e così, come dicevano i Greci, si abbraccia la nube per la diva. - Non già ch' io abborra dall' uso giudizioso dell'ipotesi: so benissimo ch' essa sola batte alle porte della verità; anzi m' aggrada quella sua audacia con che la sollecita a parlare e le squarcia il velo più misterioso. Mi rammento di Newton, che con essa s' innalzò in mezzo de' cieli e che da essa imparò come due mirabili forze equilibrino i firmamenti. Io abborro che lo stromento diventi la cosa, che la via si reputi la meta, e voglio che l' ipotesi non si usurpi nome di realtà, ma che con felice metamorfosi si cangi in essa. Ma pur troppo più persuadono i nomi che le cose: onde il fatto inesorabile bene spesso appalesa le gradite menzogne di noi stessi: decipimur specie recti. » .... « La feconda meditazione de' grandi, tacita e nascosa ne' suoi preziosi ritiri, non ha nemmeno l' applauso che il saltimbanco ottiene sul trivio; anzi spesso dal volgo le sue sapienti lentezze e le sue cautele da precipitato giudizio s' imputano a colpa, e si accusano d' ozio e di pi- grizia. Ma i grandi, sdegnosi di piatire con una plebe che ha bisogno d'assiduo cicaleccio, per non morir d' inedia sulla vie e ne' fori, ne confondono le menzogne, recando in pubblica luce il frutto delle loro nascoste fatiche. » « Le più sublimi speranze non bisogna misurar col solo calcolo del corto soffio dell' umana vita. Non bisogna solo calcolare quanto possa l'individuo; ma quanto può la specie, la cui vita è lunga come la sua perfettibilità. L'orgoglio umano è una menzogna quasi sempre nell'individuo; ma spesso nella specie è una verità; è uno sprone a quanto ella di fatto può. Questo esiste in ogni individuo; e ognuno, al divisamento, è pari all' idea che lo move; ma, all' opera, non potendo quanto la specie, ciò che non sa non fa, lo reputa per un cotale astuto giro dell' amor di sè stesso, o inutile o impossibile. - Ma la specie, all'opposto, può di più che non sappia: ognuno porti quel masso che reggono le sue spalle, e l'edificio s' innalzerà verso il cielo saldo e sublime. Io l'ho detto: Umana perfezione? un sogno: - Umana perfettibilità? una via di cui non conosco la meta, ma sulla quale io pure cammino.

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L'uccellino azzurro

213044
Maeterlink, Maurice 2 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
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(Abbraccia Tyltyl, e lo accarezza con affettuosa violenza). TYLTYL Andiamo, via.... va bene, ma ora basta.... Vattene!... MYTYL No, no, veglio che resti qui.... Ho tanta paura quando non c'è!... IL CANE (con un balzo si slancia su Mytyl, la getta quasi a terra coprendola di carezze violente e ardenti) Oh, che buona bambina!... Com'è bella! Com' è buona!... Bella, cara!... Voglio abbracciarti!... Ancora! Ancora! Ancora!... LA GATTA Sciocco!... Basta, la vedremo.... Non perdiamo altro tempo, ora.... Girate il Diamante!... TYLTYL Dove deve collocarmi?... LA GATTA In quel raggio di luna: così ci vedrete meglio.... Ecco, giratelo lentamente.... (Tyltyl gira il Diamante: e tosto un lungo fremito agita i rami e le foglie degli alberi. I tronchi più antichi e più grossi si schiudono per lasciar passare l'anima che ciascuno d'essi rinserra. L'aspetto di queste anime varia secondo l' aspetto e il carattere dell' albero che rappresentano. L'anima dell'Olmo, per esempio, è una specie di gnomo asmatico, panciuto, bisbetico; quella del Tiglio è placida, familiare, gioviale; quella del Faggio, elegante e agile; quella della Betulla, bianca, riservata, inquieta; quella del Salice, triste, scapigliata, piagnucolosa; quella dell'Abete, lunga, snella, taciturna; quella del Cipresso, tragica; quella del Castagno, pretensiosa, un po' snob; quella del Pioppo, allegra, ingombrante, chiacchierona... Alcune escono da loro tronco con lentezza, intormentite, stirandosi come dopo una prigionia o un sonno secolare; altre ne scappano fuori d'un balzo, vivaci, sollecite. Si raggruppano tutte intorno ai due bambini, pur restando ciascuna vicina il più possibile all'albero che le ha dato la vita). IL PIOPPO (accorrendo per primo e gridando a perdifiato) Degli Uomini!... Dei piccoli Uomini! Potremo parlare con essi!... È finita l'epoca del Silenzio!... È finita!... Di dove vengono?... Chi sono?.... (Al Tiglio, che s'inoltra fumando tranquillamente la pipa). Li conosci tu, compare Tiglio?... IL TIGLIO Non ricordo di averli mai veduti.... IL PIOPPO Come ?... Tu, li conosci tutti, gli Uomini; passeggi sempre intorno alle loro case.... IL TIGLIO (osservando i bambini) No, no, vi assicuro, non li conosco.... Sono ancora troppo piccini.... Io conosco bene soltanto gl'innamorati, che vengono a trovarmi al lume di luna; oppure i bevitori di birra ai quali è caro bere sotto le mie fronde.... IL CASTAGNO (altezzoso, aggiustandosi il monocolo) Chi sono?... Dei poveri contadini?... IL PIOPPO Eh già, voi, signor Castagno, da quando non vi degnate di frequentare se non i boulevards delle grandi città. IL SALICE (avanzandosi, in zoccoli, gemendo) Dio mio!... Dio mio!... Mi hanno di nuovo tagliata la testa per farne delle fascine!... IL PIOPPO Silenzio!... La Quercia esce dal suo palazzo!.. Ha l'aspetto sofferente stasera.... Non vi pare che sia invecchiata?... Quanti anni avrà?... L'Abete dice che ha quattromila anni, ma certo esagera.... Attenti, ora sta per parlare (La Quercia s'inoltra lentamente. È vecchia decrepita, coronata di vischio. Indossa una lunga veste verde ricamata di muschio e di lichene. È cieca. S' appoggia da un lato a un bastone nodoso, dall'altro a un Querciolo giovinetto che le fa da guida. L'Uccellino Azzurro se ne sta appoliaiato sulla sua spalla. Al suo avvicinarsi, gli alberi si allineano rispettosamente su due lati, inchinandosi). TYLTYL Ha con sè l'Uccellino Azzurro!... Presto! Presto! Datemelo!.. GLI ALBERI Silenzio!... LA GATTA (a Tyltyl) Giù il cappello! E la Quercia?... LA QUERCIA (aTyltyl) Chi sei?... TYLTYL Sono Tyltyl, signora.... Quando potrò prendere l'Uccellino Azzurro?... LA QUERCIA Tyltyl, il figliuolo del taglialegna?... TYLTYL Si, signora.... LA QUERCIA Tuo padre mi ha fatto sempre del male.... Per dire solo della mia famiglia, mi ha ucciso seicento figli, quattrocentosettantacinque fra zii e zie, milleduecento cugini e cugine, trecentottanta nuore e dodicimila nipotini TYLTYL Io non ne so nulla, signora. Son sicuro però che non l'avrà fatto apposta.... LA QUERCIA E tu, che cosa vieni a fare qui, e perchè hai fatto uscire le nostre anime dalle loro dimore? TYLTYL Mi scusi, signora, se l'ho disturbata.... Ma la Gatta mi aveva assicurato che lei mi avrebbe detto dove si trova l' Uccellino Azzurro.... LA QUERCIA Già, lo so, tu vai cercando l'Uccellino Azzurro, che è quanto dire il grande segreto di tutte le cose e della felicità, perchè gli Uomini possano rendere ancora più dura la nostra schiavitù.... TYLTYL No, no, signora; lo cerco per la bambina della Fata Beriluna, che è tanto malata.... LA QUERCIA (imponendo silenzio a Tyltyl) Basta così?... Ma dove sono gli animali?... Non li sento.... Eppure questa faccenda interessa loro quanto noi.... Non dobbiamo, noialtri Alberi, assumere soli la responsabilità delle decisioni gravissime che dovranno essere prese.... Il giorno in cui gli Uomini sapranno che abbiamo messo in atto quanto decideremo or ora di fare, si vendicheranno ferocemente... Bisogna dunque esser tutti d'accordo nell'azione, ora; e dopo, nel mantenere su di essa, il silenzio più assoluto.... L'ABETE (guardando al disopra degli altri alberi) Ecco, vengono gli animali!... Il Coniglio è alla testa.... Ecco l'anima del Cavallo, del Toro, del Bove, della Vacca, del Lupo, del Montone, del Porco, del Gallo, della Capra, dell'Asino e dell'Orso.... (Le anime degli animali, via via che l'Abete le nomina, si avanzano e si mettono a sedere fra gli alberi, meno l'anima della Capra che continua a vagabondare qua e là, e quella del Porco, che si mette a grufolare fra le radici). LA QUERCIA Ci sono tutti?... IL CONIGLIO La Gallina non ha potuto lasciare le sue uova; la Lepre sta facendo alle corse; il Cervo ha male alle corna; la Volpe è indisposta qua c'è il certificato medico --; l'Oca non ha capito di dover venire, e il Tacchino è andato in collera.... LA QUERCIA Queste assenze sono deplorevoli.... Però siamo in numero sufficiente.... Voi sapete già fratelli miei, di che si tratta.... Questo bambino, grazie a un talismano carpito alle potenze della Terra, ha il potere d' impadronirsi del nostro Uccellino Azzurro, e strapparci così il segreto che custodiamo fino dall'origine della Vita.... Ora, conosciamo abbastanza l'Uomo; per non dubitare della sorte che ci sarà riservata quand'egli sarà in possesso del nostro segreto.... Ogni esitazione da parte nostra sarebbe dunque, oltre che stupida, delittuosa. Il momento è grave; bisogna far sparire il bambino, prima che sia troppo tardi.... Che cosa dice?... IL CANE (gironzolando intorno alla Quercia e mostrando i denti) Li vedi i miei denti, brutta vecchiaccia?... IL FAGGIO (con indignazione) Osa insultare la Quercia!... LA QUERCIA È il Cane?... Cacciatelo via!... Non dobbiamo tollerare la presenza fra noi di un traditore!... LA GATTA (piano a Tyltyl) Mandate via il Cane.... C'è un malinteso.... Lasciate fare a me, accomoderò io la faccenda.... Ma intanto mandatelo via subito.... TYLTYL (al Cane) Vattene: hai capito?... IL CANE Permettimi prima di strapparle le pantofole di muschio, a quella vecchia gottosa!... Voglio ridere un po'!... TYLTYL Zitto!... Via di qua!... Ma vattene dunque una buona volta, brutta bestiaccia!... IL CANE Va bene, va bene, me ne andrò, sì.... Tornerò quando avrai bisogno di me.... LA GATTA (a bassa voce, a Tyltyl) Sarebbe più prudente metterlo a catena, altrimenti farà qualche sciocchezza.... Gli Alberi andranno in collera e chi sa che cosa, succederà. TYLTYL Non so come fare, ho perduto il guinzaglio.... LA GATTA Ecco l'Edera che si avvicina: porta con se dei solidi lacci.... IL CANE (brontolando) Ma tornerò, tornerò, non dubitiate!.. Gottosa!... Vecchia catarrosa!... Siete una massa di rammolliti, di radici decrepite.... È la Gatta che mena la faccendal... Ma, me la pagherà?... Cosa' vai borbottando, tu, Giuda! Tigre! Traditrice!... Bau! Bau! Bau!... LA GATTA Sentite, e insulta tutti quanti.... TYLTYL È vero, è insopportabile, non si può più Signora Edera, vorrebbe avere la cortesia di legarlo ?... L' EDERA (avvicinandosi timorosa al Cane) Ma non morderà?.... IL CANE (ringhioso) Anzi, anzi!... Ti abbraccerà!... Aspetta, aspetta, ora vedrai... Vieni, vieni avanti, ammasso di vecchie cordacce!... TYLTYL (minacciandolo col bastone) Bada, Tylô!... IL CANE (strisciando ai piedi di Tyltyl e agitando la coda) Che cosa devo fare, mio piccolo dio?... TYLTYL A cuccia!... Obbedisci all'Edera. Lasciati legare: se no.... IL CANE (borbottando fra i denti, mentre l'Edera lo lega strettamente) Corda da impiccati!... Laccio da vitelli!... Catena da porci!... Guarda, guarda che cosa mi fa, mio piccolo dio.... Mi taglia le gambe.... Mi strozza!... TYLTYL Peggio per te!... L' hai voluta: ben ti sta. Zitto lì, quieto!... Sei insopportabile!.. IL CANE Va, bene: però t'inganni, sai, sul loro conto.... Hanno delle cattive intenzioni.... Guàrdati, mio piccolo dio!... Ah, mi chiude la bocca.... Non posso più parlare!... L'EDERA (dopo aver legato solidamente il Cane) Dove devo portarlo?... L' ho imbavagliato ben bene.... Non può più muoversi.... LA QUERCIA Legalo stretto qua sotto, dietro al mio tronco, alle mie radici.... Vedremo poi che cosa converrà di fare.... (L'Edera, aiutata dal Pioppo, porta il Cane dietro al tronco della Quercia). L'avete legato?... Ebbene, ora che ci siamo liberati da questo testimonio fastidioso, da questo rinnegato, deliberiamo secondo la nostra giustizia e la nostra verità..... Non ve lo nascondo: sono profondamente, penosamente commossa.... Per la prima volta ci è dato di giudicare l'Uomo e di fargli sentire la, nostra, potenza. Dopo tutto il male che ci ha fatto, dopo le mostruose ingiustizie patite, non rimane il minimo dubbio, credo, sulla, sentenza che sarà pronunziata... (Tutti gli Alberi e tutti gli Animali, in coro) No, no, no!... Nessun dubbio!... L'impiccagione!... La morte!... C'è troppa ingiustizia! L'Uomo ha abusato troppo di noi!... E da troppo tempo ormai!... Schiacciarlo, bisogna! Divorarlo!... Subito!... Subito!... TYLTYL (alla Gatta) Perchè gridano così?... Che cosa vogliono?... LA GATTA Non ci badare.... Sono un po' arrabbiati perchè la Primavera è in ritardo.... Lascia fare a me, accomoderò tutto io.... LA QUERCIA Questa unanimità era prevedibile.... Ora si tratta di sapere, per evitare ogni rappresaglia, quale sarà, il supplizio più pratico, più facile, più spiccio e sicuro; che lascerà, dietro di sè minori tracce accusatrici, quando gli Uomini ritroveranno il piccolo cadavere nella foresta TYLTYL Che cosa significa tutto questo? A che cosa mirano?... Comincio ad essere seccato. La Quercia deve darmi l'Uccellino Azzurro, poichè ce l' ha: e basta.. IL TORO (avanzandosi) Il sistema più pratico e più sicuro è una buona cornata nello stomaco. Volete che mi butti addosso a lui?... LA QUERCIA Chi parla?... LA GATTA Il Toro. LA VACCA Farebbe meglio a starsene tranquillo.... Io, Per esempio, mi guardo bene dall'immischiarmi in questa faccenda.... Devo mangiare tutta l'erba di quel prato che si vede laggiù, illuminato dalla, luna.... Ho abbastanza da fare.... IL BOVE Anch'io. In ogni modo, approvo tutto fino da ora.... IL FAGGIO In quanto a me, offro il mio più alto ramo per impiccarli.... L'EDERA E io il nodo scorsoio.... L'ABETE E io le quattro assi per la piccola bara.... IL CIPRESSO E io la concessione perpetua.... IL SALICE Il mezzo più semplice sarebbe di affogarli in uno dei miei fiumi.... Me ne incarico io.... IL TIGLIO (in tono conciliante) Via, via, è proprio necessario giungere a questi estremi?... Sono così giovani ancora!... Basterebbe semplicemente impedir loro di nuocere, imprigionandoli in un recinto chiuso che m'incaricherei di costruire io stesso piantandomi tutt'intorno.... LA QUERCIA Chi parla così?... Mi par di riconoscere la voce melata del Tiglio.... L'ABETE Infatti.... LA QUERCIA C'è dunque un rinnegato fra noi, come fra gli Animali?... Non avevamo da deplorare finora se non la defezione degli Alberi fruttiferi ; ma essi non sono veri Alberi.... IL PORCO (girando intorno gli occhi ingordi) Io dico che bisogna prima di tutto mangiare la bambina.... Dev'essere così tenera?... TYLTYL Che dice quello là?... Aspetta, aspetta, canaglia!.... LA GATTA Non capisco con chi ce l'abbiano, ma mi pare che la faccenda prenda una cattiva piega.... LA QUERCIA Silenzio! Bisogna sapere chi di noi infliggerà il primo colpo; chi distoglierà dalle nostre cime il più grande pericolo che abbiamo mai corso dopo la nascita dell'Uomo.... L'ABETE Quest'onore tocca a voi, regina nostra e signora.... LA QUERCIA È l'Abete che parla?... Ahimè, sono troppo vecchia!... Sono cieca, inferma, e le mie braccia intorpidite non mi obbediscono più.... La gloria di compiere il nobile gesto della nostra liberazione spetta a voi, fratello mio, sempre verde, sempre dritto: a voi che vedeste nascere la maggior parte di questi alberi.... L'ABETE Vi ringrazio, madre mia venerata.... Ma siccome avrò già l'onore di seppellire le due vittime, temerei, accettando, di destare la giusta gelosia dei miei colleghi... Credo che, dopo di noi due, il Faggio sia il più antico e il più degno, quello che possiede la clava più potente..., IL FAGGIO Sono tutto imporrito, lo sapete, e la mia clava, non è punto sicura.... L'Olmo e il Cipresso, piuttosto, hanno delle armi potenti.... L' OLMO Non chiederei di meglio: ma posso appena reggermi in piedi.... Una talpa, questa notte, mi ha storto il pollice del piede.... IL CIPRESSO In quanto a me, son pronto a tutto.... Ma anch' io, come il mio buon fratello Abete, avrò, se non il privilegio di seppellirli, quello almeno di piangere sulla loro tomba.... Accumulerei illegittimamente troppi onori.... Domandate piuttosto al Pioppo.... IL PIOPPO A me? Dite sul serio?... Ma se il mio legno è più tenero delle carni di un bambino!... poi, non so che cosa io abbia, oggi.... Tremo dalla febbre.... Guardate le mie foglie.... Forse ho preso freddo stamani, al levar del sole. LA QUERCIA (con uno scoppio d' indignazione) Avete paura dell' Uomo, questa è la verità!... Perfino questi due bambini, soli e senza armi, v'incutono il terrore misterioso che fece sempre di noi gli schiavi che siamo!... Ebbene, no!... Basta!... Poichè è così, e d'altra parte l' occasione è unica, andrò io, sola, vecchia, rattrappita, tremante, cieca come sono, contro il nemico ereditario!... Dov'è?... (Si avanza a tastoni, appoggiandosi al bastone, incontro a Tyltyl). TYLTYL (estraendo di tasca il coltello) Ce l' ha con me quella vecchiaccia, col bastone?... (Alla vista del coltello tutti gli Alberi, con un urlo di terrore s'intromettono fra i due trattenendo la Quercia). GLI ALBERI Ha il coltello!... Badate!... Ha il coltello!.., LA QUERCIA (dibattendosi) Lasciatemi!... Che m' importa del coltello o dell'ascia!... Chi mi trattiene?... Come!... 128 Siete qui tutti?... Come, voi tutti volete.... (Gettando via il bastone). Ebbene, sia!.... Vergogna!... Lasciamo dunque agli animali il còmpito di liberarci!... IL TORO SI!... Me ne incarico io!... E con una sola cornata!... IL BOVE e la VACCA (trattenendolo per la coda) Di che cosa t' immischi, tu?... Non fare sciocchezze!... È un affare sballato!... Andrà a finir male.... Riderà bene chi riderà l'ultimo!... Lascia andare.... Tocca agli Animali selvatici.... IL TORO No, no!... Tocca a me!... Aspettate!... Ma tenetemi, fermo, dunque, se no succede qualche guaio!... TYLTYL (a Mytyl, che getta acute grida) Non temere!... Mettiti qua, dietro a me... Ho il coltello.... IL GALLO Èspavaldo il piccino!... TYLTYL Dunque, è proprio vero, ce l'hanno con me?... L'ASINO Ma certo, piccino mio. Ce n'è voluto, perchè tu capissi!... IL PORCO Puoi dire le tue preghiere; è giunta la tua ultima ora.... Ma non cercare di nascondere la piccina.... Voglio godermela intanto con gli occhi.... La mangerò per la prima.... TYLTYL Che cosa vi ho fatto dunque?... IL MONTONE Nulla, piccino mio.... Hai soltanto mangiato il mio fratellino, le mie due sorelle, i miei tre zii, mia zia, il nonno, la nonna.... Aspetta, aspetta che ti buttino in terra, e ti accorgerai se ho denti anch'io.... L'ASINO E io buoni zoccoli!... IL CAVALLO (scalpitando con fierezza) Vedrete.... quello che vedrete!... Preferite che lo dilanii coi denti o che l'abbatta a forza di calci?... (Si avanza fieramente verso Tyltyl, che si difende mostrando il coltello. Ma a un tratto, preso da panico, il Cavallo volta il dorso MAURICE MAETERLINK. L'Uccellino Azzurro. 9 e fugge a gambe levate). Ah, cosi no!... Non è giusto!... Non è buon giuoco!... Si difende.... IL GALLO (che non può nascondere la sua ammirazione) È coraggioso, però, il piccino!... IL PORCO (all'Orso e al Lupo) Precipitiamoci su di loro tutti insieme.... Io vi sosterrò per di dietro.... Li getteremo a terra, e allora ci divideremo fra tutti la piccina.... IL LUPO Attirateli da quella parte.... Io, intanto faccio una manovra avvolgente.... (Gira dietro a Tyltyl, lo investe e lo getta quasi lungo disteso per terra). TYLTYL Giuda!... (Si rialza a mezzo, sorreggendosi su un ginocchio; indi, brandendo il coltello, copre, come può, col proprio corpo la sorellina la quale, atterrita, urla disperatamente. Vedendolo quasi a terra, tutti gli Animali e gli Alberi si precipitano su di lui tentando di colpirlo. Tyltyl invoca aiuto, gridando). A me!... A me!... Tylô! Tylô!... Dov'è la Gatta?... Tylô!... Tylette! Tylette!... Venite! Venite qua!... LA GATTA (in disparte, ipocritamente) Non posso.... M'hanno schiacciata una zampa.... TYLTYL (parando i colpi e difendendosi come può) A me!... Tylô! Tylô!... Non ne posso più!... Sono troppi!.. C'è l'Orso! Il Porco! Il Lupo! L'Asino! L'Abete! Il Faggio!... Tylô! Tylô! Tylô!... (Il Cane, trascinando con sè i lacci spezzati, balza, fuori di dietro al tronco della Quercia, e sgominando Alberi e Animali si getta davanti a Tyltyl, e lo difende rabbiosamente). IL CANE (dando morsi a destra e a sinistra) Eccomi, eccomi, mio piccolo dio!... Non aver paura! Forza!... Ho buoni denti, io!... Tieni, questo è per te, Orso, nel tuo grosso deretano!... Su, chi ne vuole ancora?... Questo è per te, Porco, e. questo per te, Cavallo, e questo per la tua coda, Toro! Ecco! Ho dilaniato i calzoni del Faggio e la sottana della Quercia!... L'Abete se la dà a gambe.... Che fatica, però .. TYLTYL (accasciato) Non ne posso più!... Il Cipresso m'ha dato un gran colpo sulla testa.... IL CANE Ahi!... Questo è un colpo del Salice.... Mi ha, rotto una gamba!... TYLTYL Tornano alla carica, tutti quanti!... Questa volta, li guida il Lupo.... IL CANE Aspetta, aspetta che lo stritolo! IL LUPO Imbecille !... Sei nostro fratello!... I suoi genitori hanno affogato i tuoi cuccioli!... IL CANE Hanno fatto bene!.... Tanto meglio!... Perchè somigliavano a te ! TUTTI GLI ALBERI E TUTTI GLI ANIMALI Rinnegato!... Sciocco!... Traditore! Fellone! Balordo!... Giuda!... Lascialo! A morte! A noi! IL CANE (ebro di ardore e di abnegazione) No, no!... Solo contro tutti!... No, no!... Fedele al mio piccolo dio! al migliore! al più grande!... (A Tyltyl) Attento, ecco l'Orso!... Diffida del Toro.... ora gli salto al collo.... Ahi!... Che calcio!... L'Asino m' ha spezzato due denti.... TYLTYL Non ne posso più, Tylô.... Ahi!... Il Pioppo mi ha colpito.... Guarda, mi sanguina la mano... È stato il Lupo, o il Porco.... IL CANE Aspetta, mio piccolo dio.... Lascia che ti baci.... Qua, una buona leccata.... Ti guarirà.... Sta' qui dietro di me.... Non osano più avvicinarsi.... Sì! Eccoli, tornano!... Ora la faccenda si fa seria!... Teniamo duro!... TYLTYL (lasciandosi cadere a terra) No, non ne posso più.... IL CANE Vien qualcuno!... Lo sento all'odore.... TYLTYL Di dove?... Chi?... IL CANE Di laggiù!... Ah, è la Luce!... Ci ha ritrovati!... Siamo salvi, mio piccolo re!... Abbracciami!... Salvi!... Guarda!... Si mettono in guardia.... Si scostano.... Hanno paura!... TYLTYL La Luce!... La Luce!... Vieni dunque!... Presto!... Si sono ribellati!... Tutti contro di noi!... (Entra la Luce; via via che s'inoltra, l'Aurora si alza sulla foresta, che ne è tutta illuminata). LA LUCE Che cosa succede? Che cos'è? Ma, disgraziato, non lo sapevi?... Gira il Diamante! Rientreranno così nel Silenzio; e nell'Oscurità: e tu non vedrai più i loro sentimenti.... (Tyltyl gira il Diamante. Ed ecco, tutte le anime degli Alberi si precipitano nei rispettivi tronchi, che tosto si richiudono. Anche le anime degli Animali spariscono; e si vedono, lontano, una Vacca e un Montone pascolare tranquillamente. La foresta riprende il suo aspetto innocente. Stupito, Tyltyl guarda intorno a sè). TYLTYL Dove sono andati?... Che cosa avevano?... Erano forse pazzi?... LA LUCE No, no, Sono sempre così: ma noi non lo sappiamo perchè non possiamo vedere dentro di loro.... Te l'avevo detto: è pericoloso destarli nella mia assenza.... TYLTYL (asciugando il coltello) Non c'è che dire: se non ci fosse stato il Cane, e se io non avessi avuto il coltello.... Ah, non avrei mai creduto che fossero così cattivi!... LA LUCE Come vedi, l'Uomo è solo contro tutti, nel mondo.... IL CANE Non ti sei fatto mica troppo male, mio piccolo dio?... TYLTYL Niente di grave.... In quanto a Mytyl, non l' hanno nè anche toccata.... Ma tu, piuttosto, mio povero Tylô!... Hai la bocca insanguinata, la zampa rotta.... IL CANE Non vale la pena di parlarne.... Domani non si vedrà più nulla.... Ma è stato un affar serio!... LA GATTA (sbucando fuori zoppicando, dal fitto di un cespuglio) Altro che serio!... Il Bove m'ha dato una cornata nel ventre.... Non si vede il segno, ma mi fa tanto male.... E la Quercia m'ha rotto una zampa.... IL CANE Quale? Mi piacerebbe di saperlo!... MYTYL (accarezzando la Gatta) Povera la mia Tylette!... Davvero?... Ma dov'eri?... Non ti ho vista.... LA GATTA (con ipocrisia) Sono rimasta ferita subito, mammina cara, mentre assalivo il Porco che voleva mangiarti.... La Quercia mi assestò allora quel colpo tremendo che m' ha stordita.... IL CANE (alla Gatta, fra i denti) In quanto a te, sai, ho da dirti due paroline.... Mai non perdi niente ad aspettare!... LA GATTA (con accento lamentoso a Mytyl) Mammina, lo senti? M'insulta.... Vuol farmi male.... MYTYL (al Cane) Vuoi o non vuoi lasciarla stare, bestiaccia?.... (Escono tutti). CALA LA TELA.

Subito dopo l'omìno dalla maschera di mastino - che d'ora innanzi chiameremo Cane - si precipita su Tyltyl, lo abbraccia violentemente e lo copre di carezze impetuose; mentre la donnina dalla maschera di gatta - che per semplificare chiameremo Gatta - si avvicina a Mytyl, dopo essersi ravviati i capelli, lavate le mani e lisciati i baffi). IL CANE (urlando, saltando, buttando tutto all'aria, dando noia a tutti) Mio piccolo dio!... Buongiorno, buongiorno, mio piccolo dio!... Finalmente, finalmente posso parlare!... Avevo tante cose da dirti!... Avevo un bell'abbaiare e scodinzolare!... Tu non capivi.... Ma ora!... Buongiorno! buongiorno! ... Come ti voglio bene!... Come ti voglio bene!... Vuoi che faccia qualche cosa di straordinario?... Vuoi che mi metta a camminare sulle mani d che balli sulla corda?... TYLTYL (alla Fata) Chi è questo signore con la testa di cane? LA FATA Non vedi? È l'anima di Tylô, da te liberata or ora.... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino azzurro. 3 LA GATTA (avvicinandosi con prudenza a Mytyl e porgendole cerimoniosamente la mano) Buongiorno, signorina,.... Come siete bella stamani!... MYTYL Buongiorno, signora.... (alla Fata) Chi è?... LA FATA Non indovini?... È l'anima di Tylette che ti porge la mano.... Su, via, dàlle un bacio.... IL CANE (dando uno spintone alla Gatta) Anch'io!... Voglio abbracciare il piccolo dio!... Voglio abbracciare la bimba! Voglio abbracciare tutti! Bene!... Come ci divertiremo!... Voglio far paura a Tylette.... Bau! Bau! Bau!... LA GATTA Signore, non ho il piacere di conoscervi. LA FATA (minacciando il Cane con la sua bacchetta) Sta' fermo, tu; se no ti faccio rientrare nel silenzio fino alla fine dei tempi.... (Nel frattempo la scena magica continua a svolgersi. L'Arcolaio in un angolo si è messo a girare vertiginosamente dipanando dei meravigliosi raggi di luce. Dall'altra parte la Fontanella si mette a cantare con voce acutissima, e, trasformandosi in fontana luminosa, inonda l'acquaio di un torrente di perle e di smeraldi dove si getta l'anima dell'acqua, simile a una fanciulla scapigliata, grondante di pioggia, e tutta in lacrime. Essa si azzuffa subito col Fuoco). TYLTYL E quella signora tutta bagnata?... LA FATA Non temere. È l'Acqua, che scappa fuori dalla cannella.... (Il Bricco del latte si rovescia, cade in terra, si spezza. Dal latte sparso s'inalza una figura alta, bianca e pudica, che ha l'aria di aver paura di tutto). TYLTYL E quella signora in camicia, così spaurita?... LA FATA È il Latte che ha rotto il suo bricco.... (Il Pan di zucchero posato ai piedi dell'armadio cresce a poco a poco e rompe l' involucro di carta, dal quale sbuca fuori un essere sdolcinato e mellifluo, vestito con una cappa mezza bianca e mezza celeste, che sorridendo beatamente si avanza verso Mytyl). MYTYL (impaurita) Chi è?... LA FATA Non vedi? È l'anima dello Zucchero!... MYTYL (rassicurata) Chi sa se avrà lo zucchero filato?... LA FATA Sì, certo; in tasca non ha che zucchero filato, e ogni dito della mano è di zucchero filato.... (La Lampada cade a terra, e appena caduta, la sua fiammella si raddrizza e si trasforma in una vergine luminosa d' incomparabile bellezza. È coperta da lunghi veli trasparenti e abbaglianti, e rimane immobile, come in estasi). TYLTYL È la Regina!... MYTYL È la Madonna!... LA FATA No, bambini miei. È la Luce. (Intanto le cazzeruole sulle mensole si mettono a girare come tante trottole. L'armadio della biancheria spalanca i suoi sportelli, e ne escono fuori stoffe magnifiche color di sole e color di luna, alle quali si uniscono dei cenci e degli stracci dall'aspetto non meno sontuoso, che scendono giù dalla scaletta del granaio. Ma a un tratto si odono tre colpi bruschi alla porta a destra). TYLTYL (spaventato) È il babbo! Ha sentito!... LA FATA Gira il diamante!... Da sinistra a destra.... (Tyltyl gira in fretta il diamante). Non così in fretta! Dio mio! È troppo tardi.... L'hai girato troppo presto.... Non faranno più a, tempo a riprendere il loro posto e avremo delle noie, ho paura.... (La Fata riappare di nuovo sotto l'aspetto di una brutta. vecchia; le pareti della capanna perdono il loro splendore, le Ore ritornano dentro all'orologio, l'Arcolaio si ferma, ecc. Ma nella fretta e nella confusione generale, mentre il Fuoco corre pazzamente intorno alla stanza in cerca del focolare, uno dei Pani Tondi da quattro libbre che non è riuscito a trovar posto nella madia, scoppia in singhiozzi urlando dallo spavento). Che cosa c'è?... IL PANE (piangendo) Non c'è più posto nella madia?... LA FATA (guardando dentro alla madia) Ma sì, ma sì.... (spingendo gli altri Pani che hanno ripreso il loro posto). Via, presto, stringetevi un po'.... (Bussano di nuovo alla porta). IL PANE (smarrito, sforzandosi invano di entrare nella madia) Non c'è rimedio.... Mi mangeranno prima degli altri! IL CANE (saltando intorno a Tyltyl) Mio piccolo dio!... Io son sempre qui!... Posso parlare ancora!... Ancora! ancora! ancora... LA FATA Come, anche tu?... Sei sempre qui?... IL CANE Ho avuto fortuna!... Non sono potuto tornare nel silenzio. La botola si è chiusa troppo presto.... LA GATTA E la mia pure.... Che cosa succederà?... Siamo forse in pericolo?... LA FATA Ecco, debbo dirvi la verità: tutti quelli che accompagneranno i due bambini, moriranno alla fine del viaggio.... LA GATTA E quelli che non li accompagneranno?... LA FATA Sopravviveranno pochi minuti.... LA GATTA (al Cane) Vieni, rientriamo nella botola.... IL CANE No, no, non voglio!... Voglio accompagnare il mio piccolo dio!... Voglio parlargli sempre!... LA GATTA Scimunito!... (Bussano di nuovo alla porta). IL PANE (piangendo a calde lacrime) Non voglio morire alla fine del viaggio!... Voglio tornar subito dentro la madia!... IL Fuoco (che nel frattempo non ha smesso un istante di correre vertiginosamente intorno alla stanza, con sibili d'angoscia) Non trovo più il focolare!... L'ACQUA (tentando invano di rientrare nella cannella) Non mi riesce più di rientrare nella, cannella!... Lo ZUCCHERO (affannandosi intorno all'involucro di carta) Ho lacerato la, carta che m'involtava... IL LATTE (linfatico e pudico) Mi hanno rotto il bricco! LA FATA Che stupidi, Dio mio!... Stupidi e vili.... Preferireste dunque di continuare a vivere in quelle brutte scatole, nelle botole o dentro alle cannelle piuttosto che accompagnare i bambini nella ricerca dell'Uccellino Azzurro?... TUTTI (eccettuati il Cane e la Luce) Sì, sì! Lo preferiamo!... Oh, la mia cannella!... La mia madia!... Il mio focolare!... La mia botola!... LA FATA (alla Luce, che contempla pensosa i resti della sua lampada infranta) E tu, Luce, che cosa ne pensi?... LA LUCE Io accompagnerò i bambini.... IL CANE (abbaiando di gioia) Anch'io!... anch'io!... LA FATA Meno male! È troppo tardi, in ogni modo, per tornare indietro. Non sta più in voi di scegliere; perciò verrete tutti con noi.... Ma tu, Fuoco, abbi cura di non avvicinarti a nessuno; e tu, Cane, non punzecchiare la Gatta e tu, Acqua, procura di star bene diritta e di non sgocciolare dappertutto.... (Si odono novamente dei colpi violenti alla porta di destra) TYLTYL (ascoltando) È il babbo, di nuovo.... Questa volta si è alzato davvero, lo sento camminare.... LA FATA Usciamo dalla finestra.... Verrete tutti a casa mia, e cercherò di vestire come si conviene gli animali e le cose.... (Al Pane) Tu, Pane, prendi la gabbia nella quale metteremo l'Uccellino Azzurro.... L'affido a te.... Presto, presto, non perdiamo tempo.... (La finestra si allunga a un tratto e si trasforma in una porta. Escono tutti, dopo di che la finestra riprende la sua forma primitiva, e si richiude come se nulla fosse. La stanza è ritornata buia, e i due lettini sono immersi nell'ombra. L'uscio a destra si schiude, e attraverso lo spiraglio fanno capolino Babbo Tyl e Mamma Tyl). IL BABBO Non era nulla, te lo dicevo.... è il grillo che canta.... LA MAMMA Li vedi?... IL BABBO Sì. Dòrmono quieti quieti.... LA MAMMA Li sento respirare.... (L'uscio si richiude). CALA LA TELA

C'era due volte il barone Lamberto

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Gianni Rodari 1 occorrenze
  • 1996
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