Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'evoluzione

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Montalenti, Giuseppe 10 occorrenze

Abbiamo già più volte insistito sui “piani di struttura” comuni a molti organismi, nell’ambito dei grandi «tipi» animali o vegetali: quali i Vertebrati, i Molluschi, gli Artropodi, oppure le Felci, i Muschi o le Fanerogame. In ciascun tipo, troviamo affinità più o meno strette: per esempio l’uomo e le scimmie antropomorfe si rassomigliano molto. Essi sono anche simili - un po’ meno - alle altre scimmie. Cavallo e asino sono molto somiglianti fra loro, differiscono solo per pochi particolari. Se li confrontiamo con l’uomo, li troviamo piuttosto diversi; ma se paragoniamo un cavallo - che ha sangue caldo, cuore a quattro scomparti, è provvisto di mammelle, è ricoperto di peli - ad una rana, che ha invece sangue freddo, cuore triloculare, non ha mammelle, ha la pelle nuda - dobbiamo ammettere che il cavallo e tutti gli equidi sono più simili all’uomo che alla rana. Se poi li confrontiamo con un granchio, ci avvediamo che uomo, cavallo e rana, nonché rettili e pesci, hanno certi caratteri comuni, per esempio l’essere provvisti di scheletro interno e di colonna vertebrale, e sono quindi più simili tra di loro di quanto non lo siano ad un granchio.

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Anche per l’evoluzione dei Mammiferi si può ripetere quanto abbiamo già detto più volte: la documentazione non è completa, ma i dati che si hanno a disposizione permettono di tracciare un quadro abbastanza soddisfacente. I più antichi rappresentanti di questa classe comparvero nel Triassico (Triconodonti, Pantoteri) e si estinsero già nel Giurassico, dopo aver dato origine probabilmente a tutti i progenitori degli altri ordini dei Mammiferi. Uno degli ordini più antichi è quello dei Multitubercolati, simili ai Roditori, che si estinsero nell’Eocene. I Marsupiali, gli Insettivori, ordini attualmente esistenti, si originarono nel Cretacico, cioè circa 80-100 milioni di anni or sono. Molto antichi sono anche gli Sdentati. Tutti gli altri ordini di Mammiferi, si differenziarono al principio dell’era Cenozoica, circa 60-70 milioni di anni fa. Alcuni di essi si sono poi estinti, altri hanno avuto periodi di grande sviluppo, seguiti da una riduzione, altri si sono mantenuti presso a poco costanti, come numero di specie, fino ai nostri giorni. Si potrebbe dunque ripetere, con altri esempi, e riferendosi ad altre epoche, quanto si è detto a proposito dei Rettili. È interessante notare che anche i Mammiferi, animali terrestri come i Rettili, hanno prodotto forme

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Abbiamo ormai a disposizione una lunga e accurata sperimentazione sulle piante, su molte specie di animali e sull’uomo stesso, che dimostra all’evidenza la fallacia del principio lamarckiano. Vero è che sempre si ripresentano nuovi sostenitori dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti: ultimo in ordine di tempo è il biologo russo T. D. LysenkoSulla controversia destata dall’opera di Lysenko, cfr. J. S. Huxley, La génétique soviétique et la Science mondiale, Stock, Paris 1950; ZH. A. Medvedev, The rise and fall of T. D. Lysenko, Columbia University Press, New York 1969; trad. it. Ascesa e caduta di Lysenko, Mondadori, Milano 1970. che ha suscitato tante polemiche. Ma nessuno ha mai portato dimostrazioni sperimentali che reggano ad una severa critica. L’insieme dei caratteri ereditari - quello che si suol chiamare in biologia il «patrimonio ereditario» - di una specie o di una razza ha dimostrato una notevole stabilità rispetto ai fattori esterni. Le modificazioni indotte da questi sul corpo, sul soma, come si suol dire, non si inscrivono nel germe cioè nelle cellule che sono destinate a dare origine alla generazione successiva.

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Un gene qualsiasi, A, può passare ad uno stato allelico, a, per un processo che, in omaggio alla scoperta del De Vries su Oenothera, cui abbiamo precedentemente accennato, è stato chiamato mutazione. Si dice che l’allele A muta trasformandosi nell’allele a, o viceversa. Una volta compiuto il salto mutativo, il gene si riproduce così com’è conservando le nuove caratteristiche, fino a che, per effetto di una nuova mutazione non sia trasformato in un altro allele a1, oppure ritorni allo stato primitivo A (mutazione inversa). Esempi di mutazioni, cioè di caratteri dovuti a mutazioni se ne trovano dovunque purché si osservino animali o piante allo stato selvatico o domestico: l’albinismo, così comune in ogni gruppo di animali, e i vari altri colori del pelo e delle penne, il pelo di tipo angora, il muso del bull-dog, le corna lunghe o corte dei bovini, l’assenza di corna, forme e colori diversi dei fiori, forma delle foglie, attitudini fisiologiche varie, come il singolare modo di camminare dei topi cosiddetti danzatori, o di volare dei colombi capitombolanti, istinti diversi come quelli del cane da caccia, o da traino, o da guardia, e mille e mille altri esempi che chiunque può facilmente ricavare dalla propria esperienza, sono altrettanti casi riconducibili, in ultima analisi, a una sola mutazione, oppure alla cooperazione di parecchie mutazioni geniche.

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Queste nozioni sulla struttura del gene, che abbiamo riassunto in forma molto schematica, illuminano innanzitutto sulla natura del processo di mutazione, il quale consiste nel fatto che una determinata tripletta, in una data posizione è sostituita da un’altra. Così per esempio nel gene DNA che presiede alla formazione dell’emoglobina del sangue umano, in un certo punto v’è una tripletta CTT, la quale comanda, tramite una corrispondente tripletta (GAA) dello RNA, l’assunzione di una molecola di acido glutammico, che deve essere disposta in un punto preciso della catena emoglobinica. Se, invece di CTT si trova, nel DNA, la tripletta CAA, invece dell’acido glutammico viene assunta una molecola di valina. L’emoglobina che ne risulta è anormale, è indicata con il simbolo HbS (in contrapposto a quello della normale HbA); determina una particolare alterazione falciforme dei globuli rossi (da sickle che in inglese significa falce deriva il simbolo S) non funziona regolarmente ed è causa di una malattia negli individui che la portano: una malattia genetica (poiché si trasmette ai discendenti secondo lo schema mendeliano) o malattia molecolare.

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Ma lo strano si è che l’uomo di Neandertal comparve in Europa improvvisamente in epoca posteriore alla comparsa di esseri umani, che sono invece riferibili allo stesso tipo dell’uomo attuale, ai quali abbiamo fatto cenno. Visse contemporaneamente a questi, per un certo tempo, nel periodo cosiddetto Mousteriano, e poi si estinse, probabilmente senza lasciare discendenti, o forse - come vogliono alcuni antropologi - incrociandosi e fondendosi col sapiens.

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Si badi: in quelle parole del Lamarck che abbiamo citato nel precedente capitolo v’è una profondità di pensiero, una coscienza rivoluzionaria che a noi oggi non sfugge, e che ci commuove per la sua limpida ingenuità. Di quelle due conclusioni che «sembra», dice il Lamarck si possano ammettere indifferentemente, e di cui «sembra» che nessuna si possa dimostrare, la «sua conclusione particolare», quella sua conclusione evoluzionistica, che egli cerca di provare dimostrando l’invalidità dell’altra, fa crollare tutto un castello di interpretazioni tradizionali. Gli organismi non son già creati così, adatti all’ambiente in cui debbono vivere, ma l’ambiente stesso li plasma, rendendoli adatti alle proprie esigenze. Non sono essi dunque figli del Creatore che dominano la materia bruta, ma figli di questa materia, i quali

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Geoffroy Saint-Hilaire sosteneva l’unità del piano di organizzazione in tutto il regno animale - cosa assurda - laddove il Cuvier, come abbiamo visto, aveva riconosciuto quattro piani distinti, che non ammetteva potessero considerarsi derivati l’uno dall’altro. Nella sua relazione il Saint-Hilaire attaccò il Cuvier, citando passi d’un suo scritto. I rapporti fra i due erano già tesi, e il Cuvier reagì vivamente, mettendo in chiaro la differenza fra quei concetti ch’egli aveva chiarito, che più tardi furono meglio definiti: «omologia» e «analogia». E demolì la teoria del Geoffroy.

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Questo adattamento costituisce la così detta sapienza che regna nella natura, e nulla abbiamo da dire contro quest’espressione, purché non sia intesa in senso assoluto, e purché non si ritenga che fu importata da un essere estraneo. Il quale ultimo pensiero però facilmente si presenta alla nostra mente, e non è quindi da meravigliarsi se è stato per lungo tempo creduto esatto. Un esempio immaginato ci farà vedere come nasca l’illusione. Supponiamo che oggi nei prati vivano delle locuste verdi e delle locuste rosse scarlatte. Egli è certo che queste ultime, per il loro colore, saranno viste meglio e più spesso dai nemici che non le verdi, le quali sono protette da questo colore cosidetto simpatico, ossia concordante con quello del luogo dove vivono. Ogni anno sarà distrutto un numero maggiore di locuste scarlatte che non di locuste verdi, e, per modo di dire, dopo tre secoli le locuste scarlatte saranno scomparse, mentre vivranno copiose le verdi. Chi, a effetto compiuto, entrasse in un prato difficilmente potrebbe astenersi di dire: Quanta sapienza! Non vi esistono che locuste verdi, che pel loro colore sfuggono alla vista dei propri nemici! Difficilmente questo osservatore potrà allontanare da sé il pensiero che qui sia avvenuta una diretta creazione, opera di un essere soprannaturale. Eppure, nel caso da noi immaginato, così non fu; le cose procedettero naturalmente, come avviene tutti i giorni, senza che siasi ingerita una potenza estranea.

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«Le scienze naturali non son altro che edifici di pseudoconcetti e propriamente di quella forma di pseudoconcetti che abbiamo denominati empirici o rappresentativi» .B. Croce, Logica, parte II, cap. V.

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