Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbondanza

Numero di risultati: 113 in 3 pagine

  • Pagina 2 di 3

La fatica

169068
Mosso, Angelo 1 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Se una burrasca non le sorprende, le quaglie attraversano il Mediterraneo senza grande fatica: e spesso accade che cambiando il tempo e non potendo arrivare le altre che sono per via, mentre quelle prime seguitano il loro cammino, il cacciatore trova vuoto di quaglie il terreno dove aspettava di trovarne in abbondanza. Non ne ho vista alcuna, che, dopo arrivata, ritentasse nuovamente il volo, per posarsi più lontano sopra una delle collinette circostanti. Brehm descrisse l'arrivo delle quaglie nell'Africa. "Stando sopra un punto della costa nord dell'Africa ad osservare durante il tempo della vera migrazione delle quaglie, si può essere sovente spettatori del loro arrivo. Si scorge una nuvola scura, bassa, aleggiante al disopra delle onde, che rapidamente si avvicina, nello stesso tempo che va sempre abbassandosi, ed immediatamente dopo precipita al suolo sul margine estremo dell'onda del flusso la massa delle quaglie mortalmente stanche. Qui le povere creature giacciono da principio alcuni minuti come sbalordite e quasi incapaci di inuoversi: ma questo stato cessa in breve. Comincia a manifestarsi un movimento: una delle arrivate dà principio e tosto saltella e corre affrettatamente sulla nuda sabbia cercando il luogo più adatto per nascondersi. Passa un tempo considerevole prima che una quaglia si decida a mettere nuovamente in esercizio gli spossati muscoli del petto: di regola generale ciascuna cerca la sua salvezza nel correre, non alzandosi a volo, nei primi giorni dopo l'arrivo, che per necessità inesorabile. Per me non v'ha dubbio alcuno che, dal momento in cui lo stuolo ha nuovamente sotto di sè la terraferma, compie correndo la massima parte del viaggio che gli rimane"Opera citata, pag. 414.. Il De Filippi racconta di aver veduto delle colombe posarsi in alto mare colle ali aperte sulle onde; e per questi uccelli deve essere un segno di insuperabile stanchezza. Brehm dice aver inteso da marinai degni di fede che anche la quaglia in caso di straordinaria stanchezza si posa sulle onde, vi si riposa per qualche tempo, indi s'alza nuovamente a volo e va oltre. Non so più in che libro io abbia letto che qualcuno vide in alto mare degli uccelli, tra i volatori più forti, che avevano sulla schiena qualche uccello piccolo il quale facevasi portare e che a questo modo aveva trovato nella disperazione la salvezza. Una memoria antichissima della stanchezza delle quaglie l'abbiamo nella sacra Bibbia dove nell'Esodo si racconta come gli Israeliti si nutrirono di quaglie nel deserto. La facilità colla quale si lasciavano prendere dimostra che erano esauste dal viaggio. Vi sono degli uccelli che ad ogni primavera fanno più di quindicimila chilometri per andare dall' Africa australe, dalla Polinesia e dall'Australia fino alle regioni polari; e nell'autunno rifanno indietro il medesimo viaggio per ritornare alle loro stazioni d'inverno. Il rondone compie ogni anno il viaggio dal Capo Nord al Capo di Buona Speranza, e viceversa. Le emigrazioni delle gru e delle cicogne le vediamo ripetersi ogni anno. Ma come si orientino a traverso i monti e nel mare, come dall'Africa le cicogne e le rondini tornino al loro antico nido, come siasi sviluppato l'istinto che le guida, non sappiamo ancora. In questi ultimi anni si sono scritti libri assai pregevoli su questo argomento: citerò quelli di PalmènI. A. PALMÉN; Ueber die Zugstrassen der Vögel, 1876, Leipzig., di Weismann WEISMANN, Ueber das Wandern der Vögel. Berlin, 1878., e di Seebohm SEEBOHM,The geographical distribution of the Charadriidoe.. Ora non si contentano più gli ornitologi, contemplando gli uccelli che passano per l'aria, di dire che si tratta di un istinto mirabile. Anche su quest'argornento sono cominciati gli studi analitici. Palmèn dimostrò che gli individui più vecchi e più forti guidano le schiere migratrici, e che la maggior parte degli uccelli che fuorviano e si perdono per strada, sono individui giovani dell'ultima covata, o madri che si fermano e deviano per cercare i figli smarriti. Difficilmente i maschi adulti, se non sono sbattuti da una tempesta, perdono la strada. Palmèn ha pubblicato una carta delle grandi vie delle emigrazioni. I termini miliari di queste lunghe strade sono certi luoghi, dove gli uccelli possono riposarsi e trovare nutrimento abbondante.Palmén dice che sarebbe mancar di criterio l'ammettere che gli uccelli escano dall'uovo portando innata la conoscenza di questi luoghi. L'istinto che posseggono gli uccelli ha bisogno di essere educato. Appena escono dal nido cominciano a studiare lo spazio che li circonda, poi si allontanano in cerca del cibo e la foga del volare li spinge lontano quanto loro serve la memoria. Così sviluppasi rapidamente in essi il senso dei luoghi e della direzione. Quando giunge l'autunno si lanciano intrepidi verso i paesi del mezzogiorno; e, se un uccello nato in quell'anno è così irrequieto che non aspetta i genitori, può riuscire a trovare una via che lo conduca al suo scopo, ma il più delle volte soccombe. E perciò che generalmente viaggiano in stormi e in grandi comitive.Così imparano dai vecchi a conoscere gli accidenti del terreno, i monti, i fiumi e le valli, che sono le grandi vie maestre delle emigrazioni. Ciò che a noi sembra un istinto meraviglioso e cieco sarebbe una conoscenza dei luoghi, che le generazioni degli uccelli si tramandano come una tradizione.

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Fisiologia del piacere

170249
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
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I caffeici, cioè il caffè, il thè, il guaranà, il cioccolatte, il mate ed altre sostanze meno note, producono rare volte una ebbrezza particolare. che non può essere provata che dalle persone d'una sensibilità molto fine, e quando queste bevande vengono usate in larga abbondanza. In questo caso, si prova una sensazione piacevole di eretismo convulso, si è obbligati a ridere senza ragione, a muoverci ad ogni istante e ad espandere in mille bizzarrie l'eccesso di sensibilità che ci invade quasi a scintilla o ad onde alternate. È questa la forma di ebbrezza caffeica più comune, e ch'io ho provato due volte nel corso della mia vita, bevendo l'una dopo l'altra cinque tazze di caffè molto forte, e sorbendo, in America, una tazza abbondante del migliore cioccolatte della costa del Perù. Tutti provano effetti diversi sorbendo il caffè: pochissimi sanno distinguere e definire le diverse gradazioni di benessere che produce; ma uno dei piaceri massimi si deve ad una esaltazione rapida e passeggera della sensibilità e del pensiero che, dalla semplice coscienza di un piacere indefinito, può arrivare ad un vero accesso di eretismo fosforico e convulso.

Pagina 95

Come devo comportarmi?

172709
Anna Vertua Gentile 3 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
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Anche in un pranzo modesto vi deve essere abbondanza di piatti, di bicchieri, di posate. A un pranzo fra intimi, potrà servire la cameriera in grembiule e pettino bianco. Se in famiglia vi sono bambini piccoli, sarà bene lasciarli pranzare in altra stanza con la bambinaia. Sono innumerevoli i disturbi che possono recare i piccini; e la padrona di casa si sente in dovere di non imporli a chi le onora la casa e la mensa; molto più che non tutti sono disposti a compatire ai difettucci della infanzia, alle sue esigenze, e molto meno alle sue bizze. Se la mamma crede di fare un torto alle sue rosee creaturine bandendole dalla tavola comune nei giorni d'invito, faccia una cosa; non inviti nessuno e si goda in lungo e in largo la dolcezza di vedersi e sentirsi attorno, le risatine squillanti, le imperiose esigenze, la musica delle posate su i piatti, gli strilli di protesta, gli urli di ribellione. Il dovere di madre e di prima educatrice può esigere ch'ella sorvegli i bambini in ogni momento della giornata. Il dovere di gentildonna esige che ella non imponga agli invitati seccature e disturbi.

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Badate che il vino da pasto non sia mai freddo. « Sull'arrosto, il cameriere mescerà il Barolo, fresco, ma non freddo, sia d' estate che d' inverno, in calici grandi come quelli del Cipro o poco più, lasciando ugualmente le bottiglie, in conveniente abbondanza, alla mano degli invitati e sorvegliando a che non difetti mai. Il Barolo va tolto alla mensa soltanto al momento di servire il caffe, se questo non si prenderà in altra sala; usandosi da alcune persone di continuare con quel vino, sino a la fine del pranzo. Lo Champagne si beve in bicchieri del medesimo stile degli altri, ma in forma di coppa o di flute a fondo acuto; quest'ultima foggia è più atta a favorire lo sviluppo delle bollicine gasose e mantiene quindi più a lungo il così detto petillement dello Champagne. Mentre ancora l'arrosto è su la tavola, va servito lo Champagne, molto freddo ma non gelato, come a torto si usa dai profani. Basterà a renderlo frappè, come dicono i francesi, il far girare la bottiglia nel ghiaccio durante un quarto d'ora in estate, e per soli cinque minuti in inverno. Quando ha raggiunto la temperatura del ghiaccio, il più fino Champagne ha già perduta una parte del suo prezioso bouquet. Terminati i brindisi inevitabili dove si beve vino spumante e durante i quali è sospeso ogni servizio, si versa negli appositi calici, il Marsala, che non è necessario di lasciar poi sulla tavola, salvo ad offrirne nuovamente a quegli invitati che fossero presto rimasti a bicchiere vuoto. Al posto del Marsala si usa pure il moscato di Cagliari. « Da tutto questo, potete ricavare una norma importantissima ed invero utile pel servizio dei vini sulla mensa; quella cioè, che essi devono andar sempre crescendo in corpo e pienezza di sapore dal principio del pranzo sino alla fine, cominciando da un vino bianco molto asciutto e terminando coi vini più alcoolici o più dolci. » Le posate devono rigorosamente essere cambiate ad ad ogni portata. Ci saranno speciali posate per le ostriche, il dessert, il gelato. Sono questi adesso preziosi gingilli d'oreficeria ; utensili minimi, forchettine e coltellini il cui manico riproduce nell'argento capolavori della classica statuaria: un Perseo, un Mercurio, un Nettuno, numi e semidei destinati a porgere alle bocche dei ricchi, raffinate leccornie. Ad ornare la mensa contribuiranno le alzate con frutta e dolci. Trionfi da tavola, che sono spesso veri monumenti, opere d'arte, ricchi di gruppi simbolici, di putti, festoni e cornucopie che si ergono altissimi e imponenti, non di rado con eccessiva ostentazione di sfarzo moderno. La porcellana assai fine, porterà la cifra o lo stemma ed avrà all'ingiro il filetto d'oro. Per il dessert ci sono piattini che sono veri lavori artistici. Presso ogni posata dovrà trovarsi il menu o noticina dei piatti e dei vini che verranno serviti. La noticina sarà, su tavolette di porcellana e su cartoncini o su pergamena con in testa una miniatura artistica. Moda antipatica questa dei menus, che fa pensare alle tavole d'albergo, e pare messa la per predisporre lo stomaco, solleticare il gusto, o sfoggiare la ricchezza, la ricercatezza e la varietà dei piatti e dei vini. Ma poiche così si usa, dò qui l'esempio d' un menu per un pranzo di riguardo. Ostriche Zuppa Pesce Filetto di bue o Lingua di Zurigo Legumi Arrosto Insalata Gelato Dessert Ripeto che con le ostriche, la zuppa e il pesce, va servito il Capri; col filetto o la lingua e i legumi, il vino da pasto; il Barolo con l' arrosto, lo Champagne col gelato il Marsala col dessert. L'illuminazione nella sala da pranzo deve essere splendida. Non bastano più le lampade a luce elettrica o a gas che pendono dal soffitto sulla tavola e sui buffets; non bastano più i candelabri; ciascun commensale deve avere davanti una piccola candela coperta da un cartoccio di seta o di carta, di forma elegantissima. I poveri occhi, della nostra povera generazione, non sono abbastanza logorati e indeboliti dalla luce artificiale troppo viva; bisogna anche abbagliarli. Ma poichè la moda vuole così !... Ho sentito dire d'un pranzo in una casa di ricchi borghesi, ove per mezzo di uno speciale apparecchio elettrico, a un certo punto si accesero e sfavillarono con effetto sorprendente di novità e di gaiezza, le lampadine artistiche messe davanti a ciascun commensale. Le portate non devono mai essere meno di quattro nè più di cinque oltre la zuppa e il dessert. II pranzo non deve durare più d'un'ora e mezzo. Il caffè, che si prende in salotto, deve essere un vero aroma e servito in tazze piccolissime; alla turca. Per il caffè, ora è quasi necessario il vassoio d'argento antico, chicchere pure in argento, cucchiaino d'argento ossidato, anche con qualche smalto; e sul tavolino da caffè deve trovarsi una scatola d'argento ermeticamente chiusa per le sigarette d'oriente. Nella borghesia i fanciulli al di là dei dieci anni, assistono al pranzo di gala, occupando gli ultimi posti e essendo gli ultimi serviti. Gli invitati devono arrivare dieci minuti prima dell'ora indicata. Adesso l'uso vuole, che la padrona di casa attenda gli invitati in una sala e il padrone in un'altra. Gli invitati passano prima nella sala della signora, poi in quella del padrone. Le invitate restano colla signora. Un poco prima del pranzo, il maggiordomo o il servitore, si presenta, sulla soglia della sala ove sono radunati gli uomini, e con un inchino avverte che la signora attende. Gli uomini allora entrano nella sala delle signore; il padrone saluta e complimenta le invitate, e si passano conversando i pochi minuti che precedono la ricomparsa del servo su la soglia, comparsa muta, che vuol dire « la signora è servita. » Così finisce il prologo della commedia. Al muto invito del servitore, la signora prega gli ospiti a seguirla, appoggiandosi al braccio dell'invitato che a tavola dovrà sederle a destra. Il padrone di casa offrirà il braccio alla signora di maggior riguardo. Che se fra le convitate ci fosse una signora superiore per condizione, o per meriti o ingegno (se pure meriti e ingegno danno diritto a superiorità) il padrone passerà prima della padrona. Se fra gli invitati vi fosse un sacerdote, la signora lascerà passare tutti gli altri e si intratterrà con lui cercando di interessarlo di qualche cosa, finchè chiacchierando, passeranno per gli ultimi, uno vicino all'altra. Arrivati tutti in sala, se il posto non ha il cartellino col nome di chi lo deve occupare, gli invitati aspetteranno che loro venga designato. Il cavaliere che accompagna la sua dama a tavola, giunto al posto, le fa un inchino cui la signora risponde con un cenno del capo. Seduto a mensa il cavaliere si deve occupare della signora che gli sta alla sinistra. Il servizio sarà fatto in silenzio, con la massima celerità e tranquillità. Finito il pranzo, la signora di casa si alza; ogni cavaliere offre il braccio alla propria dama e passano in un'altra sala ove viene servito il caffè, che la padrona stessa, mescerà e che i servi recheranno agli invitati, secondo il grado sociale e l'eta. Dopo il caffè, ordinariamente, gli uomini passano nel gabinetto da fumare e le signore rimangono in sala. Ma i veri gentiluomini rinunciano alla fumata per il piacere di stare con le signore, di intrattenersi con esse, gustare la loro conversazione, il loro spirito. E qui finisce la commedia.

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Una bellezza non aspettava altra, le sorprese si succedevano che pareva impossibile; e che abbondanza d'ogni cosa! che eleganza, che lusso!... Un giardino che neanche il paradiso terrestre; una casa vasta, ricca, che ci si sente in soggezione come in Chiesa; la tavola poi... uno scintillìo di posate e piattini e vassoi; certi piatti e tondi e zuppiere e bicchieri e calici, che via! manco a pensarlo !... C'erano piantine e fiori da per tutto; e un profumo poi che a tutta prima si aspirava a larghe narici e in fine dava la sonnolenza, da tanto che era squisito e sottile!... Bella cosa essere ricchi come i signori marchesi!... Uno si cava le voglie che ha; non ha ancora desiderato una cosa, che detto fatto: il desiderio è soddisfatto in piena regola. Vuole un pranzo come quelli che si dicono nelle panzane?... Il pranzo è imbandito lì per lì e te lo mandano su con la macchinetta come se davvero, sotto, nei sotterranei, ci fosse, una fata capace dei più grandi prodigi. Vuole vestiti, gingilli, gioielli ?... ed ecco vestiti, gingilli, giosenza bisogno d'una potente madrina, come quella della Cenerentola. Ah la marchesina non ha certo bisogno che alcuno tocchi con la bacchetta magica le zucche dell'orto per convertirle in carrozze !... Carrozze, carrozzelle, cavalli, ciuchi, capre, nulla le manca a lei per il suo piacere!... E pure non pare punto contenta. A tavola non aveva certo l'appetito che ho sempre io e che mi fa trovare squisita la minestra e il po' di carne di casa mia. Faceva boccuccia su tutto e certe smorfiette disdegnose e certi attucci di disprezzo per le leccornie che le mettevano dinanzi!... In su le prime il suo mangiar nulla o punto, mi tenne un poco in soggezione e mi provai anch'io di toccare appena la buona roba che mi mettevano sul piatto; ma poi, spinta dall'appetito, pensai a mangiare e lasciai ch' ella facesse a modo suo. « Uno si deve vergognare solo di ciò che è male! » suol dire il babbo. Ora mangiare non è certo un male, e quando non lo si fa per ghiottoneria, non c'è da vergognarsene, mi pare!... Finito il pranzo, si uscì dal salotto che odorava forte di cibi, e qui cominciarono altre meraviglie. I signori uomini, insieme con la marchesa, andarono fuori, prendendo per la campagna: e babbo li seguì. Il povero babbo mi pareva un po' stanco e seccato, a dir vero; egli ama tanto la vita semplice e alla buona di casa sua! e suol dire che via di lì, lontano dalla mamma e dai figliuoli (noi siamo in cinque tra fratelli e sorelle), gli pare di essere un pesce fuor d'acqua, gli pare di essere!... Ma ha dovuto accettare l'invito questa volta; e portare me con lui per divertire la marchesina, che a stare sempre sola s'inuggisce. Ecco perchè io passai la giornata in casa dei marchesi. Dunque, una volta finito il desinare, cominciarono per me le meraviglie. Zoe (che nome strano !) Zoe, la marchesina, che ha qualche anno più di me ed è alta, smilza, smorta e striminzita in un bellissimo abito di seta chiara tutto trine e fiocchi, mi menò a girare tutta la villa ed il giardino, angolo per angolo. Vidi camere che avevano l'aria di scatole preziose, tanto erano ben tappezzate, con mobili d'una bellezza che neanche a dirlo!... La camera di Zoe è tutta in raso azzurro come il cielo; azzurre le pareti, azzurro il soffitto, e i mobili, e il letto e le tende della finestra e il tappeto per terra. Io non osavo entrare e me ne stavo quasi ingrullita su la soglia. Quando le dissi che non entravo perchè avevo paura di sporcare il tappeto con i piedi, ella rise di gusto e mi fece vedere a fare pirolette ed a sgualcire le superbe tende con le manine nervose. Mi mostrò poi un grandissimo salotto, ricco, tutto a pitture e un pianoforte in un angolo. - È il salotto di ballo ! - mi spiegò. E additandomi i molti candelabri pendenti dal soffitto soggiunse, che quando quelli erano tutti accesi, là dentro c'era uno sfolgorio di Luce, e le signore in sfarzosa toeletta ed i signori in frack e cravatta bianca, ballavano alle volte fino all'alba. Dev'essere una cosa incantevole un ballo in quel salotto! io che non ho mai visto altra festa di quella del paese nel dì della sagra, che si da nella scuola comunale, o magari in piazza, io, per certo non mi posso figurare una magnificenza simile. E pure alle feste della sagra, la gente balla allegramente e si diverte, senza bisogno di tanti lumi e di sì gran lusso!... Dal salotto si passa in un luogo incantato: una specie di grotta, con i muri di tufo e conchiglie e piantine per tutto, e al suolo un vero giardino, nel mezzo del quale sta un gabbione che pare un palazzo, con molti uccelli dai colori più smaglianti che si possa dire. - È il salottino, ove si viene a fumare! - mi disse Zoe; - d'inverno ci si accende la stufa e d'estate si sta a vetri aperti per avere la frescura. - Io me ne stava ammi- rata, gli occhi sgranati, la bocca aperta. Bisogna dire che fossi un po' buffa, perchè Zoe sorrideva in certo modo come a dire: «Che sciocchina?... non ha mai visto nulla! » No, ch'io non avevo mai visto nulla di simile; e quegli uccelli, dalle piume smaglianti, i ciuffetti capricciosi, le magnifiche code, io non potevo lasciar di guardarli. - Non hai veduto mai delle bestiole come queste? - mi chiese Zoe, con una piccola nota d'ironia nella voce. Ed io le risposi che infatti non ne aveva visti mai. L'uccello più raro del mondo era fino allora stato per me, il merlo di Pedrotto il ciabattino, che fermava la gente con il suo canto e per il quale andava matto il signor Prevosto!... E la signorina Zoe, a ridere di me e del merlo del ciabattino e insieme anche un pocolino del signor Prevosto che lo ammirava. La sorpresa più grande però mi doveva essere serbata per ultimo, e mi aspettava nel gabinetto di studio della marchesina. Sotto una campana di vetro, troneggiava su d'un tavolino rotondo una bambola bellissima, di quelle che hanno i capelli veri, i dentini fra le labbra, le dita delle mani staccate le une dalle altre; e sembrano vive. - Oh la bella bambola ! - esclamai io, che non ne aveva mai viste di cosi fatte - oh la magnifica bambola! - Zoe la tolse di sotto la capanna, e dopo averla accarezzata la pose in terra. Che cosa vidi io allora ?... la bambola prese a camminare per la stanza, a piccoli passi, e gesticolando e movendo la testina disse spiccato, con una bella voce di bimba: - Buon giorno, mamma!... come va?... io sono sempre buona e voglio andare a passeggio. - Non so che cosa mi pigliasse in quel momento. Fatt'è che un senso strano di sgomento mi fece battere il cuore fitto e mi avvicinai a Zoe quasi a cercarle protezione. Questa si prese fra le braccia la bambola, la baciò, mi parve che le accomodasse intorno il vestito e poi la ripose a terra, dicendo: - Da brava, Ines, fate i complimenti alla signorina. - E la bambola mosse verso di me e alzando la testa, disse: - Benvenuta, signorina ! - Benvenuta e grazie della sua visita ! - Mi ritrassi contro il muro affatto spaurita. Non mi sapeva render ragione della cosa e ciò mi sgomentava vagamente. - O che è ?... o perchè? - chiesi con il fiato mozzo. - È una bambola viva! . fece Zoe ridendo. - Viva ?... proprio ? - balbettai io. E Zoe a ridere buttando indietro la testa. Capivo che si burlava di me, ma non riuscivo a spiegarmi la stranezza della cosa. - Ma non sai nulla di nulla, tu? - seguitò la marchesina riponendo la bambola sotto la campana. - Non ti ha detto ancora nessuno che ora c'è una macchinetta che conserva e riproduce la voce?... Non hai mai sentito parlare del fonografo ? - Il fonografo?... una parolona compagna io non l'aveva proprio mai sentita pronunciare, nè pure dal Prevosto dal pulpito!... E la marchesina mi dovette spiegare la cosa. Chi si poteva figurare, domando io, che si riuscisse a far parlare una bambola? Quella meraviglia mi dura ancora dentro l'anima. Non posso staccare il pensiero da quella bamboletta che camminava e gesticolava, parlando come una bambina viva. E dice Zoe, che verrà tempo in cui quella macchinetta dal nome difficile, sarà posta in ogni casa per raccogliere e conservare tutto ciò che si dirà. Oh allora uno si guarderà, bene dal parlare male, imbizzito, volgare e sopra tutto dal dir bugie!... Che non bastava, dico io, l'interna voce, che s'incarica lei di rimproverarci quando diciamo delle corbellerie o delle cose non vere?... Bisognava proprio inventare una macchinetta spia?... e... far chiacchierare le bambole, quando si dice che le fanciullette hanno sempre la lingua in moto e assordano con il loro chiacchiericcio?... Queste mie idee le esposi al babbo ieri sera mentre si tornava a casa. E lui sapete che cosa mi ha risposto ?... che in tal modo le fanciulline impareranno a riflettere prima di parlare; e che la paura della macchinetta spia, educherà la loro linguccia meglio di qualunque ammaestramento e consiglio. Pazienza dunque!... verrà la macchina educatrice e l'educazione delle bambine sarà, fatta a macchina, come si fanno a macchina le stoffe ed i ricami!... Che cosa strana eh?... Che ne dite voi altre bambine?... Io per me credo... ma... acqua in bocca!... non bisogna dir male delle macchine che vanno su la bocca di tutti, e che tutti portano a' sette cieli!... Ma io per me... vedete se posso tacere!... se ci fosse qui il fonografo direbbe a tutti che io non so tenere in me un segreto, e mi farebbe una bella fama, mi! (Scappa via correndo).

Pagina 430

Il successo nella vita. Galateo moderno.

174654
Brelich dall'Asta, Mario 2 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
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Essa esige un viso dai lineamenti regolari, una figura snella con un collo aggraziato ed una certa abbondanza di capelli. Se una signora ha tanto pochi capelli, che in caso se li facesse tagliar corti, ne trasparirebbe la pelle del capo, meglio se si tiene i suoi capelli lunghi. Anche la figura di signore piccole grasse, come pure quella di signore già vecchie che si possono appena muovere, è poco adatta per la moda della « garçonne ». Il principio nel portamento di capelli corti è di trovare il giusto taglio. Questo non riesce già alla prima volta. Spesse volte passa molto tempo prima che uno veda chiaro e sappia ciò che meglio gli si confà. Poi anche i capelli non s'adattano subito alla direzione desiderata. Studiando però alquanto i lineamenti del proprio viso e confrontandoli a quelli di altri visi, si troverà ben presto il giusto taglio. In nessun caso si deve però commettere l'errore di adottare senz'altro il taglio ch'è sembrato bello sulla testa d'un'altra signora. Il taglio dei capelli deve corrispondere all' individualità della rispettiva persona, nonchè ai lineamenti del suo viso. Il parrucchiere, che vuole al primo tentativo trovare il giusto taglio dei capelli, deve essere un vero artista, nel senso più stretto della parola: egli deve essere altrettanto uno scultore che un profondo conoscitore di uomini. E' si può ben comprendere che a tali esigenze pochi sono i parrucchieri che sanno rispondere. Bisogna dunque che le signore s'industrino a collaborare nella formazione della loro « testa alla garçonne » e non si affidino cecamente ai consigli del loro parrucchiere. Ed anzitutto gli si proibisca di rasare il collo, ciò ch'è altrettanto poco naturale che inestetico. Bisogna ancora aver riguardo alla costituzione e alle particolarità dei capelli. Altrimenti bisogna tagliare i capelli biondi, altrimenti bruni, altrimenti i capelli fini e morbidi ed altrimenti i capelli grossi, ruvidi o increspati. E' falsa l'opinione che per ottenere una bella testa alla « garçonne » i capelli devono esser sempre arricciati, inanellati o ondulati. Naturalmente i capelli ondulati sono addirittura l'ideale per una testa alla « garçonne », ed esimono la felice proprietaria da tutte le cure e noie di acconciatura. Però anche capelli completamente lisci possono stare benissimo, come è il caso nelle « teste di paggio ». Difficili sono a domarsi i capelli increspati. Non si deve lasciarli semplicemente fare a modo loro ma renderli arrendevoli con massaggi d'olio e spazzolandoli molto diligentemente. Coloro però, ai quali i capelli lisci non s'adattino assolutamente ai lineamenti del viso, cui la natura non abbia concesso dei ricci naturali, non possono far altro che ricorrere all'ondulazione artificiale. Il mezzo ausiliare meno adatto a ciò, è il ferro da ricci. Prescindendo dal fatto che col ferro da arricciare i ricci non riescono mai belli, non v'ha alcun mezzo migliore per rendere i capelli facili a spezzarsi, ad assottigliarsi e ad incanutire prima del tempo, che un uso incauto del ferro da arricciare. Questo non deve mai essere tanto caldo, da imbrunire la carta bianca. Ma anche tenendo sempre presente questa condizione non conviene far troppo spesso uso del ferro da arricciare. Il miglior procedimento per arricciare i capelli e oggidì senza dubbio l'ondulazione a lunga durata, la cui durevolezza è per lo più limitata soltanto dal crescere dei capelli. Si faccia eseguire però l'ondulazione a lunga durata soltanto da un parrucchiere di prima classe, che disponga senza dubbio della necessaria pratica ed esperienza.

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Se comincia verso l'angolo destro indica: abbondanza di danaro e... di figliuoli; se dalla rasetta risale verso il cavo della mano: immaginazione feconda; se termina verso la naturale: spirito inventivo, virtuosità e vita lunga; se nasce dal monte della Luna: ricchezze; se tortuosa dalla rasetta all'anulare: ignoranza e... cervello fino; se biforcata sul monte di Saturno: avvenimenti piacevoli; estesa sul dito medio: avarizia, tendenza al male; estesa dalla rasetta all'indice: lunghi viaggi felici ed onorevoli. La via lattea. - Nasce verso la rasetta e si dirige verso il monte Mercurio, e verso il principio della mensale. La linea della via lattera serve a pronosticare l'energia di un uomo nella resistenza alla volontà della donna. Se è diritta e raddoppiata verso il mignolo, se comincia dall'angolo destro o dal monte di Venere e procede verso il mignolo: felicità e fortuna conquistate con l'aiuto di una donna; se tagliata ad una estremità a forma di croce: sventura per cagion di donna. La cintura di Venere. - La linea arcuata che nasce tra il medio e l'indice per finire tra l'anulare e il mignolo, si addimanda cintura di Venere. Non tutti la posseggono, ed a sintomo di animo cattivo, di scarso senso morale, di brutalità d'animo. La linea solare. - Si trova sul monte del Sole. Si diparte dal concavo della mano o dalla linea naturale, o da quella mensale, o dal quadrangolo. Più è estesa, più è netta, meglio è. Si perde alle radici dell' anulare. Se si diparte dalla vitale, come solco profondo, fino al monte del Sole, preconizza cose piacevoli, onori, vita lunga, felice, prosperosa, occupata da studi. Ma se manca, o è imperfetta, ogni aspirazione a salire in alto cade nel vuoto. Se la linea del Sole comincia nel cavo della mano e si prolunga sino all'anulare, è sintomo di alte protezioni; se taglia il monte del Sole recisamente: fortuna, mente eletta, produzione intellettuale di molto pregio. Il triangolo - Il triangolo è formato dall'incontro delle tre linee: del fegato, vitale e naturale. Occupa la parte concava del palmo, e se è ristretto simboleggia l'avarizia; se largo, la generosità e la munificenza. Se le linee che formano il triangolo sono ben marcate e meglio colorite, diritte e pressochè uguali: costituzione robusta, vita lunga e felice, coraggio, intelletto. Quando nel triangolo appare una stella, una eredità si avvicina; ma se vi appare un quadrato: processi con parenti. Il quadrangolo. - E' detto anche tavola, e trova tra la mensale e la linea del cervello. Ha gli stessi caratteri e predice quasi le medesime cose del triangolo. L'angolo supremo. - L'angolo supremo è formato dalla vitale e dalla naturale. Esso dovrebbe prendere la sua origine alle falde del monte di Giove, e non ha da essere acuto e congiunto: povertà di mente e costituzione debole; ma aperto e piuttosto ottuso: spirito superiore e salute da vendere. Quando l'angolo è eccessivamente largo e poco appariscente, denota durezza e cattiveria di carattere; e se apparisce verso il cavo della mano, la timidezza, l'avarizia e la malignità saranno d'ostacolo a qualsiasi impresa. La mancanza dell' angolo è indizio di maldicenza e di infedeltà. L'angolo acuto è sintomo di astuzia: ma se è quasi diritto: onori e dignità a non saperne che fare. Separato e unito da una o da due linee, tagliate da altre due: pentimento di trascorse pazzie. Se questo angolo è separato, e nella separazione presenta alcune linee senza ordine: rivelazione di una persona marziale, sì, ma anche infedele. Se diviso, e se nella separazione si trovano alcune linee in forma di rete: carattere menzognero, appassionato per la musica e pel giuoco. Se la vitale è tagliata dalla naturale e da un'altra linea, che discendendo dalla parte superiore della mano le tagli ambidue: avverte di guardarsi da animali velenosi e dal mare. Se l'angolo è tagliato da una linea, la maggior parte della quale si trovi dal lato della mensale: pericolo d'incendio; tagliato da un semicerchio, le estremità del quale sieno rivolte verso la vitale: aumento di fortuna. Una croce od una stella annunciano eredità provenienti da donne. L'angolo destro. - L'angolo destro è quello formato dalla vitale e dalla epatica. Se l'angolo è alquanto acuto, appariscente netto: buona complessione, molta inclinazione alla virtù; appena visibile: avaro, mariuolo, interessato ed egoista; se è aperto, e che all'apertura una croce tocchi le linee vitale e del fegato: buon fine, morte devota. L'angolo sinistro. - L'angolo sinistro è formato dalla naturale e dalla epatica. Se è ottuso, netto ed appariscente: lunga vita, animo retto; se è acuto: litigio, cattiveria; se appena visibile: temperamento malaticcio, intelletto limitato; se non esiste: malattia di fegato o di stomaco; quando è lungo, molto acuto, vicino al mezzo della mano: si morrà annegato.... probabilmente nell'acqua!... Il significato dei monti. - Il monte di Venere di... giusta statura è indizio d'amore; e se è attraversato da più linee profonde e diritte: amore in anima retta e in corpo sano. Però, di queste linee non ce ne ha da essere troppe, altrimenti si passa alla categoria della lussuria. Se il monte di Venere è prominente: passione irresistibile per la musica: se basso: fabbricante di castelli in aria. Il monte di Giove senza linee e poco elevato indica bontà d'animo. amore per la giustizia (ecco un esame al quale dovrebbero sottostare i magistrati), generosità. Se qualche linea lunga lo traversa: predizioni di onori e di ricchezze. Il monte di Saturno senza solchi vuol dire: quieto vivere, trionfi nelle esperienze e nelle speculazioni agricole; se basso e solcato da qualche linea, è indizio di vita dura, laboriosa. ricca di... amarezze. Il monte del Sole alquanto elevato e solcato da linee diritte predice ad una donna l'affettuosa ammirazione di molti, copia di onori e di dignità; mentre tutto l'opposto le predice, se è basso e solcato da linee tortuose. Il monte di Mercurio, un po' basso, è indizio di mente acuta, di furberia; indica tutto l'opposto se è alto. Il monte della mano, pianeggiante, senza linee, rivela dolcezza di carattere e generosità; altrimenti: incostanza in tutto. Sul significato dei centomila caratteri dei vari monti ci sarebbe da scrivere non uno, ma cento volumi, perchè l'interpretazione dipende essenzialmente dalla fantasia e dall'accortezza di chi li esamina.

Pagina 333

Per essere felici

179386
Maria Rina Pierazzi 1 occorrenze
  • 1922
  • Linicio Cappelli - Editore
  • Rocca San Casciano - Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Pagina 93

Le belle maniere

179913
Francesca Fiorentina 1 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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E' pericoloso, figliole mie, ne' tempi in cui viviamo, non pensare con la nostra testa, non avere idee nostre da opporre ad altre che vorrebbero insinuarsi nella nostra mente come serpicelle insidiose, non possedere tanto discernimento da poter vagliare il buono dal cattivo, che ci è offerto in abbondanza dagli usi, dagli esempi, dalle leggi, dalla stampa. E' semplice come loro l'idea delle nostre nonne, che la cultura - la buona, badate - distolga le donne dalla via retta, dalla religione. Inciampa chi cammina nel buio, avanzando tastoni, non chi tiene gli occhi aperti verso la luce; molta e sana dottrina non allontana dal bene, ma piuttosto la poca e incerta. La donna che acquista soltanto qualche cognizione più delle altre, si crede in diritto di farne pompa, d'atteggiarsi a superiore, e diviene la saccente e la pedante contro cui giustamente hanno inveito i nemici del femminismo in massa, i quali non vogliono e non sanno distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, l'utile dal dannoso. Ma se le vostre idee saranno ferme, sicure e non appiccicate con la saliva, se le vostre cognizioni saranno in quantità bastevole per affrontare, aiutate dal buon senso, gran parte dei problemi che s'affacciano alla coscienza moderna, allora sarà benedetta la vostra intellettualità da quanti hanno sale in zucca e non ragionano con la mente di cinquant'anni fa, a dir poco. Vi preparate, sì o no, a diventare spose e madri di famiglia? lo faccio conto di sì:comunque, tutte le donne devono essere educatrici. Ebbene, càpita troppo spesso a donne di cuore e di fede incrollabile di non saper ricondurre sulla retta via il marito o il figlio o il fratello deviato, e di non poter rispondere con un argomento solido e persuasivo alle obbiezioni ch'essi sollevano, ai dubbi che via via tentano di demolire l'edificio della pace futura. Bastava questa fede ingenua alle madri de' nostri padri, i quali non domandavano troppo, perchè erano avvezzi ad accogliere ogni regola senz'eccezione e a considerare come inattaccabile ogni verità imposta dall'affetto e dalla fiducia ch'essi nutrivano ne' loro educatori. La febbre del progresso ha sconvolto tutta la psiche nostra, che pericola come chi cammini su fil di ferro e abbisogni di precauzioni e di calma per mantenersi in equilibrio:un gesto, un grido, un mormorio possono trascinarlo in un rischio mortale, se non lo salvano due braccia robuste o una solida rete.

Pagina 83

L'angelo in famiglia

183146
Albini Crosta Maddalena 3 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Pagina 299

Pagina 689

Ti ripeto quanto ti ho detto altrove, di non voler nel tuo corredo un'eccessiva ricercatezza, ma piuttosto una certa abbondanza senza leccature; e perchè circondarti di tanti bisogni ed esporti conseguentemente a possibili numerose privazioni? Ti verranno fatti molti regali, ti verrà fatta molta festa; oppure non ti verranno fatti quelli nè questa: sia comunque, pensa che queste sono leggerezze, le quali non meritano te ne occupi seriamente, e tu non devi permettere ti distraggano dal pensiero importantissimo dello stato che sei per abbracciare. Dacchè ti sei fidanzata, e non prima, puoi ricevere il dono di promessa e ricambiarlo; ma per cantà, non cessare dall'essere angelo un momento solo, nè con atti, nè con parole, nè col benchè minimo pensiero. L'angelo della famiglia deve recare all'altare intatto il suo giglio; ivi il Ministro di Dio muterà quel giglio colle rose vermiglie del conjugale affetto, e tu tornerai dall'altare quale ci sei andata, angelo, per diventare l'angelo dello sposo e dei figliuoli, se il Signore nella sua bontà crederà di dartene. Potevo avere una dozzina d'anni, allorchè in iscuola mi fu dato, per cómpito, di scrivere alcune parole pronunciate da una madre mentre sta posando la corona di sposa sul capo alla figliuola. Il mio sarà stato uno sgorbio o poco più; ma la sensazione provata e la folla di malinconici e pur dolci pensieri accalcatisi allora nella mia mente mi hanno impressionata assai; quindi lascio a te pure pensare quante cose voglia dire quella ghirlanda di fiori, e da te stessa ne tragga consigli ed ammaestramenti. La tua mamma, se l'hai, ti dirà ciò che ti bisogna; se non l'hai, te l'inspirerà dal cielo. Il contratto civile è doveroso, ma non è il matrimonio per un cristiano; è lo sposalizio in faccia alla Chiesa che costituisce il matrimonio: esso è Sacramento, perciò reca con sè i doni tutti del Signore. Preparati santamente a ricevere questo Sacramento, con devote preghiere, colla Penitenza e coll'Eucaristia, e il tuo nodo sarà benedetto. Ho visto oggi stesso un elegantissimo abito di raso bianco che ha servito jeri per la cerimonia nuziale (religiosa s'intende) ad una sposa d'alto lignaggio. Sai dove l'ho visto? Dalle suore Canossiane che lo debbono presentare alle figlie di Maria per cavarne arredi sacri per le chiese povere. Questo atto generoso in sè stesso, è assai più generoso per lo spirito che rappresenta. Si parla ora di divorzio nella società; ma tu come cristiana sai e credi fermamente che il divorzio non è possibile, poichè non dove nè può disgiungere l'uomo ciò che Dio ha legato. Ti verrà posto in dito un anello; questo ti dice coll'interminabile suo giro, l'interminabilità dell'affetto, della fedeltà che tu devi serbare al tuo sposo; allorchè quell'anello ti sarà posto in dito non potrai più pensare ad alcun uomo, finchè quello, che oggi t'è dato, ti sia dal Signore lasciato in sulla terra. L'Angelo di Dio t'accompagni, o giovane fidanzata, la tua uscita dalla famiglia, dove sei nata, lasci in essa la benedizione, e il tuo ingresso nella nuova casa ve la porti copiosa, eletta! Se il tuo sposo è buono e pio, fa di esserlo tu pure per non essere da metro di lui; s'egli non l'è, fa ch'ei lo diventi, e assieme alla virtù, la pace albergherà sotto il tuo tetto. L'Angelo di Dio t'accompagni, o giovane fidanzata!

Pagina 865

Il codice della cortesia italiana

184318
Giuseppe Bortone 1 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
  • UNICT
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Cureranno che non si vada a tavola piú tardi dell'ora fissata; che ci sia abbondanza di tutto; sí che i commensali possano servirsi senza preoccupazioni; nel distribuire i posti, tenuto conto delle precedenze, faranno in modo che sieno avvicendati uomini e signore, e che capitino accanto persone che abbiano tra loro simpatia: ciò gioverà anche a tener animata la conversazione ; non vengono a discussione fra loro, né rimproverano i figliuoli; non fanno atti d'impazienza con i domestici; non decantano i loro vini o altre cose di famiglia, né celebrano i pregi della loro cucina; non fanno capire che il pranzo è costato fatica o spesa; non si adombrano per qualche piccola disgrazia che lasci lí per lí tracce sulla biancheria ; anzi, la signora interviene prontamente a rassicurare il maldestro; non insistono con i commensali perché si mangi o si beva di piú; tanto meno ricorrendo a quel volgare mezzuccio: « Ho capito: non piace! »; mangiano in modo da non essere i primi o gli ultimi a finire. Salvo che non sieno a regime speciale, debbono almeno assaggiar tutto. Per tutti i commensali. La sedia né troppo lontana, né troppo vicina alla tavola; i gomiti stretti ai fianchi, il busto eretto; nessun dondolio sulla sedia; non si allungano le gambe sotto la tavola; né si puntano i gomiti sopra; non si fissa il tovagliolo nel colletto o fra i bottoni del panciotto; non si spiega completamente, e si tiene sulle ginocchia; non si puliscono col tovagliolo piatti e bicchieri, né si esaminano i bicchieri contro luce; non si divorano con gli occhi le portate a mano a mano che vengono dalla cucina; non si scelgono i pezzi migliori, servendosi, né si osserva il modo di servirsi degli altri; non si fanno complimenti, né si rifiuta di servirsi per primi, quando la padrona di casa ha cosí disposto; non bisogna distrarci, o distrarre, mentre ci serviamo; né si attaccano discorsi con chi serve a tavola; non si trascurano i vicini, specialmente se signore, ma li si serve con garbo e premura; non si mangia troppo in fretta o troppo lentamente; non va la bocca verso la posata, ma la posata verso la bocca; non si riempie il proprio piatto per poi lasciarlo a mezzo; non si soffia sui cibi per farli raffreddare; non si versa il vino nella minestra, né si fanno altre mescolanze poco usate; non si solleva la scodella per portar via il poco rimasto sul fondo; chi voglia farlo deve sollevarla dalla parte che gli è piú vicina verso il centro della tavola; non si apre la bocca masticando, né si parla a bocca piena; non si fa rumore con i denti masticando ; non si fanno i bocconi troppo grossi ; non si tracanna il bicchiere tutto d'un fiato e fino in fondo ; né si beve mentre si ha il boccone in bocca; o senza essersi prima pulito la bocca; che va anche ripulita subito dopo aver bevuto; non si mette il ghiaccio nei bicchieri; né si tengono questi a lungo fra le mani, perché il vino rosso sviluppi il suo aroma; non si taglia il pane col coltello, ma si spezza con le mani ; né si porta alla bocca tutto il pezzo di pane; né si toglie la mollica, e tanto meno la si plasma con le dita; non s'introduce la propria posata nel piatto di portata; non si taglia prima in pezzi tutta la carne o l'altro che s'ha davanti; non si intinge il pane nel sugo o nella salsa rimasti nel piatto; non si riprendono a spolpare le ossa già lasciate ; non si sposta verso destra o verso sinistra il piatto vuoto; non si raccatta una posata caduta e tanto meno la si rimette sulla tavola; non si taglia il pesce col coltello, salvo che non si tratti di pesce affumicato o marinato ; se c'è la spatola, tanto meglio ; diversamente, s'adopera la forchetta e un pezzetto di pane; non si tiene sulle ginocchia, ma sulla tavola, la sinistra, quando è inoperosa; in nessun caso si porta il coltello alla bocca; non si fanno commenti su cose che non piacciano o che non si possano mangiare; non si attira l'attenzione su qualche cosa di estraneo che si possa trovare nei cibi; non si usano gli stecchini che nei casi indispensabili: è sconveniente gingillarsi con lo stecchino o, peggio, alzarsi da tavola con lo stecchino in bocca; non si porgono i patti al servitore; non si parla d'affari o di cose tristi; né si fanno discorsi lunghi con commensali che sieno all'altro capo della tavola; non si fanno tragedie di parole per piccole disgrazie; non si adoperano per il naso fazzoletti poco puliti; né si caccia la testa sotto la tavola o da uno dei lati per soffiarsi; né lo si fa rumorosamente; né si spiega dopo il fazzoletto ; non si starnutisce fragorosamente, o in modo da far « piovere » nei piatti dei vicini; non si tirano nòccioli, bucce o altro ; meno che mai pezzi di pane: e ciò anche nelle riunioni allegre, dove è pur consentita qualche libertà; non si ravviano i capelli col pettine o con le mani, né le signore mettono fuori il loro armamentario da toeletta; non si decantano pranzi fatti altrove; non si chiedono cose che i padroni di casa non hanno fatto mettere a tavola, adattandosi ad imitarli; non si fuma senza che i padroni di casa lo abbiano autorizzato ; in ogni caso, mai prima che si sia finito di mangiare; se si hanno sigari o sigarette di qualità migliore di quelli offerti dai padroni di casa, si evita di servirsene o di offrirli; nessuno si leva da tavola prima che lo abbia fatto la padrona di casa; non si piega il tovagliolo, ma lo si lascia con garbo alla sinistra del posto occupato; non si porta via alcun che dalla tavola, tranne la propria minuta, se c'era, o, al piú al piú, qualche fiore che si aveva davanti. La moda dei brindisi è, fortunatamente, tramontata; ma, se si dovesse farne, cercare di essere semplici e brevi, né dimenticare la padrona di casa, o qualche cara persona di famiglia assente. Non si toccano i bicchieri, ma si sollevano all'altezza del proprio viso, allungando il braccio dalla parte del festeggiato. Se il brindisi fatto da una signora, essa non invita i commensali a bere. La posata. La forchetta si tiene con la destra, quando si tratta di vivande per le quali non è necessario adoperare il coltello; quindi, per maccheroni, risotto, verdure, frittate, sformati, uova - anche sode polpette, ecc. Si tiene con la sinistra quando, con la destra, si debba adoperare il coltello per tagliare. In tal caso, si prende con la forchetta il pezzo tagliato, con la punta del coltello si adatta su per benino del contorno o della gelatina o della salsa, e si porta alla bocca in modo che le rebbie della forchetta sieno rivolte all'ingiú. Quando occorresse interrompere, forchetta e coltello si mettono nel piatto a contatto di punte non sulla tavola o sull'orlo del piatto. Quando si è finito, se la posata vien cambiata, la si lascia nel piatto parallelamente; se si deve tenerla per la portata successiva si mette sul poggiaposate con i rebbi in giú. Si lascia anche nel piatto, quando si è mangiato il pesce o delle uova; perché, in tali casi, dev'essere senz'altro cambiata. Il cucchiaio si adopera per le vivande liquide o semiliquide e per alcune specie di dolci. Si può portare alla bocca o per la punta o per il margine laterale, dalla parte piú vicina al manico. Se una distinzione si vuol fare, è piú comodo adoperarlo dalla parte della punta quando, nel liquido, c'è qualcosa di solido. In questo caso, né si introduce troppo nella bocca, né si attira il contenuto succhiandolo, né si consuma la cucchiaiata a parecchie riprese. La posata non si prende dalla parte piú bassa: la forchetta si adopera col manico nel pugno; il cucchiaio, prendendolo col pollice e coll'indice e appoggiandolo sul medio ripiegato; il coltello si adopera anch'esso col manico nel pugno. Usa anche tenere il coltello e la forchetta fra le prime due dita, come si terrebbe una penna; ma io trovo questo modo poco comodo; tanto piú che non si può far forza col coltello, né si deve allungar l'indice sul dorso della lama. Nei casi in cui si tiene la forchetta con la destra, ci si può aiutare con un pezzetto di pane nella sinistra. Il formaggio si taglia col coltello ed il pezzo si adatta su un pezzo di pane. Delle mani bisogna servirsi il meno possibile: si può adoperarle per i piccoli volatili; ma è bene non darne l'esempio; se mai, farlo con garbo. Neanche le ossa, o le lische, si prendono con le dita; ma si depongono sulla forchetta e poi sull'orlo del piatto. Per mangiare le uova dette al guscio, servite nel portaovo, se non v'è lo speciale strumentino ad anello per romperle, se ne schiaccia la punta col cucchiaino - mai col coltello - vi si mette il sale e col cucchiaino se ne porta alla bocca il contenuto. Non si solleva il guscio per ripulirlo fino in fondo. Si può accompagnare col pane, ma questo non si intinge nell'uovo. Il guscio si mette accanto al portaovo e lo si schiaccia discretamente col coltello. Il bicchiere si prende dalla parte piú bassa. Non si va incontro con esso a chi ci mesce da bere, né si alza per significare « basta ». Si sa che il bicchiere proprio o di altri non si riempie fino all'orlo. Talora, l'alzare il bicchiere è giustificato dalla preoccupazione che la goccia attaccata alla bottiglia scivoli sulla tovaglia e ne macchi il candore: cosa quest'ultima da evitarsi con cura anche se sembri che la padrona di casa non ci badi o non ci tenga. Come si deve aver cura di non versare l'olio, di non incrociare la posata... Pregiudizi senza dubbio; ma è colpa nostra se alcuni ci credono ancora? Quando è servita qualche vivanda che non si sa come si mangi, o vien dato qualche cosa che non si sa come adoperare, è prudente attendere e seguire l'esempio degli altri. Piú d'una volta si è veduto accostare alle labbra la piccola coppa dell'acqua e una fettina di limone, che vien portata su di un tovagliolino col piatto delle frutta, e che serve per lavarsi le dita: tovagliolino e coppa si mettono a sinistra. Si ricorda, a questo proposito, un episodio accaduto alla Corte di Vienna: in un pranzo offerto a una Delegazione bosniaca, quando furono portate in tavola le coppe d'argento con l'acqua tiepida e profumata, il capo della Delegazione si alzò e, dopo aver brindato, bevve il contenuto della coppa, immediatamente imitato dagli altri deputati. Fra l'imbarazzo dei commensali, Francesco Giuseppe rispose al brindisi e bevve anche lui di quell'acqua, mentre l'etichetta obbligava tutti i commensali a fare altrettanto. Le ostriche si staccano con la forchetta dal guscio e si portano con questo alla bocca. Le foglie dell'insalata non si tagliano, ma si portano alla bocca come vengono servite, salvo che, si capisce, non vengano servite intere. I carciofi si possono mangiare con le mani; però, nei pranzi eleganti, non si suol portare in tavola che la parte piú centrale e piú tenera, la quale si mangia con la forchetta. Agli asparagi, presi con la pinza speciale dal piatto comune, si taglia la parte verde e si porta alla bocca con la forchetta, se serviti come contorno: se come portata, si possono prendere dal proprio piatto con le mani. Quanto ai piselli, se si vogliono mangiare all'inglese, ossia dopo averli schiacciati, ciò va fatto col coltello contro la forchetta, non col cucchiaio o col coltello o con la forchetta contro il piatto. Per la frutta, che viene servita in ultimo, si adopera la forchetta e il coltello. È un po' di fatica quando, come spesso accade, il coltellino non è affilato. Non si sbuccia intera ma si taglia prima a quarti: mele, pere. Le pesche si sbucciano dopo averle tagliate in due. Le albicocche non si sbucciano; si bagnano soltanto nella coppa che si ha alla sinistra del proprio piatto, senza tenervele molto, perché si suppone sieno state già lavate. Né pure le prugne si sbucciano: si portano alla bocca intere quelle secche; si tagliano a fettine quelle fresche, senza portare alla bocca il nocciolo. Alle banane si incide la corteccia da cima a fondo, denudandone la polpa, che si mangia a piccoli pezzi, dopo averla tagliata con la forchetta. Ai fichi freschi, tenuti con la sinistra per il picciolo, si porta via una fettina della parte superiore, dov'era il fiore e dove si possono essere fermati gli insetti; poi, si tagliano in quattro spicchi senza separarli presso il picciolo; se ne stacca col coltello la polpa e si porta alla bocca con la forchetta. Agli aranci e ai mandarini, tenuti con la mano sinistra, non con la forchetta, si incide a spicchi la buccia; indi la si leva, se ne separano gli spicchi e si tagliano a metà per trarne i semi: non si sbucciano in tondo, né a spirale. In America, usa tagliarli in due, senza sbucciarli, nel senso orizzontale, ed estrarne con un cucchiaino la polpa e il sugo. Le ciliege si portano alla bocca una per volta - non a ciocche - prendendole dalla coppa, e se ne lascia poi cadere il nocciolo sul cucchiaino o, se questo non c'è, sulla forchettina. Meglio cosí che lasciarli cadere nella mano socchiusa. Le fragole, se sono grosse, e servite col gambo, si prendono a una a una con le mani, si passano nello zucchero, che si è avuto cura di mettere nel nostro piatto, e si portano alla bocca. Se son piccole, si mangiano col cucchiaino. Le frutta col guscio legnoso - noci, nocciole, mandorle - si schiacciano, non con i denti o con le dita, ma con lo speciale strumento, se ne cava il contenuto e si porta alla bocca con le mani. Per il popone, si libera la polpa dalla buccia e la si porta alla bocca con la forchetta, dopo averla tagliata in pezzi con l'aiuto del coltello. L'uva si porta alla bocca chicco per chicco, e, per chi non usa ingoiarli, si fanno ricadere nel cucchiaino vinaccioli e buccia, e si depongono all'angolo del piatto. Il gelato si prende con la spatola dal piatto comune, badando a non farlo scivolare, e si mangia con lo speciale cucchiaino piatto, accompagnandolo, se ci sono, con i biscotti. Il caffè è servito a tavola nei pranzi di famiglia; in sala, nei pranzi eleganti: io trovo preferibile servirlo sempre in sala, sia per «occupare» quel po' di tempo che rimane ancora, sia per dar modo di sparecchiare. Se è servito nella stanza da pranzo, la padrona di casa mesce nelle tazze, portate in giro dal cameriere; se, in sala, è servito in giro dalla padrona di casa, aiutata da qualche figliola o amica; i liquori son serviti dal padrone di casa. Quando si va in sala per il caffè, si attende a fumare qui. Il segnale di ritorno in sala è dato dalla padrona di casa, la quale prende il braccio del suo cavaliere ed esce per prima: seguono gli altri, senza darsi il braccio: ultimo il padrone di casa. Quindi, tener presente che, per il ritorno in sala, si segue l'ordine contrario a quello tenuto per uscirne. Quanto tempo si rimane in una casa dove si è stati invitati? Normalmente non piú di un'ora; ma è prudente e delicato regolarsi secondo il numero delle persone, il tono della conversazione, l'età e le abitudini dei padroni di casa. Usava fare la cosí detta « visita di digestione », fra gli otto e i quindici giorni. A me pare una bella usanza, che meriti d'esser conservata. Per gli uomini, è sufficiente che portino la loro carta di visita. Quando si tratti, invece che di un pranzo piuttosto elegante, di una colazione e, in genere, di un pasto alla buona, è preferibile adoperare la biancheria a grossi quadri in colore. Ora se ne produce della eccellente, per qualità e per disegni: a me piace molto, perché dà un senso di letizia, sopra tutto se anche i boccali e i piatti sono a tinte vivaci. Fuori d'Italia - in Francia specialmente usano anche dei graziosi tovagliolini di velina e dei mensali di carta, che si rinnovano, si capisce, volta per volta, e che son da preferirsi senz'altro alla tela cerata, che ricorda l'osteria. Quest'apparecchiatura, molto sbrigativa e comoda, è usata largamente in campagna - dove non si può andare tanto per il sottile, né si può pretendere troppo - e per le cene fredde, al ritorno dal teatro e dal ballo. In queste, ciascuno dei commensali si serve da sé, e il piatto si cambia soltanto per il dolce. Conchiudendo, dirò che ora non usano piú, come un tempo, le interminabili sfilate di portate: si preferisce la qualità alla quantità, la finezza all'abbondanza. Perciò: che non manchi mai, possibilmente, una tazza di brodo ristretto: si profitti della grande risorsa offerta dagli antipasti e dai tramezzi, tornati trionfalmente, e giustamente, in onore; tanto piú che, per questi, si può anche non lavorare in cucina, trovandosi preparato in scatole tutto quel che si può desiderare; sempre graditi la galantina con la gelatina, i soffiati, gli sformati, i volanti ripieni, i pasticci di carne, gli arrosti di cacciagione, le trote, le varie ed eccellenti qualità di formaggi, la macedonia frutta... piú o meno di queste deliziose cosine, a seconda della stagione, dell'ora, della circostanza; almeno due qualità di vino speciale; e poi, un profumato caffè bollente; e una sigaretta squisita... e sempre, da cima a fondo, la piú gustosa delle vivande - una gioviale cordialità: - di grazia, che si potrebbe offrire e desiderare di piú e di meglio? E si tenga, infine, presente che la prova migliore della buona educazione non sta nell'offrire un pranzo, abbondante e succulento quanto si voglia, ma nel mescolarsi sapientemente con gli altri. La cortesia, ripeto, nel suo vero senso, riguarda appunto quelle regole che, nel gioco della vita, rendono piú facile e piú semplice l'accomunarsi con i propri simili.

Pagina 114

Come devo comportarmi. Le buone usanze

185033
Lydia (Diana di Santafiora) 4 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
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L'eccessiva timidezza è senza dubbio intempestiva; e nulla vieta, specialmente alle persone giovani e di buon appetito, di servirsi al buffet con una certa abbondanza e senza timidezza; ma ogni troppo stroppia, e il buffet non è una trattoria. È oggi molto in uso, alla fine del ballo o quando piaccia, eclissarsi all'inglese, cioè senza salutare i padroni di casa. Nei balli di gran parata, dove gl'invitati sono numerosi, un tale uso non è da disapprovare, perchè sottrae chi ha dato il ballo a una fatica non indifferente e dà agl'invitati una maggior libertà; ma nei balli più intimi, e specialmente quando intercedono legami d'amicizia, andarsene senza salutare può essere, e non senza ragione, interpretato come un atto di scortesia. Si compia dunque quest'atto di deferenza, secondo il buon uso antico. Chi è intervenuto a un ballo deve una visita di convenienza, dentro gli otto giorni.

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Ci sia dunque una certa abbondanza di cibi e di bevande. In generale i cibi principali sono il pollo in galantina, gli sformati, il prosciutto, i crostini assortiti, le paste dolci, le arance, i mandarini e altre frutta; per le bevande, oltre lo spumante, che è di rito, i vini bianchi e in special modo le bibite ghiacciate, come aranciate e limonate, delle quali si fa durante la notte gran consumo. Quando cominciano ad arrivare gl'invitati, il padrone e la padrona di casa debbono interamente dedicarsi al loro ricevimento, non omettendo mai di presentarli gli uni agli altri, quando non si conoscano. È questa la regola più antica e più comoda; oggi, specialmente quando si tratti di balli con gran numero d'invitati, si omette spesso questo cerimoniale; in tal caso, gl'invitati si presentano fra loro al momento opportuno. Durante il ballo, i padroni di casa e le altre persone di famiglia, se ce ne sono, devono occuparsi soprattutto delle persone che non ballano. Sono queste, in generale, le mamma e i babbi, e quelle povere signorine che la natura matrigna, privandole delle doti di grazia e di bellezza, destina a far da tappezzeria. Il padrone di casa farà dunque l'opera buona d'invitarle ogni tanto, e per turno, a fare un giro con lui, e pregherà garbatamente i suoi amici più intimi a far lo stesso. Intanto la signora terrà circolo con le mamme, cercherà di affiatarle fra loro, intavolerà la conversazione; e quando vedrà che tutto procede bene, potrà anche alzarsi per occuparsi d'altro. Di tanto in tanto, farà anch'essa il suo giro di ballo, accettando qualche invito; ma non ballerà tutta la notte, lasciando la sorveglianza generale della festa. Per dei padroni di casa che desiderano che tutto proceda regolarmente, una festa da ballo esige una gran fatica e molto spirito di sacrifizio. L'unica preoccupazione di chi la dà dev'essere di far divertire gli altri senza pensare a sè; l'unica soddisfazione, quella di veder godere gli altri. Abbiamo parlato altrove degli abiti da ballo. Qui diremo soltanto che il padrone a la padrona di casa devono per i primi strettamente uniformarsi alle regole che hanno stabilite. Se si è imposto l'abito nero, sarebbe una sconvenienza presentarsi in giacchetta, col pretesto che si è in casa propria; se non si è imposto, sarebbe un esporre gl'invitati a far cattiva figura, indossando il frac. Quanto ai figliuoli, se sono molto piccoli, non conviene che prendano parte al ballo: essi sono quasi sempre d'impiccio, e la loro salute non gode a perdere per una notte intera il riposo e il sonno; se sono grandicelli, potranno assistere alla prima parte del trattenimento più come spettatori che come attori; quasi sempre, i bambini che ballano intralciano le danze dei grandi. Queste regole non valgono naturalmente per i balli dei bambini, che si danno nelle ore del giorno. In essi, soltanto i bambini devono ballare, e i grandi, anche se molto giovani, devono far la parte di spettatori. Per quel che riguarda il vestito, una madre saprà vestire il proprio piccino con eleganza, senza arrivare all'esagerazione. Purtroppo si vedono talvolta girare per le sale dei bimbi abbigliati come tante bambole, pieni di fronzoli e di nastri; e la madre che è responsabile di una tale caricatura vien subito tacciata di cattivo gusto. Si può, anzi si deve, unire l'eleganza, alla semplicità, perchè ciò che veramente è elegante non può non essere anche semplice. Tornando all'argomento, la festa ha termine di solito la mattina, fra le quattro e le sei; ma gl'invitati possono lasciarla anche prima, quando lo credano conveniente; nè i padroni di casa hanno diritto di aversene per male. Nelle feste di gran parata e molto numerose, si può filare all'inglese, cioè senza salutare gli ospiti; ma nei balli di famiglia, e quando si abbiano relazioni d'amicizia con chi dà la festa, l'accomiatarsi con parole gentili è d'obbligo. Ed è pure d'obbligo una visita di ringraziamento dentro gli otto giorni.

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Chi vive specialmente nelle grandi città non ha bisogno di empirsi la casa di roba, che può sempre guastarsi con inutile sciupio di denaro; e d'altra parte la troppa abbondanza di certi generi, anche se comprati a buon prezzo, non è fonte di risparmio: quel che si ha sotto mano, si consuma più facilmente. La padrona di casa che abbia al suo servizio persone di cui non sia per lunga prova sicura, non si abbandonerà ad una fiducia cieca e irragionevole; terrà d'occhio le provviste, avrà cura di non lasciare armadi e cassettoni aperti; ma tutto ciò saprà farlo senz'ostentazione e con prudenza, per non offendere chi ha diritto, su questo punto delicato, a ogni riguardo. Nei rapporti con la servitù sarà affabile e gentile, ma esigerà rispetto e obbedienza; non farà rimproveri fuor di luogo, nè mai con ira o con disprezzo, ma non permetterà risposte brusche o scortesi. Generalmente, i rapporti con le persone di servizio sono, per una padrona di casa ancora novizia, tutt'altro che facili. Alcune sposine di mia conoscenza le trattano in modo tale, che ogni mese vengon piantate in asso; altre sono le schiave di coloro che dovrebbero dominare, e non osano fare la più piccola osservazione. Energia e cortesia, ecco le due qualità necessarie; e in questo, come in tante altre cose, la sposa novella potrà prendere utili consigli e ammaestramenti dalla propria madre, dalla suocera, e ricorrere, quando sia necessario, all'autorità del marito.

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Il bambino, che si sente rinascere, non vuol più stare a letto, rifiuta il brodo, il latte, le minestrine; ha una fame che lo divora, vuole la carne, il pane, e tutto in grande abbondanza. La mamma, poverina, felice di vedere il suo caro pieno di vita, così allegro, così rumoroso, si prova da principio a far la severa, a dir di no; ma poi si lascia commuovere e finisce col cedere. Il bambino fa a modo suo, e il giorno dopo.... daccapo la febbre, daccapo preoccupazioni e pensieri. E il medico, che non doveva più venire, è richiamato in fretta. Mammine indulgenti, non vi lasciate convincere; siate inesorabili e sorde a ogni preghiera. Avete sofferto troppo, nei giorni d'incertezza e di paura, per rischiare, con un'imprudenza, di tornar da capo. La salute, e soprattutto quella riacquistata dopo tante trepidazioni, è un dono così prezioso, che non val la pena di arrischiarla di nuovo per soddisfare un capriccio. Fra qualche giorno il vostro bambino sarà completamente ristabilito, sarà alzato, uscirà fuori, si sederà a tavola con gli altri, e il vostro cuore esulterà. Volete ritardare l'arrivo di quel bel giorno?

Pagina 298

Il galateo del campagnuolo

187387
Costantino Rodella 3 occorrenze
  • 1873
  • Collegio degli artigianelli
  • Torino
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Essi stanno all'apparenza; vedono il cittadino meglio ripulito e rimpannucciato, il viso bianco, le mani meno rugose, e scambiano questo per agiatezza e abbondanza de' beni del mondo. Ma se vedessero più addentro le cose, sì che esclamerebbero, che non è oro tutto ciò che luce; e che ad ogni uscio v'è il suo ripicco; come dice il proverbio! Venuto in città il campagnuolo, disadatto e ignaro di tutto, sarà costretto ad esercitare i più umili mestieri, e si bacierà la mano a trovarne; invece della casetta in mezzo al verde della campagna, soleggiata da mane a sera, abiterà uno stambugio, oscuro, umido, fumoso, dove non potrà mai penetrare raggio di sole, oppure salirà per dodici o quindici scale in una povera soffitta sotto i tetti, e i suoi teneri bambinelli per trascinarsi ogni dì su e giù per meglio di cento scalini si scavezzeranno le gambe e si storceranno in mille guise la persona; chè in ciò sta la vera ragione delle molte storpiature, che si vedono nelle grandi città! Senza dire che lì si deve vivere tutto a punta di quattrini, e il vitto è caro, e il guadagno è scarso, e le spese infinite; onde i digiuni non comandati sono più di quel che si pensi. E ciò, che aggiunge peso, è il trovarsi di continuo alla presenza della ricchezza strabocchevole e del lusso insultante dei doviziosi; il tapino cencioso colle scarpe rotte è costretto a vedere il signore in superbo cocchio stemmato, tratto a due pariglie! Nella campagna poco su poco giù si vive tutti a un modo, il servitore, il bracciante mangia alla tavola del padrone, e non si vede così allo scoperto questo terribile contrasto della lautezza colla miseria; ma in città quante volte l'infelice operaio, in mezzo ai figli, che gli domandan pane, colle viscere dolenti pel digiuno, si coricherà nella fredda soffitta, e alle sue orecchie verrà la romba della festa e la eco dell'orgia, che lì sotto di sè nelle sale dorate del primo piano si prolungherà alle ore del mattino! Chi terrà il poveretto dal gittarsi alla disperazione? Pure questa miseria velata fa gola al campagnuolo! Il dottore Enrico, che usava tutti gli anni passar un po' d'autunno nel suo villaggio del Monferrato, non cessava di far aprir gli occhi a' suoi terrazzavi, svelando gli stenti infiniti, che si nascondono sotto abiti signorili. E se fan prova di poca avvedutezza quei che lascian la campagna per la vita cittadina, che s'ha a dire di coloro, che consumata ogni sostanza nel giuoco e negli stravizzi, vanno poi a cercar fortuna in lontani paesi; quasichè altrove i gnocchi e i capponi piovano giù dal cielo come la neve, e che i fiumi scorrano nebiolo e moscato! La vita è dura dappertutto, osservava il Dottore, e forse lontano più che dove s'è nati. Ma l'agognia de' subiti guadagni, l'avidità del milione, che sconvolge da capo a fondo tutta la società moderna, tormenta anche il pacifico abitator de' campi; e l'America, la California, l'Australia si atteggiano con seducenti colori alla fantasia di tutti. E qui prendendo alcuni di questi sognatori di tesori, il signor Enrico loro chiedeva: Orsù, ditemi un poco, di tanti che avete veduti voi andar di là dai monti e dai mari, quanti n'avete visti ritornare co' sacchi pieni d'oro? Il figlio di Gian Giacomo, tutti lo conoscono, si diceva che possedeva monti di lire sterline, l'abbiam visto ripatriare l'anno passato cogli abiti laceri e colle scarpe rotte; il ni-nipote di Carlambrogio, e quella buona lana del suo amico Stefanaccio morirono di febbre gialla, dopo due mesi che vi eran giunti, come accade ai due terzi che colà emigrano! E la litania è lunga; ma nessuno, che noi conosciamo, fece fortuna. Gli zii che ricchi tornan d'America, ora non si vedon più che sui teatri In America non è più il tempo che Berta filava. Dal 1830 in poi, le vicende politiche e lo spirito d'avventura, spinsero colà la parte più giovane, più energica, più attiva ed anche più intelligente della vecchia Europa. I facili guadagni d'una volta si fecero sempre più difficili; ed ormai si può dire che per fare fortuna in America bisogna già averla fatta altrove, oppure è necessario recarvisi con abilità non comune. Gli agricoltori, come disse il Ferrario, sono i meno cercati, ed io soggiungo che sono pur quelli che più difficilmente possono cambiare di abitudine. II contadino sfugge la miseria in casa propria, per morir di stenti oltre l'Oceano, non potendo più far ritorno per mancanza di mezzi. Al contadino, nell'America, oggidì sono riservati i mestieri più vili, le fatiche maggiori, ed i minori guadagni. CANTONI, Almanacco agrario. Fate come me, diceva, non credete alle ricchezze favolose di chi è lontano; voglio vederlo io l'oro che portano di là: a ciance il denaro si misura a palate; ma per conseguirne un bricciolo, fa doler le dita. Sapete come si ottiene un po' di ben di Dio? S'ottiene col sudor della fronte e col risparmio; e ciò si può far qui come in tutto il mondo. Chi vuol vivere in ozio, conchiudeva, e consumarsi nel giuoco e in bagordi, fa della fame in tutti i paesi della terra.

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Pagina 15

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

188652
Pitigrilli (Dino Segre) 2 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Tristan Bernard, invitato in una casa dove al lusso delle argenterie e dei cristalli non corrispondeva altrettanta abbondanza di vivande, esaminò da ogni parte l'oca piuttosto sottoalimentata che aveva fatto con orgogliosa solennità la sua apparizione in un gran piatto d'argento, e mormorò fra la barba, quella folta barba nera che gli serviva da ammortizzatore alle più contundenti osservazioni: - Guardate, guardate il grazioso uccelletto. Con le sue zampine in aria sembra che dica: «Oh, quante persone si sono scomodate per me solo!». Articolo 9°: Consacra come un postulato questa verità: avere dei gusti (colori, cravatte, mostarde) è un diritto, e non condividere i gusti altrui è un altro imprescrittibile diritto, ma criticarli, discuterli o deriderli è mancanza di intelligenza e di cultura. Ammesso questo postulato, giungerai senza sforzi al corollario che il preoccuparti dei gusti dei tuoi invitati è un dovere. Se non conosci ancora i gusti dei tuoi invitati, li puoi interrogare per telefono, e non meravigliarti delle loro eventuali intolleranze. Il Maresciallo di Brezé sveniva alla vista di un coniglio, e l'astronomo Ticho-Brahé alla vista di una lepre; Erasmo da Rotterdam era colpito da un attacco di febbre alla vista di un pesce; Ambroise Paré e Alfredo De Musset tremavano davanti a un'anguilla, e molte persone sono allergiche per il profumo del tartufo. Il compositore Vaucorbeil aveva un tale orrore dei velluti, che quando era invitato in una casa per la prima volta domandava di che tessuto erano coperte le sedie. Conosco un'attrice cinematografica alla quale ripugnano le pesche; non ne dico il nome, perchè il suo nome, avvicinato alle pesche, mi provocherebbe un processo per parte del marito, sempre pronto a scoprire lo sfruttamento pubblicitario del nome della sua illustre, tenera e florida azienda domestica. La sensibilità tattile e olfattiva non si discute. Bisogna rispettarla, come si rispetta colui che, risalendo scimmiescamente attraverso i millenni lungo il suo albero genealogico, pianta i denti, con ancestrale voluttà, nel frutto intero. Lo scrittore Noel Clarasò ha detto che le vitamine sono l'invenzione di un tale che voleva giustificarsi di non saper sbucciare una mela. Articolo 10° : Se le ova, il burro, il pollo sono prodotti della tua fattoria, non metterlo in evidenza con la formula borghese «almeno si sa ciò che si mangia». Se sei un produttore di caviale o di olio o di datteri, non reclamizzare, per mezzo di quei campioni, la tua azienda. Il conte di Keyserling, in casa di un marchese francese, produttore di un famoso champagne, lo respinse, e col gesto di un moderno Nabucodonosor, reclamò: - Moët-Chandon, Moët-Chandon... Non ammetto altra marca! Articolo 11°: Da quando la medicina psicosomatica ha rivelato che l'uomo che mangia non è un semplice e squallido tubo digerente, abbiamo constatato che una buona digestione dipende anche dalle condizioni ambientali, dai colori che ci fanno cornice e dai suoni. Chiudi perciò l'apparecchio radio, affinchè nessuno per far sentire la propria voce sia costretto ad aumentarne il tono o il volume. Tu, padrona di casa, devi presentare, col timbro della tua voce, il tono giusto, come quel trombettiere che accompagnava Cicerone, per dargli, oggi si direbbe, il «la». Se tu, padrona di casa di un certo prestigio, parli sotto voce, tutti parleranno sotto voce, e si finirà col realizzare l'ideale espresso dall'umorista Miguel Zamacoïs, secondo il quale «bisognerebbe pranzare con dei sordomuti per assaporare come si deve un buon pranzo». Disgraziatamente le nostre tavole invece che cenacoli di sordomuti sono congressi di sordi urlanti. Articolo 12°: Non lasciarti esaltare, padrona di casa, dallo sfarzo. Si mangia bene esclusivamente nelle case dove non esiste un cuoco che debba giustificare degli stipendi né far onore alla propria firma, e nelle case dove la padrona «non sa far da mangiare». I pranzetti ideali sono quelli che si consumano negli ateliers degli artisti, dove si mangiano le sardine come escono dalla scatola, l'arancia come esce dalla carta velina azzurra e che tu stesso ti sbucci con i pollici, invece delle arcischifosissime «macédoines» di frutta, dove si consuma cioè un menu-standard, precedentemente concordato dove ognuno si siede dove vuole, scegliendo e cambiando di vicino, dove l'invitato ha l'impressione di non essere in casa d'altri, e dove - secondo la raccomandazione di Paul Claudel - il perfetto invitato è colui che fa in modo che il padrone di casa sia «à son aise», cioè si trovi comodo come in casa propria. La più bella innovazione dei tempi nostri nell'arte di convitare è la soppressione della tavola, che viene sostituita con una grande dispensa dove ognuno si serve di ciò che gli piace: pesce in bianco per chi ha lo stomaco rovinato o in salsa piccante per chi vuol rovinarselo, carne arrostita o sanguinante, legumi fritti o insalate, specialità locali o curiosità esotiche, e, col suo piatto in mano, va a mangiare un po' più in là, come i passeri. La padrona di casa evita con questo sistema che qualche sporcaccione formi le pallottole di mollica di pane, che qualche refrattario, non avendo il coraggio delle proprie opinioni, faccia scomparire una braciola di maiale o una fetta di torta nella cassa armonica del pianoforte o in un vaso cinese o che si commetta la gaffe di far passare sotto il naso di un vegetariano una «fritada de sangre» - specialità madrilena - o che si porgano «criadillas», testicoli di toro - specialità, di Valencia, - dell'ultimo toro ucciso nella corrida del giorno, alla pallida giovinetta che domani entrerà come novizia nel convento dell'Odoraciòn. L'«autoservizio» è il trionfo dell'indipendenza e dell'autonomia; colloca tutti sul medesimo piano e ti permette di rimanere per ultimo o di andartene per primo senza interrompere il servizio, anche prima delle ore 23,30, momento fatale in cui le insopprimibili poetesse, insistentemente pregate, dichiarano di non saper nulla a memoria, ma - vedi combinazione! - si ritrovano nella borsa una mezza dozzina di poemi inediti e un volume stampato.

Pagina 30

L'attore Lucien Guitry era stato a colazione in casa di un ricco parigino, che non aveva saputo trovare punto equidistante fra un'oltraggiosa abbondanza di portate e la insufficienza. Si giunse alle frutta e al caffé quando Lucien Guitry si aspettava ancora qualcosa di consistente. - Verrete un giorno al mio castello? - gli domandò il padrone di casa, accompagnandolo alla porta. Vi inviterò a pranzo. - Ma sì... anche subito - rispose il grande attore. Il punto giusto fra la ricercatezza e la disinvoltura deve essere scelto come si sceglie l'onda sul «dial» dell'apparecchio radio. Una frazione di millimetro al di qua, una frazione di millimetro al di là, e il suono ne esce impuro. Il massimo maestro di eleganza, Lord Brummel, che - come tutti sanno, e mi vergogno quasi a ripeterlo - faceva portare gli abiti nuovi dal servo per togliere loro l'eccessiva freschezza e al tempo stesso ordinava i guanti a uno specialista che disponeva di due tagliatori, uno per il pollice e l'altro per le altre dita, si rovinò la posizione di amico del Principe di Galles per aver perso di vista il punto di equilibrio fra la spiritosa insolenza e la mancanza di tatto. La vera eleganza è la giusta misura fra l'originalità, e la eccentricità, fra l'enunciare un'opinione e il sostenerla, fra il lanciare un paradosso e il rincorrerlo, fra le norme del galateo e il bigottismo dell'etichetta, fra l'indipendenza dei modi e l'anarchia.

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La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

192762
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 2 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
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Quando date la salda alla biancheria, non accendete, onde riscaldare i ferri per istirarla, il carbone del fornelletto a porte e finestre chiuse, ma su ballatoi od almeno sotto il camino, tenendo o l'uscio od una finestra aperta; abbiate anche questa precauzione in cucina quando dovete servirvi del carbone per cucinare, perché il gas acido carbonico, esalando in abbondanza dal medesimo, potrebbe soffocarvi improvvisamente; per la stessa ragione non servitevi di esso per mettere nei caldani onde riscaldare le stanze; non fidatevi neppure della così detta carbonina, perché se meno ne esala, ne esala ciò non ostante ; guardatevi ancora nel comprare, che invece della medesima non vi vendano tritume di carbone che produrrebbe gli stessi tristi effetti che il medesimo produce. Il gas acido Carbonico si forma anche in sale chiuse dove è radunata molta gente e sonvi molte lumiere accese, nelle stufe, e può cagionare gravissimi accidenti. State adunque all'erta; se voi uscirete di quando in quando da simili luoghi e poi rientrerete, sarà facile l'accorgervi dallo stato d'aria ed allora spalancate porte e finestre ; sara meglio soffrire un po' di freddo, che mettersi a pericolo di soffocare. 3. Non abitate a dilungo ed al chiuso in compagnia di molte persone senza rinnovare l'aria di quando in quando, perché, respirando noi gas ossigeno, ed espirando gas acido carbonico, può accadere, massime in luogo angusto, che l'ossigeno venga diminuito in modo che veniate dagli altri due gas soffocati, imperciocchè se il gas acido carbonico soffoca quando forma la quinta parte dell'aria atmosferica, il gas azoto produce lo stesso effetto quando la medesima ne contiene due terzi di più dell'ordiiario ; si dica lo stesso del dormire più individui in istanze basse e strette. Il perché non abbiate paura di arieggiare i luoghi dove dimorate, e massimamente dove dormite, perché l'aria pura è quella sola che vi conserverà la sanità e la vita. 4. Le piante consumano pure l'ossigeno e producono gas acido carbonico ed azoto, quando le loro parti verdeggianti non sono percosse dalla luce del sole, ed operano appunto il contrario quando ne son percosse, cioè assorbono tutto ciò che nuoce alla respirazione degli animali, e dànno in cambio aria respirabile, ossigeno. Le piante adunque corrompono l'aria nel primo caso e la purificano nel secondo. Dovete perciò guardarvi dal dormire in camere dove vi sieno vegetali, dal lasciare aperte la sera le finestre che dànno sui viali e dallo starvi di notte in boschetti, sotto pergolati, ed anche di giorno sotto piante in cortili che non prendono mai i raggi del sole. E poi sempre nocivo il tenere fiori nelle stanze, massime nelle cubiculari, perchè essi non sono come lo piante; imperciocchè tanto di giorno che di notte assorbono l'ossigeno ed esalano gas acido carbonico, ed inoltre le emanazioni odorose che vengono dai loro petali possono essere causa d'altri inconvenienti, come dolor di capo e convulsioni.

Pagina 303

Abbondanza, giocondità, sorriso non rallegrano però del pari tutta la terra. In essa, o figliuola, come in ogni umana esistenza, al bene s'intreccia il male : quant'è a dire, che alle delizie, di cui natura fioriva il suo gentile paese, sottentrano in altri la sterilità dei terreni, l'inclemenza dei climi. Quindi è che i geli del polo e il bollore dei tropici rendono spopolate o infelici le regioni che vi soggiacciono. Al rigoglio delle erbe, al lussureggiare di ogni prodotto che arrechi il suolo, al giganteggiare degli alberi succedono piante nane, spinosi cespugli ; non fiori, non viti, non gelsi, ma felci , muschi , licheni ; e steppe , savane, deserti scaccian da se l'uomo per clar ricovero a belve, rettili e insetti. Cosi la sapienza dell'Architetto supremo alternò nel creato l' orrido al bello, il mesto al giocondo, affinché dal vario nell'uno uscisse quella stupenda armonia che inalterata e costante, qual durò sinora, si manterrà sino alla fine dei secoli. E da ciò pure apprendi, o giovinetta, che non tutta la vita ti può correre, come adesso, placida e lieta. Al favore delle care speranze in che esulta il tuo spirito succederà lo sconforto del disinganno ; alla gioia dell'oggi terrà forse dietro il dolor dei domani. Ma non accorartene troppo ; sì piuttosto medita e prega. Non tel dissi, che sei quaggiù pellegrina? Adunque non affliggere il tuo cuore al luogo che ti fu sortito a breve dimora: la tua patria non è qui, ma su in cielo.

Pagina 332

Marina ovvero il galateo della fanciulla

193890
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
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Pagina 133

Nuovo galateo. Tomo II

194966
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Pagina 203

Le buone usanze

195562
Gina Sobrero 2 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Pagina 73

Una volta i pranzi erano interminabili; ora le proporzioni sono diminuite assai, e si preferisce una portata di meno ed un po' d'eleganza di più: badi però l'anfitrione, che di ogni piatto ci sia abbondanza per tutti, affinchè non tocchi, per esempio, ad uno dei suoi ospiti la testa del pesce; ella non sa se ha da fare con un ittiofago, e non a tutti piace questa parte, che certi buongustai ritengono la migliore. Non è necessario offrire primizie, ma chi si permette questo lusso, deve procurare che ce ne sia per tutti, senza che si debba lesinare sul boccone. È meglio evitare di dar pranzi i giorni di magro; è più difficile la combinazione di cibi, senza contare che non si ha il diritto di imporre agli ospiti il sacrificio delle loro opinioni. Nei pranzi in campagna molte cose si semplificano; non sempre si trova tutto il necessario per comporre un pranzo o una colazione secondo le norme stabilite; ma se la padrona di casa è una donnina fine, intelligente, può colle più modeste risorse dare alla sua tavola un aspetto di ricchezza, di benessere, di buon gusto, che tengono luogo di tutte le delizie. L'industria moderna ha trovato modo di conservare nelle scatole tutte le verdure e le carni più fine; io non le ammiro e preferisco sempre un pollo arrosto, una frittata di uova fresche, al salmone, a tutte le golosità conservate; ma con la scienza culinaria si può ottenere un grande aiuto dalle piccole scatole di conserve. Il pesce, il gelato, le fritture, i pasticcini grassi e dolci, il formaggio, vanno posti sopra una piccola tovaglia ricamata, guarnita di trine o di frangie. Ho detto che nei pranzi in campagna lecita una maggior libertà, però anche in una colazione fatta sull'erba, all'ombra fresca, di un boschetto, è obbligo di una donna fina, di un uomo bene educato, il condursi come in casa propria. Qualche volta si fa a meno di posate, ma anche un'ala di pollo può essere presa e tenuta fra le dita con grazia, quando chi la mangia possiede questo preziosissimo fra i doni. Del resto, è tanto facile mettere nel paniere qualche posata, qualche tovagliolo; si evita così di veder le smorfie di qualche raffinato o la grossolanità di altri, che, colla scusa della libertà campestre, si permettono qualunque licenza. Poichè ho parlato di posate, voglio accennare ad un fatto disgustoso che pur troppo accade in molte case: le posate sono male lavate, ed esalano un fetore che par fatto apposta per togliere l'appetito. In Francia, per economia, non cambiano le posate ad ogni portata; e mettono una stanghettina di cristallo, d'argento, o d'un metallo qualunque accanto al piatto di ciascuna persona, sulla quale stanghettina si appoggia la posata dopo essersene serviti, per non macchiare la tovaglia; uso davvero non troppo simpatico, al quale mi pare assai preferibile il nostro di cambiare posate ad ogni portata, non lavando però male e in fretta la posata, ma tenendone in serbo la quantità necessaria, quando è possibile. Nei caffè e nelle trattorie sovente si tengono molto male le posate, ed io non saprei immaginare un fetore più disgustoso ed ingrato di quello come di pesce crudo o d'olio rancido, che esala il metallo mal lavato. Sono ora molto in voga i five o' clock teas, ossia il tea, offerto alle cinque; ci si va in toeletta da visita molto elegante, e anche, se il tea non è che una scusa per fare i quattro salti, si tiene il cappello. La tavola per il tea deve essere presieduta dalla padrona di casa, e messa con tutta la cura possibile, più che mai ornata di graziosi gingilli, di fiori, di buon gusto. Non vi si mettono coperti, ma ognuno deve avere la posatina completa, il piccolo tovagliolo, il piatto. Si mangiano dolci, sandwiches, si beve il tea, il cioccolatte nelle tazze di porcellana fine: se si balla sono necessarie varie qualità di vino bianco, se si può, e rinfreschi in abbondanza. È un lusso esotico, questo ricevimento diurno, e per imitarlo, bisogna adoperare tutta l'eleganza che vi sfoggiano gli stranieri, se non si vuol riuscire ridicoli. Tocca agli uomini occuparsi delle signore, giacchè, molte volte, per dare alla festa un carattere di maggiore intimità, i servi non vi compaiono neppure. A questi ricevimenti si va vestiti come per le visite; gli uomini, in stifelius o frac con cravatta bianca: le signore, eleganti quanto vogliono, ma mai scollate, poichè non debbono deporre il cappello.

Pagina 88

Signorilità

198755
Contessa Elena Morozzo Della Rocca nata Muzzati 3 occorrenze
  • 1933
  • Lanciano
  • Giuseppe Carabba Editore
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Ora veniamo alla distinta di una colazione modestamente signorile, offerta in una casa dove ci sia una sola domestica, ricordando ancora: 1° che è indizio di poca signorilità offrire troppa roba e obbligare l'ospite a ripetere tre o quattro volte un piatto... ma che tutto deve essere in giusta abbondanza, e ripassato una seconda volta; 2° che sarà bene arricchire il pasto con qualche specialità paesana e locale, perchè questo toglie la monotonia di certi pasti fatti sul comune «clichè», e che danno l'impressione di essere in trattoria, e non in famiglia amica... Antipasto; Soufflè di uova; Pollo allesso in gelatina con contorno di primizie; Budino di cioccolato; Macedonia di frutta. Pasticcio di maccheroni; Sformato di verdura con funghi; Vitello tonnato con salsa; Budino di crema; Stracchino e frutta. Pastina Gaby con brodo ristretto; Vol au vent con ripieno appetitoso; Pasticcio di fegato con gelatina; Torta di mandorle; Mozzarella e frutta; ... e si può variare, sulle stesse basi, all'infinito.

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Basta provvedersi di abbondante benzina comune; versarne in abbondanza in un catino, immergervi il capo di vestiario, stropicciarlo con garbo e passarlo due o tre volte in benzina rinnovata e pulita, fino a che la benzina rimane chiara, poi appenderlo su di una comune stampella, all'ombra. Il «pieghettato» rimane perfetto, e naturalmente, non va toccato col ferro. La benzina rimasta serve per «primo bagno» a un altro indumento. Miglior cosa sarebbe adoperare quella benzina sgrassata che si vende dai grandi droghieri, proprio per smacchiature, o anche dell'alcool, - ma può servire anche la comune da automobile... E, a proposito di pieghettati, per conservarli freschi anche in un lungo viaggio in baule, bisogna avere la precauzione di legarli con un nastro di seta in principio, in mezzo e in fondo. Se poi abbiamo vestiti molto delicati. è meglio adagiarli in una robusta scatola di cartone e fissare quella nel baule, oppure nella cappelliera. Se poi si posseggono bauli speciali colle «stampelle» o bauli-cappelliere, o bauli portascarpe, niente di meglio. È indicatissimo scrivere su di un quaderno le cose che si portano con sè, sia per dimenticare le indispensabili, sia per riportarle alla fine della villeggiatura, sia per contarle al primo sospetto che qualcuna abbia preso il volo. Quando una signora non sia provvista dei bauli speciali sopra accennati, abbia almeno varie tasche o borse in tela o in mollettone per tenere ben divisa la biancheria, le combinazioni, le calze, i fazzoletti; abbia borse di «crétonne» per le scarpe, e ve le metta bene imbottite di roba leggiera, o colla loro forma; quando non possegga un «nécessaire» da «toilette» da viaggio, abbia almeno parecchie tasche di tela ricamate collo stesso disegno; per pettine, spazzole ecc. abbia sempre delle igieniche buste portatovaglioli, e una scatola, il meno possibile grande, con la scritta «farmacia». Essa contenga un tubo di pasticche di sublimato corrosivo (una di esse, sciolta in un litro d'acqua, dà la soluzione all'uno per mille) una siringa con astuccio, due aghi e due fialette d'olio canforato (per poter fare un'iniezione in caso grave, e rianimare le forze del cuore), un pacchetto di g. 100 di cotone sterilizzato, delle compresse di chinino e di salolo, una scatola di vasellina borica e delle pillole purgative; una boccetta di tintura di jodio e una di laudano potranno stare in una valigetta a mano, assieme al piccolo prontuario che ognuna di noi deve tenere sempre vicino (vedi appendice di questo capitolo). Un baule ben fatto deve ancora contenere un sacchetto di tela greggia con chiusura a guaina per la biancheria da lavare, dei sacchetti impermeabili per manopole, e spugne, catini di gomma, ecc. In quanto al «nécessaire» da lavoro, ecco come farne da sé tre: uno più semplice e minuscolo, uno più completo e uno completissimo. Per il primo prendiamo due rocchetti di misura comune, posiamoli su della tela cerata e tagliamo due dischi eguali al «fondo» dei rocchetti, aggiungendo due o tre millimetri all'ingiro. Questi dischi saranno le basi del futuro astuccio a forma di cilindro. Ora misuriamo quanto siano lunghi i due rocchetti e quanto un ditale, e facciamo un piccolo calcolo geometrico. Moltiplicando il diametro di un disco per 3,14 noi abbiamo la circonferenza del disco. Ebbene, tagliamo un rettangolo di tela cerata lungo due centimetri più di quanto sia la circonferenza stessa e largo quanto i due rocchetti e il ditale messi in fila nel senso della lunghezza. Foderiamolo di sottile e morbida lanetta, foderiamone anche le basi e poi cuciamo le basi al rettangolo per quattro quinti... giacché, se lo cuciamo tutto, avremo un cilindro chiuso. Attacchiamo solidamente un robusto gancio automatico su quel soprappiù di due centimetri, in modo da poter chiudere bene l'astuccio. Ora adagiamovi i due rocchetti, uno di filo bianco e uno dove arrotoleremo della seta color delle calze e del vestito, mettiamoci in mezzo il ditale; nella flanellina infiliamo due aghi da cucire, uno da lana, un minuscolo passanastro, un piccolo e sottile uncinetto pieghevole, due spille da balia, due spilli comuni, una piccola limetta che possa tagliare il filo..., giacchè un paio di forbici sarebbe ingombrante. Vi stanno anche due o tre ganci automatici, e altrettanti bottoni. Il tutto risulta piccolissimo, ma completo, carico e tale da prendere posto nel sacco da montagna di un'alpinista o nella capace tasca di un cappotto da viaggio. Invece, per mettere nella valigetta a mano, dove si ha uno spazio un pochino maggiore, si può costruire una cosina più completa, servendosi di una qualunque solida scatoletta di cm. 12 X 6, alta tre centimetri. Se ne imbottisce il coperchio con un po' di ovatta che si copre con un pezzetto di solida seta; vi si fa passare un robusto cordoncino teso dove s'infileranno una piccola forbice, e il passanastro; mentre si appunterà sull'imbottitura ogni sorta di aghi e di spilli. Si acquistano sei minuscoli rocchetti e si fa nella scatola una piccola esatta divisione (con cartoncino foderato della stessa seta) per contenerli; si riempiono i rocchetti di filo bianco, di cotone da rammendo, di seta di vari colori. Nello spazio rituasto libero stanno ganci, bottoni, un ditale, un rotolino di fettuccia uno di elastico, un uncinetto sottile pieghevole. Per la chiusura serve un robusto gancio automatico, che si può far mettere a macchina da un calzolaio o da un sellaio. Infine, per avere un capace «nécessaire» da portare con sè in una lunga villeggiatura, si opera come si è fatto per la scatola N° 2 e si riduce a «nécessaire» una bella scatola grande; la si provvede come quella N° 2, aggiungendovi in più delle forbici grandi, dei lacci da scarpe e da busto, degli uncinetti, del cotone da ricamo e da rammendo, della seta di varii colori, della lana di tinte svariate, corrispondenti ai calzettoni sport dei ragazzi, ecc... In quanto al «nécessaire» per pulire le scarpe, è bene fare una spesa una volta tanto, e comperare quegli astucci di cuoio contenenti due spazzole, rispettivamente per scarpe chiare e nere, con varie creme e varie pezzuole. Se si viaggia con bimbi o con persone anziane, bisogna avere, in apposita scatola di ferro, un fornello pieghevole con del combustibile solido (quello Meta, usato da Nobile al Polo è il migliore) e con dei fiammiferi. Un fornellino elettrico, e quel piccolo apparecchio elettrico ad immersione, mediante il quale si può avere in qualunque momento dell'acqua calda, saranno praticissimi in qualunque luogo dove ci sia la luce elettrica; un bicchiere di alluminio tascabile, con relative posate e cava-turaccioli, in apposita custodia di cuoio, serviranno durante qualche gita; il piccolo ferro elettrico, servirà a «rinfrescare» vestiti e biancheria; una piccola cartella in cuoio conterrà il libro degli indirizzi, delle carte da visita, la carta d'identità; un «blocco» di buste e carta da lettere servirà per la corrispondenza, con una buona penna stilografica e con compresse d'inchiostro; ... Se poi partiamo per un lungo soggiorno, rechiamo con noi qualche gaio tappetino, qualche bel ricamo, un portacarte e un paralume pieghevole; qualche gingillo (tra cui utilissima, e anzi, necessaria, una sveglia da viaggio con astuccio), dei vasetti argentati o di rame per fiori, ed anche una piccola «grafonola Columbia per poter fare quattro salti a suon di musica» e una buona «Kodak». E non dimentichiamo d'essere cristiani e non dimentichiamo che la vita è incerta. Così l'«Imitazione di Cristo», nell'edizione che ha anche le preghiere per la Messa, abbia un posto d'onore nell'astuccio di cartone che le impedirà di sciuparsi. E un Crocifisso con l'indulgenza «in articulo mortis», ci sia sempre accanto. Vivendo un'esistenza onesta e di lavoro, non dobbiamo temere la morte... al punto di allontanarne da noi, paurosamente, il pensiero!... E poi, con tanti incidenti della via e della vita, con tanti disastri ormai comuni, il Simbolo benedetto e eterno della Croce, può ajutare e confortare altri... I porta-ritratti pieghevoli o di cuoio, o di cartone, o di stoffa, o foderati con carta di Varese, colle fotografie dei nostri cari vivi o perduti, ci siano pure compagni di viaggio e di villeggiatura.

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Pagina 460

Come presentarmi in società

199810
Erminia Vescovi 2 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
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Anche se vi fossero persone di servizio in abbondanza, ella si riservi di sorvegliar la sua guardaroba, perchè nulla vi manchi. E se il marito ha a questo proposito una qualche mania, una esigenza un po' esagerata, procuri di compatire di assecondare. E' forse meglio che un uomo pecchi di soverchia ricercatezza che di trascuratezza volgare. E, del resto, quando un uomo si presenta in società, si giudica spesso dal suo vestire l'abilità della moglie il grado del suo affetto per lui... Un bottone ciondolante, una camicia male stirata sono stati origine, talvolta, di scene domestiche assai disgustose, e di commenti estranei molto... pungenti per la signora.

Pagina 234

Le buone maniere

202403
Caterina Pigorini-Beri 1 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
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Pagina 65

Eva Regina

203198
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 4 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Per fortuna di chi può fare una selezione, gli editori ci dànno oggi volumi in tale abbondanza che non è punto difficile prendere l' alimento spirituale che conviene e rifiutare il resto. « Leggere e sognare, l'uno e l'altro è un mondo » scrive il poeta inglese Wordsworth : ed è infinitamente dolce, infinitamente consolante, nelle ore della solitudine, qualche volta della tristezza, poter varcare la soglia di questo regno senza confini che ci fa dimenticare gli affanni della vera vita.

Pagina 124

In questi ultimi casi si consigliano farinate di latte con burro, latte con biscotti, carni grasse, cibi di farine, preparati con burro o con olio, verdure e legumi freschi in abbondanza. Utilissimo lo zucchero. Nella rachitide il cibo deve essere specialmente variato e sempre fresco: il succo di frutta, aranci, uva, è assai indicato. I legumi che contengono del ferro, tanto necessario all' organismo dei rachitici, recheranno vantaggi. Invece dell'enumerazione dei rimedi, che nessuna mamma vorrebbe certo somministrare senza l' ordinazione del medico, ho creduto far cosa più utile ad esse indicando il modo di coadiuvare, di completare la cura che solo il medico ha diritto di prescrivere. Infatti in ogni caso di malattia infantile, sia semplice o grave, congenita o causale, il primo, l' unico dovere di una mamma tenera e intelligente è quello di mettere la sua creatura nelle mani della scienza e secondarne l'opera con fiducia, energia e abnegazione.

Pagina 216

La Dalia bianca: Sterilità, la rossa: Abbondanza; l' Edera, ognuno lo sa: Attaccamento eterno. L' Elianto o girasole : Adulazione; l' Eliotropio : Abbandono, infatti il suo profumo è lieve come un sospiro. L' Erica significa : Sciocchezza; il Fioraliso: Vera amicizia; la fucsia rossa: Cordialità; la bianca : Tenerezza; la Gaggia bionda come la testina d'un bimbo esprime: Ingenuità. Ecco i Garofani, i forti e bei figliuoli d'estate; il roseo significa Amor delicato, il bianco : Amor puro, il rosso: Amor vivo, il garofano screziato: Poesia, il garofano cupo: Amor concentrato, il giallo: Amor bizzarro. Il Gelsomino indica : Gentilezza; il Geranio sanguigno: Presunzione, il Geranio screziato : Orgoglio, il Geranio edera : Troppo sentir di sé. Il Giacinto semplice significa: Umanità; doppio: Gelosia. Il Giglio, è noto: Castità; la Ginestra: Amor della famiglia; la Giunchiglia : Lunguore; il Gladiolo : Spontaneità; l' Iris fiorentina : Sensibilità; il fior di lino : Vittoria, e il fior di lavanda: Silenzio. L' Oleandro rosso esprime; Antipatia, bianco: Insofferenza; il Lilla, dal soave odore dice : Prime agitazioni d'amore. Il Luppolo : Antipatia; la Miosotide: Ricordati di me; la Maggiorana: Consolazione; la Magnolia: Bellezza superba; la Malvarosa: Fecondità; il Mandorlo che apre spesso troppo presto le sue fragili corolle: Mente stordita. La Margherita di giardino dice: Giovinezza, e quella dei prati : Bontà. Il fior di Melograno indica : Il burbero benefico; la Menta: Saggezza; il Mirto : Amore; il Mughetto : Ritorno al bene; il Narciso : Vendetta d'amore; il Nasturzio : Fiamma d'amore; la Ninfea: Sterilità. L'Ortensia rosa significa: Freddezza, l'Orchidea comune: Ingegno; l'Orchidea macchiata : Intelligenza superiore; il Papavero : Scempiaggine; il fior di passione, o Passiflora : Tortura dell'anima. La Peonia indica: Vergogna; la Pervinca: Amicizia durevole; la Primula: Adolescenza; il Ranuncolo: Malinconia; il Reseda : Inesperienza. Eccoci alla regina dei fiori, alla rosa. Muschiata dice : Amor capriccioso; gialla o the : Amor ingrato; incarnata : Bellezza senza orgoglio; rossa: Amore ardente; selvatica: Piacere. Il ranuncolo esprime: Poca sincerità; la Scabbiosa o Vedovella: Abbandono; la sensitiva: Pudore; la tuberosa: Ebbrezza voluttuosa; il Tulipano: Amore violento; la Verbena significa : Sincerità d'affetto; la Veronica: Compatimento; la Viola del Pensiero: Pensate a me; la Violaciocca, se bianca: Cuore instabile; se rossa: Volubilità; se gialla: Poca fermezza d'affetti, una variazione della stessa triste cosa. La Viola mammola, come tutti sanno, indica : Modestia; doppia : Bellezza modesta; bianca: Candore; la Zinia dice la cosa più crudele a chi ama : Lontananza.

Pagina 609

La donna ha l'intuizione più fine, spetta a lei di scorgere il pericolo e di allontanarlo ; ora non voglio dire con questo che per rispettare l'accordo domestico la moglie debba sacrificare senz' altro le sue opinioni, i suoi gusti, e divenire una cosa inanimata, una schiava senza volontà: vorrei però raccomandarle, nel difendere le idee e le abitudini a cui tiene, di evitare gli urti che inaspriscono la divergenza più tenue: le parole imprudenti che possono scavare un abisso insormontabile anche fra due persone che s'adorano: d' usare, infine, a profusione, nelle questioni più importanti come nelle più lievi, di quella diplomazia femminile, di quel tatto, di quel discernimento di cui pare che la natura ci abbia fornito in abbondanza, appunto perché sono elementi utili e necessari alla nostra vita morale. Tutte le donne dovrebbero essere un poco psicologhe : ma purtroppo fra tante cose che si insegnano alle ragazze, non si insegna a studiare, a interpretare la varietà dei temperamenti. Abbiamo visto che il tempo della promessa, per la superficialità dei rapporti, é insufficiente a conoscersi bene : bisogna quindi che la giovine sposa si applichi a questa scienza essenziale per la sua felicità, dal domani delle sue nozze. Se ama con tenerezza, l'amore faciliterà il suo compito : se è soltanto affezione tranquilla che la lega al suo compagno, la calma del suo spirito può aiutarla nell' indagine proficua. L' anima virile si rivela facilmente nelle sue luci e nelle sue ombre tra le pareti della casa, e colei che ama, colei che vuol es-sere amata, non ha che accordarsi con quella. Si vede tante volte una coppia di sposi di carattere consimile essere infelice per mancanza di reciproca conoscenza intellettuale e morale : e molte volte invece due sposi d' indole opposta furono felicissimi perchè seppero regolarsi in guisa da compensarsi a vicenda. Certo che quest'opera d'accordo non è scevra di sacrifici da parte nostra, ma la vita femminile è tutta tramata su questa idealità severa e gloriosa. Però l' armonia sarà alquanto facilitata se l' intelligenza dell' uomo e della donna destinati a vivere insieme potrà equivalersi. Due sposi possono amarsi ed avere gli stessi gusti, ma se v' è troppa disparità d' intelligenza e di coltura, le più grandi gioie d' un' unione d' anima saranno loro negate, e si troveranno sempre in disaccordo e sull'educazione dei figli, e nelle opinioni, e in ogni grave decisione da prendere nella loro vita comune. La migliore educazione della donna moderna, la sua istruzione più completa, lo sviluppo più ampio della sua individualità morale, certo può assai contribuire all' armonia coniugale, all' adempimento della missione muliebre di grazia, di conforto, di tenerezza buona e alta. Qualunque sia l'opera che affatica il suo compagno: opera d'ingegno, opera di meditazione, opera d' attività materiale o responsabilità, sia come un angelo e una fata presso di lui, lo prevenga, lo comprenda, lo giustifichi sempre; sia la sua ispirazione, il suo riposo, il suo premio, la sua fede. Alla donna dei tempi nostri, ben conscia della sua potenza spirituale, è riservato il benefico compito di ridare all'istituzione del matrimonio, abbassata ed avvilita dalla cupidigia e della leggerezza, la sua nobiltà soave e forte, la sua superiorità su ogni altra alleanza, in modo da rendere inutile ogni provvedimento contro la sua indissolubilità. Ed io vorrei qui, se mi fosse concesso dallo spazio, poter citare il vivo esempio di molte coppie d'amanti-sposi la cui vita non fu che una eterna luna di miele, appunto perchè vollero e seppero interpretarsi e comprendersi : Roberto ed Elisabetta Browning, Giulio e Adele Michelet, Tommaso e Giovanna Carlyle, e ai giorni nostri Rossane Rostand che insieme al noto autore del Cyrano di Bérgérac ci dà una consolante prova che l'amore e l' armonia coniugale non sono un sogno...

Pagina 85

Lo stralisco

208502
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
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Pagina 105

L'idioma gentile

208838
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1905
  • Fratelli Treves Editori
  • Milano
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I miei amici di Villa Castelli

214507
Ciarlantini, Franco 1 occorrenze
  • 1929
  • Fr. Bemporad & F.°- Editori
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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E quel «però» che i fanciulletti aggiungono vuoi dire tante cose: la speranza di mangiarne in abbondanza, il sapore squisito che allora gusteranno.... Ecco: Mario e Sèrafo siedono lungo il ciglio della strada all'ombra, di una vecchia querce: si dànno al lavoro paziente di scortecciare dei rami di cui si vogliono fare dei bastoni. Intanto Sèrafo racconta: «Mi hanno raccontato Ia storia del Gigante Zucca: io penso che fosse invece il Gigante Popone. Senti, Mario. Un tempo, presso un paese come il nostro, ma in un castello alto alto e scuro scuro, abitava un gigante che si chiamava Gigante Zucca. Questo Gigante era assai cattivo; derubava la gente, faceva paura quando compariva, e si diceva, che, soprattutto, guai, se vedeva un bambino. Subito aveva la tentazione di mangiarlo. Un giorno in un campicello c'era, un contadino col suo figlioletto. Il raccolto era scarso, il campo squallido, e i due poveretti molto tristi: mentre cercavano di radunare la poca roba, èccoti comparire il Gigante Zucca. Che cos'era mai la siepe per lui? Con un passo la scavalca e subito corre con la bocca aperta verso il contadinello per prenderlo e forse mangiarlo. Il povero padre tutto atterrito che fa? Non aveva altro in mano che una patata e allora con tutta forza gettò quella nella bocca aperta del Gigante Zucca. Il Gigante straluna gli occhi, fa ancora tre o quattro passi, poi, mentre babbo e figlio scappano a gambe levate, precipita a, terra morto soffocato. Ma il contadino per prudenza aspettò tutto un giorno a tornare al campo e solo quando vide che il Gigante era ancora là disteso e che qualche uccellino gli volava intorno tranquillo, osò avvicinarsi. Il Gigante era proprio morto. Ma per sicurezza il contadino gli taglio' la testa e fece per portarla in un altro campo. Però era tanto pesante che gli cadde di braccio e andò in tanti pezzi. Il contadino non ci pensò più e sparse la terra su tutto. A primavera, che è, che non è, in tutto il campo spunta un'erba nuova: a giugno cominciano ad uscire dal terreno tante piccole teste di gigante che diventano grandi ogni giorno di più. Il povero contadino si chiuse in casa con la moglie e il figlio. Chissà che strage avrebbero fatto tanti giganti! Ma per intanto c'erano solo le teste e nessuna apriva la boccaocca. Però quei contadini erano diventati più poveri ancora; sicché un giorno dovettero andare al mercato a vendere la capretta che era loro rimasta. Vanno e il loro figlioletto resta solo. Che fame aveva! e in casa non c'era niente, ma proprio niente! Allora prende la roncola e via al campo. Qui si fa coraggio: prende per il ciuffo verde una testa di gigante e la stacca: poi corre in casa e la taglia per metà. Che testa buffa! Fuori era verde e dentro era di un bel color giallo oro, con tanti semini più chiari. Il bambino si fa ancor più coraggio: stacca una fetta di testa, vi mette dentro i denti e resta tutto sorpreso. Non aveva mai mangiato nulla di più saporito. Mentre sta mangiando, tornano i genitori tristi e afflitti perchè nessuno aveva voluto comprare una capra così stenta. Quando vedono... che cosa? Che ha fatto il loro figliolo? Diventan disperati. Ora sì, che morirà! Ma il bambino non si sente niente affatto male, anzi invita babbo e mamma a mangiare un po' di testa di gigante. Che orrore! dicono quelli; ma poi pensano che è meglio morire tutti insieme e si mettono ad assaggiarne un po', e dopo un po' ne assaggiano ancora, e poi ancora un po', tanto che a dirla in breve la testa di gigante è mangiata tutta. Dopo quel giorno quei contadini decisero di tenersi le loro teste di gigante e di nutrirsi con quelle. Ed ecco che cosa avvenne. Una volta iI figlio dei Re di quel paese, passava di là a cavallo con tanti principi : quando vide quel campo e quei frutti che non aveva mai visto, domandò ai suoi aiutanti che ne andassero a prendere. Quelli vanno e tornano portando una «testa di gigante» pronta per essere mangiata. Dietro loro venivano i tre contadini, padre, madre e bambino. La giornata era calda, il figlio del Re assetato, e mai nessun altro frutto gli parve così delizioso. - Come si chiama questo frutto? - domandò allora. I principi non sapevano che cosa rispondere e si guardavano l'un l'altro. Si fece avanti il contadino padre, il quale disse: - Si chiamali teste di gigante - e raccontò il perchè del nome. Allora il Principe, figlio del Re, levò la spada dal fodero e in premio del raggio del contadino lo nominò Conte delle Zucca. Poi levo di tasca una borsa piena di monete d' oro e gliela diede perchè gli cedesse quelle piante da Mettere nel suo frutteto. Il Conte della Zucca fu felicissimo d'accontetarlo e mai si rallegrò tanto come allora pensando di aver avuto in mano la patata e d'averla saputa gettare diritta, in bocca al Gigante», La storia è finita, ma nè Sèrafo nè Mario san decidere se fosse proprio il Gigante Zucca o il Gigante Popone.

Pagina 119

Il Plutarco femminile

217654
Pietro Fanfano 1 occorrenze
  • 1893
  • Paolo Carrara Editore
  • Milano
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Però, poichè Cornelia nostra è ormai uscita a dall'infanzia, e si fa di giorno in giorno di corpo più grande, e di spirito più acuto e più vivace, nel quale, come in terreno fertile e atto, si può già incominciare a spargere alcun seme degno di noi: e perchè non è semenza più nobile, a nè donde nascano in abbondanza più preziosi frutti, nè più utili, o necessarj per iscacciare la fame e la sete delle mondane delizie, che quella del nome e dell'amore di Dio; è di mestieri che procuriate con tutte le forze vostre, e con ogni diligenza d'imprimere nella pargoletta anima il nome, l'amore e i pensieri di lui affine che impari ad amare e ad onorare colui, dal quale riceve, non solo la vita, ma tutti i beni e le grazie che possono fare l'uomo felice in questo mondo e beato nell'altro. Studiate medesimamente d'innestare nella tenera mente sua il timore di esso Dio: il timor, dico, non vile, non servile, il quale a non piace alla maestà sua; ma quel nobile e gentile, il quale stia ad ogni ora sì unito e sì a congiunto con l'amore, che non si possano in alcun modo dividere nè separare: perciò da questi due fratelli, così congiunti e così uniti, ne nasce la religione; la quale, a guisa d'ombra, che, ancorchè lasci l'erbe inutili e selvaggie germogliare, non le lascia però maturare nè far frutto, così non lascia alcun vizio vergognoso nè capitale fermar le radici negli animi loro, ne venir a tempo che possa produrre alcun frutto di scellerità Or perchè sappiate ciò che importi questa parola costumi, vi dico che, costume non è altro che, in tutte le cose che si dicono, servire una certa modestia e onestà; e in quelle che si fanno un certo ordine e un certo modo atto e conveniente, a ne' quali riluca e risplende quella dignità e quel decoro, che, non solamente gli occhi e gli animi de'prudenti, ma degli imprudenti ancora diletti e muova a maraviglia. "I costumi si dividono poi dalla ragione e dal tempo: perciocchè alcuni s'insegnano e s'imprimono ne' puerili animi dalla ragione e dalla diligenza d'altri: alcuni dalle loro considerazioni e dal proprio loro giudicio col tempo s' imparano. Piglierete adunque pensiero d' insegnar loro quella parte che a voi più si richiede. Due sono i modi dell' insegnare: l' uno con le ragioni e con gli ammaestramenti; l'altro con gli esempj: e perciò il senso dell'occhio è più veloce che quello dell' orecchio, e ha maggior forza della natura, "bisogna, signora Porzia mia, volendo creare Creare vale educale, come creanza, educazione: onde buona o mala creanza, bene o mal creato. i vostri figliuoli e rendergli tali, che coi loro costumi e virtù meritino d'esser andati, che vi mostriate tale a loro, quali desiderate che essi si mostrino ad altri. La tacita disciplina, e quella che più ragiona co' fatti che con le parole, è quella che più giova; chè, se vorrete a' vostri figliuoli que' documenti dare, de' quali voi non vi serviate, sarà il medesimo che se uno volesse insegnare ad un amico un cammino, ed egli s'inviasse per un' altra strada. "è di mestieri, dovendo instituir bene i suoi figliuoli, che il padre e la madre siano di natura moderati e gentili; e con tanta diligenza e studii affettino Affettino, cioè facciano mostra, diano a conoscere. la loro virtù, che a guisa d'un prezioso liquore s' affatichino d' infondersi per gli occhi, e per gli orecchi nell'animo e nell'ingegno del fanciullo, e di trasformarsi tutti in lui," perchè, subito che comincia con puerili pensieri a discorrere e a spaziarsi, se non nelle interne, almeno nell'esteriori e superficiali parti della ragione, rivolge e affissa gli occhi e gli orecchi nel padre e nella madre; e mira e osserva con grandissima attenzione tutto ciò che essi fanno o dicono. "E l' ammirazione della paterna virtù è pungentissimo sprone per far correre lo spirito del figliuolo per quel medesimo cammino che corre il padre." E sovra tutto abbiate pensiero alla disciplina domestica, della vostra famiglia e procurate che niuna brutta, empia nè lasciva parola pervenga agli orecchi dei figliuoli; nè alcuno atto disonesto, nè vergognoso, agli occhi loro si rappresenti; e questa dee essere propria cura e studio vostro: poichè il più del tempo gli tenete nel seno Nel seno, in collo, come dicesi oggi; e stando con voi affissano gli occhi nel vostro volto, e da voi imparano e a parlare e a camminare. Non gli menate in alcuna casa ove non sia una gentile e casta creanza; perchè, siccome dai luoghi che sono d'ogni intorno salutiferi non pu� venir aura che non sia benigna e vitale, così dalla consuetudine de' buoni e de' virtuosi costumi non può venire se non fiato di buona disciplina. Ed eziando che questi costumi, da alieno studio impressi nella mente dei fanciulli, non siano vera virtù ma similitudine, immagine e ombra sua; nulladimeno avviene in corso di tempo (tanta è la forza della consuetudine) come della femminile statua di Pigmalione, che, per grazia di Dio, in ispiraci e vita di vera virtù si trasformono. E avvertite di non cadere in quell'errore, nel quale caggiono la più parte delle altre madri, le quali con la troppa indulgenza, col compiacere di soverchio alla volontà e al desiderio de' figliuoli, non pur non facendo o dicendo, ma non consentendo che altri faccia o dica cosa contra la loro volontà corrompono i costumi loro; e a questo modo gli danno in preda alle delizie, facendo il piacere e 'l senso signore, anzi tiranno, dei loro giovani pensieri. Non dico per questo che dobbiate correre per quello estremo del timore nè delle battiture; anzi biasimo quelli che battono i figliuoli, non meno che se nella immagine di Dio avessero ardire di porre le mani. La virtù non si ha da conservare ne' pargoletti animi nè delle battutine; anzi biasimo quelli che battono i figliouli, non meno che se nella immagine di Dio avessero ardire di porre le mani. La virtù non si ha da conservare ne' pargoletti animi nè con sferza, nè con timore, perchè "il timore è "debile e infermo custode della virtù; ma è di mestieri di servare quella mediocrità tanto lodata in tutte le nostre operazioni. E siccome si dee guardare che la troppo durezza e severità non divella Divella, Divenga, strappi, diradichi. l'amore del padre talmente dall'animo del figliuolo, che tutto ciò che conosca essergli grato sia in odio a lui, così medesimamente si dee procurare che, per la troppa piacevolezza e indulgenza, non si spogli di quel timore e di quel rispetto, nè di quella reverenza, che egli è solito e debitore di portarli. E se pur alle volte (chè per la imperfezione della nostra natura è impossibile altrimenti) cadono i figliuoli in qualche errore, se è picciolo, mostrate di non vederlo, s'è mediocre, riprendeteli con amorevoli più che non severe riprensioni, a guisa di buon medico, il quale vuol piuttosto sanar l'infermo con la dieta e con la vigilia che con la scamonèa: se pur è grande, non usate più con loro della solita piacevolezza e liberalità; montatevi loro collerica, severa e difficile. Infiniti altri sono gli ammaestramenti che alla buona educazione s'appartengono; ma, perchè dubito col troppo cumulo di non confondervi l'animo; e perchè mi pare d'aver anco toccati tutti i capi principali e generali, sotto le cui leggi si restringono gli altri particolari, mi contenterò d'aver parlato sin qui; lasciando così come a me riservo la cura delli studj di Torquato, allor che l'età convenevole lo ricercherà a voi, che donna siete, il pensiero d'insegnare a Cornelia tutti quelli esercizj che a virtuosa vergine, quasi ornamento della sua bellezza e virtù, sono dicevoli e necessarj; il che so che saprete fare perfettamente. Vivete lieta; e col piacere che pigliate de' cari figliuoli, che ognor presenti vi rappresentano l'immagine mia, passate il fastidio della lontananza del marito. - La direttrice, fatta notare la bellezza di saggi ammaestramenti di questa gravissima lettera, e confortate le signorine a meditarle studiosamente, le licenziò, invitandole per la domenica appresso alla ricreazione.

Pagina 118

Il ponte della felicità

219073
Neppi Fanello 2 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
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Sulla galea vennero trasportati viveri freschi in abbondanza e alcuni barilotti di acqua sorgiva. Indi il sacerdote benedisse la galea e il gagliardetto di san Marco che Alvise aveva issato sul trinchetto, dopo avere ammainato lo stendardo della mezzaluna. Quest'ultimo venne conservato come trofeo di guerra. Il giorno stava per tramontare quando la galea spiegò di nuovo le vele e si diresse verso il golfo di Corinto. Dalla riva centinaia di occhi seguivano la manovra, mentre tutte le labbra mormoravano un addio e una preghiera. Alvise, ritto sul ponte, guardava il gagliardetto azzurro che garriva nel vento della sera profumato di alghe e di bosco; quel vento, che era passato sulle cime dei monti italici e aveva accarezzato le loro pendici verdeggianti, gli sussurravano misteriosamente che la sua avventura non era ancora finita.

Pagina 110

La neve, caduta in abbondanza, copriva di un soffice strato i tetti delle case. Dai comignoli incappucciati dalla neve usciva un pennacchietto di fumo azzurrognolo che saliva verso il cielo opalino. I palazzi, che specchiavano le loro marmoree facciate sul Canal Grande, sembravano più belli con il gelido ricamo della neve che si era ammucchiata su ogni sporgenza. Teodora Pisani Moretta, seduta davanti al clavicembalo, le agili mani posate sulla tastiera, teneva il visino rivolto verso Loredana, e i suoi occhi stupendi erano fissi in un punto lontano come se inseguissero un suo sogno fuggente. Loredana, tutta vibrante di estro creativo, studiava l'espressione di quel viso per rendere più vivo ancora il ritratto dell'amica, già quasi finito. Sullo sfondo cupo del salone risaltava leggiadramente l'esile figura avvolta in un pesante abito di broccato color ciclamino. Ma era soprattutto sul viso spirituale e intorno agli occhi bellissimi che s'indugiava Loredana.. Di tanto in tanto ella si riposava, e allora Teodora eseguiva qualche pezzo di musica, ascoltata con passione dall'amica. Nella quiete del salone le note soavi facevano pensare ai mattini di primavera, allo stormire delle foglie degli alberi, ai richiami dei gondolieri sui canali e alle voci festose dei bimbi raccolti sui campieli nella gran luce dei giorni sereni. I gabbiani volavano sull'estuario si posavano mollemente sulle vele agitate dalla brezza, e l'olezzo dei fiori coltivati nei giardini si confondeva con l'odore di salmastro di cui erano imbevute le navi che venivano da terre lontane. L'immaginazione di Loredana correva allora a quelle contrade straniere dovè suo padre viveva, ormai abbandonato da tutti, senza più speranza di ritorno, e dove Alvise e Zuambattista Benedetti dormivano il loro ultimo sonno. Ella si era fatta coraggio per sua madre, che ignorava sempre la grande sciagura, e per nonna Bettina il cui viso diveniva ogni giorno più pallido e affilato. Ma che cosa ne sarebbe stato di lei se nel mesto cammino della vita non si fosse incontrata con Teodora? Eccola lì, davanti al clavicembalo l'amica delle ore tristi, intenta a suscitare, con il tocco delle agili mani immagini fluttuanti nello sconfinato mondo dei sogni! In un momento particolarmente doloroso Teodora l'aveva presa per mano e l'aveva sollevata dal baratro di disperazione nel quale minacciava di perdersi. Era stata l'angiolo mandatole in aiuto dal buon Dio. Le note del clavicembalo sfarfallavano soavemente .... Teodora eseguiva qualche pezzo di musica.... nel tepore del salone patrizio, ma Loredana era lungi di lì con la mente. Si rivedeva, accompagnata da Teodora, varcare la soglia dello studio di Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, che doveva diventare la sua guida e il suo maestro lungo il difficile cammino dell'arte. Quanta trepidazione nel suo cuore, in quei primi istanti! Poi la casa del pittore, a San Marcilian, presso il campo di Santa Fosca, era diventata il centro di attrazione per Loredana. E non soltanto per l'affetto che le dimostrava il Tintoretto, arrivato allora alla piena maturità della vita e dell'arte, ma anche per la presenza della figlia di lui, una fanciulla undicenne, bionda e rosea, vivace e birichina, dal cuore d'oro e dall'intelligenza sveglia. Marietta Robusti era la prediletta del grandissimo pittore che, instancabile, andava arricchendo di capolavori immortali la sua città nativa. Fino a qualche mese prima egli aveva fatto indossare alla figliuola abiti maschili, per essere accompagnato da lei nelle sue peregrinazioni attraverso la città, dovunque lo chiamavano incessanti impegni professionali, persino sulle impalcature e sugli assiti, nei palazzi pubblici e nelle chiese. E codesto travestimento, dal quale erano derivati talvolta degli equivoci spassosi, aveva contribuito a sviluppare in Marietta un certo spirito di iniziativa e molta disinvoltura nei modi; fin che il suo precoce orientamento verso l'arte stessa del padre e verso la seduzione del canto e del clavicembalo ne aveva ingentilito il carattere e il contegno. Allora il buon Jacopo, in pieno accordo con la moglie Faustina, aveva lasciato libero corso ai diritti della femminilità sul guardaroba e sulle acconciature della sua cara figliuola. A interrompere la quiete delle due artiste entrarono improvvisamente Mariolina Corner Contarini e Ludovica Vendramin Calergi, amiche di Teodora. - Che cosa state facendo, rinchiuse come due bruchi nel bozzolo, mentre fuori splende il sole e il carnevale invita alla gioia? - chiese con voce squillante Mariolina, una fanciulla quindicenne, biondissima e vivacissima. Ludovica Vendramin Calergi si era fermata davanti al ritratto di Teodora. - Come ti somiglia! - esclamò con la sua voce un po' strascicata. (Al contrario di Mariolina, essa aveva un carattere pacato e riflessivo, forse un tantino indolente.) - Voglio dire al babbo che desidero anch'io un ritratto eseguito da Loredana Sagredo, - prosegui, continuando ad ammirare l'opera d'arte che le stava di fronte. - Anch'io, anch'io! Loredana, domani verrai a casa mia e cominceremo subito le sedute, - squillò Mariolina con il suo facile entusiasmo e sicura di essere contentata dai genitori. In virtù del suo temperamento allegro, pieno di comunicativa, e anche perchè era la maggiore di una turbolenta schiera di maschietti, otteneva invariabilmente tutto quello che voleva. - Ma tu mi rubi sempre le idee! - esclamò la Vendramin Calergi, alquanto risentita. - Via, non t'inquietare, cara Ludovica! Non ho certo l'intenzione di accaparrarmi la nostra brava Loredana per tutta la vita. - Capisco! Ma intanto io debbo venire sempre dopo di te! - Non ti ammalerai per questo, stanne sicura! - Calma, calma, amiche mie! - disse a questo punto Teodora. Doveva intervenire spesso nelle dispute delle due fanciulle così diverse nel fisico e nel morale. - Mi pare che sia già l'ora della regata. Vogliamo uscire sul balcone per assistere allo spettacolo? - soggiunse poi, per allontanare definitivamente le nubi che minacciavano di addensarsi. La proposta venne accolta con entusiasmo e le quattro fanciulle, incappucciate ben bene per preservarsi dai rigori del gelo, aprirono la porta ogivale e uscirono sul balcone da dove lo sguardo spaziava sul Canal Grande. Le regate, promosse e incoraggiate dal Governo affinchè la gioventù si rafforzasse con l'esercizio fisico e potesse fornire buoni vogatori alle sue flotte, erano antiche quanto Venezia. Costretto a vivere sulle acque, il popolo veneto comprese fin da principio che saper remare era per lui una necessità di vita, e vi prese parte con grande entusiasmo. Questa gara atletica, chiamata la regata, posta in onore da Venezia e diffusa poi in tutto il mondo, costituiva uno spettacolo grandioso, molto ammirato anche dagli illustri ospiti di passaggio nella Repubblica di San Marco. Le barche che dovevano parteciparvi erano raccolte e allineate alla Motta di Sant'Antonio; di lì partivano, e dopo aver percorso il bacino di San Marco e tutto il Canal Grande, giungevano a Santa Chiara. A questo punto, giravano intorno a un palo confitto nel mezzo del canale, rifacevano il percorso fino a San Donà, dove trovavano il traguardo; una tribuna galleggiante lussuosamente addobbata. Lì avveniva la premiazione. I premi consistevano sempre in somme di denaro che venivano date ai vincitori, chiuse in borse di cuoio. Il primo arrivato riceveva inoltre una bandiera rossa; il secondo, verde; il terzo, azzurra, e il quarto, gialla. Su quest'ultima era dipinto nel mezzo un bel porcellino: effigie dell'animale vivo offerto a colui che l'aveva meritato. Allorchè le quattro giovinette posero piede sul balcone di casa Pisani Moretta, nei palazzi sul Canal Grande, sulle rive e sulle innumerevoli imbarcazioni addossate ad esse, si era ammassata una folla enorme per assistere allo spettacolo. Già le bissone, le margarote e le balotine, come venivano chiamate le barche della polizia. che aveva il compito di tenere sgombro lo specchio d'acqua necessario alla gara, si cominciavano ad addob bare per rendere più bello lo spettacolo. Poi, riunite in corteo, prima che la gara tradizionale avesse inizio, si avviarono per scortare il Doge e la Signoria verso la tribuna galleggiante dove le Autorità si sarebbero accomodate per assistere allo spettacolo. Il freddo era intenso, ma il sole splendeva luminoso, e sotto la sua carezzai i ghiaccioli si scioglievano in tante minute goccioline che cadendo nelle acque dei canali producevano un sussurro orchestrale. Teodora Pisani Moretta lo ascoltava, rapita, mentre Loredana Sagredo s'inebriava dei colori smaglianti sventagliati sotto il cielo d'opale.

Pagina 145

Mitchell, Margaret

221432
Via col vento 4 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Era in buona salute, aveva denaro in abbondanza, ed aveva ancora Ashley, benché lo vedesse sempre meno. Anche l'imbarazzo che era sempre stato tra loro dal giorno del disgraziato ricevimento di Melania, non la turbava piú, perché sapeva che finirebbe col dileguarsi. No, il suo timore era tutto diverso: somigliava stranamente a quello del suo vecchio incubo, quando si trovava a correre nella nebbia densa col cuore che le scoppiava, cercando un rifugio introvabile. Ricordò che Rhett l'aveva sempre presa in giro per i suoi terrori. Ricordò il conforto che le davano il suo largo petto bruno e le sue forti braccia. E si volse verso di lui con occhi che lo videro veramente per la prima volta da parecchie settimane. Constatò un mutamento che la colpí. Quell'uomo non avrebbe potuto ridere né avrebbe potuto darle conforto. Per un certo tempo, dopo la morte della bambina, la collera che provava verso suo marito e la preoccupazione del proprio dolore, le avevano consentito soltanto di parlargli cortesemente dinanzi alla servitú. Ricordava continuamente i rapidi passettini di Diletta e la sua risata squillante; e non pensava che egli pure ricordava, e con un dolore maggiore del suo. Durante quelle settimane si erano incontrati e avevano parlato gentilmente, come estranei che si incontrano fra le pareti di un albergo e dividono lo stesso tetto e la stessa tavola, ma non hanno gli stessi pensieri. Sentendosi sgomenta e abbandonata, ella avrebbe voluto, se le fosse stato possibile, spezzare quella barriera; ma trovò che egli conservava la distanza, come se non avesse voluto scambiare con lei altre parole che non fossero quelle superficiali. Ora che la sua collera andava diminuendo, ella desiderava dirgli che lo riteneva innocente della morte della bimba. Provava il bisogno di piangere fra le sue braccia e di affermargli che anche lei era stata orgogliosa dell'abilità di amazzone della figliola, anche lei era stata indulgente alle sue insistenze. Avrebbe voluto umiliarsi, e riconoscere che gli aveva lanciata quell'accusa dal fondo della propria disperazione, nella speranza di alleviare il proprio dolore. Ma non trovava mai il momento opportuno. Egli la guardava con occhio cosí indifferente che non le dava la possibilità di parlare. E le scuse rimandate diventano sempre piú difficili e finalmente impossibili. Egli era raramente in casa. Le poche volte che cenavano insieme, Rhett era generalmente ubriaco. La sua ubriachezza non era piú quella di una volta, che lo rendeva gentile, ma mordente, e gli faceva dire cose divertenti e maliziose, che la costringevano a ridere suo malgrado. Ora era un'ubriachezza cupa e silenziosa. A volte lo sentiva rientrare a cavallo all'alba nel cortile posteriore, e battere alla porta dell'abitazione dei servi, affinché Pork lo aiutasse a salire le scale e lo mettesse a letto. Metterlo a letto! Rhett che aveva sempre fatto ubriacare gli altri senza scomporsi e poi li aveva aiutati a coricarsi! Mentre una volta era sempre impeccabile, adesso era spesso sciatto e in disordine; ci voleva tutta l'energia scandalizzata di Pork per fargli, cambiare la camicia prima di andare a cena. Aveva fatto gli occhi infiammati del bevitore di whisky e la linea della sua mascella si andava deformando per il grasso malsano che la invadeva. Il suo corpo agile e muscoloso cominciava a diventare molle e rilassato. Spesso non tornava affatto a casa, o mandava un biglietto per avvertire che avrebbe passato la notte fuori. Certamente rimaneva a smaltire la sbornia in qualche camera sopra uno spaccio di bevande alcooliche; ma Rossella immaginava sempre che egli fosse in casa di Bella Watling. Una volta le era capitato di vedere Bella in una bottega; una donna grossolana e appassita, che aveva perduto gran parte della sua bellezza; ma malgrado il belletto e l'abito appariscente il suo aspetto era gentile e l'espressione quasi materna. Invece di abbassare gli occhi o di guardarla con aria di sfida come facevano le altre donne allegre quando si trovavano dinanzi alle signore, Bella aveva ricambiato il suo sguardo, fissandola con un'espressione quasi compassionevole che aveva fatto salire le fiamme al volto di Rossella. Ma ora non poteva accusarlo; non poteva adirarsi, chiedergli fedeltà né svergognarlo, come non poteva scusarsi di averlo incolpato della morte di Diletta. Si sentiva oppressa da un'apatia stupefatta, da un'infelicità che non riusciva a comprendere, un'infelicità piú profonda di qualunque cosa ella avesse mai conosciuto. Era abbandonata come non era mai stata. E aveva paura di non potersi piú rivolgere a nessuno, eccettuato a Melania. Perfino Mammy, il suo principale appoggio, era tornata a Tara. Tornata per rimanervi. Non aveva dato spiegazioni della sua partenza. I suoi occhi stanchi avevano guardato con tristezza Rossella, quando le aveva chiesto i danari per il biglietto ferroviario. Alle lagrime, alle suppliche di Rossella che le chiedeva di rimanere, Mammy aveva solo risposto: «Mi pare di sentire miss Elena che dire: "Mammy, vieni a casa; tuo compito essere finito". Cosí io andare a casa». Rhett che aveva udito il discorso, le diede il denaro e le accarezzò un braccio. - Hai ragione, Mammy, miss Elena ha ragione. Il tuo compito qui è finito. Vai a casa. Se hai bisogno di qualche cosa fammelo sapere. - E poiché Rossella prorompeva in nuove insistenze: - Taci, sciocca! Lasciala andare! Come vuoi che qualcuno rimanga volentieri in questa casa.... adesso? Nei suoi occhi era una luce cosí strana e cosí viva, che Rossella indietreggiò sgomenta. - Dottor Meade, credete che possa... che abbia perso il cervello? - interrogò piú tardi, trascinata a consultare il dottore dalla propria inquietudine. - No, - disse il medico; - ma beve come un otre e se non la smette si ammazzerà. Voleva molto bene alla bimba, Rossella; e scommetto che beve per dimenticarla. Quello che vi consiglio è di dargli un altro bambino piú presto che potrete. - Ah! - esclamò Rossella amaramente, nell'uscire dallo studio. Era piú facile a dirsi che a farsi. Sarebbe ben contenta di avere un altro bambino, molti altri bambini, se in tal modo avesse potuto togliere quell'espressione dagli occhi di Rhett e riempire gli spazi dolorosi del proprio cuore. Un bimbo che avesse la bruna bellezza di Rhett, e un'altra piccina. Sí, un'altra piccina, bella, gaia, vivace, piena di risa, non come quella scioccona di Ella! Perché Dio non aveva preso Ella, se doveva toglierle uno dei suoi figli? Ella non le dava alcun conforto ora che Diletta era scomparsa. Ma sembrava che Rhett non desiderasse un'altra creatura. Almeno, non veniva mai nella sua camera, quantunque la porta non fosse mai chiusa, ma anzi socchiusa in maniera invitante. Pareva che non vi tenesse. Che non tenesse a nulla, se non al whisky e a quella donna sciupata coi capelli rossi. Era diventato amaro, mentre prima era piacevolmente beffardo; brutale, mentre le sue frecciate erano una volta temperate dalla celia. Dopo la morte di Diletta, molte signore del vicinato che erano state attratte dalle maniere graziose che aveva con la sua piccina, desiderarono mostrargli la loro simpatia. Lo fermavano per istrada per dirgli delle parole gentili o gli rivolgevano un saluto dai loro porticati o dai cortili. Ma ora che Diletta era scomparsa, anche le sue buone maniere scomparvero. Egli rispondeva brevemente e con asprezza ai saluti e alle condoglianze piú affettuose. Ma, cosa strana, le signore non si offesero. Comprendevano o credevano di comprendere. Quando lo vedevano passare al tramonto, tanto ubriaco che a stento si reggeva in sella, scansando quelli che volevano salutarlo, dicevano: - Povero diavolo! - e raddoppiavano i loro sforzi per essere buone e gentili. Provavano molta pena per lui che nel suo crepacuore non trovava a casa altro conforto che Rossella. Tutti sapevano quanto ella fosse fredda e senza cuore; ed erano inorriditi dell'apparente facilità con cui si era rimessa dal colpo provato per la morte della figliuola, non accorgendosi o non volendosi accorgere dello sforzo che si nascondeva dietro a quella tranquillità. Rhett aveva tutte le simpatie della città; cosa di cui non gli importava nulla. Rossella aveva le antipatie generali e, per una volta, avrebbe accolto ben volentieri la cordialità dei vecchi amici. Invece nessuno andava da lei, eccetto zia Pitty, Melania e Ashley. Solo i nuovi amici vennero, nelle loro magnifiche carrozze, ansiosi di mostrarle la loro solidarietà, di distrarla con pettegolezzi sul conto di altri amici di cui non le importava nulla. Tutti quei «nuovi venuti», tutti quegli estranei! Non la conoscevano. Non la conoscerebbero mai. Non sapevano che cos'era stata la sua vita prima di raggiungere quella salda posizione nella bella casa di Via dell'Albero di Pesco. Ed essi non le parlavano di quella che era stata la loro vita prima di avere i ricchi broccati e gli eleganti equipaggi. Ignoravano le sue lotte, le sue privazioni, tutto ciò che dava valore oggi alla grande casa, ai vestiti lussuosi, all'argenteria, ai ricevimenti. Non sapevano. Gente venuta chi sa da dove, che viveva alla superficie delle cose, che non aveva in comune con lei ricordi di guerra, di fame, di lotte, che non aveva radici che sprofondavano nella stessa terra rossa. Nella sua solitudine, le sarebbe piaciuto passare i pomeriggi con Maribella o con Fanny, con la signora Elsing o la signora Whiting e perfino con la temibile e bellicosa signora Merriwether. O con la signora Bonnell o... con qualsiasi delle vecchie amiche e vicine. Perché esse sapevano. Avevano conosciuto la guerra, il terrore, l'incendio, avevano visto morire persone care prima del tempo; erano state affamate e stracciate, avevano vissuto col lupo dietro alla porta. E avevano ricostruito la loro fortuna dalle rovine. Sarebbe un conforto sedere con Maribella, ricordando che anche questa aveva perduto un bimbo, morto nella pazza fuga dinanzi all'esercito di Sherman. Sarebbe un sollievo la presenza di Fanny, poiché entrambe avevano perduto il marito nei tremendi giorni della legge marziale. Sarebbe una triste gioia ridere con la signora Elsing, ricordando il viso della vecchia signora mentre spingeva a pazza corsa il suo cavallo il giorno in cui Atlanta era caduta, mentre il bottino di viveri presi al commissariato veniva disseminato per istrada. E sarebbe piacevole discorrere con la signora Merriwether, ormai sicura per la produzione della sua panetteria; piacevole dire: - Vi ricordate come andavano male le cose subito dopo la resa? Vi ricordate quando non sapevamo come avremmo fatto per procurarci un paio di scarpe? E guardate adesso come stiamo! Sí, sarebbe piacevole. Ora comprendeva perché, quando due ex-confederati si incontravano, parlavano della guerra con sollievo, con orgoglio, con nostalgia. Erano stati giorni che avevano messo alla prova i loro cuori; ma essi li avevano superati. Erano veterani. Anche lei era una veterana, ma non aveva camerati coi quali rievocare le vecchie battaglie. Oh, essere nuovamente con la propria gente, con la gente che era passata attraverso le stesse vicende e di cui conosceva i patimenti... eppure sapeva quanta parte di se stesso ciascuno vi aveva lasciato! Ma tutti costoro, non sapeva come, si erano allontanati. Capiva che era colpa sua. Non se ne era mai curata finora... ora che Diletta era morta ed essa era sola e spaurita; e vedeva dall'altra parte della sua lucente tavola da pranzo un estraneo bruno e ubriaco che dileguava dinanzi ai suoi occhi.

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Ai ricevimenti di Rossella bevevano con abbondanza; e generalmente accadeva che uno o due ospiti dovessero rimanere a passare la notte nella casa. Non si ubriacavano alla stessa maniera degli uomini che Rossella aveva conosciuto nella sua infanzia: diventavano facilmente brutali od osceni; inoltre, per quante sputacchiere vi fossero nelle stanze, i tappeti mostravano sempre tracce di sugo di tabacco, la mattina seguente. Rossella li disprezzava ma ci si divertiva. Ne aveva sempre una quantità in casa, ma quando si seccava li mandava all'inferno, ed essi lo sopportavano. Sopportavano anche Rhett. Questi non esitava a frustarli con parole che non ammettevano replica. Poiché egli non si vergognava del modo col quale aveva fatto fortuna, pretendeva che essi pure non si vergognassero delle loro origini; e raramente si lasciava sfuggire l'opportunità di fare osservazioni su cose che era meglio lasciare nell'oscurità. Egli non si privava di osservare con affabilità mentre beveva un bicchiere di punch: «Se io avessi avuto piú buon senso, avrei guadagnato un patrimonio vendendo azioni delle miniere d'oro alle vedove e agli orfani, come avete fatto voi, Ralph, invece di correre tanti pericoli col contrabbando attraverso il blocco». «Bravo, Bill, ho visto che avete una nuova pariglia. Avete venduto ancora qualche migliaia di azioni di ferrovie inesistenti?» «Rallegramenti, Amos, per quel contratto che avete fatto col Governo. Peccato che abbiate dovuto ungere troppe ruote per ottenerlo.» Le signore lo trovavano odioso e insopportabilmente volgare. Gli uomini dicevano dietro alle sue spalle che era un porco e un pendaglio da forca. La nuova Atlanta non amava Rhett piú di quanto lo avesse amato la vecchia; ed egli non faceva alcun tentativo per conquistare le simpatie. Continuava per la sua strada, divertito e sprezzante, infischiandosi dell'opinione altrui. Per Rossella era ancora un enigma, ma un enigma intorno al quale non si scervellava piú. Era convinta che nulla gli piaceva né gli sarebbe mai piaciuto; che o desiderava qualche cosa senza averla, o non desiderava nulla. Egli rideva di tutto ciò che ella faceva, incoraggiava le sue stravaganze e le sue insolenze, prendeva in giro le sue pretensioni... e pagava i suoi conti.

Pagina 874

Il tempo caldo e asciutto faceva crescere il cotone a vista d'occhio; ma Will diceva che i prezzi sarebbero stati bassi, appunto per la grande abbondanza. Súsele aspettava un altro bambino (lo disse sottovoce perché i bimbi non capissero) e Ella aveva mostrato di avere uno spirito bellicoso mordendo la bimba piú grande di Súsele. Cosa che del resto - osservò Rossella - la bimba meritava, perché somigliava tutta a sua madre. Ma la madre si era arrabbiata, e fra le due sorelle era stata una lite che ricordava quelle degli antichi tempi. Wade aveva ucciso una biscia d'acqua: da solo! Randa e Camilla Tarleton facevano le insegnanti a scuola; uno scherzo, se si pensava che nessuno dei Tarleton aveva mai saputo leggere correntemente! Bettina Tarleton aveva sposato un grasso mutilato di Lovejoy; insieme con Hetty e con Jim Tarleton coltivavano con discreto successo una piantagione di cotone a Fairhill. La signora Tarleton aveva un allevamento di giumente e puledri ed era felice come se avesse avuto un milione di dollari. Nella vecchia casa dei Calvert abitavano dei negri che ne erano anche proprietari! L'avevano comprata all'asta pubblica. Il luogo era devastato; roba da piangere! Non si sapeva dov'erano andati a finire Catina e quel fannullone di suo marito. Alex stava per sposare Sally, la vedova di suo fratello! Figurarsi, dopo aver vissuto per tanti anni nella stessa casa! Tutti dicevano che era un matrimonio di convenienza perché la gente mormorava da quando vivevano soli, dopo la morte della nonna Fontaine e della nuora. E Dimity Munroe ne aveva quasi avuto il cuore spezzato. Ma le stava bene. Se fosse stata furba, si sarebbe trovato un altro marito da un pezzo, invece di aspettare che Alex avesse messo assieme abbastanza denaro da poterla sposare. Rossella chiacchierava allegramente; ma vi erano molte cose che non raccontava; cose che preferiva dimenticare. Aveva percorso la Contea in carrozza con Will, cercando di non ricordare quando quelle migliaia di jugeri erano verdi di cotone. Ora le piantagioni erano a poco a poco riconquistate dalla foresta e folti cespugli di ginestra, arbusti di querce basse e abeti nani erano cresciuti attorno alle rovine silenziose e sugli antichi campi di cotone. Solo qualche jugero era coltivato, dove prima centinaia e centinaia venivano frugati dall'aratro. Sembrava di camminare attraverso un paese morto. - Questa regione ha bisogno di cinquant'anni per riaversi... se mai si riavrà - aveva detto Will. - Tara è la miglior fattoria della contea, grazie a voi, Rossella, e a me; ma è una fattoria, non una piantagione. E dopo Tara viene la fattoria dei Fontaine e poi quella dei Tarleton. Non fanno molti quattrini, ma vivono. Ma il resto delle fattorie e delle persone... No, Rossella non ricordava volentieri l'aspetto della contea abbandonata. Sembrava ancor piú triste di quanto non fosse in realtà, a paragone del movimento di Atlanta. - E qui, c'è niente di nuovo? - chiese quando furono finalmente a casa, seduti sotto al porticato. Per tutta la strada aveva continuato a discorrere, per paura del silenzio. Non aveva scambiato una parola da sola con Rhett dal giorno della sua caduta, e non era troppo ansiosa di restare a quattr'occhi con lui. Ignorava quali fossero i suoi sentimenti verso di lei. Era stato di una grande bontà durante la sua convalescenza; ma era la bontà di un estraneo indifferente. Aveva prevenuto i suoi desideri, impedito ai bambini di infastidirla, sorvegliato il negozio e l'azienda. Ma non aveva mai detto «Perdonami». Forse non era neanche addolorato. Forse continuava a credere che il bambino che non era nato non era suo figlio. Come poteva, Rossella, sapere ciò che si nascondeva dietro a quel viso bruno e simpatico? Però, in quel periodo aveva mostrato una certa disposizione alla cortesia, per la prima volta da quando erano sposati; e il desiderio di lasciare che la vita proseguisse come se fra loro non vi fosse mai stato nulla di spiacevole. «Come se...» pensa tristemente Rossella «fra loro non vi fosse mai stato nulla addirittura.» Ebbene, se era questo che desiderava, lei si comporterebbe nello stesso modo. - Tutto va bene - ripeté. - Hai avuto i nuovi embrici per la bottega? Hai cambiato le mule? Per carità, Rhett, togliti quelle penne dal cappello. Sembri uno scervellato, e sei capace di andare in città senza ricordarti di levarle! - No - fece Diletta prendendo il cappello di suo padre. - Tutto va bene qui - rispose Rhett. - Diletta ed io ci siamo divertiti; credo che non sia mai stata pettinata dopo la tua partenza. Non rosicchiare le penne, tesoro; sono cattive. Sí, gli embrici sono a posto; per le mule ho fatto un buon affare. Veramente non c'è niente di nuovo: tutto procede regolarmente. Poi, dopo un attimo riprese: - L'egregio Ashley è stato qui ieri sera. Voleva sapere se tu saresti disposta a cedergli il tuo stabilimento e la parte che hai nel suo. Rossella che si stava cullando in una sedia a dondolo e sventolando con un ventaglio di penne di tacchino, si fermò bruscamente. - Cedere? E dove diamine ha preso il denaro? Sai che non hanno mai un centesimo. Melania spende subito tutto quello che suo marito porta in casa. Rhett si strinse nelle spalle. - Ho sempre pensato ch'ella fosse una personcina molto economa. Ma non sono informato sui particolari delle finanze dei Wilkes come sembri esserlo tu. Era una frase nel vecchio stile di Rhett e Rossella ne fu seccata. - Vai, cara - ella disse a Diletta. - La mamma ha bisogno di discorrere col babbo. - No - rispose risolutamente Diletta arrampicandosi sulle ginocchia paterne. Rossella aggrottò le sopracciglia e Diletta la guardò a sua volta con un cipiglio tanto rassomigliante a quello di Geraldo O'Hara che sua madre quasi rise. - Lasciala stare - intervenne Rhett. - Quanto al denaro, pare che gli sia stato mandato da un tale a cui egli prestò assistenza a Rock Island, quando costui aveva il vaiolo. Il fatto che la riconoscenza esista ancora rinnova la mia fede nella natura umana. - Chi è? Una persona che conosciamo? - La lettera non era firmata e veniva da Washington. Ashley ha stentato a capire chi poteva averla mandata. Ma è naturale che un individuo come Ashley vada compiendo tante buone azioni nel mondo che gli è impossibile ricordarle tutte. Se non fosse stata enormemente stupita per la fortuna inattesa di Ashley, Rossella avrebbe raccolto il guanto, quantunque durante il suo soggiorno a Tara si fosse proposta di non lasciarsi mai piú trascinare a litigare con Rhett a proposito di Ashley. I suoi rapporti coi due uomini erano troppo incerti: ed ella non aveva intenzione di eccitarsi in proposito finché non fosse sicura del fatto suo. - E vuol comprare? - Sí. Ma gli ho detto che certamente tu non pensi di vendere. - Ti prego di lasciare che mi occupi io dei miei affari. - Mah, so che non hai nessuna voglia di rinunziare all'azienda. Gli ho detto che tu non sopporteresti di non ficcare il naso negli affari altrui... - Hai osato dirgli questo? - Perché no? Non è la verità? Credo che in cuor suo fosse d'accordo con me; ma è troppo gentiluomo per convenirne. - Non è vero! Gli venderò l'azienda! - esclamò Rossella. Fino a quel momento non aveva pensato affatto ad abbandonare la sua industria. Per molte ragioni desiderava conservarla; e il suo valore finanziario era il motivo meno importante. Negli ultimi anni aveva avuto piú volte occasione di venderla ad ottime condizioni, ma aveva sempre rifiutato. Gli stabilimenti erano la prova evidente di ciò che aveva fatto con le sole sue forze, ed ella ne era orgogliosa. Inoltre rappresentavano il solo contatto possibile con Ashley. Se li avesse venduti, avrebbe avuto assai raramente occasione di vederlo, e probabilmente non lo avrebbe mai visto solo. E voleva vederlo; voleva sapere quali erano adesso i suoi sentimenti verso di lei, se il suo amore era morto, seppellito dalla vergogna, in quella terribile sera del ricevimento. Rimanendo in rapporti di affari, avrebbe avuto l'opportunità di parlargli, senza che nessuno potesse fare osservazioni. E col tempo, ella avrebbe certo riconquistato il terreno che forse aveva perduto nel suo cuore. Ma se vendeva gli stabilimenti... No; non aveva voglia di venderli; ma stimolata dall'idea che Rhett l'aveva fatta apparire ad Ashley in cosí cattiva luce, aveva immediatamente mutato pensiero. Ashley avrebbe l'azienda, e a prezzo cosí favorevole che sarebbe costretto a riconoscere la sua generosità. - Voglio vendere!... - esclamò adirata. - Che ne pensi, adesso? Negli occhi di Rhett passò una lievissima luce di trionfo mentre egli si curvava ad allacciare una scarpina di Diletta. - Credo che te ne pentirai - rispose. Ella era già pentita delle sue parole impulsive. Se le avesse dette dinanzi a chiunque altri che Rhett, le avrebbe ritrattate senza vergogna. Perché precipitare in quel modo? Guardò suo marito con la fronte aggrondata e vide che la stava osservando col suo antico sguardo ansioso di gatto dinanzi alla tana di un topo. Quando le vide aggrottare le ciglia, rise improvvisamente, con un balenío dei suoi denti bianchi. Rossella intuí vagamente che egli l'aveva costretta in quella posizione. - C'entri per qualche cosa in questo? - gli chiese furibonda. - Io? - Inarcò le sopracciglia con sorpresa beffarda. - Dovresti conoscermi meglio. Non compio mai delle buone azioni io... se posso farne a meno.

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L'indomani

246093
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Una grande comodità in tutto, nella disposizione delle camere, nei mobili, negli ampi seggioloni, nei divani sparsi con abbondanza; una certa ricchezza tradizionale ma tranquilla; buoni quadri, stipi intarsiati, biancheria accuratissima, delle vecchie maioliche di famiglie. - Queste sedie le ha ricamate mia madre - disse Alberto. Erano otto sedie di legno chiaro con profili dorati, coperte da ricami a mezzo punto, bellissimi, tutti l'uno differente dall'altro. Marta le ammirò religiosamente, commossa. - Questo è il mio ritratto di quando ero bambino. Marta vi si precipitò sopra, coprendolo di baci e di esclamazioni, portandolo sotto alla finestra per esaminarlo meglio. - Come è bellino! Care queste spalluccie nude! E che occhietti! E le manine, Dio, che manine... ma avevi le mani così piccole allora? - Caspita, i bambini!... Risero entrambi, stringendosi il braccio, felici. Salirono così lo scalone che conduceva al piano superiore. - Ma è tutto bello qui, sai? - Sì, non c'è male. È comodo. Entrarono nella camera da letto. Tre finestroni la illuminavano, facendo penetrare i raggi del sole attraverso un ricco cortinaggio di stoffa a fiori sopra un fondo cilestrino. Della medesima stoffa era il parato del letto, altissimo, ampio, per metà ricoperto di un piumino di seta celeste, sull'orlo del quale ricadeva, accuratamente stirata, la trina del lenzuolo. Sulla pettiniera un'altra trina, nel festone della quale serpeggiava un nastro celeste, faceva da sopporto a un servizio di cristallo, lucentissimo. Sugli specchi, sulle cornici non si scorgeva un atomo di polvere. - È stata l'Appollonia a preparare queste belle cose? - Lei, certamente. Vi avrà impiegato tutto il tempo che ci volle a noi per percorrere l'Italia; ma infine, ognuno fa quello che può. Marta, levandosi il cappello e la spolverina, sedette sul divano che era ai piedi del letto, sentendosi finalmente in casa propria. - Oh come si sta bene qui! Tese le mani a suo marito, invitandolo a sedersi anche lui sul divano. Ora non dubitava più di essere la signora Oriani. La sua felicità doveva incominciare da quel momento; prima era stata una corsa vertiginosa, contraria all'amore. L'amore ha bisogno di un nido. Marta sollevò gli occhi, girandoli torno torno come per prendere possesso d'ogni cosa; e quando ebbe ben riguardata la camera, il letto, le cortine a fiori, fissò Alberto con un'estasi tale di riconoscenza, di tenerezza timida e ardente, che egli, un po' sorpreso, la baciò, non sapendo che dire. Ella trasalì tutta, colla speranza di una rivelazione. - O mio Alberto, mi amerai sempre, sempre? - Che domanda! - Dillo! - Ne dubiti dunque! - Dillo... - ripetè Marta, stringendosi, avviticchiandosi a lui tutta tremante, con la bocca socchiusa. Un'ondata di sangue colorì la fronte di Alberto, che rispose per la durata di un attimo alla stretta di sua moglie. Poi si sciolse, dolcemente, ravviandosi i capelli. - Andiamo - disse - non facciamo ragazzate.

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Il drago. Novelle, raccontini ed altri scritti per fanciulli

246593
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1895
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
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Gli altri esitarono un momentino; poi, come travolti a un tratto dall' esempio di lui, si precipitarono sui diversi piatti, soffocando gli scoppi di risa provocati dallo strano caso, mangiando, anzi divorando a gara paste e dolci, saltando dall'allegria, reprimendo in gola, con paste su paste, i gridi di gioia che avrebbero voluto sprigionarsi dai loro cuoricini riboccanti di felicità in taccia a tanta abbondanza di cose ghiotte. Si spingevano, si urtavano, si contendevano la presa di questo o quel dolce, di questa o quella pasta, quasi tutta quella grazia di Dio fosse stata raccolta lì unicamente per loro. Poi Aldo, che brillava dalla contentezza per la riuscita della sua impresa, afferrò pel collo una bottiglia di marsala, riempì solennemente sette bicchieri, quanti erano loro; e levato in alto il suo, disse : — Alla salute della Commissione! E lo bevve d'un fiato, strizzando gli occhi con una smorfia. Trincarono tutti, senza badare a quel che facevano, inebriati anticipatamente dell'avventura, immemori del babbo, della mamma, della zia, incoraggiati dal gran silenzio attorno che faceva parere disabitata la casa, quasi, babbo, mamma, zia e persone di servizio fossero corsi dietro quei della Commissione per attrapparli. E bevvero e ribevvero, e tornarono all' assalto delle paste e dei dolci. Ormai non si sapevano più frenare; e dopo il marsala, venne la volta del rosolio. Tutti erano accesi in viso, con gli occhi luccicanti; e già parlavano ad alta voce, già ridevano chiassosamente, quando Aldo, preso il vassoio con le sigarette, si mise ad offrirle attorno dicendo: — Vogliono fumare ? Per sè prese un sigaro e l'accese, e porse il fuoco agli altri, che cominciarono a tossire dopo poche boccate di fumo. Poi fece un gesto per imporre silenzio, s'accostò all'uscio, girò il pomo, e spinto indietro il battente gridò: — Signori della Commissione, passino, passino! Si precipitarono attorno al tavolino, insediandosi tumultuosamente, contendendosi il campanello, brancicando i fogli, brandendo le penne, urlando, schiamazzando, come avevano udito urlare e schiamazzare, mentre Aldo gridava: — Ma, signori! signori ! — scampanellando da ossesso. E proprio ossessi parvero alla signora Scalandri, alla zia e al commendatore accorsi subito alle grida: — Bambini bambini! Che è mai? Zitti ! Cheti ! Si, zitti! cheti ! Le carte volavano per aria, il calamaio veniva rovesciato sul tappeto, il campanello, staccatosi dal manico, andava a cascare sul pavimento. Alle macchie di crema e di rosolio che si scorgevano sui vestiti di tutti, la signora Scalandri, capì quel che era avvenuto e corse ad accertarsene. Tornò subito ridendo, e anche un po' spaventata del male che l'orgia di paste, di marsala e di rosolio e di sigarette poteva produrre ai bambini. — Hanno bevuto il marsala! Sono ubriachi ! Hanno mangiato dolci e paste! Dio che indigestione! Hanno anche fumato! E il commendatore, che era ancora furibondo per la scena di quei signori della Commissione, e voleva scapaccionare i monelli, scoppiò in una gran risata esclamando: — Tutte a modo le Commissioni ! Maledetto chi l'ha inventate! I bambini però pagarono cara la loro disobbedienza; dovettero stare otto giorni a letto, e invece di dolci e marsala, ingoiare disgustose medicine.