Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Angiola Maria

207210
Carcano, Giulio 4 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Per carità dunque, lei che ha conoscenza di tante brave persone, mi raccomandi a qualcuna; mi trovino un posto qualunque, un luogo, un servizio, tanto che mi dia come campare, finché il Signore mi lascia qui; cerco poco, e purché, coi le ho detto, non abbia a darle altri fastidi, m'accontento. « Lo farò, Maria, se volete, lo farò: oh vivesse anco la buon' anima di mio marito! quello era un uomo di proposito; ha servito sempre delle eccellenze.... ah! ma saran quasi vent' anni ch' è morto!... » « Signora Giuditta, una buona carola soltanto, a qualche pia dama, a qualche signora.... può valer molto; e la terrò come un nuovo benefizio. » « Bene, sì parlerò, vi Prometto, lasciate pensare a me.... Andrò questa mattina stessa dal signor canonico***, un bravo, un sant' uomo, che conosce tutti gli ottimi signori di Milano.... Ma non crediate mai che sia per non volervi più in casa mia!... » « Perchè, dopo tutto il bene che m' ha fatto, mi vuoi dare questa mortificazione? No, no, l'assicuro, signora Giuditta, quel che le ho detto è proprio il desiderio del mio cuore! « « Dunque sarà come volete, e quando prometto io.... » E fattole una carezza, se ne andò. Benché la Giuditta fosse una donnicciuola sincera, e avesse, per dir vero, fatto qualche bene alla nostra fanciulla e a sua madre, nelle passate loro strettezze, pure non intendeva di prendersi sopra di sè il peso della giovine; la quale, secondo lei, aveva di mani e braccia come tutte l'altre, nè era che un po' ammalata di testa. E siccom'essa era sempre stata avvezza a quel monotono andare dì vita, a quel piccolo inerte egoismo d'una vecchia governante pensionata, così quel gran guaio sopravvenuto al povero vicecurato le era parso un gran malanno, un garbuglio, un finimondo. « Far del bene al prossimo, sì - pensava la Giuditta - quando per l' altrui bene non ci vada il nostro, la dute dell'anima, come andrebbe qui; perchè la cosa è ria, brusca.... e se la Caterina era una buona donna, e se la Maria è una tosa d'oro, c'è però di mezzo questa storia, scura scura del prete, che non ho mai potuto capire, e di cui non mi pento d'aver taciuto, secondo mi diceva quella cima d'uomo del signor Giosuè. » Ella dunque non lasciò fuggir l' occasione: la stessa mattina, non appena la fanciulla le ebbe spiegato il suo cuore, trottò diritto alla casa del signor canonico; e, trovato modo di parlargli, narrò la disgrazia dell' orfana, e lo scongiurò, con una litania di lamenti, che la pigliasse sotto la sua protezione. Egli le promise di far qualche cosa, e durò gran fatica a rinviarla, chè più non la finiva di piagnucolare. Passati alcuni dì, la vedova ritornava alla porta del signor canonico; non era in casa, ma essa, con la pazienza di chi vuoi ottenere a qual si sia costo, l'aspettò due lunghe ore. Alla fine il canonico comparve, e veduta che l'ebbe farsegli vicino e, attaccarsegli alla zimarra: « Siete una benedetta donna, » le disse ; « ve l' avevo pur detto d' aspet- tare, ciò v' avrei .fatta avvertire io stesso! Ma via, poichè la vi preme tanto, dite a questa vostra giovine che si presenti, domani, verso mezzodì, alla signora marchesa****, alla quale ho già parlato di lei; vedrò d'esserci anch' io, faremo di trovarle un destino. Domani.... a mezzodì preciso.... avete inteso? » « Oh quanta carità, signor canonico! lei fa da vero un'opera santa! » E si chinò per baciargli la mano, ch'egli, per modestia, nascose nelle pieghe della zimarra. « Sì, sì: andate, la mia donna, e ringraziate Dio che ci sieno ancora al mondo persone caritatevoli. » E passò innanzi. Non è a dire quanto lieta ne tornasse a casa la vecchia Giuditta, con siffatta novella; lieta, perciò nel riuscirle di metter, via, com' essa diceva, una giovine onesta, le era pur concesso alfine di racconciarsi nella sua pace casalinga, salvando l' opinione della pietà. Appena pose il piede sul suo limitare, non potè trattenersi Ball' abbracciar la giovinetta, dicendole: « Lo sapevo ben io, che il signor canonico, quel brav' uomo, norrpromette per niente! non ve l' ho detto che avrebbe subito trovato dove allogarvi ?... bene , è cosa fatta: domattina vi presenteremo alla marchesa ****, ch' è una gran signora, una dama che ce n' è poche come lei, una di quelle sul far della povera padrona, delle quali, pur troppo, s' è di questi dì perduta la stampa; mettetevi nelle sue mani, e al resto non ci pensate; è il caso vostro, e ne sono contenta per voi.... » « O signora Giuditta, quanto le devo! queste sue pa- role mi danno la vita; io ne la ringrazierò e benedirò sempre, » E Maria passò tutta la giornata nel rassettare il suo miglior vestito, apparecchiata da quel momento a mettersi per la via che la volontà del Signore le destinasse. Il giorno seguente, al primo toccar del mezzodì, le due donne si trovavano alla casa della marchesa: poichè la Giuditta s' era messa in capo di volere ella stessa presentarla a questa dama. Entrarono in uno di que' vecchi palazzi, che portano un nome storico, e de' quali pochi avanzano nella nostra città; uno di que' palazzi, che, in mezzo alle nostre moderne case dalla fronte gretta e linda, dalle molte finestre e da' leggeri terrazzini, mostrano ancora la pesante e soda struttura di un secolo e mezzo fa, il gran frontone della porta, i muri vestiti di sasso nericcio, i radi e ampii finestroni con le fosche invetriate e gli enormi davanzali. Appunto così appare talvolta, in mezzo a gaia gioventù, uno di que' zazzeroni sessagenarii che non si sono ancora emancipati dalla coda, dalla polvere di Cipri, e dalle grosse fibbie d'argento alle scarpe, nè dai due tondi orologi di Bordier, con le catenelle d'acciaio a pendaglio, sotto la giubba larga e quadrata. Per uno scalone, che pareva il vestibolo d' una chiesa, salirono all' appartamento della dama. Un vecchio servitore, infagottato in una livrea orlata di passamano turchino, ri- cevette le due donne nella vasta anticamera; e le fece di là passare nell' attigua galleria lunga e buia, dove stettero ad aspettare il buon momento di presentarsi alla signora marchesa. E passata mezz' ora, che a loro parve eterna,

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- V' ha qualche istante nel quale credo che Dio non abbia accolto il suo servo: e parmi ch' Egli maledica come opera di superbia, ovvero di disperazione, questo sacro e terribil dovere ch' io m' assunsi - io così pieno ancora di ribelle volontà, di mortali odii, d'inutili speranze - d'annunziare agli uomini la sua verità, il giorno del suo regno. Allora lo spavento e l' angoscia incurvano la mia fronte; vo cercando i luoghi più solinghi e dirupati di quest' alpi selvagge; piango, senza trovar sollievo dal piangere, e dico in mio cuore: O Signore! come potrò recar la tua pace agli uomini, io che non ebbi mai pace per me!... In codesti giorni d' abbandono e di miseria morale, mi sforzo di temperar l'interno patimento colle dolci distrazioni della lettura e dello studio, tornando ad evocar le belle imagini della poesia, le grandi ombre di coloro i quali parlarono il vero e furono infelici, e infelici ben più ch' io non sia! Ma anche la poesia è morta nel mio cuore! - Io aveva fermo nell' animo di non tornar mai più agli antichi prediletti studii poetici: voleva darmi tutto alle austere contemplazioni della sacra scienza, che sola oramai può consolarmi de' tanti disinganni provati, delle stolte speranze umane, delle menzognere imagini suscitate dall' inquieta fantasia che vuol levarsi nella regione dell' impossibile.... Eppure, in questi giorni, tornai alla poesia, al culto di quell' arte che mi rende ancora così belli gli anni giovenili. Rovistando fra vecchie carte, rinvenni abbozzi di novelle poetiche, di poemetti, di canzoni, di tragedie; sorrisi di me stesso e de' sogni miei, rileggendo que' miseri brani. Mi sembravano come le macerie d'un edifizio caduto in rovina prima che di poche braccia sorgesse dal terreno. Mi provai a scrivere; ma sarà in vano. La letteratura del nostro tempo, se ne togli pochi, i quali temono di mostrarsi fra gli altri per la coscienza di una virtù intemerata, ma pur tremante e sdegnosa, è fatta per tutt'altro che per educare il cuore e innalzar la mente a vera grandezza. È una letteratura smascolinata, come quell' arcigno del Baretti direbbe, una letteratura da canapè, buona tutt' al più per i gabinetti delle damine svenevoli e profumate. Nondimeno scrissi anch' io: ho gittato giù l' abbozzo di due tragedie. Nell'una, il Buondelmonte, vorrei dipingere, a diversità degli altri che tentarono lo stesso tema, l'origine della fiorentina Repubblica, e il fiero carattere del Mosca, Che disse, lasso! capo ha cosa fatta. " Nell' altra, il Procida, vorrei mostrare quanto possa amor di patria in lotta coll' amicizia e coll' amor paterno. Ma le mie forze non basteranno, io temo, all' altezza del concetto. Quando nè lo studio nè la contemplazione della natura valgono a levarmi dal cuore il peso che lo preme da tanto tempo, allora prendo la penna per scrivere a te, amico mio, a te che sai la storia di mia vita, e solo fra tutti puoi compatire il solitario prete, l' uomo che nulla più domanda su questa terra, tranne di vivere nella memoria onesta de' pochi montanari, i quali fanno la sua famiglia. Quando seppi rinunziare alle illusioni della mente, superba d' aver vestita di novelle forme la vecchia filosofia del dubbio quando parlai agli uomini d' una religione di fratellanza e d'amore che sola può apparecchiar l'avvenire, coloro che stavano in alto gittarono vergogna e disprezzo sopra di me. Avrebbero voluto che la mia fede si facesse serva delle imposture mondane, delle rugginose pretensioni della forza: io cercava invece d'abbracciare il povero e l'oppresso, che al par di me pativano e pregavano; e coloro mi rinfacciarono la ferrea legge del fatto, mi presentarono agli occhi de' miei fratelli come sognatore irrequieto, come uomo perduto dietro i delirii del pensiero umano, dietro le novità della filosofia e della religione. E i miei fratelli risero di me. Allora io non poteva più ritornar fanciullo, raccogliermi nell' innocenza della vita e della speranza; e sapendo già, per averne fatto duro saggio, quello che fosse il mondo, sentii tutta l' amarezza d'una vita inutile e tormentosa. Ma al tempo stesso una grande e nuova luce d' amore s' era fatta dentro di me, nel profondo: in questa luce si rinnovò la mia fede a poco a poco; e, divenuta matura, la ragione unì i pochi e deboli suoi sforzi a quelli de' tanti e tanti che combattono quaggiù per la causa della libertà nella giustizia. I miei mali cominciarono a parermi ben piccola cosa al paragone de' molti e grandissimi che aggravano l'umanità; e fui persuaso, da quel momento, che ognuno il quale cammini con semplicità per la via su cui la Provvidenza lo mise, nè mai rinneghi sè medesimo, nè venga a patto con la propria coscienza, potrà dire un giorno: O Signore, anch'io feci la mia parte di bene, e vissi sempre nella fede, nella speranza, e nell' amore! - Perdonai da quel punto all'uomo, che, col suo tradimento, m' aveva ferito nella più viva parte del cuore: e mi gittai nelle tue braccia, t' apersi tutti i miei segreti; e tu, mio amico e fratello, mi donasti il coraggio di vivere e d'operare. Gli uomini mi calunniavano, e io li amai; mi respinsero, e chinai la testa; poi venni a nascondere in questa povera valle il mio oscuro ma innocente apostolato. E oggi, anch' io ripeto a te le dolorose parole che un moribondo amico manda a me lontano: Fra me e te esiste un legame che la morte non rompe! Mio buon padre. Nel mio romitaggio, sento il bisogno di tornare a voi, di venir col pensiero all'umile casa ove nacqui, a quel paradiso de' miei anni infantili che si specchia nell' acque purissime del lago. Vedo, padre mio, il vostro incredulo sogghigno a queste poetiche ricordanze; ma se vi dirò che la nostra casetta, dove abita mia madre, dove, nascosta ome rosa silvestre, si fa bella e grande la buona Angioletta, è il più sacro, il più desiderato angolo della terra per me, che pur vidi molto e molto conobbi, forse non sorriderete più così, e darete un pensiero anche voi, un pensiero di compassione alla tristezza che bene spesso viene a tenermi compagnia. Non è già che mi lagni della condizione mia, e del trovarmi qui solo, in povera e lontana contrada, dopo che i primi augurii della vita m' avevano promesso un diverso avvenire. Sulla via che tentai d' aprirmi, ardente com' ero di volontà e di fiducia, ma scarso pur troppo di virtù, non trovai che spine; e m' avvidi come, nell' ampio teatro del mondo, il poco ch' io potessi fare m' avrebbe alla fine guadagnato le ire e le maligne persecuzioni di chi s' adombra d'ogni franca e generosa parola, di chi suol chiamar delitto il coraggio d' alzar la testa contro le prepotenze umane e quelle della fortuna. Per questo, benedissi come venuta dal cielo l' inspirazione che mi condusse qui, fra i poveri e i semplici, qui dove si soffre e si aspetta, dove passano smarrite o ignare tante creature per le quali morì crocifisso Colui che aveva pur detto a tutti: Io sono la via, la verità, e la vita!... Vi ricordate? La prima volta ch' io ho voluto parlar da un pulpito, con nuovo ardimento, di certe grandi verità delle quali non sarà mai strappata la radice dalla terra, delle mie parole si prevalse il fanatismo; le condannò il nuovo fariseo, ne fu scandolezzata la debole virtù. Così sempre avviene; ed io non ho voluto chiamar sulla casa di mio padre, sui vostri bianchi capegli, il turbine che di subito sorse a minacciarmi: pensai a mia madre, a mia sorella, e obbediente a chi mi percoteva, rinunziai ad ogni gloria e mi tenni abbastanza felice di questa parte che Dio m' aveva ancora serbata. Qui, i buoni alpigiani mi conoscono e mi riveriscono come padre, m' ascoltano e mi amano come fratello; qui m' è consolazione il pensiero di quel filosofo: Se utile non è quello che facciamo, stolta è la gloria. Ma non più di questo Ringrazierete per me l'Angioletta di quella cassettina contenente poche cipolle de' panporcini de' nostri monti, ch' essa mi mandò per il Bernardo, l'ultima volta che capitò al paese. Direte a lei e alla mamma che si ricordino di me nelle loro orazioni care al Signore; io non n'ebbi mai tanto bisogno come in questo momento. Se mai tornasse a vedervi l' amico mio p***, e vi domandasse di me, ditegli che i miei poveri nervi risentono ancora a quando a quando le fiere commozioni patite, e che la mia testa qualche volta non è a segno del tutto; ch' egli stesso mi scriva se le lunghe peregrinazioni, che vo facendo ogni giorno per questi monti, possano o no di soverchio abbattere le mie forze e fare in me effetto contrario a quello ch' io m' era promesso. Un' altra cosa vi commetto per la mia cara sorella. Ella sa dove stanno i pochi libri che innanzi partire lasciai, fra l' altre cose mie, in quella che fu la mia povera e beata cella. Nello scaffaletto a manca dello scrittoio, vicino alla finestra, troverà alcuni vecchi volumi giallognoli, mezzo rosi dal tarlo: sono i cari e preziosi amici di mia passata gioventù. »Fra essi vi son due libri rilegati in carta pecora, e intitolati l'uno: I Soliloquii di sant'Agostino, e l'altro La Città di Dio. Nell'armadio situato nell' angolo dov'era il mio letto, ne troverà pure alcuni altri più vecchi ancora, fra cui un volume delle Opere di san Tomaso, e uno di quelle di Sant' Ambrogio; e un altro più piccolo, al quale manca il frontispizio, è il Trionfo della Croce di Fra Girolamo Savonarola: quest' ultimo lo conoscerà dal mio nome scritto sull'ultima pagina di mia mano, sotto ad un braccio che tiene impugnata una spada e che vi disegnai quand'ero chierico ancora. Se l'Angiola riesce a raccozzare quel piccol mucchio di libri, ne' quali pongo tutta la mia speranza per quest' inverno, voi, mio buon padre, fate di trovar modo a spedirmeli al più presto, per la via più sicura; ne pagherò la spesa all'uomo che me li porterà. Mio padre. Vi raccomando quello che già vi scrissi nell' altra, di tener sempre presso di voi le lettere che per me venissero alla posta di Como, e di non darle in mano di nessuno, fuorchè del Bernardo, che verrà a pigliarle alla fin del mese, a mio nome. Se ve ne fosse alcuna pressante, queila potreste consegnarla all'amico mio p***, che sa come mandarla a questo mio nido di montagna. Dite a mia madre che, al tornare della primavera, ho speranza di venire a casa per qualche giorno: che non veggo il momento di sedermi ancora, come quand'ero fanciullo, vicino a lei sugli scalini della nostra porta: e che le farò raccontare un'altra volta la storia de' poveri morti di Torno. Oh! quante memorie leggiere, fuggitive, tessute, come tutte le cose della nostra vita, di piccole gioie e di grandi dolori, mi rifanno dinanzi al pensiero tutta l'età passata, e mi sforzano a piangere un'altra volta Perchè non sono io nato che per invocar la benedizione del Signore sopra coloro i quali devono trovare ogni lor bene nel patimento mitigato dalla speranza?... Io la sentiva pure nel mio cuore una fiamma più ardente, l' alito della fede, il coraggio di morire per i miei fratelli.... 2 di maggio 18.... (*) « Niuna cosa violenta puo essere perpetua. » E fino a quando vedrò sulla terra il trionfo del male? O Signore, tu rovesci i potenti dal seggio, ed esalti gli umili; ma tu dicesti ancora: Il regno mio non è di questo mondo. Noi dovremo dunque piegar sempre la fronte, come in atto di vile osservanza, in faccia alla malizia che si veste di pompose apparenze, che vince la semplice onestà colle sue compre lusinghe, o colla ipocrisia, la peggiore delle tirannidi?... Combattere la forza brutale, che non concede alla stanca umanità di sollevare il capo da quella nebbia d' ignoranza in cui da secoli le misere generazioni son costrette a vivere, o piuttosto a morire; parlare in nome di Quello che dal Calvario annunziò agli uomini che sono tutti figliuoli dello stesso Padre che ama e perdona, è una grande e dolorosa parte, la quale a pochi fu dato di compire sulla terra! Il tempo, come spaventoso torrente, trascina via con sè uomini e idee: pochi nomi benedetti, poche sante e divine parole rimangono appena a far testimonianza del passato, a fermar la promessa del futuro. Avventurato chi visse nell'aspettazione de' tempi migliori, procacciando intanto e operando il bene, come se dovesse da un dì all'altro fruttare! Dio ha veduto il cuor suo, Dio raccolse le sue lagrime; e quando seduto in disparte, come Geremia, stette solitario e tacque, Dio gli perdonò il silenzio, e la luce del cielo venne sopra di lui. (*) Forse il manoscritto fu ripigliato all'entrar della seguente primavera; se pur non erano mancati alcuni foglietti. E il suo cuore sollevò un' altra volta quel profetico lamento: - « La parte mia è il Signore; e per questo io l' aspetterò. » Buono è il Signore all' anima che in lui pone speranza e lo cerca. » Buona cosa è procacciar nel silenzio la salute del Signore. » Buona cosa è all' uomo portare il giogo nella sua giovinezza. » Siederà solitario e tacerà; poiché Dio gl' impose il suo carico. » Metterà la sua bocca nella polve, cercando se vi sia speranza. » Porgerà la guancia a chi lo percote; sarà pasciuto d'obbrobrio; » Perocchè il Signore non lo respingerà da sé in sempiterno; » E s' egli affligge, ha pur compassione, secondo la moltitudine delle sue misericordie. » 12 di maggio. Qualche nuova e più grave sciagura sovrasta a me o ad alcuno de' miei cari. Io ne ho da parecchi giorni il doloroso presentimento; poichè alla pace gustata per alcun tempo, alle forti contemplazioni della scienza, infiammatrice dell' intelletto, alla soave poesia della natura, è succeduta nell'animo mio l'amarezza delle cose, la codardia del dubbio, e quasi una paura di me stesso. Questo fu sempre per me il presagio di un tristo giorno della vita. I miei vecchi volumi non mi racconsolano più; non mi sembrano più che vani, indicifrabili enigmi, i quali altra cosa non mi fanno certa, se non che quaggiù nulla è certo. Non posso scrivere, non posso nè manco pensare.... 19 d' agosto. Io mi reputava cosi forte, così provato nella vita, e padrone di me medesimo, da sostener con fronte serena e animo tranquillo ogni e qualunque nuova e più dura esperienza. Dopo essermi seduto tante volte al capezzale della morte, dopo aver veduto spirar nel bacio di Dio tante infelici e candide creature, e aver accompagnato sulla tremenda soglia dell'eternità tanti uomini ciechi del bene, travagliati dal patimento, consunti dalla disperazione o dal rimorso, io credeva che più nulla d'umano potesse conturbare ancora i miei pensieri - Deh! che cosa è mai l'uomo, se tu nol visiti colla tua forza, o Signore? Oggi, dopo molti anni, il caso, o piuttosto il volere di Chi tutto dispone per il bene, mi ricondusse dinanzi un uomo che forse fu la prima cagione di tutte le mie disgrazie. Io gli aveva dato, nella generosa effusione del mio cuore giovine ancora, il santo nome d'amico.... Ed egli lo rinnegò questo nome così bello! mi rapì la prima, la più poetica lusinga della vita, l'amore; mi derise con una crudele indifferenza nelle innocenti mie illusioni; e ligio a coloro che poco m' amavano, se pur non m' odiavano già per la mia naturale e avventata libertà del pensiero, per quello ardimento che di rado è scompagnato da un cuore acceso del desiderio d'operar qualche cosa a pro d'altrui, egli pose in mano de' potenti il segreto che doveva partorirmi l' infamia, farmi morire!... Ma, come Dio anche quaggiù non consente sempre la vittoria ai cattivi, io, povero, oscuro e calpestato verme, fui più forte di coloro che si levarono, come stormo nemico, contro di me. Vinsi l' impostura e l' aperta menzogna ; poi mi ritrassi a piangere il mio passato nel silenzio della casa nel Signore, e perdonai. Perdonai, sperando che Dio a me pure perdonasse. Ed Egli m'avea dato codesta pace: fatto puro il mio cuore del lievito dell' ira, parevami d'avere in me spogliato per sempre il vecchio Adamo. La mattina era bella. - Per sollevare i pensieri dal peso delle angosce che ne' passati dì m' avevano grandemente prostrato, m'incamminavo verso il sentiero della selva, dalla parte ove sorgono tappezzate di lambrusca e di parietaria le rovine dell' antica torre lombarda: è là dov' io passo, in faccia alle maestose, lontane ghiacciaie dell' alpi e all' interminato azzurro del cielo, le più solitarie e beate ore del viver mio. Appena fuor della porta, un uomo incappucciato in un gabbano da montanaro mi s'affaccia d' improvviso. Lo guardai; teneva china a terra la fronte, voleva come parlare; e pareva tremasse. « Chi siete? » domandai. « Uno che.... vi conosce; » rispose, o piuttosto balbettò, senza levar gli occhi. Quella voce non mi parve al tutto ignota; ma Io strano vestire, la sua dubitazione, lo sgomento con che andava guardandosi intorno, turbarono un poco me pure; e persuaso che foss'egli ben altro da quello che i suoi meschini panni mostravano, me gli feci più accosto e di nuovo il richiesi: « Che volete da me? » « Sono un povero fuggitivo; venni a chiedervi asilo. » « Ma, signore! » ripigliai; « nè vi conosco, nè so.... » « Sì, mi conoscete; è in nome dell'amicizia ch'io vengo a voi. » E dicendo così, tolse giù il vecchio cappellaccio che gli copriva mezzo il volto, e mi guardò con aria supplichevole, malcerta. Ancora noi ravvisai. « Per carità, apritemi la porta di casa vostra! voi, ministro del Signore, abbiate compassione del fuggiasco perseguitato.... » E qui abbassò la voce, e fatto un passo verso di me, dopo essersi di nuovo guardato dietro le spalle: « Io sono Alberto ***: fui vostro amico! » Era colui che m'avea tradito. Quello che passasse in quel momento nel mio cuore, non voglio nè potrei scriverlo. Egli dimorò sotto al mio tetto due dì e due notti, nè io gli domandai se fosse innocente, o perchè avesse scelto ricovero nella casa d'un uomo a cui egli aveva fatto tanto male, e che fors' anche avrebbe potuto restituirgli il suo tradimento. Ah no! mai, mai! Colui che uccide è più misero di chi rimane ucciso: egli mi credè generoso e incapace del delitto di che spensieratamente, e per leggiere cause, non dubitò farsi reo contro di me. Io non so le conseguenze, le quali per la mia pietà potrei incontrare; ma non le temo. Nè fu pietà la mia, fu giustizia. A lui diedi tutto quel poco denaro che avevo, pregai per esso il Signore, e in quel momento dimenticai tutto il passato. Egli era più che amico mio, era fratello; Dio solo, Dio che mi lesse nel fondo dell'anima, mi giudicherà! Quando volle partire, io gli aveva stesa la mano e lo contemplava fissamente senza far motto. Mi parve commosso, soggiogato dalla memoria di quello che fu tra me e lui: mi guardò egli pure , poi mi si gittò al collo, e pianse. 3 di maggio. . . . Nessuna novella del fuggitivo. Che il cielo l' accompagni! Il mio cuore s' è allargato nella pace di prima sono rassegnato e tranquillo nella mia coscienza. Non so spiegarmi come non ricevessi ancora riscontro alcuno da ***, e da *** alle ultime mie lettere.... Queste note e questi pensieri trovai qua e la sparsi sopra alcuni brani di carta frapposti alle pagine del manoscritto erano per avventura frammenti o postille di guaiate libricciuolo messo in luce, senza nome, in altro tempo. Ne tenni conto, perchè panni che rivelino meglio quali fossero la mente e il cuore del vicecurato. « Molti presuntuosi reputano impossibile tutto ciò che per loro o non si sa o non si fa; moltissimi considerano le grandi cose che non intendono, o che non sono capaci di operare, come inutile fatica d' un esaltato fanatismo; e stanchi prima d' intraprendere, si addormono sui morbidi ma dannosi letti dell' ozio. Tanto è superbo l' amore di noi stessi per non confessare la propria ignoranza e la propria debolezza; tanto è artificioso per giustificarla; tanto è ingiusto per assolverla! Frattanto l' infingardaggine si scusa colla pretesa impossibilità alle grandi cose, per non confessare il timore dell' utile fatica; e il vizio colla pretesa loro inutilità, per non denunciarsi da sè medesimo vile e iniquo; l' infingardaggine e il vizio diventano costume e perchè ciò che non è il costume dei più, sia tristo, sia buono, si chiama fanatismo e pazzia, ogni bello e generoso ardire vien collocato indegnamente in quest' ultima classe. .... « L'uomo contempla, rappresentata ne' grandi genii, in una pompa la più solenne e nella sua più illustre magnificenza, la propria natura: una sublime compiacenza lo fa inorgoglire delle proprie forze; l' animo s' eleva ai più ardui concepimenti; il cuore s' infiamma ai plà scabrosi sperimenti; nulla più si tollera di mediocre, senza una nausea mortale e un magnanimo disprezzo. » .... « Nella rivoluzione de' tempi occorrono età cosi sciagurate per corruttela di costume, e cosi impudenti per abitudine di vizio, che portano in trionfo la colpa, infamemente la collocano sugli altari della virtù, e, per averle cangiato nome, reputano di purgarsi da sacrilega idolatria. Allora, gentilezza di modi le mollezze, gloria l' oro, mo- destia destia la viltà, prudenza il timore, umiltà la codardia, obbedienza la venalità, senno il raggiro, economia l' usura, avvedutezza la frode, laude l'adulazione, belle arti la lussuria; in una parola, la colpa virtù. Tale è il rovescio miserando e scandaloso che si fa d' ogni buono in cattivo, quasichè, per mutar di vocabolo, mutino le cose: ma dando così chiaro a vedere che ogni uomo sente che non è stromento di scelleratezza, e che tale è necessità per esso la virtù, che il delitto non abbraccia se non colorato dalle tinte di quella. Anche scellerato, ama d' ingannarsi che non è; epperò, perdendo la virtù, ne conserva la divisa, onde molta è la ciurma degl' ipocriti: e così, se dappertutto ove sono uomini il delitto ha schiavi, in nessun luogo regna a fronte scoperta. Quindi accade che, se in così fatti tempi sorge un magnanimo amico della virtù e del vero, tutti se gli fanno intorno co' sassi; ed è ben conseguente, perocchè se giunga face là ove tutti hanno bisogno di tenebre per ascondere la colpa, tutti si sforzano di spegnerla subitamente. Delitto dell'amore di noi medesimi, che giustificando i propri errori è pur d'uopo che le virtù contrarie condanni per evitar contraddizione: sicchè in cuore invidia l'altrui virtù, e col labbro la lacera e la condanna. Del resto, la verace virtù che passeggia nel mezzo alla finta, tacitamente denunzia la colpa nascosa sotto le sue larve, e coll' opera del paragone squarcia la veste dell' impostura la più veneranda e la più astuta. Allora si distingue la virtù dall'ipocrisia che fa studio d'imitarla, coll' eguale facilità che da un re di scena un re da trono: ed è per questo che in tale condizione di tempi la virtù e la sapienza sono guardate come due possenti nemiche; è per questo che solo compaiono attraverso lo squarciato manto d'un' illustre povertà, e che sempre le ritrovi fuggiasche sulle spinose vie della persecuzione, e spesso ancora fra le catene, e dentro la carcere dell'omicida e del ladro. » .... « Le grandi speranze e i grandi sforzi sono dei generosi; le forti presunzioni e i deboli attentati, de' superbi.... Io tutto spero, tutto tento, nulla presumo! » .... « Se è vero che dal conoscere scende ogni volere, e dal volere ogni .operazione umana, con cui si satisfà all'inesorabile bisogno, si accontenta il desio insaziabile, e si avverano le indelebili speranze, nella cui somma soltanto può essere riposta quella felicità ch' è data ai mortali; se è vero, io dico, tutto questo, deve scusarsi la nostra curiosità che tutto ad un solo sguardo vorrebbe possedere lo scibile umano. Anzi questa curiosità io la reputo come il possente motivo onde la natura invita l' uomo a ricercarla nel sacrario della scienza: come col desio della felicità lo spinse alle perenni agitazioni delle sorti mortali. Quindi è che, una volta messa sulle vie delle indagini per un sì grande impulso, non già s'avanza gradatamente e con tarda saggezza, contenta ad un vero discreto; ma impaziente delle sagge dimore della riflessione, si avanza baldanzosa, prima fidata al solo probabile, poi al verisimile, ed in ultimo anche al falso in colore di vero; e così, per volere acquistare la vetta per la più spedita via, corre la più lubrica; e correndo questa, bene spesso precipita al basso. A spogliar la cosa di veste metaforica, fatto è che quando cessa il vero, ce lo fabbrichiamo coll' ipotesi del nostro cervello; e vien poi una demenza filosofica, che delira argomenti in suo soccorso; i quali, accreditati dall' umano orgoglio e dall'umana ignoranza, gli ottengono la cittadinanza del vero; e così, come dicevano i Greci, si abbraccia la nube per la diva. - Non già ch' io abborra dall' uso giudizioso dell'ipotesi: so benissimo ch' essa sola batte alle porte della verità; anzi m' aggrada quella sua audacia con che la sollecita a parlare e le squarcia il velo più misterioso. Mi rammento di Newton, che con essa s' innalzò in mezzo de' cieli e che da essa imparò come due mirabili forze equilibrino i firmamenti. Io abborro che lo stromento diventi la cosa, che la via si reputi la meta, e voglio che l' ipotesi non si usurpi nome di realtà, ma che con felice metamorfosi si cangi in essa. Ma pur troppo più persuadono i nomi che le cose: onde il fatto inesorabile bene spesso appalesa le gradite menzogne di noi stessi: decipimur specie recti. » .... « La feconda meditazione de' grandi, tacita e nascosa ne' suoi preziosi ritiri, non ha nemmeno l' applauso che il saltimbanco ottiene sul trivio; anzi spesso dal volgo le sue sapienti lentezze e le sue cautele da precipitato giudizio s' imputano a colpa, e si accusano d' ozio e di pi- grizia. Ma i grandi, sdegnosi di piatire con una plebe che ha bisogno d'assiduo cicaleccio, per non morir d' inedia sulla vie e ne' fori, ne confondono le menzogne, recando in pubblica luce il frutto delle loro nascoste fatiche. » « Le più sublimi speranze non bisogna misurar col solo calcolo del corto soffio dell' umana vita. Non bisogna solo calcolare quanto possa l'individuo; ma quanto può la specie, la cui vita è lunga come la sua perfettibilità. L'orgoglio umano è una menzogna quasi sempre nell'individuo; ma spesso nella specie è una verità; è uno sprone a quanto ella di fatto può. Questo esiste in ogni individuo; e ognuno, al divisamento, è pari all' idea che lo move; ma, all' opera, non potendo quanto la specie, ciò che non sa non fa, lo reputa per un cotale astuto giro dell' amor di sè stesso, o inutile o impossibile. - Ma la specie, all'opposto, può di più che non sappia: ognuno porti quel masso che reggono le sue spalle, e l'edificio s' innalzerà verso il cielo saldo e sublime. Io l'ho detto: Umana perfezione? un sogno: - Umana perfettibilità? una via di cui non conosco la meta, ma sulla quale io pure cammino.

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Io non potrei sopportare il pensiero ch' esso abbia ad andar perduto in questo mondo e nell' altro!... » Arnoldo non lesse più innanzi. Gettò dispettoso il libro, un amaro sogghigno errava su le sue labbra. Ristette, lo sguardo fisso, le braccia serrate al petto, con un, brivido nel cuore e uno strano tumulto ne' pensieri. Dopo alcun tempo don Carlo, tornato a casa, salì nella stanza; e, veduto l' amico in atto di sì profonda occupazione, che non s'accòrse del venir suo, lentamente gli s'avvicinò. « Arnoldo, voi m' avete aspettato, non è vero? » « Siete voi? » rispose, riscuotendosi, il giovine. « Ero venuto a cercarvi. Non vi aveva riveduto da alcuni giorni, temevo non foste partito. » « Converrà bene che vi lasci presto; forse non resterò oltre domani.... » « Come? » « Da parecchie settimane son qui. Oramai, le poche brighe che domandavano la mia presenza sono finite. Jeri mi fu consegnata la tutela di mia sorella, e di quel poco ben di Dio che le tocca; quest' oggi ho riscossa porzione d' un vecchio credito, che mio padre teneva verso un tale di Lecco. Adesso, mi richiamano altrove doveri assai più sacri. » « V' assicuro che mi sa male che partiate. Ma, lo prometto, verrò a trovarvi, e vi scriverò. Il vostro nome non è di quelli che si dimenticano cosi presto; e la conoscenza nostra, spero, non morrà come tante che profanano la virtù e la fiducia dell' amicizia. » « Dio il voglia! E quanto a me, vi confesso che una certa tristezza mi prende nel lasciare questa mia povera casa, e mia madre, e Maria.... Esse qui resteranno con la compagnia di molti travagli; e io non potrò, solo e lontano da loro.... » « Oh! ne siate certo, finchè io starò qui, verrò di frequente a visitare la buona vostra madre; e verranno meco le mie sorelle, e farò conoscer loro Maria. Ed esse s' ameranno, perchè anche Elisa e Vittorina sono due affettuose fanciulle.... Oh voi noi sapete ancora! Ho seguito il vostro consiglio; e furon esse che calmarono lo sdegno di mio padre, che m'hanno ricondotto al suo seno.... Dacchè non ci siam veduti, la pace fu fatta: domandai perdono a mio padre d'una colpa non mia; ma lo feci di cuore.... Oh da tanto tempo non avevo intesa la sua voce! » « È dunque vero? Ora, dovete essere felice! Il vostro cuore gusterà una di quelle gioie che solo sono concesse alla virtù cristiana, d'umiliarsi. » Don Carlo ringraziò l' amicò per la sua cortese pro- messa; poi, prima di prender commiato, volle dirla anche a sua madre. Usciti di là e passati per un piccolo corridore, vennero nella stanza dov'erano le donne, le quali non aspettavano quella visita. Era la cameretta di Maria. La parete ignuda e bianca; da un lato un letticciuolo, a capo del quale pendeva un quadretto a olio, l' immagine della Madonna addolorata; e sotto, una candela benedetta e un crocifisso d'argento. Era il letticciuolo coperto d' una coltre di color cilestro, e le lenzuola ripiegate sovr' essa così candide che non parevano ancor tocche. Da un altro lato, una piccola finestra che guardava nel cortile verso il lago, mezzo nascosta da una tendetta bianca. Qualche seggioia di paglia, un rozzo tavolino, suvví una piccola spera, e un vecchio armadio in un canto compivano la suppellettile della cameretta. Arnoldo sentì una tacita gioia in cuore, quando il suo sguardo s'arrestò su quella scena modesta e casalinga. I raggi pallidi, che fuggivan di sotto il coperchio della lucerna, mandavano una quieta luce su l' angelica faccia della fanciulla, e su le piccole sue mani intese a lavorar di maglie; i bruni capegli le rilucevano lisci e spartiti su la fronte, ricadendole dietro le orecchie in folte e facili anella fino a toccarle il seno, china com' era; una veste semplice di percallo cenerino, e un nero fazzoletto appuntato nella cintura aggiungevano una grazia pudica al con- torno della sua leggiadra persona. La madre sedeva anch'ella presso la tavola, occupata a rimendare coll' ago alcuni vecchi lini; e la Marta più addietro, presso la parete e sur un trespolo, attenta all'arcolaio, dipanava. - Il lume della lucerna, disegnando con varia movenza d'ombre e di chiarore quel gruppo così raccolto dava all'umile scena un incanto di quiete e d'armonia: pareva uno di que' cari quadretti fiamminghi così semplici, così veri. « Sapete, madre mia? » disse don Carlo, entrando « bisogna ch'io parta domani: ho deciso. « Come? non ne sapevo nulla: è proprio vero? do- mani, mattina?... » domandò con turbato accento Maria, sollevando la faccia. Voleva dir di più, ma s'accòrse che con suo fratello anche un altro era là: chinò il capo, e ristette tra pentita e peritosa di quella domanda, che le era uscita dal cuore. « È necessario, » rispose il prete; « stetti qui con voi più ancora che non avrei dovuto. » E Caterina intanto scuoteva la testa, in atto di rassegnazione malcontenta, e mormorava piano: « Già son avvezza a mandar giù di più, amari bocconi.... dunque, pazienza! » « Sì! abbiate pazienza. Anche questa volta, mamma Caterina la confortava Arnoldo. « La speranza del rivedersi è intanto qualche cosa: io poi vi darò spesso notizie di vostro figlio, perchè gli ho promesso d'andare a visitarlo a****. » « Lei è proprio un buon signore! » rispose, in atto di render grazie, la madre. « Oh sì, » aggiunse Maria, con voce soave, ma così timida e fioca che Arnoldo l' intese appena. « Fatevi pur cuore, nè mettete di malanimo anche me. Già bisogna che sia così! » diceva don Carlo. « Ma credetelo, amico, » riprese Arnoldo, « m'ero assuefatto così bene a passare i dì con voi, in questa contrada! « Errando in vostra compagnia da qualsiasi banda, ogni paesetto, ogni villa aveva la sua storia, ogni montagna, ogni rupe il suo nome; e temo che mi costerà il divezzarmi.... » « Lei è un signore » soggiungeva Caterina, « e non vorrà pensare a noi.... » « Che cosa dite? anzi, se non me lo negate, voglio far conoscere le mie sorelle a voi e a vostra figlia, che siete così amorevoli e buone. » « Oh signore! noi avremo vergogna » rispose la madre. « No, non può essere, ve n' assicuro. » « Oh desideriamo tanto di conoscerle » soggiunse vivamente e arrossendo alcun poco Maria: « tra noi ci vorremo bene. » Quella sera, l' ultima ch' egli passava presso de' suoi, chi sa per quanto tempo, don Carlo rimase fino a ora tarda con le donne, le quali a malincuore pensavano al domani. Anche Arnoldo stette un buon pezzo in quella modesta compagnia, fra que' dolci colloquii familiari, in cui si ripetono tante lievi e care cose, e s'avvicendano parole di consiglio, di ricordo, d'aspettazione. L' animo suo sentiva una pura contentezza; e quando, salutato di novo l'amico, tornò per la riva del lago alla villa, ripensava alla buona famiglia, e gli pareva che il suo cuore rimanesse là, in quell' angusta cameretta.

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L'uccellino azzurro

213044
Maeterlink, Maurice 1 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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poi, non so che cosa io abbia, oggi.... Tremo dalla febbre.... Guardate le mie foglie.... Forse ho preso freddo stamani, al levar del sole. LA QUERCIA (con uno scoppio d' indignazione) Avete paura dell' Uomo, questa è la verità!... Perfino questi due bambini, soli e senza armi, v'incutono il terrore misterioso che fece sempre di noi gli schiavi che siamo!... Ebbene, no!... Basta!... Poichè è così, e d'altra parte l' occasione è unica, andrò io, sola, vecchia, rattrappita, tremante, cieca come sono, contro il nemico ereditario!... Dov'è?... (Si avanza a tastoni, appoggiandosi al bastone, incontro a Tyltyl). TYLTYL (estraendo di tasca il coltello) Ce l' ha con me quella vecchiaccia, col bastone?... (Alla vista del coltello tutti gli Alberi, con un urlo di terrore s'intromettono fra i due trattenendo la Quercia). GLI ALBERI Ha il coltello!... Badate!... Ha il coltello!.., LA QUERCIA (dibattendosi) Lasciatemi!... Che m' importa del coltello o dell'ascia!... Chi mi trattiene?... Come!... 128 Siete qui tutti?... Come, voi tutti volete.... (Gettando via il bastone). Ebbene, sia!.... Vergogna!... Lasciamo dunque agli animali il còmpito di liberarci!... IL TORO SI!... Me ne incarico io!... E con una sola cornata!... IL BOVE e la VACCA (trattenendolo per la coda) Di che cosa t' immischi, tu?... Non fare sciocchezze!... È un affare sballato!... Andrà a finir male.... Riderà bene chi riderà l'ultimo!... Lascia andare.... Tocca agli Animali selvatici.... IL TORO No, no!... Tocca a me!... Aspettate!... Ma tenetemi, fermo, dunque, se no succede qualche guaio!... TYLTYL (a Mytyl, che getta acute grida) Non temere!... Mettiti qua, dietro a me... Ho il coltello.... IL GALLO Èspavaldo il piccino!... TYLTYL Dunque, è proprio vero, ce l'hanno con me?... L'ASINO Ma certo, piccino mio. Ce n'è voluto, perchè tu capissi!... IL PORCO Puoi dire le tue preghiere; è giunta la tua ultima ora.... Ma non cercare di nascondere la piccina.... Voglio godermela intanto con gli occhi.... La mangerò per la prima.... TYLTYL Che cosa vi ho fatto dunque?... IL MONTONE Nulla, piccino mio.... Hai soltanto mangiato il mio fratellino, le mie due sorelle, i miei tre zii, mia zia, il nonno, la nonna.... Aspetta, aspetta che ti buttino in terra, e ti accorgerai se ho denti anch'io.... L'ASINO E io buoni zoccoli!... IL CAVALLO (scalpitando con fierezza) Vedrete.... quello che vedrete!... Preferite che lo dilanii coi denti o che l'abbatta a forza di calci?... (Si avanza fieramente verso Tyltyl, che si difende mostrando il coltello. Ma a un tratto, preso da panico, il Cavallo volta il dorso MAURICE MAETERLINK. L'Uccellino Azzurro. 9 e fugge a gambe levate). Ah, cosi no!... Non è giusto!... Non è buon giuoco!... Si difende.... IL GALLO (che non può nascondere la sua ammirazione) È coraggioso, però, il piccino!... IL PORCO (all'Orso e al Lupo) Precipitiamoci su di loro tutti insieme.... Io vi sosterrò per di dietro.... Li getteremo a terra, e allora ci divideremo fra tutti la piccina.... IL LUPO Attirateli da quella parte.... Io, intanto faccio una manovra avvolgente.... (Gira dietro a Tyltyl, lo investe e lo getta quasi lungo disteso per terra). TYLTYL Giuda!... (Si rialza a mezzo, sorreggendosi su un ginocchio; indi, brandendo il coltello, copre, come può, col proprio corpo la sorellina la quale, atterrita, urla disperatamente. Vedendolo quasi a terra, tutti gli Animali e gli Alberi si precipitano su di lui tentando di colpirlo. Tyltyl invoca aiuto, gridando). A me!... A me!... Tylô! Tylô!... Dov'è la Gatta?... Tylô!... Tylette! Tylette!... Venite! Venite qua!... LA GATTA (in disparte, ipocritamente) Non posso.... M'hanno schiacciata una zampa.... TYLTYL (parando i colpi e difendendosi come può) A me!... Tylô! Tylô!... Non ne posso più!... Sono troppi!.. C'è l'Orso! Il Porco! Il Lupo! L'Asino! L'Abete! Il Faggio!... Tylô! Tylô! Tylô!... (Il Cane, trascinando con sè i lacci spezzati, balza, fuori di dietro al tronco della Quercia, e sgominando Alberi e Animali si getta davanti a Tyltyl, e lo difende rabbiosamente). IL CANE (dando morsi a destra e a sinistra) Eccomi, eccomi, mio piccolo dio!... Non aver paura! Forza!... Ho buoni denti, io!... Tieni, questo è per te, Orso, nel tuo grosso deretano!... Su, chi ne vuole ancora?... Questo è per te, Porco, e. questo per te, Cavallo, e questo per la tua coda, Toro! Ecco! Ho dilaniato i calzoni del Faggio e la sottana della Quercia!... L'Abete se la dà a gambe.... Che fatica, però .. TYLTYL (accasciato) Non ne posso più!... Il Cipresso m'ha dato un gran colpo sulla testa.... IL CANE Ahi!... Questo è un colpo del Salice.... Mi ha, rotto una gamba!... TYLTYL Tornano alla carica, tutti quanti!... Questa volta, li guida il Lupo.... IL CANE Aspetta, aspetta che lo stritolo! IL LUPO Imbecille !... Sei nostro fratello!... I suoi genitori hanno affogato i tuoi cuccioli!... IL CANE Hanno fatto bene!.... Tanto meglio!... Perchè somigliavano a te ! TUTTI GLI ALBERI E TUTTI GLI ANIMALI Rinnegato!... Sciocco!... Traditore! Fellone! Balordo!... Giuda!... Lascialo! A morte! A noi! IL CANE (ebro di ardore e di abnegazione) No, no!... Solo contro tutti!... No, no!... Fedele al mio piccolo dio! al migliore! al più grande!... (A Tyltyl) Attento, ecco l'Orso!... Diffida del Toro.... ora gli salto al collo.... Ahi!... Che calcio!... L'Asino m' ha spezzato due denti.... TYLTYL Non ne posso più, Tylô.... Ahi!... Il Pioppo mi ha colpito.... Guarda, mi sanguina la mano... È stato il Lupo, o il Porco.... IL CANE Aspetta, mio piccolo dio.... Lascia che ti baci.... Qua, una buona leccata.... Ti guarirà.... Sta' qui dietro di me.... Non osano più avvicinarsi.... Sì! Eccoli, tornano!... Ora la faccenda si fa seria!... Teniamo duro!... TYLTYL (lasciandosi cadere a terra) No, non ne posso più.... IL CANE Vien qualcuno!... Lo sento all'odore.... TYLTYL Di dove?... Chi?... IL CANE Di laggiù!... Ah, è la Luce!... Ci ha ritrovati!... Siamo salvi, mio piccolo re!... Abbracciami!... Salvi!... Guarda!... Si mettono in guardia.... Si scostano.... Hanno paura!... TYLTYL La Luce!... La Luce!... Vieni dunque!... Presto!... Si sono ribellati!... Tutti contro di noi!... (Entra la Luce; via via che s'inoltra, l'Aurora si alza sulla foresta, che ne è tutta illuminata). LA LUCE Che cosa succede? Che cos'è? Ma, disgraziato, non lo sapevi?... Gira il Diamante! Rientreranno così nel Silenzio; e nell'Oscurità: e tu non vedrai più i loro sentimenti.... (Tyltyl gira il Diamante. Ed ecco, tutte le anime degli Alberi si precipitano nei rispettivi tronchi, che tosto si richiudono. Anche le anime degli Animali spariscono; e si vedono, lontano, una Vacca e un Montone pascolare tranquillamente. La foresta riprende il suo aspetto innocente. Stupito, Tyltyl guarda intorno a sè). TYLTYL Dove sono andati?... Che cosa avevano?... Erano forse pazzi?... LA LUCE No, no, Sono sempre così: ma noi non lo sappiamo perchè non possiamo vedere dentro di loro.... Te l'avevo detto: è pericoloso destarli nella mia assenza.... TYLTYL (asciugando il coltello) Non c'è che dire: se non ci fosse stato il Cane, e se io non avessi avuto il coltello.... Ah, non avrei mai creduto che fossero così cattivi!... LA LUCE Come vedi, l'Uomo è solo contro tutti, nel mondo.... IL CANE Non ti sei fatto mica troppo male, mio piccolo dio?... TYLTYL Niente di grave.... In quanto a Mytyl, non l' hanno nè anche toccata.... Ma tu, piuttosto, mio povero Tylô!... Hai la bocca insanguinata, la zampa rotta.... IL CANE Non vale la pena di parlarne.... Domani non si vedrà più nulla.... Ma è stato un affar serio!... LA GATTA (sbucando fuori zoppicando, dal fitto di un cespuglio) Altro che serio!... Il Bove m'ha dato una cornata nel ventre.... Non si vede il segno, ma mi fa tanto male.... E la Quercia m'ha rotto una zampa.... IL CANE Quale? Mi piacerebbe di saperlo!... MYTYL (accarezzando la Gatta) Povera la mia Tylette!... Davvero?... Ma dov'eri?... Non ti ho vista.... LA GATTA (con ipocrisia) Sono rimasta ferita subito, mammina cara, mentre assalivo il Porco che voleva mangiarti.... La Quercia mi assestò allora quel colpo tremendo che m' ha stordita.... IL CANE (alla Gatta, fra i denti) In quanto a te, sai, ho da dirti due paroline.... Mai non perdi niente ad aspettare!... LA GATTA (con accento lamentoso a Mytyl) Mammina, lo senti? M'insulta.... Vuol farmi male.... MYTYL (al Cane) Vuoi o non vuoi lasciarla stare, bestiaccia?.... (Escono tutti). CALA LA TELA.