Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'angelo in famiglia

182442
Albini Crosta Maddalena 10 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Pagina 172

Io suppongo tu abbi la matrigna, e questa ami più i suoi figli di te. Questa la è cosa naturalissima, ma non lo nego, assai dolorosa. Forse a te tocca vederti sempre posposta; forse a te tocca sentire la distanza che passa tra quelli che hanno la loro mamma e te che non l'hai in certo modo che a prestito; ma, sta sicura, questo disordine tu non lo potrai sicuramente togliere o diminuire coll'essere o col mostrarti sospettosa; ma solo coll'essere e col mostrarti affettuosa, pia, sottomessa, tu potrai in certo modo farlo scomparire. Quanto ti dico, l'ho visto avverarsi più volte, poichè la virtù ha una potenza che investe, trasforma, migliora tutto quanto le si avvicina. Una signora che io conosceva da una decina d'anni, ed ammiravo come ottima madre di famiglia, ammalò un tempo di un morbo sì fiero e sì ostinato, da lasciar temere per un intero anno, o della sua vita o della sua intelligenza. Le figliuole, giovanette in allora, si stemperavano non solo in pianti, ma più ancora in fatiche per circondare la povera inferma delle cure più difficili, assidue ed amorose. Non si faceva da tutti che lodare l'eroismo di quelle due creature, le quali dimenticavano perfino i bisogni personali per accudire alla malata, la quale destava in esse tale una pietà ed un interesse che non potevano a meno di comunicarsi a chi le sentiva parlare con tanto affetto. Finalmente la signora guarì con grande consolazione del marito e di tutti i figli; non andò molto essa si sobbarcò a sacrificj anche pecuniarj per collocare convenientemente le fanciulle, le quali si ebbero davvero la benedizione di Dio; e fu, credo, nell'occasione delle loro nozze ch'io seppi che quelle erano le figliastre virtuose di una virtuosissima matrigna! Da quella volta, dico il vero, cominciò a dileguarsi in me un antico pregiudizio che mi faceva considerare una vera calamità lo stato di una figlia cui un'estranea tenta riempire il vuoto lasciato da colei che le fu tolta da morte, e un nuovo orizzonte si aprì a me dinanzi. Sì, quando la matrigna è buona, e le figliastre si sforzano pure di esserlo, tutto corre come Dio vuole, desidera, comanda, e il benessere e il buon accordo regna nella famiglia: ma, dico io, come deve fare una povera donna se le tocca per figliastra una fanciulla che la spia quasi continuamente, solo bramosa di coglierla in fallo; che eccessivamente avara e guardinga delle proprie carezze le prodiga solo ed a fatica quei riguardi ai quali è strettamente tenuta, non un punto più in là? Se la figliastra si regola in questo modo, non basterà che la matrigna si sacrifichi per essa; non gioverà che si espanda in dimostrazioni d'affetto; la sua condotta sarà accusata di doppiezza e di esagerazione, e mai e poi mai si otterrà quella fusione degli animi che sola giova, che sola medica le piaghe del cuore. Tu devi riguardare nella moglie di tuo padre, non la madre che hai perduto, chè od usurperesti ad essa l'affetto tuo, e questo deve durare eternamente, o saresti tentata 25 di continuo a fare dei confronti che nuocerebbero alla morta ed alla viva, e non gioverebbero sicuramente neppure a te, perchè i confronti sono sempre odiosi. Tu devi pensare: mia madre è morta; e questo pensiero ti deve infondere un vivo desiderio di onorarne la memoria col mostrarti degna di lei, con quella che ha preso il suo posto vicino al padre tuo: ne ha forse colpa costei se tu sei rimasta orfana? Essa anzi ha il merito di non avere sdegnato prenderti per figlia, mentre il dì delle sue nozze pronta e volonterosa assumeva degli obblighi gravissimi con te. Se tu penserai sempre che la matrigna non è colei che ti ha tolto la madre; ma colei che ha tentato di rimpiazzarla, tu la guarderai di buon occhio, tu sarai pronta a renderle servigio, tu ricorrerai ad essa nei tuoi bisogni, tu prenderai parte a quanto la riguarda; ed essa, non tarderà molto, prenderà parte alle cose tue, ti sentirà volentieri favellare anche della tua mamma, e piangerà con te di quanto t'intenerisce, perchè vedrà che ti fidi di lei, che non sei invida nè gelosa, che in essa cerchi ed accetti un'amica che ti vuole, ti può sollevare... Fa come dico io, e ti accorgerai presto che ad onta di quel velo di mestizia che la perdita della madre tua ti ha lasciato in triste e pur caro retaggio, la tua vita correrà serena, le gioje domestiche non ti resteranno più ignote, ed anzichè sfogare il tuo cuore in dolorosi lamenti, ringrazierai il Signore d'averti dato una seconda madre, una sorella, un'amica verace. Non ti sia grave rivolgerti ad essa per consiglio, ed accettare quelli che ti dà spontaneamente; non giudicare temerariamente le sue intenzioni; ma vedile con occhio semplice, prendi le sue azioni come sono, senza cercarci sotto un secondo fine; porta ad essa quella venerazione, quell'obbedienza e quell'ajuto che, se è un dovere più rigoroso verso i genitori, è però un dovere generale che tutti comprende i parenti ed i superiori, e più specialmente coloro che del padre e della madre tengono le veci. Se la tua matrigna, per tua sventura, è donna malvagia, ed oppone alla tua virtù, alla tua annegazione la durezza ed il capriccio, non ti resta che perseverare nel bene, piegare la fronte e ricevere la tua croce in espiazione delle tue colpe. Il Signore non si lascia mai vincere in cortesia, dice un antico proverbio ma vero, ed il Signore premierà la continuità del tuo sacrificio con taluno di quei premj ch'Egli solo sa concedere e che noi neppure abbiamo l'ardimento d'immaginare. La tua matrigna od il patrigno ti sono causa di dolore e di pena? Leva i tuoi occhi al cielo quando la notte ha calato sulla terra le sue ombre, quando la luna e quei mille mondi, che si dicono stelle, brillano nel firmamento, quando tutto tace e niun rumore profano disturba la quiete che ti circonda; ma solo il gorgoglìo del ruscello che frettoloso segue sua via, e i rami mossi da una leggiera brezza primaverile scuotono dolcemente il tuo orecchio ed il tuo cuore... In allora pensa che tutte quelle bellezze che sì ti rapiscono sono appena un sogno, un'ombra, una larva di quelle bellezze che ora allietano la vista del perduto genitore, e lo fanno beato: in allora pensa che se il tuo sagrificio è grande, immensa ne sarà la mercede, poichè un giorno a quella parola vieni, benedetta, quelle bellezze si mostreranno ai tuo occhio; quelle bellezze t'inonderanno, t'investiranno, ed appagata nell'intelligenza, nel corpo e nel cuore, stringendoti al seno le persone colle quali sei legata da vincoli di sangue e di tenerezza, intonerai con esse quel cantico che le schiere celesti ripeteranno, e che sarà ripercosso nelle vôlte beate di quel beato soggiorno. In quel gaudio ineffabile, immenso, eterno, benedirai le tue croci, i tuoi dolori che ti hanno ajutata e in certo modo obbligati a conseguirlo... Animo adunque, mia cara, supera le ripugnanze della natura, la rustichezza forse natìa del tuo carattere, se vuoi raggiungere la quiete sulla terra, la gloria in cielo; e, non temere, i tuoi sforzi saranno sicuramente coronati!

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Da ciò vedi quanto importi tu abbi del tuo vestire non già una ricercatezza eccessiva, il che dinoterebbe una certa leggerezza e vanità; ma una cura giusta e conveniente, che sia indizio veritiero della tua sodezza e della rettitudine del tuo criterio. Lo so bene, oggidì, fosse più che in altri tempi, non è osservata, ma trascurata la differenza di condizione, e bene spesso la dama è uguagliata o superata nel vestire dalla mercantessa e dall'operaja. Ciò si capisce presto. Una volta le stoffe di seta costavano molto più di adesso, perchè i mezzi di trasporto erano più difficili, e le manifatture non erano vantaggiate di tante macchine; oltre a ciò ora più che negli anni trascorsi si vuole dissimulare, cancellare, quando non si può togliere affatto, ogni distanza, e la crestaja o venditrice di fiori, vende a prezzo molto elevato la sua merce, per riuscire a vestirsi essa pure di velluto e circondarsi i polsi con monili all'ultima moda. Ma io non l'approvo per nulla questo sistema, perchè mi pare brutto, cattivo, perchè dinota in coloro che l'adottano un imperdonabile desiderio di parere ciò che non sono; ed io, la voglia d'ingannare e la dabbenaggine d'ingannarsi, le abborro cordialmente. Io adunque come condizione prima ed indeclinabile ti pongo quella di vestire come porta il tuo stato sociale e finanziario, e piuttosto meno che più, perchè gli alberi più utili ed i frutti più gentili il Signore li ha coperti d'una buccia piuttosto grossolana od aspra, il che però è ben lungi dal voler dire brutta o sgualcita; ti do in secondo luogo questo consiglio per non esporti al rischio di dover poi riformare il tuo metodo di vita. Chi pone ogni sua cura nell'abbellire l'esterno, segno è che trascura l'interno; dunque, attenta bene, figliuola, se non vuoi pregiudicarti, ed essere e parere frivola e dappoco. Non dico già che tu debba foggiare i tuoi abiti all'antica, e comparire nel mondo col costume di alcuni o di molti anni addietro; questo anderà bene per chi vuol togliersi o separarsi dalla società, non per te che sei chiamata a farne parte non solo, ma a brillare nel suo seno come angelo benefico e fior gentile, colla luce smagliante del bene e della virtù. Io desidero che tu non serva la moda, ma ti serva di essa in modo conforme alla modestia, al buon gusto e ad una certa tal quale eleganza che accresce grazia ad una giovane persona la quale non deve avere movenza nè parola che non sia amabile e graziosa. Alcune damigelle, pur essendo fuori di collegio, continuano in certo modo a portarne l'uniforme, poichè la madre assennata e giudiziosa prescrive appuntino l'abbigliamento, l'acconciatura e tutto che le riguarda, e le libera così dalla responsabilità della scelta. Però, tardi o tosto, viene anche per codeste un momento in cui è accordata una certa libertà, se non assoluta, almeno relativa, di scegliere i colori, la forma dei loro abiti, della loro acconciatura, e dei loro cappellini. Ripeto che io punto punto consiglio, e neppure approvo che tu porti l'abito attillato quando si usa ampio, nè ampio quando si usa attillato; questo dimostrerebbe stravaganza e quasi un dispregio delle usanze comuni, che noi dobbiamo sempre rispettare anche quando non le possiamo imitare. Però quelle povere signore e signorine schiave umilissime della moda, che si fanno un dovere di seguirla in tutte le sue fasi e negli interminabili suoi mutamenti, mi fanno davvero compassione, non tanto pel disguido inevitabile che porta alle loro finanze, spesso sbilanciate, una spesa che in tal modo diviene eccessiva; ma più ancora perchè ciò indica in esse una mutabilità ed una leggerezza che non sono la miglior raccomandazione della loro persona e del loro carattere. Oh! qui, anche qui, prendi se ti vien fatto, prendi la via di mezzo; essa è la più onesta, la più sicura, e la più apprezzabile. Io credo, voglio credere, che tu, figliuola modello, signorina pia e gentile, userai anche riguardo al tuo vestire moderazione e criterio; pure conoscendo ed indovinando nella tua natura buona, anzi ottima, taluna di quelle bizzarríe che non sono generate da spirito leggiero, ma soltanto ne danno l'apparenza, vorrei togliere anche questa da te; e se tu mi secondi, riuscirò sicuramente nel mio proposito, e tu apparirai qual devi essere e qual sei. Dalla buccia si conosce la pianta; e dal vestire s'indovina il fondo dell'individuo. 32 Fra le foggie in uso scegli la più semplice, il che vuol dire la più simpatica ed elegante; correggi ove sia d'uopo quelle che, ponendo in soverchia evidenza le forme, sono più incomode e sconvenienti. A questo proposito mi è caro ricordarti un episodio della vita di Maria Cristina regina di Napoli. Una sua dama si trovava a corte ad una festa, con un abito soverchiamente scollato; la regina allora facendosele incontro amorevolmente le disse: quanto siete bella! indi traendo di tasca la propria pezzuola gliel'accomodò al collo dicendo:così però siete molto più bella! Vi hanno delle feste e delle riunioni in cui non si può comparire senza denudarsi il collo e le braccia, dice la sarta e ripetono gli eleganti di professione; ma io so e conosco molte dame e damigelle le quali si affrancano da questa servitù, e sono tutt'altro che ridicole, anzi figurano e brillano bellissime fra le belle, perchè loro sovrastanno e le superano colla loro modestia. Tra i colori scegli i meno appariscenti, e cáricati di meno fronzoli che puoi: certe donne appajono con abiti così coloriti e caricati, da farle somigliare a quei cavalli che trascinano alla fiera le carrozzelle dei ciarlatani; pieni di nastri e fettucce e campanelli, messi apposta per attirare l'occhio della gente, e per avvisare che il ciarlatano è arrivato. Molte giovanette hanno lo stolto costume di stringere soverchiamente il busto, e mentre si rovinano la complessione, poichè mali di petto, difficoltà di digestione, e perfino l'etisia, sono bene spesso il risultato di questo riprovevole sistema, appariscono poi con una vita così sottile e mingherlina da parere piuttosto fantasmi che persone. L'eleganza, l'eleganza vera non istà in questo, nel coprirsi di stoffe straordinariamente costose, nel comparire sempre all'ultimissimo figurino, nel camminare in punta di piedi, tenendo il busto esageratamente stretto e attillato, portando avanti goffamente il petto e indietro i gomiti quasi fossero slogati, o lasciandolo languidamente cadere in uno studiato abbandono: questa anzichè eleganza è chiamata ed è infatti caricatura, e dà l'idea di persona orgogliosa e vana e anche peggio. L'eleganza consiste soprattutto in una certa disinvoltura del portamento, ritto e dignitoso, che non presenta la durezza di un tronco di quercia, nè la flessibilità di un salice piangente o di un tubo di gomma; quanto al vestire è veramente elegante quanto è più semplice, pulito, sodo, e, benche conforme all'usanza che dice vestire a mo' d'altrui, porta l'impronta della signora che lo indossa, e dimostra il suo criterio in averlo saputo adattare alla propria figura. Non ti pajono molto ridicole certe donne o fanciulle grasse grasse, le quali non finiscono mai d'ingrossarsi con falde e guernizioni, e cert'altre magre magre, stecchite, che non se ne mettono affatto? Sta bene ad una alta quello che non istà bene ad una bassa; sta bene ad una bionda quello che non istà bene ad una bruna, e così quasi all'infinito. L'eleganza, lo dico ancora, è semplice, soda, e soprattutto e il ritratto della pulitezza e della compostezza. Oh! la pulitezza è indispensabile, indispensabilissima, e se ci fosse una parola più forte per dimostrarti quanto sia assoluta la necessità che essa sia sempre in te, intorno a te, nella tua persona, nelle tue vesti, io non la risparmierei. Bene spesso una giovinetta anche civile e di buona famiglia può essere vestita, specialmente per casa, con un abitino alquanto sbiadito e raccomodato, e sarà indizio che non è vana, ma seria ed economa; ma non le è possibile aversi l'appellativo di damigella o fanciulla gentile, se un'assoluta nettezza non figura in tutta la sua persona, quasi a rappresentarne la nettezza interiore. La buccia indica la sostanza che racchiude, lo abbiamo detto più volte, e cerchiamo di rammentarlo sempre. Se accidentalmente ti si macchia o strappa l'abito, ripara subito il danno, e riparalo tu stessa, poichè, credilo non c'è niente di disonorevole in quest'operazione; anzi a qualunque condizione tu appartenga, tu sei obbligata a saperlo fare, sotto pena di mancare al dover tuo. San Francesco di Sales allorchè trovavasi missionario nello Sciablese, benchè uscito da alta famiglia e di ricco stato, non aveva seco che un vecchio servo, ed essendo stato sorpreso una volta nell'atto ch'egli stesso si raccomodava la veste, alla domanda fattagli se egli, nobile e prete, non si vergognava di occuparsi in simile lavoro, rispose sorridendo:E perchè dovrò io vergognarmi di riparare il danno che io non mi sono vergognato di commettere? Tanto più questo si attaglia a me ed a te che siamo donne, ed a quelle cotali che si piccano di tutto lasciar fare alla cameriera od alla lavorante. La cameriera e la lavorante poi dal canto loro non si fanno scrupolo di burlarsi della damina che non sa o non vuol far nulla da sè, e la stimano press'a poco come una di quelle figure esposte nelle vetrine dei mercanti, che pajono donne, ma non sono che manichini. Infatti com'esse si fanno vestire, spogliare; com'esse si ponno dir donne! Se per caso sopravviene qualcheduno mentre ti trovi coll'abito macchiato o strappato, fa le tue scuse, e si capirà esser quello un disordine accidentale. D'ordinario sia povera o ricca la damigella, nobile o no, io vorrei che cambiasse la veste quando torna in casa, poichè essa deve il più possibilmente averne una fresca e pulita quando esce, ed anche perchè deve abituarsi all'ordine ed all'economia. È ricca, molto ricca? Tanto meglio; le sue economie saranno rilevanti, e lasceranno maggior margine per le limosine ai poveri, e dei poveri ve ne sono tanti, tanti, che non è d'uopo andar molto lontano per trovarne. Se poi ella stessa ha finanze limitate, l'economia le sarà anche più strettamente e direttamente necessaria, e mancando ad essa, mancherà ad un rigoroso e preciso obbligo. So bene che in certe circostanze è conveniente vestirsi con un certo lusso, per non mancare di rispetto all'adunanza, e non apparire eccentriche e stravaganti. Ma sempre e poi sempre bisogna aver di mira di non portarsi fuori del proprio stato; ma di tenersi anzi un gradino più in giù, e di preferire la semplicità a tutti i vantaggi che si ponno avere senza di questa. L'acconciatura del capo fa parte essa pure dell'abbigliamento, e come questo deve avere una certa conformità alla moda, senza però toccarne gli eccessi e senza variarla con troppa frequenza, il che dinota leggerezza e piccolezza di mente; infatti chi pensa a qualche cosa di serio, ha altro in testa che di mutarne l'acconciatura ad ogni volger di luna! Anche qui torno a quel simpatico ritornello: semplicità, semplicità, e se tu lo prenderai come regolatore invariabile del tuo modo di vestire, sfuggirai quelle mode che caricano la testa di un ammasso di roba, il che ha fatto dire ad un tale, di cui ora non ricordo il nome: dentro la testa è rimasto nulla nulla, poichè tutto le hanno messo di sopra. Io non sono qui per segnarti il figurino, sibbene per dirizzare lo spirito tuo, ed ajutarlo a vigilare, affinchè il tuo esterno sia specchio del tuo interno, ordinato, semplice, pulito e sincero. E qui, prima di finire, bisognerebbe che ti toccassi della sincerità indispensabile al tuo vestiario ed alla tua acconciatura. Ma per non intrattenerti ora di troppo, te ne parlerò domani, molto più che la materia essendo importante, desidero che tu mi ascolti riposata.

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Sì, te lo raccomando ancora: abbi a cuore l'economia domestica, un'economia che più specialmente si riversi sulla tua persona, un'economia che non ti serri la mano al soccorso, ma ti presti anzi i mezzi per correre in ajuto dei bisognosi; un'economia che ti faccia amica e cara al Signore; a quel Signore che vestendo una carne come la nostra ha voluto cibarsi di povero pane, vestire povere vesti. Quand'io, aprendo il Vangelo, leggo il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, un senso d'indefinibile tenerezza m'inonda il cuore, e mi torna alla mente questa riflessione, che non posso a meno di comunicarti. Non poteva il Salvatore operando il miracolo offrire alle turbe cibi più squisiti e prelibati di quanto nol fossero pane e pesci? Non poteva almeno dare a quel pane ed a quei pesci un sapore nuovo, differente, superiore ad ogni altro sapore? Il Vangelo non dice affatto parola di ciò; resta adunque sottinteso che nostro Signore moltiplicò i pani ed i pesci nella stessa qualità dei pochi pani e dei pochi pesci che gli Apostoli tenevano in serbo; siccome ogni cosa fatta da Dio è feconda di utili ammaestramenti, così questa pure è utilissima, insegnandoci che allorchè ci limitiamo a desiderare ed a chiedere il necessario, Iddio è pronto a fare anche dei miracoli per soddisfarci. Non cercare adunque, o amica tenerissima, che il necessario; fa di contentarti di poco, di restringere quanto più puoi i tuoi bisogni, e sarai più facilmente esaudita, ed il Signore vedendoti staccata dai beni della terra, non sarà indotto a privartene; ma ajuterà anzi l'opera saggia e prudente di un'economia guidata dall'amore della giustizia e dai dettami della carità, col benedirti non solo nell' anima, ma altresì nel corpo e negli averi! Oh! ti benedica, ti benedica Iddio!

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Lo so, lo so che è bello e lusinghiero, ed appunto per questo mi fa paura e desidero porti sull' avviso, affinchè tu non abbi a lasciarti illudere, allucinare dal suo ingannevole bagliore. Alcune fanciulle di famiglia civile, ma privata e modesta, vanno fantasticando viaggi, pompe principesche, cocchi e donzelli, e pescano e trovano una tal quale possibilità di potere un dì esse pure posseder tutto questo; nè ciò basta; esse si figurano il come, il dove, il quando, faranno la loro grande comparsa; studiano i modi, le parole, i complimenti che dovranno usare coi loro soggetti. Che avviene? Il sogno è sempre sogno, quindi un fantasima che corre dentro il cervello colle forme più strane e stravaganti, lasciando però che il corpo percorra in tutta la sua realtà il campo della famiglia, della vita domestica e sociale. Pensa tu l'accozzaglia che faranno tra di loro la testa che si crede regina, e il corpo che si trova suddito; pensa tu cosa di bene possa venir fuori da questo credere una cosa e trovarne un'altra. La poveretta che sogna e fantastica si trova sempre al disotto d'ogni sua aspirazione, e per quanti sieno gli agi che la circondano, i baci, le carezze de' suoi cari, gli sforzi loro per vederla felice, ella è sempre mesta, cogitabonda, spira da tutto il suo individuo una cert'aria di abbandono e di degnazione, il suo riso è mesto e forzato, il suo sguardo languido con caricatura, e lunghi sospiri escono dal suo petto. Io credo che con questi simulacri di giovinette un solo rimedio sia eccellente ed efficace; sai tu quale? Un bel frustino che suoni nell'aria e ne batta vigorosamente le spalle. Ti parrà forse triviale ed antiquato il mio rimedio, e forse discorde dal mio sistema di medicina per le malattie giovanili; ma che vuoi? in questo caso non mi pare ce ne sia un altro capace a surrogarlo, e finchè tu non me lo additi, io insisto per questo. La mamma difficilmente si decide ad adoperare il frustino, ed allora il Signore, colle anime che vuol salvare dalla mattía dell'immaginazione, pensa Lui a mandare i gastighi o le sventure, affinchè dal campo aereo la fanciulla cada naturalmente in quello della realtà, non altrimenti della sonnambula che nella veglia si ricrede di quanto ha detto o fatto durante il sonnambulismo. Le giovinette non si contentano di crearsi nell'ardente fantasia cocchi, castelli e paggi; ma si creano altresì cavalieri; cavalieri che diventano erranti, che si perdono nell'ombra dell'avvenire, perchè corpo non hanno; che sono un'illusione, perchè in essi non v'ha nulla di reale; che sono un inganno, un doloroso inganno a chi in essi si pasce. Non mi regge l'animo di condannarla; ma mi fa un'immensa compassione quella sconsigliata, la quale si strugge in vani desiderj, in stolte immaginazioni, e di ogni giovane che le faccia di cappello, o la saluti con garbo, o le dica una parola graziosa, si fabbrica tosto colla fantasia uno sposo. Dal primo castello in aria altri ne sorgono e crescono a vista d'occhio, e già le pare di ricevere il dono della promessa, d'indossare la veste nuziale, di stringere in dito l'anello; di ricevere i doni, le poesie, gli evviva, di regnare sola nella propria casa, di fare ogni cosa a sua voglia, di vestire a suo capriccio i figliuoletti, e cento altre corbellerie che non hanno maggior corpo, nè meritano maggior importanza delle bolle di sapone, o delle parole di una ciarliera. Oh! tu, non t'abbassi cotanto, da credere non capace la tua condizione a fornirti pensieri e soddisfazioni sufficienti per cercarli nei sogni dell'immaginazione! Nel contentarsi di quanto si ha, io trovo la vera grandezza d'animo e la sodezza dei principj; orbene, questi sono il verdetto di condanna dei visionarj. Vedere uno sposo in ogni uomo azzimato, o ricco, o giovane, o procace? È troppo serio il pensiero di un collocamento per idearlo od accarezzarlo così all'impazzata senza probabilità veruna. Ho sempre visto che coloro i quali hanno vagheggiato lungamente un matrimonio sotto speciali auspicj, hanno fatto come coloro che allungata la mano ad un frutto lontano od immaginario, allorchè hanno creduto di afferrarlo, non vi hanno trovato che un pugno di mosche... Oh! i sognatori sono come i re di scena; re per un momento e sudditi par tutta la vita. Oh! il frustino, il frustino, quanto bene farebbe! Tu desideri, è vero, un onesto e vantaggioso collocamento, mia cara figliuola? E perchè a questa mia interrogazione ti salgono le fiamme al viso e chini il capo in atto di vergogna? Non c'è ombra di male in codesto, purchè il tuo desiderio sia regolato dal criterio e specialmente dalla virtù, ed anzichè rivolto a cercare nell'aria quello che non si trova che nella terra, o dirò meglio nel cielo, in un dolce abbandono tu lo cerchi a chi solo te lo può dare e conservare. Sì, quel che tu cerchi è nel cielo, perchè tu cerchi uno sposo col quale dividere le gioje, le pene e le fatiche dell'esistenza, ed un simile sposo deve avere il suo cuore nel cielo, sì nel cielo, dove si trova anche il tuo... La religione, la virtù non ti proibiscono un regolato desiderio di formarti tu pure uno stato, una famiglia, ed anzi t'insinuano, ti consigliano ad appoggiarlo colla preghiera. Una vecchia signora, che ora non è più, allorchè con inarrivabile soddisfazione mi raccontava come i cinquant' anni trascorsi insieme al suo consorte, erano stati cinquant'anni di pace e di affetto sempre crescente, mi andava ripetendo con viva compiacenza che il suo sposo lo aveva ricevuto da Dio, il quale aveva largamente esaudita la preghiera quotidiana ch'essa gli aveva indirizzata dai suoi quattordici ai ventiquattr' anni:Signore, se volete darmi uno sposo, datemelo, ma buono, proprio buono, poi tre Avemmaria alla cara Madonna. Le figlie nate da sì bene auspicato connubio provano una volta di più che da pianta sana escono frutti sani, e sono tuttora la benedizione delle famiglie dove sono entrate, e che hanno la fortuna di possederle. Per carità, guardati dal sognare, se non vuoi da un sogno fallace e lusinghiero essere balzata ad una triste realtà. Poi se anche tu raggiungessi ciò che hai ideato, non saresti ancora felice, perchè continueresti a vagare colla fantasia, a fare castelli in aria, ed il tuo stato ti sarebbe penoso. Una signorina, mia conoscente, sognava uno sposo nobile, ricco, amante; trovò infatti uno sposo nobile, ricco, amante, ed ognuno le invidiava la grande ventura, tanto più che un caro angioletto era venuto a rallegrare la sua casa. Senonchè ben lungi dall'essere felice quella casa invidiata, la giovane dama continuava i suoi sogni ed aveva finito col persuadersi come aveva fantasticato, che essa, benchè nata in condizione molto inferiore, meritava non solo quella fortuna, ma ben maggiori riguardi. Il marito allora incominciò a farle sentire il peso che andava unito al titolo che le aveva comunicato, a farle sentire la propria superiorità; e siccome essa si ribellava, egli la fece accorta, benchè troppo tardi, che i suoi sogni l'avevano ingannata, acerbamente ingannata, facendole credere che la gioja conjugale consistesse nell'opulenza, nel lusso, nel grado elevato, e non piuttosto nella parità di principj, di convinzioni, di bisogni, di condizione. Non andò molto ed essa, povera illusa, delusa troppo tardi, e quando era forza subirsi il triste effetto di un fatto compiuto, non ebbe forza di sostenerlo; tornò nella modesta e povera sua casa, rinunciando a tutto e non solo alle agiatezze, ai cocchi, alle gale; ma altresì al proprio bambino che le veniva negato, per trascinare una vita nascosta sì, ma senza umiliazioni. Poveretta! Per vivere è obbligata a lavorare, insegnare la musica... Poveretta! Se tu non sognavi cotanto, avresti ugualmente afferrata la fortuna di uno splendido connubio; ma vi avresti recato l'umiltà, la tolleranza, un criterio giusto, una virtù abbondante, e queste doti t'avrebbero salvata dal nuafragio, e ti avrebbero non solo reso sopportabile, ma leggiero e soave il giogo conjugale. O fanciulla, se Iddio te lo vuol dare uno sposo, e se tu lo cerchi a Lui con dolce insistenza e collo spirito retto e pio della mia povera vecchia amica, Egli te lo darà tale che ti sia di premio, non di gastigo; e se porrai freno alla tua fantasia la quale tenta di traviarti, avrai virtù bastevole a godere il bene che Iddio ti dà, a cementarlo, ad aumentarlo, a comunicarlo a chi ti circonda, a farti pregustare nella vita del tempo quella gioja, quella pace che raggiungeranno poi la massima loro perfezione in quell'avvenire che solo è certo, e nel quale soltanto possiamo figgere desioso e consolato lo sguardo, sicuri di non andare ingannati, poichè in esso risiede il suo regno eterno, beato, ed immutabile l'increata sapienza e l'increata bontà. Non sognare, non sognare: se sogni, pensa al frustino!

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Stabilito il principio che tu devi obbedire i tuoi, seguendoli in mezzo alla società quando essi vi ti conducono, resta a vedere come tu abbi ivi a regolarti, ed è appena necessario notare che mai e poi mai ti è lecito recarti, specialmente ad una festa, senza tua madre od una maggiore sorella maritata; senza insomma una dama di una certa età, poichè il padre od i fratelli non bastano a formare quella siepe di cui è necessario circondare una giovane esistenza. Secondo il tuo stato, la tua età e le tue finanze, ti è lecito un abbigliamento non solo decente, ma discretamente elegante, ed in relazione con quello delle tue coetanee, contenta di stare un gradino sotto per non essere e parere vana ed orgogliosa; ma sotto verun pretesto non ti è lecito mai tradire le leggi della modestia e del pudore, poichè non solo verresti posta in canzone e disistimata dalla stessa gioventù mascolina cui credevi di piacere: ma ben più tradiresti le leggi della tua religione, della virtù; diventeresti forse oggetto di scandalo, e ti caricheresti il cuore di un rimorso. Nè la modestia deve figurar solo nelle tue vestimenta; ma altresì nel tuo contegno timido e riguardoso, nei tuoi tratti, nelle tue parole; e se qualche impudente, uomo o donna non monta, se qualche impudente tocca qualche discorso o fa qualche gesto che leda menomamente il tuo delicato e cristiano sentire, salta a piè pari l'argomento, parla di altro, o con altri; che se l'impudente non desiste dal suo insidioso procedere, e tu non hai il coraggio d'imporgli silenzio nel timore non ne nasca uno scandalo od una pubblicità, levati di botto, corri in cerca della mamma o del babbo, o recati in un altro crocchio, in un'altra sala; credilo, non te ne mancheranno i pretesti, se con pia industria cercherai in tuo soccorso. Non differente dev' essere il tuo procedere coi detrattori, con quelli cioè che mormorano del prossimo, o lo calunniano, o ne giudicano temerariamente; tu, come angelo della famiglia e della società, devi essere la difesa dei deboli e degli assenti, te l'ho già detto nella Prima Parte di questo mio lavoro; ma se condizioni di luogo, di tempo, o di età non te ne danno il diritto, ritirati, e mostra chiaramente che vuoi serbarti innocente da tale lordura. Con coloro i quali ti adulano o t'incensano, tu ben sai come devi regolarti; ora, io credo, ci resta a ragionare soltanto delle chiacchiere vuote ed inutili che ti si faranno d'attorno, e delle quali tu non devi entrar complice, per non diventare chiacchierina ed essere e parere frivola e cinguettiera. Qui ho un consiglio di peso, d'oro massiccio anzi, un consiglio indispensabile a darti, ed 43 è questo; di volgere sempre a serio i discorsi leggieri soliti a tenersi tra fanciulle, rispondendo in fretta, e vorrei dira di fuga, a quelle prolusioni nojosissime che esse hanno l'abitudine di sfoggiare sulla moda, sull' incostanza o sulla durezza della stagione, o peggio ancora sui difetti altrui. Se tu saprai cavar profitto dello spirito che il Signore ti ha donato, ne avrai sempre abbastanza per piegare il discorso dalle schiocche mode ai costumi ed alle usanze dei diversi popoli; dai difetti altrui, ai meriti che sono da essi adombrati o velati; dall'incostanza o durezza della stagione alla compassione che ti fanno i poveri sprovvisti di tutto, ed alla necessità di porger loro ajuto e soccorso colla mano e col cuore. Se tu farai in questo modo, benchè abbigliata un grado meno delle altre, benchè acconciata senza civetteria, benchè timida e forse pure di minor spirito e coltura delle tue compagne, ne diventerai non l'idolo (ciò è illusorio) ma il modello e l'anima; e su te ridonderà gran parte del bene che sarà fatto dietro il tuo esempio, e largo premio n'avrai dal Signore. Nelle adunanze sono compresi i balli, i teatri, i pranzi, le comparse, e se il Signore m'inspirerà quello che sarà pel tuo bene, ti dirò qualche cosa partitamente anche su di essi. Ma, tel ripeto, nè mi stancherò dal ripetertelo; se ti è dato vivere modestamente e lontana da questi ritrovi, oh! fuggili senza indugio, e senza dolore, nè ti lasciar tentare mai da un desiderio insano, da un insano timore, poichè la quiete di una vita intima non turbata da rumori profani, siine certa, procura gioje incomparabilmente maggiori a quei piaceri convulsi, febbrili, che ti potrebbero venire dalle riunioni mondane, dove il pudore, la carità, e sovrattutto l'umiltà, sono esposti ai maggiori pericoli. Se a te è lasciata la scelta fra i due sentieri, quello della casa e quello della società, non ti appigliare a questo ma a quello, te lo ripeto, te lo ripeterò senza posa; non già coll'intendimento di rendere monotona o grave la tua esistenza, ma per rendere il suo corso limpido, dolce e specchiato come l'onda del ruscello che, scesa da eccelsa montagna, scorre gorgogliando placidamente, e lambendo i fiori che costeggiano la riva verdeggiante, fino al flume, per gettarsi con esso nel mare, senza aver punto toccato la città: nella città avrebbe potuto conservare la sua purezza e la sua pace? Questo o quello, tu mi domandi di nuovo? Ama la ritiratezza, la casa; come il ruscello guardati dal mescolare le tue acque con quelle degl'immondi pantani, affinchè dopo un viaggio che ti auguro lunghissimo, tu le possa confondere con quelle del fiume reale, per gettarsi con esse nel mare... La morte sarà per te in allora una rapida e fortunata corrente che ti unirà alla sorgente d'ogni bene; sì, ti unirà a Dio, poichè per una lunga e faticosa carriera l'onda del tuo ruscello avrà saputo serbarsi incontaminata, pura, e sulle sue sponde non avrà fiorito il vizio, ma l'amor santo di Dio e del prossimo suo. Ama la ritiratezza, la casa, la preghiera, e ti sarà facile e spontanea la virtù, anche a costo dei più lunghi e penosi sacrificj.

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Abbi caro in generale di conservare tutto quanto ha di tradizionale e di antico nella tua famiglia, e più specialmente ciò che tende a conservare in essa una certa maestà e semplicità di costumi, cui va unita l'unione dei diversi membri. Molti si sobbarcano a gravi sacrificj ed a faticosi viaggi, per riunirsi il Natale e la Pasqua coi parenti lontani, e qual compenso ne avrebbero essi se invece di trovare oggi come vent'anni fa ammannite le identiche vivande, coll'identica di sposizione, trovassero invece un desinare alla moda, con adornamenti nuovi, con un impianto molto differente? Quel pranzo per me è quasi un ritratto di famiglia che amo conservato tal quale, non abbellito o adorno con fronzoli o con frange. Ho insistito molto sul bisogno della semplicità, della sobrietà e della misura, e più ancora sulla bellezza della conservazione dei tradizionali costumi nei pranzi di famiglia, perchè essi sono l'espressione e quasi lo specchio del principio che li muove, l'amor vicendevole. Fra l'agape fraterna ed il greco simposio non c'è che un passo facile a valicare e pericoloso, il quale dalla purissima e santa gioja del trovarsi tutti riuniti i membri di una famiglia intorno al desco paterno, fa passare alla prosastica e bassa gioja (se pure è gioia) di gustare cibi prelibati, di empirsi il corpo, di inebriarsi la testa; e l'idea principale, l'idea madre va perduta insieme alla semplicità, all'affetto... Vedo che dovrò ancora intrattenermi teco in proposito, affinchè non s'infiltri in te pure lo spirito di tutto materializzare, di tutto ridurre alla macchina, al numero, al piacere. La materia c'è, lo sappiamo tutti: la materia costituisce il nostro stesso essere, od almeno la sua parte inferiore, il corpo; la la materia ci circonda, ci nutre, ci minaccia; ma che la materia prenda il posto dello spirito, od a lui si pareggi, la è questa una cosa che nessun'anima ben nata può tollerare; ora tu sta ben all'erta, veglia attenta, affinchè non s'introduca dentro di te, intorno a te, neppur uno di quei principj che la potrebbero generare... La materia è serva e lo spirito è padrone, Iddio ha posto la distanza tra servo e padrone, noi la dobbiamo mantenere, ed a questo riguardo incomparabilmente più che in qualunque altro. Colui che mi presta il suo servigio è un uomo della mia stessa natura il quale a sua volta può diventar mio padrone; ma la materia è di natura più bassa ed infinitamente inferiore alla mia, alla tua anima, creata ad immagine e somiglianza di Dio! Tieni serva la materia, padrone sempre sempre lo spirito.

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L'abito non fa il monaco è vero, ma pur troppo dall'abito si conosce il monaco: abbi dunque cura grandissima affinchè dal tuo modo di vestire, di camminare, di posare, come dalla buccia di una pianta, si rilevi giustamente l'interna modestia, la serietà, la virtù vera; e, senza tradire la sincerità, vale a dire senza ammantarti delle penne del pavone, ed ostentare pregi non tuoi, conserva nella tua persona un'assoluta pulitezza ed una graziosa semplice eleganza. Se t'abituerai a vestire con modestia, e sempre un grado meno di quanto permette il tuo stato, dato che la ruota girasse, e girando ti facesse decadere di fortuna, sapresti adattarti e rassegnarti alla fatica, al lavoro, alla privazione. Guarda a quale estremo ha ridotto lo spreco di molte famiglie già ricchissime, anzi di una ricchezza principesca! Pensa al povero duca di Lusignano morto or son pochi anni nello spedale maggiore di Milano, e non ti riuscirà penoso mantenere in te e intorno a te una prudente economia, la quale perchè appunto saggia e prudente ti salverà dall'avarizia, e ti renderà larga la mano alla beneficenza, assicurandoti che la carità non impoverisce mai. La bellezza non è altro se non un fiore che passa rapidamente; per conservarne la fragranza havvi solo la virtù e la modestia... La deficienza e la mancanza assoluta della bellezza costituisce una spina crudele per molte anime; ma tu se le conosci, consolale: di' loro che un Dio in cielo le riguarda; di' loro che Gesù nostro pure divenne deforme sotto il vituperio fattone dagli uomini; di' loro che il loro corpo come il suo diverrà risplendente e luminoso... Per coloro che tuttora zitelle si trovano sul meriggio della vita, o l'hanno varcato, una parola d'incoraggiamento e di conforto, specialmente se hanno sacrificato la propria vocazione per l'utile altrui; se spostate ed ormai vecchie non hanno un nido e sono ritenute quasi un ingombro nella famiglia da esse allevata: quell'Iddio che conta i capelli del nostro capo conterà le loro lacrime, e preparerà loro un premio eterno. Se mai un giorno pel tuo stesso bene, permettesse il Signore che tu diventassi poveretta, credilo, il lavoro destinato a procacciarti il pane, e l'essere ed il parere poveretta non ti torrà dall'essere insieme signora, se nobile e generoso conserverai il sentire, e non ti lascerai dominare dall'invidia o da altri abbominevoli vizj. Nella vita balenano i lampi, scrosciano i tuoni, e tu li devi attendere imperturbata nella tua, supplicando il Signore di tener sospesa la grandine; chè se la grandine cade ed imperversa, e tutto rovina, non vi ha ancora altri che Dio il quale ti possa salvare e liberare dai suoi tremendi flagelli. L'arco baleno si distende luminoso nel tuo orizzonte, le onde si acquietano, viene la bonaccia e l'anima accidiosa, come il marinaio, si bea di una vita senza contrasti, senza fatiche e quindi senza meriti? Il marinaio s'accorge che nella bonaccia perirà miseramente: l'anima invece si giace inerte, nè cerca, nè accetta un Vapore che la salvi da morte sicura: essa l'avrebbe una forza motrice, la carità; questa posta in azione la torrebbe dal letargo in cui l'egoismo l'ha posta... Amatevi, amatevi l'un l'altro, ripeteva continuamente l'Apostolo diletto. Sì, amiamoci, poniamo in azione la carità, e diventeremo santamente industriose a beneficare i nostri fratelli e noi con essi, poichè la beneficenza giova non tanto a chi la riceve, quanto e assai più a chi la fa. L'immaginazione giovanile è un narcotico dell'anima, che facendola sognare continuamente, la sfibra, la sposta e le fa attribuire a sè medesima i pregi datile in certo modo a prestito da Dio. Dunque non sognare, nè accettare le adulazioni che ti vengono prodigate, poichè devi sempre ricordare che l'incenso, ossia l'adorazione, è riservato a Dio solo. Se ti è data la scelta fra una vita ritirata ed una vita brillante, rinuncia a questa, attienti a quella e ti toglierai all'orgasmo indivisibile delle veglie danzanti, delle conversazioni, dei teatri e fino dei banchetti, i quali anzichè agape o mensa fraterna con a capo Dio, sono simposj profani con a capo gl'idoli. Ricordati il detto del nostro Parini, quando seduto nell' aula municipale vedendo fugata l'immagine del Crocifisso, si levò in piedi dicendo: Dove non puó stare il cittadino Cristo, non puó stare neanche il cittadino Parini; ed uscì. Mangia di ciò che ti viene posto davanti come dice il Vangelo, che vorrà dire mangia di quanto ti vien offerto lecitamente, di ciò che ti offre la famiglia, quando non siano cibi vietati, e per ubbidire all'uomo tu non debba disobbedire a Dio nella sua Chiesa. Il Confessore potrà giudicare se tu sii dispensata, ove tu ne abbisogni; ma di tua testa, o pel comando di superiori civili, non puoi esserne prosciolta. Supera la gran tentazione degli spettacoli cospiratori contro la modestia e l'onestà, ed ai divertimenti ed agli spassi preferisci un po' d' aria pura o lo svago utile che viene dai viaggi o dallo studio di essi. Ama e tieni care le domestiche pareti nelle quali la sincerità, l'affetto, la pietà, ti daranno quelle gioie intime che sono altrove un enimma. La sanità del corpo è un gran dono; ma quella dell'anima è un dono infinitamente maggiore, e questo pensiero come balsamo cada ad allenire i dolori delle tue infermità, le quali ti parranno leggiere e dolci se saprai prenderle dalle mani stesse di Dio. Non ho temuto di farti le intime mie confidente, di palesarti le pene, le trepidanze ed i desiderj del mio cuore, e segnando a dito le pratiche, le preghiere fatte senza spirito, senz'anima, non ho temuto paragonarle ai fiori artificiali i quali pajono e non sono. Se tu hai bisogno d'espansione, come lo zampillo di chiara fontana, riversa le tue acque sulle zolle fiorite che la circondano, voglio dire sui cari parenti, sulle persone intime e di antica e provata probità, nè, rimproverata, rispondi con mal garbo, nè voler esser tu mai l'ultima a parlare. Gli è d'uopo estinguere in noi la soverchia suscettibilità, fonte perenne della maggior parte dei guai, e farci piccini riconoscendo la nostra miseria, affinchè essendo gli ultimi in questo mondo possiamo diventare i primi nell'altro, secondo la cara promessa del nostro divin Salvatore. La perdita dei Beni, della sanità, della riputazione, ci colpisce amaramente, la nostra mente si smarrisce, il cuor nostro cade quasi spezzato e dilaniato aspramente?... Oh! Cuore adorabile del nostro Gesù, dateci Voi grazia di pronunciare fiat, ad imitazione vostra, quel fiat che ci faccia accettare le croci, ce ne renda dolce, leggiero, soavissimo il peso! Che se l'animo mio sdegnoso in attesa di grandi occasioni per mostrare e per esercitare il bene, disprezzasse quelle virtù minute che si presentano ogni giorno, ogni ora, anzi ogni istante, fatemi capire la mia somma stoltezza, fatemi capire che in tal modo io perdo meriti immensi! E tu, mia dolce amica, non ti lasciar sfuggir mai la benchè minima occasione di porre una nuova gemma nella splendente corona che ti s'apparecchia nel cielo, moderando il tuo carattere, sacrificando le tue inclinazioni, sopportando senza lagnartene una mancanza di riguardo, uno sgarbo, un disappunto. Quando poi le lacrime ti cadono amare dal ciglio e l'angoscia ti opprime, cerca nell'esercizio della cristiana carità la tua gioja, la tua pace, il tuo conforto, e dagli occhi tuoi sgorgheranno abbondanti le lacrime di consolazione. Oh! prova e vedrai, come alleviando i mali e le miserie altrui saranno addolcite le tue miserie, i tuoi mali! Prova e vedrai quanta virtù e quanta letizia è nel sacrificio e nell'eroismo di dimenticar sè per gli altri!

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Il Sabato è specialmente dedicato alla cara Mamma nostra, e tu non lo lasciar passar mai senza fare qualche sacrificio per amor suo; mortifica le passioni, i sensi, ed abbi cura di privarti di qualche cosa, di fare qualche limosina per la Madonna. Quasi tutte le divote di Maria si astengono in giorno di Sabato dal mangiar frutta, visitano il suo altare, e le accendono un lumicino. Queste sono belle e care divozioni che piaciono assai alla Vergine Santa, e tu non le devi punto lasciare; ma ricordati che esse ti obbligano meno delle virtù positive, vale a dire della lotta contro il proprio carattere, della tolleranza dell'altrui, della vittoria contro le tentazioni che ci sono suscitate fuori e dentro di noi. Quelle divozioni ti sieno care ed abituali, e ti servano come di scala a queste, che è quanto dire alla perfetta osservanza della legge di Dio e della sua depositaria, la Santa Madre Chiesa. Fra il giorno il Madonna, ajutatemi! ti richiami con frequenza al dovere, alla pietà, al sacrificio, e quando l'occhio tuo si abbuja, il Madonna, ajutatemi lo rassereni, e ti faccia, non parere, ma essere veramente angelo nella tua casa, in tutti i tuoi rapporti morali e materiali, religiosi e civili. Nell'orazione della mattina e della sera, nella meditazione, nell'accostarti ai Santi Sacramenti, nelle dubbiezze, nelle gioje, nei dolori, nella stanchezza opprimente del corpo, e più assai in quella dell' anima, ricorri alla Madre del buon consiglio, alla Madre consolatrice degli afflitti, alla Vergine purissima, ed il suo nome sarà balsamo benefico a tutte le tue piaghe, indirizzo infallibile a' tuoi passi, gioja suprema nell'anima tua. Un mese dell' anno, il più bello, tu già lo dedichi a Lei, ascoltando devote prediche, leggendo devote preghiere, praticando ogni giorno una virtù, e facendo per amor suo una mortificazione; oh! conserva questa santa consuetudine, comunicala agli altri; ma non un momento solo ti sfugga di mente che gli è il cuore ch'Essa vuole; ch'Essa vuole una pietà vera, soda, capace a riversarsi sugli altri, giovevole non a te soltanto, ma a quanti hanno teco qualche rapporto di parentela, d'amicizia, di sudditanza o di gratitudine. Ti sia cara l'immagine della Madre del Cielo, tienila sempre con te, vicina a te, davanti a te, e non solo accanto al tuo letto, ma presso al tuo tavolino da lavoro o da studio, essa brilli come faro luminoso ad indicarti la via da percorrere. Dove c'è Maria, c'è Gesù. Per noi cristiani, Maria è la più grande di tutte le creature, appunto perchè Madre dell'Umanato divin Verbo; a chi ti accusasse di superstizione, rispondi che tu non presti la tua venerazione al simulacro, bensì a Colei che esso rappresenta, ed a far capire viemmeglio questa verità ripeti un fatto narratomi dal Missionario del nostro prezioso motto: Madonna, ajutatemi! Nella casa di Nazaret in Milano, or son pochi anni, una fanciulletta toscana, e credo lucchese, di soli due lustri, si trovava in fil di vita, e trasportata da uno slancio di amore, chiedeva a viva voce il suo caro Gesù: le vien presentato il Crocifisso, ed essa, baciandolo, e dolcemente respingendolo poi, ancor più forte esclama: Io voglio il Cristo vivo, lo voglio vivo, e sì dicendo volava al Cielo ad abbracciar vivo quello che era il suo ultimo e supremo sospiro. Nelle preghiere d'ogni giorno devi innestare fedelmente il Rosario, che quasi rosajo perennemente fiorito profumerà le tue azioni tutte, se in recitarlo mediterai o almeno terrai dinanzi alla mente i Misteri santissimi, i principali di nostra Santa religione. Sii santamente divota dei Cuori di Gesù e di Maria, poni il tuo nome sotto la valevole e potente loro protezione; con Maria pensa a riparare il Cuore del nostro Redentore, delle offese che riceve di continuo nel Santissimo Sacramento; fatti collaboratrice dell' opera santa della riparazione, e cerca di guadagnare non solo colle preghiere, ma altresì colle opere molte anime a Dio. E... prima di chiudere questo libro, nel quale ho lavorato con tanta trepidanza e con tanto amore, lascia ch'io ti rivolga una preghiera ed insieme una promessa; lascia che col cuore sulle labbra io imprima un caldissimo bacio sulle tue labbra verginali, t'incoraggi a proseguire santamente la tua carriera, se già sei buona; ti ecciti a far ritorno a Dio, se sei fuorviata, assicurandoti che le lacrime dell'innocenza e quelle della penitenza si fondono insieme nel Cuore SS. di Gesù. Ora, eccomi a farti una calda preghiera. Se tu hai ricavato alcun frutto dalle parole che Iddio m'ha suggerito pel tuo bene, leva a Lui un pensiero, un sospiro per me; supplicalo affinchè segnando altrui la via che a Dio conduce, non la smarrisca miseramente,... ed io ti prometto che delle mie preghiere e delle poche mie opere buone terrò sempre a parte le mie care lettrici, benchè non le conosca, non le veda, non possa sperare di vederle mai più! Oh! no, sarebbe troppo penoso questo pensiero! io lo respingo, non lo voglio un momento solo albergar nella mia mente e nel mio cuore; no, io voglio conoscerti, abbracciarti teneramente un giorno... Cara Madre Maria, Voi che mi amate con un amore tenerissimo, e ch'io amo e voglio amare con tutte le potenze del mio cuore fino all'ultimo respiro, per riamarvi con maggior ardore lassù nel Cielo, fate, deh! fate, io Ve ne prego, che nessuna di quelle damigelle cui è passato per mano questo povero libro, vada perduta, e che nella celeste Sionne io pure salga ad incontrarle. Oh! cara Madre, se Voi col vostro divin Figlio mi chiudete anche presto e subito gli occhi, alla vostra chiamata sono pronta, io vengo; sì allorchè mi volete io vengo. Ma prima per pietà, benedite il Sommo Pontefice; benedite il pio e santo Prelato che m'ha suggerito questo lavoro, il Direttore della mia coscienza che mi ha accompagnato in esso, il Censore ecclesiastico, e tutte quelle esimie persone che mi hanno detto coraggio, e tutte quell'anime buone che mi hanno ripetuto coraggio. Mia cara Madre, benedite, Ve ne prego, colei che mi è madre quaggiù, colei che mi ha insegnato ad amarvi; benedite e date l'eterno riposo al mio caro genitore, che sulla terra ha dedicato il suo cuore e la sua penna a beneficare la società; guardate con uno sguardo di protezione il mio dilettissimo consorte, il fratello, le sorelle, i parenti tutti; e la benedizione vostra ricada copiosa sui miei amici, sulle figlie della carità, su tutte le case religiose, sui missionarj, su quelli che credono, su quelli che non credono e su tutto il genere umano! Cara Madonna, ajutatemi ad allargar tanto le braccia da stringere in un solo affettuosissimo amplesso tutti quanti gli uomini, e se questa mia mano dovesse scrivere un dì la benchè minima parola contraria alla religione mia santissima, ed al culto ed all'obbedienza ch'io debbo alla Santa Chiesa ed all'infallibile suo Capo, lasciate, sì lasciate che questa mano isterilisca, inaridisca... Santa Maddalena, il cui nome io porto indegnamente, e pur m'è tanto caro, Voi che udiste dalle labbra del Salvatore quelle stupende parole: T'è molto perdonato perchè hai molto amato, comunicatemi il vostro amore, il vostro spirito di penitenza, e fatemi diventar santa sulle vostre orme. Angelo mio Custode, Angell santi del Cielo, pregate il vostro e mio Gesù, la Santa sua Madre, ed intercedete il possente ajuto del Patrono della Chiesa, il glorioso San Giuseppe, affinchè a me, alla mia famiglia, ed alle care damigelle che hanno piamente ascoltato i miei consigli, siano aperte le porte della celeste Gerusalemme, ed a me ed a esse sia detto dal gloriosissimo nostro Redentore: Venite, benedette dal Padre mio, prendete possesso del regno, preparato a voi fin dalla fondazione del mondo.

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Galateo popolare

183513
Revel Cesare 1 occorrenze
  • 1879
  • Vinciguerra
  • Torino
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Abbi di te, diciamo al padre, si elevata idea e conduci in modo la vita, che i figli, dalle nobili tue azioni ritraggono il modello del loro futuro; pensa che i figli sono la miglior parte di te medesimo, alla quale è raccomandato l'onore del tuo nome e la tua potenza morale sulla terra, che per essi vi può essere l'ospedale e la prigione. Amali perciò nell'ordine, interessali all'ordine, in affettuose cascaggini non li idolatrare. Abbiamo da Numa, doversi dai genitori ai figli una affezione illuminata, una severa educazione ed ottimi principii. E' dovere che tu li corregga con giusta tolleranza pensando che tu stesso provetto nella vita per vecchi incentivi, tuttodì arrossire dovresti innanzi a loro, e tramare che sia per essere la loro inesperienza in futuro pari alla tua passata. Nel correggerli, attendi ove il possa, che in essi non meno che te sia cessata la passione, se desideri che il loro cuore fatto compunto, confessi l'errore al cospetto della ragione. Scruta il nascente loro carattere, quali siano le buone e quali le cattive inclinazioni e saggiamente provvedi. Frua. Il marito e il padre. L'uomo si ammoglia per avere dei figli e questi sono la cosa più cara che Iddio gli concede quaggiù. Il credeste? Sonvi pure quei disgraziati cui manca il buon senso e la educazione, la gentilezza di costumi e la civiltà che si reputano sventurati perchè hanno figli, e per annunciare che loro è nato un bimbo dicono « mi è accaduta una disgrazia. » Curane piuttosto con ogni sollecitudine la educazione morale e giunti in età di scegliere una professione, rispetta la loro vocazione; trattandosi poi di figlie, non crederti lecito, come molti parenti fanno, di destinarle lo sposo; più che a te, padre sconsigliato, deve convenire alla figlia, ricordando di quali e quanti guai è fonte un matrimonio che non abbia per base l'affetto e la stima. Ecco quanto t'insegna il grande apostolo Mazzini: Amate i figli che la provvidenza vi manda; ma amateli di vero, profondo, severo amore; non dell'amore snervato, irragionevole, cieco, che è egoismo per voi, rovina per essi. In nome di ciò che v'è di più sacro, non dimenticate mai che voi avete in cura le generazioni future, che avete verso quelle anime che vi sono affidate, verso l'Umanità, verso Dio, la più tremenda responsabilità che l'essere umano possa conoscere; voi dovete iniziarle, non alle gioie o alle cupidigie della vita, ma alla vita stessa, ai suoi doveri, alla legge morale che la governa. Poche pochi padri, in questo secolo irreligioso, intendono, segnatamente nelle classi agiate, la gravità, la santità della missione educatrice: poche madri, pochi padri pensano che le molte vittime, le lotte incessanti e il lungo martirio dei nostri tempi sono frutto in gran parte dell'egoismo innestato trenta anni addietro nell'animo da madri deboli o da padri incauti i quali lasciarono che i loro figli s'avvezzassero a considerare la vita non come dovere e missione, ma come ricerca di piaceri e studio del proprio benessere. Per voi, uomini del lavoro, i pericoli sono minori; i più fra i nati da voi imparano pur troppo la vita dalle privazioni. E minori sono dall'altra parte in voi, costretti dalla povera condizione sociale a continue fatiche, le possibilità di educare come importerebbe. Pur nondimeno potete anche voi compiere in parte l'ardua missione. Lo potete coll'esempio e colla parola. Lo potete coll'esempio: « I vostri figli saranno simili a voi, « corrotti o virtuosi che sarete voi « stessi virtuosi o corrotti. « Come mai sarebbero essi onesti, pietosi, « umani, se voi mancate di probità, se siete « senza viscere pei nostri fratelli? come « reprimerebbero i loro grossolani appetiti, se « si vedono abbandonati all'intemperanza? « come serberebbero intatta l' innocenza « nativa, se voi non temete d'oltraggiare « davanti ad essi il pudore con atti indecenti « o con oscene parole? « Voi siete il vivente modello sul quale « si formerà la pieghevole loro natura. « Dipende da voi che i vostri figli riescano « uomini o bruti ». E potete educare colla parola. Parlate loro di patria, di ciò che'essa fu, di ciò che deve essere. Quando la sera, dimenticate, fra il sorriso della madre e l'ingenuo favellìo dei fanciulli seduti sulle vostre ginocchia, le fatiche della giornata, ridite ad essi i grandi fatti dei popolani delle antiche nostre repubbliche: insegnate loro i nomi dei buoni che amarono l'ltalia e il suo popolo e per una via di sciagure, di calunnie e di persecuzioni, tentarono migliorarne i destini. Instillate nei loro giovani cuori, non l'odio contro gli oppressori, ma l'energia di proposito contro l'oppressione. Imparino dal vostro labbro e dal tranquillo assenso materno, come sia bello il seguire le vie della virtù, come sia grande il farsi apostoli della verità, come sia santo il sacrificarsi, occorrendo, pei propri fratelli. Infondete nelle tenere menti, insieme ai germi della ribellione contro ogni autorità usurpata o sostenuta dalla forza, la riverenza alla vera, all'unica autorità, l'autorità della virtù, coronata dal genio. Fate che crescano, avversi egualmente alla tirannide e all' anarchia, nella religione della coscienza inspirata, non incatenata, dalla tradizione. La nazione deve aiutarvi in questa opera E voi avete, in nome de'vostri figli, diritto di esigerlo. Senza educazione nazionale non esiste veramente nazione.

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Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189037
Pitigrilli (Dino Segre) 5 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Abbi indipendenza di giudizio, esprìmiti con parole tue, non impiegare formule; ribèllati alla ser- vitù delle cerimonie convenzionali e dei riti; trascriviti in un quaderno tutte le frasi vuote di idee e i gesti vuoti di contenuto che osservi nella società, e applica il tuo senso critico non dico nell'irriderli clamorosamente, ma nel non adottarli e nel non ripeterli. Ciò che ti dà fastidio nelle usanze sociali ripudialo, per non contribuire anche tu alla sua diffusione e al suo mantenimento». Non voglio dire con questo che si calzino scarpe di tela bianca sotto il frac o che si metta un berretto da ciclista sopra uno smoking, né che quando si è invitati a pranzo in una famiglia di milionari ci si faccia precedere da una dozzina di ova invece che da un mazzo di fiori, in una malintesa applicazione del senso pratico che indica come prodotti di maggiore utilità i commestibili che le orchidee. La prima regola del manuale di buone usanze d'oggi è il rispetto delle opinioni e delle suscettibilità ereditarie altrui. Ma la seconda regola del mio manuale consiglia di sciogliere, senza scandalizzare nessuno, le bende e i papiri degli antichi pregiudizi e delle non giustificate suscettibilità. Ho conosciuto una dama della vecchia aristocrazia che per bollare d'infamia un borghese, professore d'università, raccontava che camminando sul marciapiede di via Veneto, a Roma, quel giovane signore stava dalla parte del muro, per cedere a lei la destra, e non sapeva, l'ignorante, che è la signora quella che deve camminare dalla parte del muro. Tre o quattro secoli di pregiudizio pesavano sulle bianche spalle aristocratiche, mentre il senso realistico guidava i passi del giovane professore. La signora pensava, come le sue remote antenate, che a una donna si doveva cedere la parte più alta della strada - le haut du pavé. - E dimenticava che questo riguardo era doveroso quando le strade delle città, ai tempi del Cardinale Richelieu, erano depositi immondi di spazzatura e di fango, in mezzo ai quali scorreva un rigagnolo, e che perciò la parte più alta, ai due lati della strada, era la più praticabile. I marciapiedi delle nostre città hanno soppresso quest'inconveniente e sono così larghi che non si sa dove finiscano e dove cominci la carreggiata, e quando il tempo è bello è altrettanto bello per l'uomo quanto per la sua delicata accompagnatrice, e quando piove, piove ugualmente, come dice la Sacra Scrittura sul giusto e sull'ingiusto. Ebbene, quel signore, ribelle, o semplicemente inosservante delle antiche regole, conosceva l'origine delle antiche usanze e andava - contro il muro - secondo la modernità edilizia del secolo. La maggior parte delle usanze insensate e ingiustificabili si ripetono e si protraggono per far sapere al prossimo che non si ignorano. I libri che le insegnano e le raccomandano mi fanno pensare a quelle grammatiche che riportano nelle prime pagine i nomi di strumenti che oggi non si usano più: il temperino, il maledetto e inevitabile «canif» delle grammatiche francesi, l'ossessionante «cortaplumas» delle grammatiche spagnuole, che se serviva a tagliare (cortar) le penne (las plumas) quando si scriveva con la penna d'oca, appartiene ormai al museo delle antichità, come l'armamentario per filare delle nonne delle nostre bisnonne, e come le smoccolatoie (mouchettes, despabiladeras) che pendevano dalle lampade a olio, e delle quali non è rimasta traccia ai tempi dei raggi infrarossi e della luce diffusa.

Se càpiti in una di quelle comiche repubblichette sudamericane dove i portalettere non sanno leggere e le guardie municipali vanno a piedi scalzi sotto l'uniforme, abbi l'eroismo di sostenere che le scarpe sono antigieniche e che i portalettere lavorano splendidamente di intuizione. Non occuparti di politica locale. Se parli bene dell'uomo politico del momento, il tuo interlocutore reagirà esaltando quello di domani. Di qualunque mole siano le scelleratezze di quello di ieri, fingi di non esserne informato o di credere che i giornali esagerino, e lascierai così al tuo contradittore un abbondante materiale per la sua eloquenza. Se hai il sangue freddo di tacere e di presentarti come acefalo, il tuo silenzio ti farà passare per lo straniero ideale, che non si interessa di ciò che non lo riguarda. Se vai a Napoli non dire a un napoletano che stavano meglio sotto i Borboni. Te lo dirà lui. A Trieste, non dire a un triestino che la città e il porto erano prosperi sotto gli Austriaci; te lo dimostrerà, col lapis alla mano, lui. Ad Atene non accennare allo splendore della Grecia antica; fai l'elogio della Grecia moderna, se non vuoi che l'ateniese che ti offre un gelato in Odòs Athinà ti convinca che i suoi contemporanei Proxenetakis e Semiparanoikopoulos sono più eccelsi di Pericle e di Solone. Se proprio non sai di che cosa compiacerti, proclama le virtù diuretiche ed emmenagoghe dei cocomeri di Kalamatas, che avrebbero fatto la felicità di Demostene e di Aspasia. L'ultima Regina di Spagna, che era inglese, si giocò la popolarità presso gli «aficionados» - che glielo dimostrarono lanciandole una bomba - per essersi coperta gli occhi davanti a un toro che sbudellava un cavallo. A uno spagnuolo non dire che le corride sono uno spasso crudele. Te lo dirà lui appena sarete in confidenza, salvo a mettere bene in chiaro che chi non è spagnuolo non può capire la corrida, ad ammettere che il sangue inferocisce gli uomini e le donne, e a dirti che ha due «entradas» per «los toros» di domenica, uno per lui e l'altra per te. In Inghilterra non domandare mai perchè una nazione così progredita possa mantenere la forca, condannare alla pena di morte non solo l'assassino ma anche il suo complice che fu estraneo al fatto, e mandare i poliziotti disarmati. Se ti sei imbattuto in un inglese di idee avanzate, le tuo osservazioni lo convertirebbero nel più incancrenito conservatore, e la stessa signora Robertson (o Richardson) Forse non è nemmeno Richardson, ma visto il risultato che ottiene... che a ogni impiccagione sbraita contro la pena di morte, ti risponderebbe con le parole di Alphonse Karr: «Sopprimere la morte, d'accordo! Ma che i signori assassini comincino». Attenzione a non invertire i termini: in Argentina non parlare di «fazenda» e di «fazendeiros»; nel Brasile non parlare di «estancia» e di «estancieros». Il termine «restaquères», usatissimo a Parigi per indicare i cafoni sudamericani arricchiti con mezzi equivoci e con pretese di eleganza chiassosa, in Sudamerica non è molto gradito. In Germania puoi dire che il processo di Norimberga fu una mostruosità giuridica, che l'inflazione del marco fu una fregatura universale, che la prima guerra l'ha voluta Guglielmo, che la seconda l'ha voluta Hitler, che la prossima è desiderata da tutti. In Germania puoi dire ciò che vuoi, perchè ti daranno ragione e ti domanderanno se al tuo paese c'è bisogno di binoccoli prismatici o di materiale plastico, e se hai l'indirizzo di qualche commerciante serio e solvibile al quale scrivere a nome tuo. A un Austriaco non dire «voi, tedeschi», e tanto meno «Hitler era mezzo austriaco». Se parli di musica di Strauss, attenzione a non confondere Richard («Salomé») con Johann («il Bel Danubio Blu»), né con Oscar (Straus con una sola S), che cullò la tua giovinezza nel «Sogno di un Valzer». Insistere esageratamente sui valzer viennesi ti tirerebbe addosso una conferenza su Mozart, Schumann, il festival di Salisburgo e le facilitazioni alberghiere e ferroviarie. Con i Russi: solo i Russi sanno preparare il té. Con i Napoletani: solo i Napoletani sanno far cuocere gli spaghetti. Non dire mai a Napoli che i maccheroni li importò Marco Polo dalla Cina. A Bologna: la cucina bolognese è la prima cucina al mondo. In Sardegna: il poeta Sebastiano Satta è più grande di Giosué Carducci. In Sicilia: Pirandello è più vivo che mai. (In qualunque altro paese puoi dire che Pirandello è superato e in piena decadenza). A Milano: «chissà perchè il panettone di Milano sanno farlo solamente a Milano?» La stessa domanda puoi formularla a Torino (basta cambiare la città). Se vuoi lasciare il vantaggio all'interlocutore locale, permettigli di spiegarti che «dipende dall'acqua». Ti racconterà che un confettiere milanese, con farina milanese, ova milanesi, uva passa milanese, operai milanesi e forno milanese è andato a fare i panettoni di Milano in America, e i panettoni non gli sono riusciti. Dipende dall'acqua. Ma non dirlo tu che «dipende dall'acqua»; il tuo contraddittore replicherebbe che dipende dall'aria, perchè il Milanese si era portato anche l'acqua di Milano. In Svizzera: il famoso lago della Svizzera Francese si chiama «Lago di Ginevra» a Ginevra e «Lago Lemano» a Losanna. Non fare dello spirito sugli ammiragli della marina svizzera. Nel Belgio: in nessun paese del mondo le sigarette sono a buon mercato come nel Belgio. A ogni cittadino di Bruxelles (si pronuncia Brussell) dirai che parla il francese come un parigino. Questo lo renderà felice, e vorrà essere fotografato al tuo braccio sotto la statua idraulica di Manneken-Pis, che dai tempi di Luigi XV fa ininterrottamente pipì in faccia agli uomini. Il che, dopo tutto, è ancora più serio che farsi fotografare sotto la statua della Libertà.

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Ma se proprio sei decisa a invitare in casa tua - articolo settimo - abbi almeno la precauzione di radunare persone che già si conoscano e abbiano un minimo di affinità mentale. Il vecchio sistema di alternare un signore e una signora è infondato, a meno che la tua non sia una casa di appuntamenti o un'agenzia matrimoniale. Due uomini politici cóllocali a grande distanza, per evitare che improvvisino un meeting: due cacciatori cóllocali vicini, in modo che si smaltiscano a vicenda le loro eroiche fanfaronate, senza che l'uno affligga l'uditorio con le virtù del suo setter, e l'altro con la precisione del suo fucile o la furberia dei coccodrilli del lago Tanganika. Se c'è un poeta, sistemalo fra due donne belle e analfabete (non scarseggiano mai), così gli impedirai di toccare il più impopolare di tutti gli argomenti: la letteratura.

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Quando qualcuno ti dice che non dimostri i tuoi anni, abbi la convinzione che quel signore mente. I tuoi anni li dimostri. Al massimo, ne puoi dimostrare di più, ma non di meno. C'è della gente che invecchia prima del tempo; nessuno che ringiovanisca. Il fisico si deteriora come un motore d'automobile e come il fondo dei calzoni. Il dietista e l'igienista possono insegnare i mezzi per accumulare meno colesterolo nelle arterie e ritardare l'arteriosclerosi, questo erudito pseudonimo della morte, ma occorre una ginnastica morale e intellettuale per mantenere fino a tarda età l'elasticità dello spirito. Accanto allo specialista nelle malattie della vecchiaia, gerontoiatra, ci vorrebbe un istituto di profilassi contro il deterioramento delle maniere, del modo di parlare, di giudicare, di vivere socialmente. Se questo istituto avrebbe successo, non so. Oserei dire di no, ed ecco perchè: In un negozio di libri usati ho comperato un volume d'occasione, di un professore francese, a proposito della vecchiaia. Non contiene macchie di saliva tabaccosa né cenere di sigaretta, né peli, né capelli. Il suo primo proprietario doveva essere un vecchio pulito. Il margine di ogni pagina è pieno però di punti interrogativi ed esclamativi, di correzioni di date e di errori di stampa. Il margine dei libri è per certi lettori come il terreno riservato al pubblico, oltre la rete, dal quale gli scalmanati lanciano ingiurie e bottiglie, convinti che loro, al posto dei giocatori, avrebbero fatto di meglio e di più. L'anziano lettore che ebbe fra le mani il libro prima di me, ha un'idea fissa: non tollera che l'autore esca dal tema. L'osservazione a margine più frequente è: «Ma questo non c'entra con la vecchiaia», Come se l'autore e il libraio lo avessero frodato sulla qualità e sul peso. In un libro nel quale l'autore segnalò la petulanza e la ostinatezza come difetti dei vecchi, il vecchio lettore ha lasciato la dimostrazione autografa di non correggersi delle proprie manìe nel momento stesso in cui un autorevole scrittore gliele segnala. Probabilmente però quello scrittore non si faceva illusioni sul proprio insegnamento, e poichè non me le faccio nemmeno io, darò alcuni consigli, lasciando, come sempre un largo margine alla mia pagina, affinchè il lettore possa scrivere qua e là «cretino» e controllare con le eleganti volute dei suoi punti interrogativi l'uniforme emissione di anilina violetta dalla sua matita a sfera. Se siete già vecchio, non leggete più avanti. Oramai è fatta. Troppo tardi per correggervi; i miei insegnamenti vi serviranno quando verrete al mondo un'altra volta, come dicono le portinaie e i teosofi. Io parlo ai giovani, a coloro che non si sono ancora anchilosati nelle abitudini e nei malvezzi mentali. O giovane, prepàrati fin da giovane a essere un vecchio insopportabile. Evita tutti gli atteggiamenti che, combinati con gli anni, faranno di te il classico vecchio, il vecchio-tipo, il vecchio-standard, il vecchio-fesso. A vent'anni, non parlare di te; se parli di te nella verde età, sarai un giovanotto noioso; più avanti negli anni sarai «un vecchio». Non essere un «raseur» in francese, un «latoso» in spagnuolo, un «attaccabottoni» in italiano. Le tue attrattive giovanili ti renderanno provvisoriamente tollerabile e forse anche ricercato, ma gli acidi inesorabili degli anni ti trasformeranno per corrosione in un vecchio noioso, e, brevemente, in un «vecchio». Non raccontare aneddoti. Fin che sei giovane, la memoria ti preserverà dal ripeterli alla stessa persona. Con l'affievolirsi della memoria ti ripeteresti, arrivando persino a farlo apposta, per una specie di pigrizia mentale e di compiacimento. Ho conosciuto un vecchio diplomatico, che narrava come se si fossero svolte in presenza sua, una serie di facezie più o meno storiche, che si trovano raccolte nei soliti libretti di aneddoti, e faceva proprie le risposte che questo o quell'uomo illustre diede a questo o a quel personaggio insigne. Mentre egli infilava una storiella dopo l'altra, i suoi due nipoti, un giovinetto e una signorina, si scambiavano occhiate e sospiri, e si domandavano: - Che aneddoto è? il trentasette? - No, il trentasette è ancora da venire. Questo è il ventuno. Trentasette è quello di Victor Hugo e la marmellata. Con un po' di pazienza, dopo un tempo indeterminabile sentivamo arrivare anche la marmellata di Victor Hugo. Non raccontare come hai perso una causa in tribunale, come sei stato danneggiato nella ripartizione di un'eredità, come fu ingiusto il destino in un concorso, come te la sei cavata miracolosamente in un esame, come hai tappato con una geniale risposta la bocca a un prepotente, né come sei stato eroe. Calcola che i nove decimi virgola qualche cosa di ciò che è accaduto a te non interessano nessuno. I tuoi epici trionfi sono una ben povera cosa agli occhi altrui. Non parlare dei tuoi professori, dei tuoi compagni d'armi o di lavoro con coloro che non li hanno conosciuti. Non volgerti a contemplare il passato prossimo per non contemplare più tardi il trapassato remoto. Ogni cinque anni una legione di attori, di direttori d'orchestra, di avvocati formidabili, di uomini politici eccelsi e di scrittori scende nell'oblìo. L'inviato speciale e il corrispondente viaggiante che brillano per la loro fulmineità di captazione e per l'elettricità del loro stile, hanno la vita di un giorno, del giorno in cui appare la loro corrispondenza da Batavia o da Tangeri; una settimana dopo la loro morte, più nessuno se ne ricorda. Il vecchio che rimastica i meriti degli attori, dei cantanti, degli avvocati, dei giornalisti della sua epoca, non fa altro che emettere dei nomi privi di risonanza nel cuore della generazione successiva. Quando a Londra incontri un sudamericano che ti racconta che il famoso Perez ha fatto un colpo di stato contro il famoso Gomez, il quale aveva tradito il famoso Gonzales, anche se a costoro sono stati eretti dei monumenti e ingombrano volumi interi negli an- nali del loro Paese, per i tuoi orecchi i loro nomi non sono altro che rumori. La stessa impressione dà il vecchio quando parla degli uomini e delle donne del suo tempo. I loro nomi non sono nomi, ma sbavature di nomi, agli orecchi di chi non li ha mai conosciuti. Sii ottimista generoso disinteressato, per non divenire un vecchio amareggiato risentito carogna. Evita i pettegolezzi, che con l'autorità dei capelli bianchi diventerebbero calunnie. A dieci anni si incomincia a invecchiare fisiologicamente; a venti, psicologicamente, sentimentalmente; è questa seconda vecchiaia quella che deve preoccuparti; è la morte dello spirito quella che deve farti paura. L'altra no. L'altra colpisce i vecchi di 85 anni come i giovani di 15, con mezzi diversi. A 85 anni è difficile che si muoia buttandosi da un trampolino di Palm Beach per brillare agli occhi di una massaggiatrice. A 15 è facile morire per aver mangiato 48 ova sode, o per aver trangugiato 15 bottiglie di birra o ballato per tre giorni ininterrottamente. Ciò che cambia con gli anni è semplicemente l'occasione e il modo di morire. Ma il decorso della vecchiaia è uguale per tutti. Per essere un vecchio presentabile al disopra dei sessanta, basta cominciare a non assumere le maniere di un vecchio al disotto dei venti.

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Abbi sempre una opinione. A chi ti presenta il menu, invitandoti a scegliere, non rispondere: «io prendo ciò che prende lei». Se ti domandano quale té vuoi, Ceylon e Cina, rispondi Cina, o rispondi Ceylon, oppure rispondi che non prendi té, ma non dire mai «per me fa lo stesso».

Pagina 254

Angiola Maria

207231
Carcano, Giulio 1 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Credo poi di non esser così brutta che m'abbiano a metter in un canto come un cencio; e non sono poi nè smorta come la Maria, nè losca come quella superba di Carlotta.... » « Abbi un po' di pazienza, che la capiterà presto anche per te la fortuna; se non è venuta, vuol dire che non è la tua ora. » « E io sento in vece che l' ora è questa.... Ma ascolta una buona volta, che piacere tu m' hai a fare.... » « Gran segreti fra la Luisa e la Ghita! » disse allora battendo sul tombolo la spoletta del suo ricamo, la Carlotta, che sedeva in faccia a loro. « Niente del tutto! E poi, che ne vuole saper lei, signora pretendente?... » rispose la prima, indispettita. « Oh! oh! come la ti fuma subito! non si può dirti nulla! » soggiunse Stella, la sua vicina. « Lasciatemi un po' stare, » replicò Luisa più corrucciata; e in quella piccola ira, alzava con isgarbo le sue tonde spallucce: le compagne le guardavano di sottecchi, sogghignavan fra loro. « E voglio dire e fare quel che mi piace, » riprese poi, cogliendo il buon punto, che la maestra dai suo banco stava mostrando ad una merciaia del vicinato certi fazzoletti di mussolino. « E se voi altre non mi lascerete stare, ve ne dirò tante da farvi diventar rosse di vergogna, dalla prima all'ultima, da da farvi scappare!... » Tutte ridevano; Maria soltanto, in aria di dolce compassione, levò gli occhi sopra di Luisa; ma costei, ostinata nel suo capriccio, si trasse con la seggioletta più vicino alla fedele Ghita, e continuò: « Ascoltami tu , che sei buona voglio proprio dirti tutto, a marcio dispetto di queste male grazie. Sappi dunque, che stamane ho veduto passare di qui, più di due e tre volte, il tuo Eugenio, in compagnia d'un altro: quest'altro non lo conosco, ma mi ricordo d'averlo veduto, dev' esser suo amico.... Bene, questo bel giovine, perchè è un bel giovine, sai?... mi pareva che mi guardasse ne.... oh anzi, ne son certa! E se tu fossi capace stasera di domandargli, all' Eugenio, chi sia quel suo amico.... Oh! ti vorrei far mille baci. Senti, mi dice il cuore che questo giovine passi di qui proprio per me. È di bella statura, ha una fisonomia così cara, ha certi baffetti biondi.... e poi, un bel fare.... Oh! è sicuro un signore, e muoio della voglia di sapere se è per me.... se è lui.... Oh cara Ghita, lo farai a me questo piacere, di', lo farai?... » « Sì, sì, ma se poi non fosse che uno scaldarti la testa!... » « Oh Ghita! tu non gli hai dato mente, perché guardi sempre il tuo Eugenio; ma io.... Sai? è perchè mia nonna, non contenta di recitare tutto il dì la corona, chè in fine non è lei che m' ha fatto, non vuole mai lasciarmi andar sola per le vie, e manda sempre ad accompagnarmi, innanzi e indietro, quello stupido del mio fratello minore, che fa il copista da un avvocato; se non fosse così, oh me la spasserei bene alle spalle di queste cattive, che adesso ridono di me! Quel bel giovine, che tu sai, m'avrebbe già parlato, e vorrei farne crepar molte dall' invidia.... Oh sì vedi, perchè non son degni di stargli a confronto nè il Colombo, quel malcreato che fa all' amore con la Carlotta, nè il signor Antonio che parla alla Rosalia, e che avrà i suoi buoni cinquant' anni.... No, no, io nol vorrei cambiare il mio amoroso, nè col Pietro della Clarina, proprio degno di lei, un giovine di bottega; nè col contino pitocco di cui si vanta tanto la Stella, nemmeno quasi col tuo Eugenio; sebbene, bisogna dirlo, Eugenio li valga tutti insieme. E io, credilo, io sarò sempre la tua vera amica.... » « Senti, Luisa; » rispondeva la Ghita a quell' inquieto cicaleccio: « di malizie n' hai da vendere, ma tant' è, io ti voglio bene, perchè sei sincera; e gli domanderò.... » « Oh! la è lunga stasera!... » diceva una; e le altre: « Già, lei è sempre la disturbatrice! » « Qualche gran mistero! » « Eh lo sapremo anche noi la Ghita, ne lo dirà. » « Sei pur buona tu, Ghita, a darle ascolto. » « Che si faccia sposa la Luisa? oh, oh!. » « E chi volete che la prenda?... » Queste amare baie ferivano il cuore della Luisa, che girò una lenta e torva occhiata su le compagne. E voleva rispondere, ribatter quelle parole nemiche con più acerbi rimbrotti; ma arrossiva, e le sue mani tremavano: allora, lasciando cadere il collaretto increspato, a cui avrebbe dovuto lavorare, appoggiò stizzita la sua piccola testa su la tavola, e ruppe in un improvviso scoppio di pianto. Maria, che sola era stata sempre silenziosa, sentì pietà della Luisa; e quando questa, non trovando più armi contro la sorda guerra delle pazzerelle amiche, finì a rispondere col pianto, ella s' alzò, le si fece accosto, le strinse con affetto una mano; indi, rivolta alle compagne: « Via, » disse « siate buone! non vedete che vi riuscì di farla piangere? sareste mo contente d' esser ne' suoi panni?... E poi, cosa v' ha fatto mai, poverina? Su dunque lasciatela in pace, e fate vedere che avete buon cuore. E tu, Luisa, non pian- gere! ti vogliamo bene tutte, vedi! è stata una burla; non abbilo per male, o pensa piuttosto che non c'è rosa senza spine, e che tu sei ancora felice di non aver altri guai! No, tu non conosci che si ha a sopportare a questo mondo di ben più grandi travagli! » Ma la buona intenzione di Maria, e le sue miti parole fecero peggio; perchè le fanciulle, dispettose dal sentirsi ammonire da una che poco amavano: « Vedi! » bisbigliarono fra loro, « vedi un po' questa, che vuol far la dottoressa! « E perchè se n' impiccia lei adesso?» « Eh la santarella! sentitela, che fa la dottrina cristiana.... » « Taci, taci, Maria; si conta di belle cose anche di te, e non ci far parlare. » Così la tempesta, che prima minacciava la Luisa, scoppiò invece su la buona Maria; la quale mortificata essa pure, tornava mutola a sedere. Ed essendo in quel punto la crestaia scomparsa dietro l' uscio interno della bottega, per salir alle sue stanze di sopra, quelle mordaci cervelline non si tennero più, e si voltaron tutte contro di Maria. In quella, s' intese il battere delle otto. Allora fu un cinguettio, uno scoppiar di risa e di scherzi, un coro di vocine stridule e gaje, una furia di smettere i lavori alla rinfusa, di gettar su la tavola guancialetti, spole, cuffie disfatte, ricami su' disegni incartocciati, cesoje, ditali. E ciascuna delle fanciulle correva a pigliare il suo cappellino di seta e lo scialle a scacchi o a quadretti, e tutte in una volta assediavano la povera Maria, che sola fra tutte era rimasta al lavoro. Pareva quel confuso cicalio che fanno le passerette d'una colombaja, sul vespro d'un bel dì d'estate. Diceva una: « Senti, Maria! tu, in fondo, non sei una cattiva pasta di ragazza, ma vuoi far la gatta morta, e non ti sta bene. E l'altra: « Non le guardate, è marcia invidia che la fa parlare. » E una terza: « No, no; scommetto che sa fare anche lei il fatto suo, e voi la chiamate la novizia! andate là, povere sciocche!... » Chi diceva così era la Carlotta, la più sguajatella e la più brutta, alla quale tutte si strinsero intorno, pressandola con cento interrogazioni. « Ah sì, dici? anche lei, con quella faccia compunta? Ma contane dunque qualcosetta, se ne sai! » « Ah! ah! son proprio contenta: non l'avrei mai creduto; e come?... e dove?... » « Sì, dilla su, com'è stata? dunque l' ha avuto anche lei il suo bello, eh? altro che prediche, che amor del prossimo! » «Ah! l' ha avuto anche lei l'amoroso? lui l'avrà piantata, e per questo arrabbia che noi ce lo teniamo!... conta, conta su! » « Ma io non so altro.... ma non posso dire.... E poi, io nol fo per vendetta, perchè le voglio bene alla Maria.... » Così, ma inutilmente, rispondeva la maligna Carlotta, mentre tutte eranle dintorno, e chi per un braccio la pigliava, e chi le scoteva un lembo dello scialle, e chi le tirava i nastri del cappellino: pareva giocassero a gatta cieca. Maria rivolse alle compagne uno sguardo, in cui appariva più la preghiera che il compatimento; ma quelle continuavano a ridere, a chiacchierare con gran bisbiglio, nè vi fu che la Luisa, la quale, forse per gratitudine, fattasele vicina, le disse all' orecchio: « Buona Maria, scusami se tutto è per cagion mia! » E le diede un bacio di cuore. Certamente, il giuoco avrebbe preso mala piega, se in quel punto non ricompariva la crestaja. La quale, veduta quella confusione, e intesa quella strana armonia di risa e di voci, si fermò nel bel mezzo della bottega, e girando un' occhiata lunga e severa sul crocchietto delle inquieta alunne, che alla sua presenza s'erano ricomposte in silenzio, umili, quatte e stupite, fece loro tal solenne gridata, che da un pezzo non avevano toccata la compagna; e con questa le congedò una dopo l'altra, ch' esse non vedevano l'ora d'andarsene. La piccola Luisa fu l'ultima: le convenne aspettare caro suo fratello; e n' aveva tanto corruccio che dispettosa batteva i piedi. Ma appena lo vide mettere il capo dentro la porta invetriata della bottega, strisciò una goffa riverenza alla maestra crestaja, e subito scappò via, come un uccello. Chi avesse avuto il capriccio dì tener dietro a quelle

Pagina 232

I ragazzi della via Pal

208247
Molnar, Ferencz 2 occorrenze
  • 1929
  • Edizioni Sapientia
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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Caro Boka, ti prego soltanto di una cosa: abbi la bontà di credermi che è vero quello che ho scritto e non credere che sia una bugia che io voglio prendervi per il naso come spia delle Camicie Rosse. Io te lo scrivo perchè voglio tornare tra voi e meritare il vostro perdono e sarò il vostro fedele soldato e non importa se mi degradi da tenente perchè io torno volentieri come soldato semplice perchè non c'è più tra voi nessun soldato semplice se Nemeciech è malato e il cane di Giovanni sarebbe l'unico soldato, ma quello è un cane di guerra che può raccogliere soltanto i feriti mentre io sono un soldato. Se questa ultima volta mi perdoni ancora e mi riprendi, allora io vengo oggi e combatto per voi con voi nella battaglia e nell'ardore della mischia mi distinguerò così tanto che le mie colpe saranno cancellate. Ti prego molto di farmi sapere da Maria se devo venire o no, e se mi farai sapere di venire allora verrò prestissimo perchè mentre Maria è da te sul campo con questa lettera, io sto in via Pal dentro il portone del numero 5 e aspetto la risposta. Credimi tuo fedele amico Ghereb». Quando Boka ebbe finito la lettera capì che Ghereb non mentiva e che s'era cambiato tanto da meritare d'essere ripreso. Accennò all'aiutante Ciele di avvicinarsi. — Aiutante... — gli disse — suonate il segnale di tromba numero 3 che tutti accorrano presso il generalissimo. — Qual'è la risposta? — chiese Maria. — Lei attenda — rispose con voce imperiosa il comandante. La trombetta squillò e a quell'appello i ragazzi sbucarono fuori timidamente di dietro le cataste. Non capivano che significasse quest'adunata impreveduta. Ma poichè il generalissimo se ne stava calmo al suo posto, presero coraggio e si allinearono in ordine militare davanti al capo. Boka lesse loro la lettera, poi chiese: — Dobbiamo riprenderlo? I ragazzi, non si può negarlo, erano bravi figliuoli. Tutt'insieme risposero: — Sì! Boka si rivolse alla vera donna e disse: — Riferisca che può venire. Questa è la risposta. La vera donna sembrava molto stupìta di tutta la cosa, fissò l'armata, i berretti rosso-verdi, le armi... Poi scappò via dalla porticina. — Richter! — gridò Boka. E Richter uscì dalle file. — Ghereb sarà messo accanto a te — disse il generalissimo — Tu lo sorveglierai. Al primo atteggiamento sospetto lo rinchiudi nella capanna. Ma non credo che giunga a tanto. Tuttavia un po' di prudenza non nuoce mai! Come vedete dal messaggio, oggi non vi sarà battaglia! Tutto quanto è stato preparato per oggi, rimane per domani. Se essi non cambiano l'ordine di battaglia, anche per noi rimane lo stesso... Voleva continuare l'allocuzione quando la porticina, che dopo l'uscita della cameriera nessuno aveva rinchiusa, si spalancò con una pedata e Ghereb comparve con viso raggiante e felice come colui che può mettere il piede nella Terra Promessa. Ma quando vide tutta l'armata diventò serio; s'accostò a Boka e portò la mano al berretto salutando: egli portava il berretto rosso-verde dei ragazzi di via Pal. — Signor generale, mi presento — disse. — Sta bene! — rispose Boka senza molte cerimonie — Andrai con Richter, per ora come soldato semplice. Vedrò come ti comporterai durante la battaglia ed allora potrai riavere forse il tuo grado. Dopo questo si rivolse all'armata: — A voi tutti proibisco nel modo più assoluto di parlare a Ghereb del suo fallo. Egli intende riparare e noi gli abbiamo perdonato. Nessuno gli rinfacci neanche con una parola, nessuno gli ricordi la sua colpa. Ed anche a lui proibisco di parlarne, perchè tutto ciò è sepolto. Dopo di che si fece silenzio e tutti dicevano tra sè: «Però questo Boka è un ragazzo in gamba e merita proprio di essere generalissimo!» Allora Richter si mise a spiegare a Ghereb il compito di domani, durante l'azione. Boka conferì con Ciele. E mentre chiacchieravano così pianamente, ecco che la sentinella, che se ne stava sempre in cima allo steccato, ritirò d'un tratto la gamba che penzolava dall'altra parte, e con viso sgomento e balbettando annunciò: — Signor generale, il nemico! Boka balzò fulmineo alla porticina e chiuse a chiave. Tutti guardavano Ghereb che se ne stava pallido come un morto accanto a Richter. Boka lo investì: — Hai mentito ancora? Ancora? Ma Ghereb non riusciva a rispondere tant'era sorpreso. Richter lo afferrò per un braccio: — Che cos'è ciò? — chiese Boka. Ed allora Ghereb riuscì a balbettare a fatica: — Forse... forse... m'avevano visto sull'albero ed hanno voluto ingannarmi così... La sentinella s'era sporta verso la strada e poi era balzata giù dallo steccato, aveva impugnato la sua arma e s'era schierata con gli altri sodati. — Le Camicie Rosse son qui! — disse. Boka andò alla porticina e l'aperse: uscì coraggiosamente in istrada. Le Camicie Rosse s'avvicinavano davvero, ma erano soltanto tre: i due Pastor con Sèbeni. E quando scorsero Boka, Sèbeni cavò dal di sotto della giacca una bandiera bianca e la sventolò verso Boka gridando da lontano: — Siamo ambasciatori! Boka rientrò nel campo, un po' avvilito d'avere incolpato Ghereb con soverchia facilità. Ordinò a Richter: — Lascialo andare! Sono soltanto degli ambasciatori con bandiera bianca! Perdona, Ghereb! II povero Ghereb respirò liberato: quasi quasi c'era caduto! Ma la lavata di testa toccò alla sentinella. — E tu... — gli gridò Boka — guarda bene prima di dare l'allarme, oca spaventata! E ordinava: — Tutti alle fortezze! Con me non restino che Ciele e Colnai! Avanti! L'esercito si allontanò a passo di marcia e scomparve dietro le cataste: l'ultimo berretto rosso-verde spariva proprio quando gli ambasciatori bussavano alla porticina. L'aiutante di campo aperse. I tre portavano camicie e berretti rossi: erano disarmati e Sèbeni innalzò la bandiera bianca. Boka sapeva come ci si deve comportare in tal frangente. Prese la propria lancia e l'appoggiò allo steccato per essere disarmato anche lui. Colnai e Ciele seguirono, senza parlare, il suo esempio, anzi Ciele spinse il suo zelo fino a deporre anche la tromba. II maggiore dei Pastor si fece avanti e disse: — Ho l'onore di parlare col comandante? — Sì — rispose Ciele —. Egli è il generalissimo. — Veniamo con un'ambasciata — disse il Pastor — ed io sono il capo della missione. Veniamo per dichiararvi la guerra in nome del nostro comandante Franco Ats. Quando egli pronunciò il nome del comandante tutti e tre portarono la mano alla visiera del berretto. Anche Boka e i compagni salutarono per cavalleria. Il maggiore dei Pastor continuò: — Noi non vogliamo attaccare il nemico di sorpresa. Saremo qui alle quattordici e mezza in punto. Questo avevamo da dire. Aspettiamo la risposta. Boka sentiva che il momento era importantissimo. E rispose con voce un po' tremante: — Accettiamo la dichiarazione di guerra. Ma bisogna che ci mettiamo d'accordo su una cosa. Io non voglio che la battaglia degeneri in baruffa. — Neanche noi... — disse cupo Pastor; e abbassò, come faceva sempre, il mento sul petto. — Intendo — continuò Boka — usare tre modi soli di combattimento: bombe di sabbia, lotta regolare e scherma di lancie. Conoscete le regole? — Sì. — Chi è costretto a toccar terra con le spalle è vinto e non può più combattere se non con i due altri mezzi. D'accordo? — D'accordo. — Con le lancie non si deve nè picchiare nè trafiggere, ma soltanto parare. — Precisamente. — E due non possono attaccare uno solo: soltanto le squadre debbono affrontare le squadre. Accettate? — Accettiamo. — Allora non ho altro da dire. Salutò; ed anche Ciele e Colnai, messisi sull'attenti, salutarono. Gli ambasciatori ricambiarono il saluto. Poi Pastor aggiunse: — Debbo chiedere ancora una cosa. Il nostro comandante ci ha incaricati d'informarci di Nemeciech. Abbiamo sentito dire che è malato. Se è vero, abbiamo l'incarico di andarlo a trovare perchè si è comportato con tanto coraggio che noi dobbiamo rendergli onore. — Abita in via Racos numero 3. E' molto malato. A questo seguì un saluto muto. Sèbeni sollevò ancora la bandiera Bianca e Pastor ordinò: — March! L'ambasciata uscì e di sulla strada intese lo squillo della tromba con la quale il generalissimo richiamava l'esercito per comunicare l'accaduto. L'ambasciata s'avviò frettolosa verso la via Racos: si fermò davanti alla casa di Nemeciech. Chiesero ad una ragazzina che era sul portone: — Abita qui un certo Nemeciech? — Sì — disse la ragazzina; e indicò loro l'appartamento a pianterreno dove abitava Nemeciech. Sulla porta c'era una targhetta azzurra con la scritta: Andrea Nemeciech - Sarto. Entrarono, salutarono. Dissero il motivo della loro visita. La madre di Nemeciech, una povera donnina magra e bionda che assomigliava molto al figlio, o meglio, alla quale il figlio assomigliava molto, li condusse nella stanza dove giaceva, disteso nel suo letto, il soldato semplice. Anche qui Sèbeni alzò la propria bandiera bianca ed anche qui il maggiore dei Pastor si fece avanti: — Franco Ats ti manda il suo saluto — disse — e ti augura una pronta guarigione. Il biondino, che giaceva pallido e spettinato, si levò a sedere a queste parole. Sorrideva di contentezza e la sua prima domanda fu: — Quand'è il combattimento? — Domani. Allora si avvilì: — Non ci potrò essere ancora! L'ambasciata non rispose. Uno alla volta strinsero la mano di Nemeciech, e il maggiore dei Pastor, quello dal viso cupo e selvaggio chiese commosso: — Mi perdoni? — Ti perdono — disse piano il biondino; e si mise a tossire. Tornò a giacere e Sèbeni gli aggiustò il cuscino sotto la testa. Poi il Pastor disse: — Ora ce n'andiamo! L'alfiere sollevò la bandiera bianca e tutti e tre uscirono passando dalla cucina dove trovarono la madre di Nemeciech che disse loro piangendo: — Siete dei bravi ragazzi... Volete bene al mio povero figliuolo... Per questo vi dò una tazza di cioccolata... I componenti dell'ambasciata si guardarono: la cioccolata li seduceva molto. Ma il maggiore dei Pastor sollevò la testa bruna e facendosi forza, disse: — No. Non possiamo prendere la tazza di cioccolata! March! E uscirono a passo di marcia.

Abbi pazienza fino allora! Ora anche la curiosità li sospingeva: Boka non voleva confessare a chi somigliasse il ragazzo con la lampadina. Tirarono a indovinare, ma il presidente vietò loro anche questo affermando che non bisognava incolpare nessuno. Scesero dall'altura e proseguirono carponi nell'erbaccia. Giunsero in riva al laghetto: qui potevano alzarsi in piedi perchè i giunchi ed i cespugli erano così alti che coprivano le loro stature. Boka impartì gli ordini con sangue freddo: — Da qualche parte ci deve essere una barchetta. Io esplorerò la riva destra, con Nemeciech. Tu, Cionacos, esplora la sinistra. Chi primo trova la barchetta si ferma ed aspetta. Si avviarono in gran silenzio. Ma dopo pochi passi Boka trovò la barchetta tra i giunchi. — Aspettiamo qui — disse. Aspettarono che Cionacos fatto il giro completo del laghetto, giungesse dall'altra parte. Sedettero sulla riva e si misero a fissare il cielo stellato. Poi si misero ad ascoltare se riuscissero ad afferrare qualche parola dall'isola. Nemeciech volle fare sfoggio d'intelligenza: - Ora metto l'orecchio per terra — disse — e... — Lascia in pace l'orecchio — disse Boka —. Non sentiresti niente. Ma se ci curviamo vicino alla superficie dell'acqua, forse udremo. Ho visto dei pescatori discorrere tra loro da una riva all'altra del Danubio, a questo modo. Alla sera l'acqua porta bene la voce. Si curvarono sullo specchio dell'acqua ma non riuscirono a distinguere altro che voci confuse. Intanto Cionacos era giunto. — La barchetta non c'è! — Non ti spaventare — disse Nemeciech —; noi l'abbiamo trovata! E si diressero verso la barchetta. — Saliamo? — Non qui — disse Boka —. Rimorchiamo la barchetta molto lontano dal ponte, dall'altra parte. Se ci vedono e vogliono raggiungerci, che abbiano un percorso lungo da fare. Questa prudenza piacque molto agli altri due. Si sentirono rinfrancati dalla presenza di un capo così intelligente e così preveggente. — Chi ha dello spago? — chiese il presidente. Cionacos ne aveva. Nelle tasche di Cionacos c'era sempre un po' di tutto. Non esiste bazar che possieda tale varietà di oggetti quanti trovano posto nelle tasche di Cionacos: temperino, spago, biglie, maniglia di porta, chiodi, stracci, taccuino, cacciavite e Dio sa cos'altro ancora! Cionacos trasse lo spago di tasca e Boka legò con questo l'anello che c'era a prua della barchetta. Quindi si misero a rimorchiare l'imbarcazione, tenendo però gli occhi sempre fissi all'isoletta. Quando giunsero al posto scelto per tentare la spedizione a bordo della carcassa, udirono ancora i fischi di prima; ma non se ne spaventarono più. Oramai sapevano che questo non significava se non il cambio delle sentinelle sul ponte. E non avevano più paura anche perchè sentivano d'essere in pieno combattimento. Questo accade anche ai veri soldati nelle vere battaglie: finchè non hanno incontrato il nemico, ogni ombra li impaurisce. Ma quando la prima palla ha fischiato all'orecchio, prendono coraggio, si esaltano e dimenticano di correre forse verso la morte. Primo salì Boka, sulla barchetta; secondo Cionacos. Nemeciech camminava sulla riva melmosa. — Sali, marmocchio! — Salgo — disse Nemeciech, ma sdrucciolò; s'afferrò a una canna di giunco che non lo sorresse e piombò nell'acqua senza una parola. S'immerse fino alla gola, ma si contenne dal gridare. Si rialzò in piedi sgocciolante d'acqua, s'aggrappò ad un'altra canna. Cionacos, ridendo, chiese: — Hai bevuto, marmocchio? — No, non ho bevuto — rispose il biondino con viso spaventato e, inzuppato e infangato com'era, montò sulla barchetta. Era ancor bianco dalla paura. — Non credevo di dover fare un bagno, oggi — disse piano. Non c'era tempo da perdere: Boka e Cionacos afferrarono i remi e staccarono la barca dalla riva. La barca pesante scivolò pigra sull'acqua e mosse lo specchio dello stagno. I remi si tuffarono silenziosi e la pace era così completa che si udiva il batter dei denti del piccolo Nemeciech rannicchiato a prua. La barchetta approdò alla riva dell'isola. I ragazzi scesero in fretta e si nascosero dietro un cespuglio. — Fin qui ci siamo — disse Boka —. Ed iniziò l'ultima avanzata; gli altri due, dietro. — Non possiamo abbandonare la barchetta — disse il presidente —. Se la scoprono non c'è via di ritirata. Sul ponte ci sono le sentinelle. Cionacos, tu rimani alla barchetta. Se qualcuno s'accorge della barchetta, due dita in bocca ed un fischio de' tuoi! Allora noi ripiegheremo di corsa, saltando nella barchetta. Cionacos tornò, carponi, fino alla barca e in cuor suo si rallegrava della probabile occasione di emettere un fischio, de' suoi! Boka e il biondino continuarono l'avanzata, lungo la riva. I cespugli erano più alti; i due poterono alzarsi in piedi. Si fermarono e scostarono le fronde degli arbusti; scorsero così il centro dell'isoletta, una radura dove stava seduto l'esercito delle camicie rosse. Il cuore di Nemeciech si mise a galoppare. Il biondino si strinse a Boka. — Non aver paura! — gli sussurrò il presidente. Nel mezzo della radura c'era una grande pietra sopra la quale era stata posata la lampadina. Attorno alla lampada erano accovacciate le Camicie Rosse. Accanto a Franco Ats c'erano i due Pastor ed accanto al minore dei Pastor c'era qualcuno che non aveva la camicia rossa... Boka sentì che il biondino cominciava a tremare accanto a lui. — Vedi? — chiese. — Vedo — rispose Boka con tristezza. Accanto alle camicie rosse stava seduto Ghereb! Non si era sbagliato dunque, osservando dall'altura! Era proprio Ghereb che camminava in su e in giù con la lampadina. I due fissavano con raddoppiata attenzione la compagnia delle camicie rosse. La lampada illuminava stranamente i Pastor, i loro visi cupi. Tutti tacevano: il solo Ghereb parlava. Doveva riferire qualcosa che interessava molto gli altri perchè tutti erano curvi verso di lui. Nel gran silenzio serale anche i due ragazzi della via Pal poterono percepire le parole di Ghereb: — ...al campo si accede da due parti... Si può entrare dalla via Pal, ma è difficile perchè i regolamenti prescrivono che chi entra deve sprangare la porta dietro di sè. L'altro ingresso è dalla via Maria. La porta della segheria è sempre spalancata; e di lì, attraverso le cataste di legname, si può giungere al campo. Ma lì, tra le viuzze, ci sono le fortezze... — Lo so — disse Franco Ats a voce bassa e con un tono che fece rabbrividire quei della via Pal. — Infatti, tu ci sei stato — continuava Ghereb —. Nelle fortezze ci sono le vedette che danno subito l'allarme se qualcuno si avvicina per le viuzze tra il legname. E non mi pare prudente entrare da quella parte.... Si trattava dunque di invasionse! Le camicie rosse volevano entrare nel campo! Ghereb diceva: — La miglior cosa sarebbe che ci mettessimo d'accordo prima. Stabilito quando venite, io entro per ultimo sul campo e lascio aperta la porta: non la sprango. — Sta bene — concluse Franco Ats —. — In nessun modo vorrei occupare il campo quando è deserto. Faremo la guerra con tutte le regole. Se saranno capaci di difendere il campo, benissimo. Se non riescono a difenderlo, l'occuperemo noi, issando la nostra bandiera rossa. Non lo facciamo per avidità, lo sapete bene... Intervenne uno dei Pastor: — Lo facciamo per avere un luogo dove giocare alla palla. Qui non si può e in via della Libertà bisogna sempre leticare per il posto. A noi occorre un campo di giuoco e niente altro! Avevano decisa la guerra per motivi simili a quelli dei veri soldati. Ai russi occorreva il mare; e fecero la guerra ai giapponesi per questo! Le Camicie Rosse avevano bisogno di un campo dove giocare alla palla e poichè non potevano averlo in altro modo, intendevano conquistarlo con la guerra. — Allora siamo d'accordo, — disse Franco Ats, capitano delle camicie rosse — che tu dimenticherai di chiudere la porta sulla via Pal. D'accordo? — Sì! — disse Ghereb. Al povero piccolo Nemeciech doleva il cuore. Se ne stava lì, col suo abito fradicio, fissando con occhi spalancati le camicie rosse sedute attorno al lume e tra loro «il traditore»! Il suo strazio era così grande che quando dalla bocca di Ghereb uscì il «sì» definitivo che chiudeva ogni speranza, Nemeciech si mise a piangere. Piangeva sommessamente e mormorava: — Signor presidente... Signor presidente... Signor presidente... Boka volle calmarlo: — Andiamo! Col pianto non si conclude niente! Ma anche la sua voce era strangolata: era pur una cosa dolorosa questa di Ghereb! D'un tratto, ad un cenno di Franco Ats, le camicie rosse balzarono in piedi. — A casa! — disse il capitano. Avete tutti le vostre armi? — Sì! — risposero tutti ad una voce e sollevarono da terra le loro lunghe lancie di legno che portavano in cima una sottile bandieruola rossa. — Avanti! — comandò Franco Ats. Le armi in fascio, tra i cespugli. E s'avviarono tutti, con Franco Ats alla testa, verso l'interno dell'isola. E anche Ghereb andò con essi. La radura rimase deserta con nel centro la pietra e sulla pietra la lampadina accesa. Si udivano i loro passi che s'allontanavano sempre più, perdendosi nel folto. Boka si mosse: — E' il momento! — disse, e cavò di tasca il cartone rosso nel quale già era infilata una puntina da disegno. Scostò i rami del cespuglio e disse al biondino: — Aspettami qui! Non ti muovere! E balzò nella radura dove poco prima erano state le camicie rosse. Nemeciech trattenne il fiato. Boka s'accostò al grande albero che era sul margine della radura e che copriva col suo ampio fogliame tutta l'isoletta: attaccò il cartone al tronco e poi s'avvicinò alla lampadina. Aperse la finestrina e soffiò sulla candela. La Luce si spense e in quel momento Nemeciech perse di vista anche Boka; ma i suoi occhi non s'erano ancora abituati all'oscurità quando Boka gli era già tornato vicino: — Via! Corrimi dietro, più presto che puoi! E si misero a galoppare verso la riva, verso la barchetta. Quando Cionacos li vide, montò a bordo e appoggiò il remo contro la riva per essere pronto a staccare di colpo l'imbarcazione. I due ragazzi saltarono pronti nella barchetta. — Via! — ordinò Boka. Cionacos puntò il remo e spinse ma la barchetta non si mosse. Giungendo, avevano approdato con troppo impeto e la barchetta era per metà in secca. Bisognava scendere, sollevare la prua e spingerla in acqua. Intanto le camicie rosse eran tornate sulla radura ed avevano trovata spenta la loro lampadina. Sulle prime credettero che l'avesse spenta il vento, ma quando Franco Ats s'accorse che lo sportello era aperto: — Qui c'è stato qualcuno! — esclamò, e la sua voce fu così forte che la intesero anche i ragazzi nella barchetta. La lampada fu riaccesa ed allora si trovò anche il cartello appeso al tronco: I RAGAZZI DI VIA PAL SONO STATI QUI! Le camicie rosse rimasero allibite; ma Franco Ats gridò: — Se sono stati qui, ci devono essere ancora! Inseguiteli! Emise un lungo fischio. Le sentinelle accorsero dal ponte e riferirono che di lì nessuno era passato. — Allora sono venuti con la barchetta! disse il Pastor più piccolo. E mentre i tre ragazzi si affaticavano per smuovere la barchetta; udirono il comando che si riferiva ad essi: — Inseguiteli! Proprio quando risonò questa parola, Cionacos riuscì a spingere in acqua la barchetta: con un balzo fu a bordo anche lui. Afferrarono immediatamente i remi e remarono a gran forza verso la riva. Franco Ats dava a gran voce i suoi ordini: — Vender, sull'albero: osservazione e informazione! Fratelli Pastor, via per il ponte e aggirateli, da destra e da sinistra! Circondati! Prima che essi abbiano fatte le loro cinque o sei remate, certo i Pastor campioni di corsa, avranno già fatto il giro del lago, ed allora non c'è scampo nè a destra nè a sinistra. E se giungono prima dei Pastor, la vedetta in cima all'albero può seguirli con lo sguardo e comunicare la direzione presa! Dalla barchetta si vedeva il fanalino, in mano a Franco Ats, muoversi sulla riva dell'isoletta. Poi uno scalpiccio sul ponte: i Pastor che lo varcavano di corsa! Quando la barchetta giunse all'altra sponda, la vedetta raggiungeva il suo posto d'osservazione in cima all'albero: — Approdano! — urlò la voce dall'albero — E la voce del capitano rispose pronta : — All'attacco! Tutti! Ma già i tre ragazzi della via Pal galoppavano disperatamente: — Non devono raggiungerci — disse pur mentre correva Boka —. Sono in molti più di noi! Corsero a precipizio, attraverso strade, praterie, girando boschetti: Boka in testa, gli altri due dietro. Erano diretti alla serra. — Dentro, nella serra! — rantolò Boka, e corse alla porticina. Per fortuna era aperta. Scivolarono dentro e si nascosero. Fuori era silenzio. Forse gli inseguitori avevano perdute le traccie. I tre ragazzi ora riposavano un poco. Si guardavano attorno: le pareti e il tetto di vetro dell'edificio strano lasciavano trapelare il lontano chiarore della città. La grande serra era un luogo nuovo ed interessante! Si trovavano nell'ala sinistra della costruzione: c'erano alberi piantati dentro gran vasi verdi, alberi con larghe foglie. Dentro lunghi cassoni vegetavano mimose e felci. Sotto la cupola del corpo centrale s'ergevano palmizi con fronde a ventaglio e tutta una foresta di flora tropicale. In mezzo a questa foresta c'era una piscina con dentro dei pesciolini dorati, e vicino una panchina. Poi magnolie, lauri, aranci, ed enormi felci. Un profumo intenso carico d'aromi, rendeva pesante l'aria. E nell'altra ala, quella riscaldata a calorifero, l'acqua gocciolava sempre. Le goccie colavano sulle larghe foglie carnose e quando una foglia di palma si mosse sotto il peso di queste goccie ai ragazzi parve di scorgere qualche strano mostro equatoriale sbucare da questa foresta calda ed umida, in mezzo ai vasi verdi. Si sentivano al sicuro e cominciavano a pensare al modo di uscire. — Purchè non ci chiudano dentro! — mormorò Nemeciech che s'era seduto ai piedi d'una grande palma e si sentiva bene nella località riscaldata perchè era inzuppato fino alle ossa. Boka lo rassicurò: — Se non hanno chiuso ancora la porta, non la chiuderanno più. Stavano seduti ed ascoltavano: nessun rumore. Certo a nessuno sarebbe venuto in mente di cercarli qui. Si alzarono e si mossero a tastoni tra gli alti scaffali, zeppi di piante, di erbe odorose e di grandi fiori. Cionacos andò a cozzare contro uno scaffale e inciampò. Nemeciech volle essere premuroso: — Fermati — disse — ti faccio luce! E prima che Boka avesse potuto impedirglielo aveva cavato di tasca i fiammiferi, ancora asciutti malgrado il bagno, e ne aveva acceso uno. La fiammella divampò ma si spense subito perchè Boka l'aveva strappata dalla mano dell'imprudente. — Merlo! — diceva Boka furioso — Non sai che sei in una serra? Che qui anche le pareti sono di vetro...? Di certo avranno visto la luce. Si fermarono e si posero in ascolto. Boka aveva ragione: le camicie rosse 6 avevano veduto la luce divampare, rischiarare per un istante tutta la serra. Ed ecco si udivano già i loro passi sui ciottoli. Anch'essi si dirigevano alla porta dell'ala sinistra. Franco Ats diede gli ordini: — I Pastor per la porta di destra — gridò — Sebeni per quella di mezzo, io per di qui! I te della via Pal si nascosero in un baleno. Cionacos si mise disteso sotto uno scaffale, Nemeciech, con la scusa ch'era bagnato di già, fu mandato nella piscina. II biondino si calò nell'acqua fino al mento e nascose la testa sotto una grande felce. Boka fece appena in tempo a ritirarsi dietro il battente che si apriva. Franco Ats entrò col suo seguito: teneva in mano il fanalino. La luce di questo cadde sulla porta vetrata in modo che Boka poteva vedere benissimo Franco Ats, ma questi non poteva vedere Boka nascosto dietro la porta. E Boka osservò bene il capitano avversario, ch'egli aveva veduto soltanto una volta da vicino, nel giardino del Museo: bel ragazzo, Franco Ats, col viso tutto acceso dall'ardore del combattimento. Ma subito si allontanò: percorse con gli altri le stradicciuole della serra e nell'ala di destra guardarono anche sotto gli scaffali; ma a nessuno veniva in mente di cercar nella piscina. Cionacos poi scampò dal pericolo d'essere scoperto perchè quando stavano per esaminare anche sotto lo scaffale dov'egli si trovava, il ragazzo che Franco Ats aveva chiamato Sebeni, disse: — Se ne sono andati da un pezzo, per la porta di destra... E poichè si avviava in quella direzione, tutti gli altri, nel fervore della ricerca, lo seguirono. Attraversarono la serra, ed alcuni sordi tonfi dissero che anch'essi non avevano troppi riguardi per le terraglie. Uscirono. Nuovo silenzio. Cionacos sbucò fuori: — Un vaso m'è capitato in testa e sono pieno di terra! E si mise a sputare con molto zelo la terra che gli era entrata in bocca. Secondo apparve Nemeciech: uscì dalla piscina come un mostro acquatico. Era bagnato come un cencio e gocciolava tutto: — Passerò tutta la vita in acqua? — diceva — Cosa sono? Una rana? Si scosse tutto come un cagnolino bagnato. — Non ti lamentare — disse Boka —. Almeno ora non potrai più accendere fiammiferi di certo. Ma andiamo... Nemeciech sospirò: — Come vorrei già essere a casa! Ma, pensando alle accoglienze che avrebbe avuto a casa vedendo il suo vestito in quello stato, corresse: — No. Non vorrei essere neanche a casa! Ritornarono correndo verso l'acacia dove avevano scavalcato lo steccato. Cionacos s'arrampicò sull'albero, ma prima di mettere il piede sullo steccato si rivolse verso il giardino: — Vengono! — esclamò. — Su, all'albero! — ordinò Boka. Cionacos tornò sull'albero ed aiutò anche i compagni a salire. S'arrampicarono quanto più in alto riuscirono e quanto la resistenza dei rami consentiva. Sarebbe stato seccante essere presi quando stavano per essere in salvo. La banda delle camicie rosse giunse sotto l'albero con corsa rumorosa. I ragazzi si rannicchiarono tra le foglie come tre uccellini spaventati. Tornò a parlare quel Sebeni che nella serra aveva guidato i suoi sopra una falsa pista: — Li ho visti scavalcare lo steccato! Questo Sebeni doveva essere il più stupido fra i nemici, e perchè era il più stupido era anche il più turbolento ed era lui che parlava e gridava di continuo. Le camicie rosse che eran tutti ottimi ginnasti, in pochi balzi, sono al di là dello steccato. Franco Ats è rimasto per ultimo e prima di uscire spegne la lampada. Mentre si arrampica sull'acacia per poi passare sullo steccato, gli cadono addosso, da Nemeciech fradicio, alcune goccie d'acqua. — Piove — disse; e si asciugò il collo. — Eccoli laggiù! — disse Sebeni; e tutti si misero a correre. — Se non ci fosse stato questo Sebeni ad aiutarci — disse Boka — ci avrebbero presi da un pezzo. Ora sentivano d'essere definitivamente scampati da ogni pericolo. Avevano creduto di riconoscerli in due ragazzi che se n'andavano pacificamente per i fatti loro e s'erano messi ad inseguirli: quei due, spaventati, s'eran dati a scappare. E allora le camicie rosse, urlando selvaggiamente, via, all'inseguimento. II rumore della corsa si perdette lontano. Scesero dallo steccato e respirarono di soddisfazione quando tornarono a sentire la pietra del marciapiede sotto le loro scarpe. Incontrarono una vecchietta barcollante; poi altri passanti. Erano di nuovo in città: ogni pericolo era scomparso. Erano stanchi ed affamati. Passarono davanti all'orfanotrofio le cui finestre illuminate guardavano verso la sera buia: una campanella annunciò che là dentro si stava per andare a cena. Nemeciech batteva i denti. — Facciamo presto — disse. — Aspetta — disse Boka —. Tu prendi il tram per andare a casa. Ti do i soldi. Mise la mano in tasca. Ma il presidente non aveva che sette soldi. Nella sua tasca non c'erano che sette soldi di rame e l'elegante calamaio tascabile ricoperto di pelle, dal quale colava un filo d'inchiostro azzurro. Cavò i sette soldi macchiati d'inchiostro e li diede a Nemeciech: — Non ne ho altri! Ma Cionacos cavò fuori due soldi; e il biondino aveva un soldo portafortuna che aveva con sè in una scatoletta per pillole. Tutto sommato si arrivava a dieci soldi. Con questi, il biondino salì sul tram. Boka si fermò in mezzo alla strada: aveva ancora il cuore gonfio per il tradimento di Ghereb. Se ne rimaneva triste e taceva. Ma Cionacos che non sapeva ancora niente era allegro e disse: — Attenzione, signor presidente! — e quando Boka lo guardò, mise due dita in bocca e fischiò da rompere i timpani. Poi si guardò attorno come uno che si sia finalmente sfogato. — L'ho tenuto finchè ho potuto, ma ora non ne potevo più! Prese a braccetto il malinconico Boka e, dopo tante avventure, s'avviarono stanchi verso la città, lungo il grande viale...

Donnina forte

208662
Bisi Albini, Sofia 1 occorrenze
  • 1920
  • R. Bemporad & figlio
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. - Abbi dunque misericordia di te. - Oh parla pure! san preparato a tutto. So già che la Conny si lascia sempre trasportare dalla passione.... ella che crede d' essere la più ragionevole e calma signorina del mondo! Oh, non spalancar gli occhi a quel modo!... - e mi prese le mani. - un fatto, che tu sentenzi alla prima occhiata che il tale non è buono a nulla o è buono a tutto. - Ma no! - esclamai sorpresa. - Oh, di' che non è vero, se ne hai il coraggio! - aggiunse l' Elisa, ridendo di quel suo riso squillante di bambina. - Lo dico a Gian Carlo, veh!... Senti: ella non ha ancora, si può dire, avvicinato un giovane, non conosce che quelli dei romanzi inglesi, ma ha già dichiarato che siete tutti altrettanti sciocchi.... ha, ha! dei piccoli spiriti, vuoti di tutto fuorchè di amor proprio: che non v' occupate che di cavalli, frivolezze, eccetera, eccetera! Ma ti pare?! - E rise ancora. lo ero diventata di fuoco. - Si; è vero, è vero. - Lo dici con tanta serietà? - chiese Carletto. - Ah, ah! la donnina forte! la fanciulla superiore!... quella che desta i partiti esclusivi! Eccola che giudica di colpo e dà le sue sentenze più delle signore a cui ella rimprovera la maldicenza. - Non è vero! - Zitto! lasciami finire.... E non rifletti su tutte le circostanze, e non capisci che il più delle volte quel che ti colpisce come frivolo, studiato bene ha il suo scopo serio. Eliminar della vita tutto ciò che è gaio vorrebbe dire spogliarlo d'ogni poesia. Ma.... - Gian Carlo ha ragione. - Che c' è! mio marito che dà torto alla Conny - esclamò con sorriso l'Elisa, sollevando il suo visino color di rosa. - E ragione a me! questa è più strana ancora! - aggiunse ridendo Carletto. - Ma va' avanti; - disse Filippo - - ero curioso di sentire che cosa volevi dire con quel ma. - Che ma! Davvero non so più che cosa stavo dicendo. - Se non ho capito male, volevi dire alla Conny che quel che la abbaglia e desta la sua ammirazione, non ha spesso altro movente che qualche desiderio ambizioso o cattivo. Non volevi dir questo? - Veramente volevo dire il contrario, ma è lo stesso, - rispose Carletto con un' aria seccata. Io ero confusa, credo per la prina volta; non sapevo più come rispondere, e l'avevo con Carletto: soprattutto con que' suoi occhi che mi guardavano sempre. - Conny! ti sei lasciata sopraffare? - mi dimandò Filippo. Io non potei rispondere, perchè mi prese un colpo di tosse. - Scusate, - dissi poi ridendo - ci avevo qui tanto dispetto, che ho dovuto tossire se no mi soffocava. Ora è passato. Dunque? parlo chiaro anch'io? È verissimo che non vedevo in voialtri, profumati ed eleganti, che tanti ragazzi leggieri e vuoti. - Ma perchè Carletto sorrise con tanta dolcezza? - Vedevo! - esclamò Filippo. - È già un gran passo! Gian Carlo ringraziala! - Che! ho detto vedevo? No, no: vedo! vedo! - e abbassai lo sguardo con un sorriso di compassione a quel colletto che gI' infilzava il mento, giù giù, fino alla calza di seta azzurra e alla scarpetta lucida. - Che petulante! - esclamò Carletto con un sorriso: ma in verità punto sul serio. - Tu non puoi negare - gli dissi - che la maggior parte de' tuoi compagni sono dei poveri grulli. Li ho visti e li ho sentiti abbastanza anche quelli che si danno delle arie tanto gravi, da parer che dispensin parcamente il loro spirito. Il Sanmarano informi.... L' Elisa spalancò tanto d' occhi. - Vorresti dire che non è simpatico? che è un grullo, lui! - esclamò. - Oh, è allegro, lo ammetto;... è disinvolto: è l'anima della società: quando lui non c' è, la serata è morta. Manca il direttore del cotillon e delle quadriglie: mancano i bons mots.... non è vero, Elisa? - Sei insopportabile, Conny, questa sera! - disse ella, indispettita sul serio. Suo marito rideva. - Già! hai imparato da Filippo a far l'originale per progetto!... Ma che cosa te ne pare. Gian Carlo? Trovar da ridire persino sul Sanmarano che è uno dei giovani più ammodo della nostra società! - Ammodo! esclamai. - Ci vuol così poco per essere ammodo al giorno d'oggi? Basta occuparsi molto di cavalli e essere molto annoiato di tutto il resto. Basta allungarsi con indolenza sul canapè; mandar in aria con grazia il fumo della sigaretta.... accavallar le gambe e mettere in mostra le scarpette lucide e le calze di seta? In quella vidi dondolare davanti a me il piede di Carletto e tacqui arrossendo. Ma egli mi disse con quel suo bellissimo sorriso: - Avanti, avanti, Conny! - Ho finito - risposi. - Ma! - esclamò Filippo. - Hai dimenticato che un giovane ammodo deve avere anche certe risatine improvvise, e certi improvvisi silenzi che turbano e fanno pensare, e certe lunghe occhiate insultanti, scusate! volevo dire insinuanti, e parlar a enimmi, a giochi di parole.... e la sua parola deve scoppiettare e scintillare come un razzo.... - Ma Filippo, Filippo! - supplicò l' Elisa. - .... di un fuoco d'artifizio. Un giovane serio e timido che si siede ritto su una sedia e fa un discorso pieno di buon senso, quello non è ammodo, e vi fa l'effetto d'una doccia d'acqua gelata: non è forse vero Elisa? - Io battei le mani ridendo. Mia cugina si alzò indignata: Carletto, con una gamba sopra l'altra, si dondolava mandando in aria con grazia il fumo della sigaretta. È un orrore! - esclamò l' Elisa. - Credete di far dello spirito, e non capite che vi rendete ridicoli col vostro puritanismo. È un'affettazione!... Dammi un po' di fuoco, Carletto.... - e si chinò su lui ad accendere la sigaretta. - Di un gio-vane disinvolto e spigliato che accavalla le gambe perchè così gli piace, voi me ne avete fatto uno sciocco, tutto affettazioni e tutto pose! Dio mio! ora non si bada più a certe stupide etichette! - Carletto rideva con indolenza. - Mi piace di veder con che calore te la pigli! Si direbbe che tu sia un giovane ammodo. Impara da me, cara Elisa: non vedi come son tranquillo? Ho visto partire la sassata e sono rimasto fermo al mio posto. - Filippo se n'andò nell'altro angolo della sala a discorrere con miss Jane. - M' ha fatto dispetto, ecco! - conti-nuò l' Elisa stizzita come una bambina. - Per me, lo confesso un giovane come il suo giovane ammodo mi piace! Lo trovo franco, svelto: sono sicura che il suo carattere è pieno di slancio e di sincerità. Mi par che tutti dovrebbero essere così, in questi tempi di libertà. Sbaglio? ma un giovane come quella doccia di Filippo...! - Ah, ah! quella doccia! - esclamò Carletto. - Non t' è parso di veder il Rinaldi col suo fare stecchito? - È vero! - rispose l' Elisa. - Conny, ammetterai almeno che il Rinaldi è terribilmente pesante! - Ha però un bel carattere - dissi. - Che cosa importa, quando non sa essere piacevole? - Mi pare che sia un gentiluomo per- fetto, Elisa! Per me t'assicuro che preferisco mille volte Rinaldi al Sanmarano. Con Sanmarano ci si diverte forse per dieci minuti, ma non interessa punto. In ogni suo discorso c' entra l'io, e questo benedetto io dice e fa le più strane cose; tutte le avventure più curiose accadono a lui, egli sa sempre tutte le novità più palpitanti come dice la zia. È un uomo fortunato, via! - Carletto si mise a ridere. - Non gli si può negare, - disse - che non abbia un' immaginazione fervidissima e una loquacità sorprendente. Ho una gran paura, però, che quelle storielle abbiano già fatto il giro del Fliegende Blätter e del Mondo umoristico. - E quelle freddure che una non aspetta l'altra! Mi par che delle parole succeda nella sua testa come dei bussolotti nelle mani di un prestidigitatore. Voi gli date un anello ed egli vi restituisce un ovo. È una cosa che stupisce e che fa ridere, non c' è che dire! Conclusione, - aggiunse Filippo riavvicinandosi - egli è un amabile chiacchierone, che tutti accolgono con festa e colmano di cortesie. - Non tutti, non tutti; - corressi io sorridendo - vi è chi rimpiange che il coraggio di trovar un secondo fine a una buona azione ci sia sempre, ma non quello di svergognare uno sciocco orgoglioso. - Elisa, allungata in una poltrona, disse con aria stanca: - Come si capisce benino che stai molto con mio marito. Hai preso tutto il suo fare di predicatore. - Davvero? me ne vanto! - esclamai allegramente, e corsi a fare il tè. In quella Carletto si alzò, dicendo che aveva un appuntamento al Club e salutò tutti: poi si avvicinò a me, ch' ero ritta accanto alla tavola, poco lontana dall' uscio. - Non pigli una tazza di tè ? - gli dissi. Grazie; no, - mi rispose serio, troppo serio e mi stese la mano senza parlare, guardandomi fisso negli occhi, con un' espressione strana. - Buona sera - dissi un po' confusa. Egli s' inchinò, fece un passo verso l' uscio, poi tornò; mi prese di nuovo la mano e disse a voce bassa, serio, quasi severo: - Conny, tu sei ancora una bambina. Non t'offendere.... Aspetta a giudicare la società: vivi ancora un pochino. Di qui a qualche anno ci riparleremo: allora le tue teorie saranno meno contraddicenti: allora mi dirai che i partiti eclusivi sono ingiusti, ma mi mostrerai anche col fatto che sai quello che dici. Allora ti sarai persuasa cara Conny, che a questo mondo non c' è nessuno che sia buono sotto tutti i rapporti, nè completamente cattivo. Credimi: serietà e leggerezza sono confuse più o meno insieme, e spesso le debolezze e i piccoli difetti non sono che una nebbia che nascondono le grandi e belle qualità. Mi credi?... lo tentai di parlare, ma non ci riuscii: un senso indefinito di soggezione m' invase tutta. Soggezione di mio cugino Carletto? di lui al quale avevo parlato con tanta arditezza, e che avevo guardato anche un momento prima con tanto disprezzo! No, no: sollevai la testa, sorrisi: ma le labbra mi tremavano e non potei staccare gli occhi dalla sua cravatta. - Mi credi? - ripetè egli con quella sua voce lenta, sommessa e dolce. Il suo alito caldo mi passava sulla fronte: la sua mano morbida stringeva la mia. Un brivido mi corse da capo a piedi. - Si, si! mi pareva che mi si ripetesse in fondo all' anima. Ma alzai gli occhi, li fissai in quelli di lui.... - No, - risposi, e risi: ma la risata mi si strozzò in gola. ............... Quando presentai la tazza di tè a Filippo, non lo guardai, ma sentivo fissi su me quei suoi occhi rotondi e sporgenti. - Conny, lascia che veda, - mi disse. - Che cosa - dimandai alzando la testa. - Ho già visto - mi rispose. - Ma che? non capisco, Filippo. - Il primo sintomo di una malattia: ma non mi spavento: sei robusta, sei forte. Son di quelle malattie che risanano una costituzione come la tua. - Tentai di sorridere. - Ma se sto bellone! l'assicuro! - Davvero? sei proprio la Conny di cinque minuti fa? calma, allegra.... - Ma si, Filippo; sono sempre la sua donnina forte! - E sollevai il viso; ma vidi nello specchio di contro ch' esso era pallido di inquietudine. *** La sera di Santo Stefano l' Elisa doveva passare a prendermi colla carrozza per andare alla Scala. Perchè ero così inquieta e mi occupavo tanto di quella benedetta camelia bianca che mi faceva un corno sulla testa? Non ero io la Conny? la famosa Conny che ha suscitato, - me lo ha detto la zia - una discussione in casa T*** per decidere se sia coquette o ingenua: se nel suo modo di vestire semplice e severo ci sia dello studio e una posa di classicismo, o invece mancanza di vanità? Davvero, che se dovessi rispondere io, sarei un pochino imbarazzata. Vanità? Che cos'è? Mi par che in questo caso s' intenda una puerile preoccupazione di ornarsi di fronzoli; la parola stessa lo dice, e un ricorrere a cose vuote e leggiere per piacere altrui. No, no, io non sono vanitosa. Quando mi vesto io non penso agli altri: non faccio che contentare il mio occhio, e siccome a me piacciono i contorni decisi, le linee nette, non ho mai sopra di me nè tulle, nè nastri. Certe testoline tutte fiori e spilloni, mi han qualcosa di raffazzonato, di non ben definito che (sono io forse un'originale) mi fa dubitare del carattere della signora. È barocco infine, e il barocco in arte non mi piace. Sentii una scampanellata. - She here is - e miss Jane mi buttò sulle spalle il mantello. Sull'uscio m' incontrai in Carletto; come fui sciocca di arrossire! - Addio, Conny, - mi disse respirando a fatica per la corsa fatta su per le scale: il suo viso era pallido e negli occhi grandi, castani e profondi, v'era un velo di tristezza. È un fatto ch'egli è uno dei più bei giovani ch' io conosca: in quella sera la sua testa piccola e bionda risaltava stupendamente su quel largo bavero di lontra. M'offerse il braccio senza parlare, e scendemmo. - Sei troppo gentile, dissi tentando di dar alla mia voce un tono di ironia. - Incomodarsi per una signorina! Egli si volse a guardarmi, poi posò la mano sulla mia ch'era appoggiata al suo braccio, e disse con un suono di voce che mi turbò: - Conny, io mi sono riconciliato colla signorina; ora tu, buona e intelligente, non devi ostinarti, per puntiglio, nella tua.... via! nella tua antipatia per il giovane.... ammodo. Ma in quella la vocina allegra dell' Elisa l' interruppe. - Siete qui? che cosa hai detto, Conny? - Non è strano...? - continuò mentre salivo in carrozza - Gian Carlo che di solito se ne sta al caffè Cova ad aspettarci, e viene per compiacenza nell'atrio del teatro quando ci vede arrivare.... - e rideva. Sprofondata nell'angolo oscuro della carrozza, io vedevo brillare davanti a me gli occhi di Carletto, che cercavano i miei. Si entrò al teatro: lo spettacolo era già incominciato e la musica assorbi tutta la mia attenzione: non vedevo e non sentivo altro; nemmeno le chiacchiere incensanti di mia cugina. Quando l' atto finì, battei le mani. - Cara Conny, non usa più di star così attente allo spettacolo, - disse l'Elisa ridendo. - Lo so; ma sai che io non bado a ciò che usa. Sono venuta in teatro per il Don Carlo, non.... - Per don Carletto? - domandò il conte Rinaldi con la sua imperturbabile serietà, e si alzò per salutarmi. Non l' avevo veduto nè sentito entrare. Mia cugina rise: e Carletto mi guardò con un' espressione seria. Io arrossii, ma dissi stendendo la mano al Rinaldi: - Oh! non per don Carletto. - In quel punto mi sentii fissata, e mi voltai istintivamente. Era una signorina nel palco di casa Borromeo la quale abbassò subito il canocchiale, e due grandi occhi neri si fissarono ne' miei con un' espressione cupa e nello stesso tempo così fredda, che mi strinse il cuore. Era bruna, pallida, bellissima: vestiva un abito di crespo bianco scollato senz'altro ornamento che una crocetta d' oro ap-pesa a una catenella. Mi domandai perchè aveva quella posizione strana; pareva che colle spalle si puntasse allo schienale della sedia: il suo seno si sollevava e s'abbassava, e le braccia allungate, colle mani unite che tenevano stretto il binoccolo, sembravano rigide come di marmo. - Carletto, - dissi - chi c' è nel palco di casa Borromeo? - Non li conosco - mi rispose senza guardare, e stava per avviare un discorso con Rinaidi, ma questi disse forte rispondendo alla domanda fatta da me a mio cugino: - È la signorina De Lami con sua madre e suo fratello. - Ah, è vero! - disse Carletto - non li avevo riconosciuti. - I De Lami di Piacenza? - chiesi io. - Sì, - mi rispose il Rinaldi - ma da poco più di un anno stabiliti a Milano, perchè vi hanno qui la figliuola maggiore che ha sposato il Marenzi. - È quella bella signorina di cui tu, Elisa, mi hai parlato con tanto entusiasmo quest' estate? - Io?... è vero; ma ha un' espressione antipatica. C' è qualcosa di maligno in quegli occhi scuri, non è vero Rinaldi? - Non mi pare - rispose egli serio. - Ci trovo solo una grande alterezza, - dissi io. - Gira intorno gli occhi in un modo che par che dica: " Mi degno !... - Ma nello stesso tempo più la guardo, e più mi piace. Sai che effetto mi fa? che abbia un gran dolore e che voglia nasconderlo. - Carletto si alzò ridendo. - Badate, Rinaldi! - esclamò - mia cugina vede romanzi dappertutto. Dimandatele che cosa pensa di voi: sentirete che intreccio! - Poi s' inchinò ed aggiunse: - Se permettete, vado a far una visitina a donna Giulia, - e usci ridendo sempre. Sul viso lungo e sbiadito del conte Rinaldi non apparve un sorriso, e disse lentamente, con serietà: - Questa volta io credo che donna Conny abbia ragione. La signorina De Lami pare anche a me una bella statua del dolore. Ah, ah! mi fate ridere! - esclamò l' Elisa allegramente. - Peccato che Gian Carlo sia andato via: lui vi può dire com'è simpatica la vostra signorina De Lami! E poi bisogna esser ciechi, caro Rinaldi. Mi pare che le si veda chiaro negli occhi ch' ella ha un' anima cattiva. Gian Carlo mi diceva che di tutte le cose ella vede subito il lato brutto. Guarda Conny come è pettinata male la Maria. Dunque dicevo che piglia tutto in cattiva parte, e vede in ogni azione un secondo fine: insomma è invidiosa e permalosa peggio di una zittellona. - Ella la conosce intimamente, contessa? - dimandò il Rinaldi. Mi trovai coi De Lami la scorsa estate a San Bernardino, e quindi posso dire di conoscerla appena di vista, ma mio fratello è amico dei Marenzi, e credo che abbia conosciuto in casa loro la signorina De Lami, la quale è sorella di Lucia Marenzi. - Oh! Carletto ha frequentato molto anche la casa della signorina.... - replicò il Rinaldi. Davvero che quel suo tono di voce sempre uguale, e quel suo viso freddo e immobile, cominciava a irritarmi anche me. Ella mi diede un' occhiata che voleva dire: - Dio mio: com' è pedante! - Ma intanto entrò il tenente Alfieri, e il Rinaldi venne a sedersi vicino a me. Cominciò il secondo atto: i miei occhi si fissarono sulla scena, e per quanto mi sforzassi non riuscii a concentrare la mia attenzione nella musica. Vedevo laggiù il viso pallido e severo della signorina De Lami, poi fra mia cugina e il tenente s'era intavolata una di quelle conversazioni leggiere, maldicenti e pettegole, che mi seccano tanto e mi metton i nervi sottosopra. Mi par una viltà indegna di persone che pretendono di essere educate e oneste. Mia cugina è di quelle che giudicano in bene o in male secondo ciò che sentono raccontare o riferire in società, fra un piccolo gruppo di conoscenti, e non pensano che quasi sempre il male che si dice è una calunnia, o, per lo meno, un' esagerazione. lo mi misi a discorrere col conte Rinaldi. Egli non è punto bello, è troppo alto e troppo angoloso. La sua lunga figura, quando appare nel vano di un uscio, mi par un ritratto antico nella sua cornice: e, non so perchè, quando l' ho vicino mi par di sentire quell'odore di carte vecchie e di muffa che c'è nella nostra biblioteca di campagna. Io credo ch' egli viva fuori di questo mondo, in un mondo tutto ideale; è un originale, e forse, anzi, certo per questo, mi piace. Parla poco e lento, ma la sua parola è sempre gentile, convincente e utile come dice ridendo l'Elisa. È letterato e archeologo, e scrive qualche volta dei serii articoli nella Nuova Antologia o nella Rassegna Nazionale che tutte le signore leggono, ma non capiscono, e di cui, naturalmente, gli fanno le congratulazioni e gli elogi più intelligenti. Il suo babbo è membro della Consulta Archeologica, non c' è da stupirsi quindi ch' io abbia una spruzzatura storico-artistica nella mia testa, che mi vien buona nelle mie conversazioni col conte Rinaldi. Ho detto conversazioni, ma veramente, io, così chiacchierona nell' intimità, in società parlo pochissimo, ed è uno de' miei più grandi piaceri quello di trovarmi a quattr' occhi con chi ne sa più di me per poter ascoltare senza che nessuno interrompa, e abbandonarmi al godimento d' imparar cose nuove, e molte volte anche a quello, un po' maligno, di scrutare e tentar di toccare il fondo alla coltura degli altri. Ma non era a quella di Rinaldi che si potesse veder facilmente il fondo. Quella sera egli era insolitamente eloquente, e descrivendomi certi oggetti scoperti negli scavi delle antiche mura di Milano m' interessò tanto da farmi dimenticare la musica. Ma a un tratto s' interruppe chiedendone scusa. - Lei ascolta in un modo da dar l' illusione che si stia raccontandole cose molto interessanti - disse inchinandosi senza guardarmi. lo l' assicurai che m' aveva realmente divertita ed egli rispose sempre senza guardarmi: - Che ella sia una signorina un po' diversa dalle altre è facile a capirsi, ma che si debba divertire a questi studi, via, sarebbe troppo.... originale. - Non me Io ripeta, conte, perchè forse sarebbe il modo d' invogliarmi a mettermici sul serio, sa? - Egli alzò gli occhi finalmente, e disse colla voce più piana: - Se fosse vero, che si potesse avere ancora la dama colta e seria! l' antica gentildonna che ha l' orgoglio della propria onestà e del proprio nome, che mette la famiglia e gli studi avanti a tutto, e riunisce intorno al marito e ai figliuoli tutto ciò che la coltura, la cortesia, l'onestà, ha di più eletto! Di queste signore - aggiunse - io ne ho trovate parecchie in provincia: ne conosco a Ferrara, a Ravenna, a Bologna, a Perugia, nel Friuli... Ma nelle grandi città com' è difficile d' incontrarne! La signora è portata via, di voglia o controvoglia, dal turbine delle occupazioni mondane, e non ha più tempo di esser seria. - E meno egoista.... - dissi io ridendo. - Da noi le signore si prodigano e non hanno tempo di pensare a sè. Bisogna aver pietà di loro, conte. - In quel frattempo mia cugina si alzò. - Aspetta un momento, - disse Carletto ch' era rientrato in quel punto. - Conny desidera certo di rimanere sino alla fine. - Oh no, andiamo, andiamo pure - risposi. Mentre Carletto mi metteva sulle spalle il mantello, vidi che nel palco di casa Borromeo non c' era più nessuno. - Vorrei incontrarmi sulle scale con lei - pensai, e uscimmo. Arrivate nel corridoio della prima fila vidi venire verso di noi la signorina. Alta, portava la testa con fierezza, e dietro a lei una signora attempata camminava adagio, sostenuta da un giovinotto. Mio cugino, che mi dava il braccio, si fermò bruscamente, voltandosi a dimandare a sua sorella se voleva passare dal Cova per prendere un tè. lo guardavo la famiglia De Lami. Vidi il giovane rialzare la fronte, e sopra le nostre teste, passò, come una palla di fucile, il lampo orgoglioso dei suoi grandi occhi neri. La signorina ci passò dinanzi e scese lentamente cogli occhi fissi avanti a sè, bianca e fredda come una statua di marmo. Mi voltai al conte Rinaldi che mi era vicino e gli dissi piano: - Forse hanno ragione i miei cugini. C'è in lei qualcosa che allontana. Non le pare? - No: mi pare invece che dovrebbe avere tutta la simpatia di una persona come lei. - Perchè? - Non so se Rinaldi rispose: un senso indefinibile di tristezza m' invase all' improvviso; Carletto a cui davo il braccio, chiacchierava con sua sorella e col tenente, ma sentivo il suo braccio avvicinarsi sempre più al suo petto e mi sembrò di sentir battere il suo cuore sotto la mia mano. Un momento che fummo sospinti dalla folla nell'atrio, la sua mano carezzò la mia, e la sua voce mi chiese sommesso, con un' inflessione dolcissima come se dicesse parole affettuose: - Sei stanca ? - Le idee mi turbinarono, e il cuore, non so perchè, mi battè con violenza. Feci cenno di no, senza guardarlo. Si arrivò alla carrozza, io salii e mia cugina dopo di me. Carletto si scusò, dolente di non poterci accompagnare. - Ma dove hai la testa, Conny? mi disse l' Elisa. - Non senti che il Rinaldi ti saluta?- lo sporsi la mano dallo sportello e soltanto quando me la sentii stretta dalla mano lunga e magra del conte, mi riscossi e mi risvegliai come se avessi sognato. *** Non ho mai capito perché Filippo abbia sposata mia cugina Elisa. Lui ha cinquant'anni e lei trenta: lui è brutto e lei bellissima. Lui ama.... veramente non so che cosa ami: fa insomma una vita quieta, regolata: la casa e il Cova: il Cova e la casa: la Perseveranza e la Revue de deux Mondes, la Revue e la Perseveranza, e sempre così. Cioè, mi dimenticavo di mettere, dopo il Cova, la mia poltroncina rossa. Lei è elegantissima, vivacissima, e per star bene, dice, ha bisogno di moto, di visite, di teatri e di balli. Marito e moglie non si vedono dunque che a tavola. Ma è ammodo anche questo, lo sapete. Dunque Filippo viene spesso da me: soprattutto quando il babbo è a Roma. Egli.... ha! ecco trovato chi ama! Ama me! in un modo un po' brusco, ma che, forse appunto per questo, mi piace, mi commove e m' ispira tutta la fiducia. Credo che abbia ragione l' Elisa, la quale dice che un po' del mio carattere sincero.... e del mio fare franco I' ho preso da lui; il mondo lo conosco perchè lui me l' ha descritto, e siccome lui, in fatto di società, è molto scettico, io... ma voi sapete già come la penso io. Filippo dice che non c' è nessun angolo di salotto più simpatico e comodo del mio: ed io ogni tanto gli facevo la sorpresa di una nuova comodità: oggi era il tavolino da fumare accanto alla sua poltroncina rossa: domani era un paralume, un' altra volta un libro uscito di fresco. Le prime volte quasi si offendeva : mi diceva che lo avvezzavo male, che lui voleva servir me e non esser servito, che lui è de' tempi passati, quando era una villania il fumar sul viso alle signore e lo sdraiarsi nelle poltrone.... Da due settimane non lo vedevo. Una mattina, verso mezzogiorno, egli entrò nel mio salotto: io mi ero appena alzata, perchè avevo ballato tutta la notte in casa S***. Non so perché rimasi confusa a vederlo e non trovassi modo di avviare un discorso. Egli fece i suoi inchini forse con maggior gravità del solito: aspettò che gli dicessi di sedere, ringraziò, si sedette e mi fece i suoi complimenti per il furore che avevo destato in casa S***. Glielo aveva detto sua moglie, e un amico che aveva trovato quella mattina al caffè Cova. Ma ad un tratto mi domandò: - Sei in collera Conny? - In collera! no; - risposi - perché dovrei essere in collera? - e sorrisi. - Davvero?... È però molto tempo che non ci vediamo: lo sai? - Oh certo! ma di chi è la colpa se non di chi non viene a trovarmi? - Egli si chinò per guardarmi negli occhi. Perché io non li alzai, non gli lasciai leggere che cosa passava nel mio sguardo? - Senti, cara ragazza: parliamo un pochino sul serio, eh? Abbiamo forse finora parlato per ridere? - Egli mi prese una mano: - Conny, Conny: non tentar di scherzare quando non ne hai voglia! Tu non sei buona di fingere. Mi vuoi ascoltare? - Ma si figuri! - Vi fu un momento di silenzio. Conny, - disse finalmente - il tuo babbo è lontano, ed io mi credo quasi in dovere di pigliare il suo posto: io, il solo, ricordatelo! il solo e vero amico che tu abbia. Oh, ti prego, non buttarti anche tu in quella vita leggiera che ha per iscopo gli abbigliamenti e le feste. È un pericolo, sai! Una donna è raro che si conservi buona in società. Si vede ammirata, corteggiata e finisce per concentrar tutto in sè, per non occuparsi che di sè, e la sua mente si rimpiccolisce e il suo cuore si raffredda. - Oh, a me pare che saprò essere sempre buona, Filippo! - dissi. - Eh, eh! sicura come sarai di piacere, non penserai ad amare. La tua bellezza e i tuoi successi ti terranno luogo di tutte le gioie più sante e più care! - Io sollevai la testa: tutto il sangue m' era salito al viso. - Filippo! - dissi con una voce che tremava di sdegno e di dolore. - La mia vita tranquilla fra il babbo e lei, in mezzo ai miei libri, è stata troppo bella perchè io vi voglia rinunciare. Voi mi avete detto e ripetuto troppo che sono buona, che sono colta, che sono una donnina forte, perchè io lo possa dimenticare, per il piacere di sentirmi dire che sono bella! Lei poi, Filippo, ha fatto di tutto per instillar qui dentro delle idee sode e serie, e un briciolo di quel buon senso che in tanti casi della vita, dicono, val più dell' ingegno.... Filippo, Filippo! se c' è una persona che non deve dubitare di me, è lei! - mi copersi il viso colle mani dando in uno scoppio di pianto. Vi fu un po' di silenzio: la mano larga di Filippo passò e ripassò sulla mia testa, e finalmente mi disse colla voce tremante: - Guarda, figliuola! non puoi credere che piacere è per me questo tuo scoppio di sdegno. Mi fidavo di te: sapevo che nessuno al mondo avrebbe potuto mutare quel tuo cuore così lealmente buono: ma avevo bisogno che tu me lo dicessi: e se t' ho offesa è stato per provocare questo sfogo più che per altro, Conny. Per te io metterei la mano sul fuoco: ma non vorrei che tu, per esser brava, dovessi soffrire e far sacrifici. Vorrei vederti amata come lo meriti, da un uomo serio, buono, che conoscesse tutta la tua anima come la conosciamo tuo padre ed io.... Tu, cara Conny col tuo spirito d'osservazione e la tua superiorità, riesci sempre a scoprire tutte le debolezze delle persone che ti circondano: ma sei ancora troppo giovane, e il tuo cuore è troppo buono e la tua mente è troppo serena, perchè tu non possa nemmeno sospettare certe colpe e certe ipocrisie. Povera la mia donnina! tu mi guardi spaventata.... Oh, ma verrà pur troppo il giorno in cui conoscerai che cos' è la società, e diventerai scettica anche tu. - Si alzò. Io singhiozzai. - Le mie parole ti hanno fatto male figliuola, - mi disse accarezzandomi i capelli - ma ti faranno pensare, ed è quello ch' io voglio. Non t' ho detto tutto, ma tu capirai anche quello che ho taciuto.... Oh, credi! è bene che una parola seria venga a scotere in mezzo agli svaghi e alle emozioni dei giorni felici.... - Quando alzai la testa ero sola nel mio salotto. Provai come uno spavento.... - Oh, si: è bene: ma è però doloroso! - esclamai con un singhiozzo. *** C' era stato l'ultimo ballo di carnevale, m'ero alzata tardi, stavo pensando che cosa avrei dovuto fare in quella giornata, quando entrò mia cugina. - Buon giorno Conny, come stai ? Sei Stanca ? Dio mio, che freddo! - Tirò una poltrona vicino alla bocca del calorifero e vi si rannicchiò mettendosi il manicotto sul viso. - Sono venuta a piedi, lo sai? Che gelo! - e picchiava i piedi sul pavimento. - Pensa! il mio cocchiere stanotte s' è pigliato un raffreddore! Dica quel che vuole mio marito, ma un cocchiere che ha il petto delicato più di una signora io non lo tengo! - Gli hai detto di venire a prenderci alle tre, e invece siam rimaste fino alle sei. Ne avrà certo pigliato del freddo! - dissi io. - Non si va a fare il cocchiere quando non si può sopportarlo. Ma vuoi ridere, Conny?... Figurati che Filippo avrebbe voluto che si mettesse la pelliccia come il servitore! Il cocchiere che è stato là sotto la pioggia tutte quelle ore. Dio sa come l'avrebbe conciata! " O tutt' e due o nessuno; - mi diceva. Lui non pensa che Gaetano deve venir nell' anticamera ad accompagnarci e a prenderci. Che bella figura avrebbe fatto senza pelliccia, in mezzo alle stupende pellegrine di martora di casa Turati e di casa Ponti! - Ah! ma vedi, Elisa! Filippo ha delle ingenuità strane: lui credeva che le pellicce fossero fatte per tener caldo, e che il cocchiere, che doveva star fuori allo scoperto tre ore ad una temperatura di otto gradi sotto lo zero, ne avesse bisogno più del domestico. - L' Elisa mi guardava con un'aria desolata. - Oh, Conny! ti prego.... - supplicò colla sua voce dolce di bambina. - Non ridiventare quella brutta e antipatica Conny di una volta ! - balzò in piedi, e mi buttò un braccio al collo. lo risi e la baciai sulla punta del suo nasino che pareva si fosse voltata in su allora allora, per guardarmi anch' essa e dirmi: -Son carina, non è vero? - Elisa, tu mi hai affascinata: finirai col farmi diventare una donna indolente.... e poco seria come te! - Poco seria! - esclamò scandalizzata. - Conny! come sei cattiva! Vedi, mi vuoi far credere che sono io che t' ho affascinata! ma sei invece tu, più alta, più istruita, e, via.... più seria di me, che colle tue dita lunghe mi avvoltoli e mi fai girare e mi strapazzi come ti piace. Oh, non ti guardo più, va'! - E tornò a sedere nella sua poltrona coi piedi contro la bocca della stufa. - Io presi una seggiola e mi sedetti dietro di lei, voltandole le spalle. - Eppure - dissi calma calma - scommetterei qualunque cosa che ora tu mi fai attaccar i cavalli per forza, e mi conduci dove tu vuoi. - Una risatina allegra e un colpetto della sua testa contro la mia, accolse le mie parole: poi ella arrovesciò le braccia e mi prese per gli orecchi. - Ah, sei la più furba, la più intelligente creatura del mondo! Sei un tesoro, ecco! - Grazie, grazie! ma mi fai male! - Ella rideva ch' era un piacere a sentirla, poi si volse, s' inginocchiò sulla sua poltrona e mi arrovesciò la testa. - Li fai attaccare, non è vero! - mi chiese con una voce supplichevole. - Che cosa ? - I cavalli. Sì, sì! falli attaccare, andiamo insieme a far tre o quattro visite che so già di non trovare; poi andiamo sui bastioni. Mettiti il tuo vestitino corto: dopo scendiamo e facciamo un giro a piedi. Va bene, Conny? dimmi di sì dunque! - E s' io volessi dir di no? Non sei buona. - Eppure.... - Oh Conny, Conny! non essere scortese! - e mi stampò un gran bacio sulla fronte. Chi avrebbe resistito? Ordinai che attaccassero. Mentre mi vestivo, l' Elisa, seduta alla mia toeletta si accomadava il cappellino. - Sai ? - diceva - la mamma stamattina è venuta a trovarmi. Era ansiosa di sapere com' era andata la festa: aveva però incontrato l'Antonietta e sapeva già di quel cotillon così poco spiritoso. Le ho detto dell' orribile abito dell' Emma! N' è rimasta sorpresa anche lei.... Ti pare che mi stia bene questo cappellino, Conny?.... Senti: le ho detto del tuo successone: ne è stata felicissima: se non isbaglio s' è riconciliata con te. Non te ne sei accorta? - lo stavo per rispondere, ma ella continuò: - Ah, sai? Gian Carlo mi ha tormentata per sapere dove si andava; non volevo dirglielo: finii col dargli ad intendere che si andrà sui bastioni nell'ora che non c' è nessuno, poi si sarebbe finite al Cova a mangiare una tartina. Ma scommetto che riesce a trovarci ugualmente quel matto: vedrai! - Conny! - mi dimandò a un tratto mentre si strappava un pelo che le spuntava ostinato da un piccolo nèo, e arricciava il naso per il dolore. - Ahi! che peccato! mi s' è rotto senza strapparsi: Senti dunque.... Che cosa ti dicevo? - Nulla. - Ma sì: ti ho domandato se ti piace mio fratello. - Mi provai a ridere, ma non ci riuscii. - Che domanda originale! - dissi. - Oh Dio mio! che cosa c' è? Ti fa la corte, tutti se ne sono accorti: e niente di più naturale che egli ti sia simpatico. Che occhi, non è vero? e poi quei denti! È tutto bello!... Ma che creatura fredda, Dio mio! mi fai stizza, Conny! Di' dunque ti piace? - Non so. - Non lo sai ?! - e picchiò il piede sul pavimento con stizza. - Non lo meriti davvero. Se non credessi di dargli un dispiacere, glielo direi, guarda! - Ah! ah! dispiacere? - e misi in furia la veletta sul viso perchè ella non potesse vedere come avevo arrossito. - Ma sì; non ho mai visto mio fratello così entusiasta di una signorina. Una volta non si degnava nemmeno di guardarle.... Oh ecco un altro pelo! qua! ma t'assicuro, Conny, che mi vien la barba! - Diedi in una risata più rumorosa e prolungata di quel che fosse necessario, sperando di concentrare tutta la sua attenzione nella barba. - Dirò a Filippo di far un baraccone a Porta Genova e di farti vedere al pubblico. Avanti, avanti signori! qui si vede una donna non mai veduta! che ha la barba vera come un uomo! A chi non ci vuol credere è permesso di tirarla! - Eravamo già in carrozza e si rideva ancora come due bambine. *** Si andò a far tre visite : cioè a lasciare i nostri biglietti, perchè non c' era nessuno in casa; ma donna Beppina c' era e ne fui contenta perchè la stimo tanto. Entrammo quasi insieme con una bella signora elegantissima, grassotta, che aveva un viso aperto e due grandi occhi chiari pieni di sincerità e di allegria. - Chi è? - domandai all' Elisa. - Non lo so - mi rispose; e visto che non è più di moda far le presentazioni, dovetti tenermi la mia curiosità. V' erano altre signore, ed esaurito il discorso del teatro, del ballo di casa S*** e del concerto del Quartetto; quella signora disse: - Hai sentito Beppina, della povera Clara? - La sua fisonomia era così serena, anzi così gioconda, che quella povera Clara non impietosì nessuno. Ma vidi donna Beppina farsi subitamente seria, e mi colpì il tono un po' asciutto della sua risposta, come se quel discorso non le andasse a genio. - Sì, disse - è venuta a salutarmi ieri. Povera Clara, oggi ha trovato un conforto. - E si alzò dicendo: Fa un po' caldo, qui dentro. Non è vero? - e andò a chiudere la bocca della stufa; poi chiamò l' Elisa per mostrarle dei ritratti che c'erano sul tavolino. Intanto il discorso della povera Clara continuava intorno a me. - Che colpo è stato per me! - diceva una signora piccolina, tutta esclamazioni tragiche. È venuta la settimana passata a farmi visita con sua madre; aveva un abito che le stava a pennello.... chi avrebbe detto che tre giorni dopo si sarebbe fatta monaca! Che bella monaca col sóggolo bianco! - disse tranquillamente una terza signora. - In che convento è entrata? È partita per Troyes per fare il noviziato fra le Soeurs du Bon Secours. - Oh Dio mio! per curar malati poveri: e i feriti nelle guerre! ma possono mandarla nel Tonchino! - esclamò la signora piccolina, spalancando gli occhioni con terrore e stringendosi con un brivido le mani nel manicotto. Povera creatura! - disse con un sospiro la signora grassotta. - Oramai la sua vita era un tale tormento, che qualunque fatica materiale le riuscirà indifferente. Povera, povera Clara! - Ma perchè? - dimandò una terza signora - non si tratta di vocazione? - Oh signora! è tutto un triste dramma facile a indovinarsi. Non c' era proprio altra liberazione per lei, che d' andare a farsi monaca. Ma che rimorso oggi per sua sorella! - Come! Lucia Marenzi?! - Ma certo! non sapeva...? - lo ebbi un sussulto. Parlavano forse della signorina De Lami? In quel momento la padrona di casa tornò a noi con Elisa e si sedette di nuovo chiedendo con vivacità se sapevamo del fidanzamento di Paola Varenna. - Che! la Varenna? Ah era tempo! ormai come signorina era un po' matura, ma che bella marchesa sarà! eclisserà sua cugina. - Tutte s'interessarono di sapere come la cosa era accaduta, e la povera Clara era già dimenticata. Ma io non riuscivo a strappare il mio pensiero da lei. L'avevo vista una volta sola la sera di Santo Stefano alla Scala, ed era strano come fin d'allora mi aveva interessata quella pallida, altera figura che mi era parso, a ragione, che nascondesse un dolore. Provavo un' emozione che mi toglieva il respiro, pensando che mai più nella vita l'avrei incontrata, ch' ella era partita per il vasto mondo dove non avrebbe udito che lamenti e gemiti, dove non avrebbe visto che lagrime e piaghe, lei vissuta fino allora in mezzo alle agiatezze e alle eleganze. Mi pungeva una curiosità non mai pro-vata, di saperne di più, di conoscere tutta la storia di lei, e un momento che l' Elisa e le altre signore parlavano fra loro, con gran vivacità, del matrimonio di Paola, io dimandai alla signora grassotta che mi era vicina: - Scusi, signora, mi vuol dire se parlavano della signorina De Lami? - Precisamente. Non la conosce? - La conoscevo di vista, e mi era tanto simpatica. - Oh lo credo! se l'avesse poi conosciuta da vicino! un carattere, sa! colta, seria e nello stesso tempo così semplice nel suo modo di fare, e così piena d'entusiasmi e di fede! troppa fede! fu la sua disgrazia. Certe brutture le parevano impossibili fra persone educate. C' è chi dice ch' è stata una bimba e una sciocca a illudersi, ma noi amici abbiamo visto come ha saputo lui insinuarsi nel suo cuore. Io badavo ad aprir gli occhi a sua madre: " Voi non conoscete il marchese, - le dicevo " diffidate. - Ma erano appena venuti a Milano non avevano un' idea di questi sfaccendati eleganti, che non credono a nulla, non rispettano nulla e si stimano padroni del mondo. Il fatto è ch' ella fu presa per lui da una di quelle affezioni che sono la vita di una donna. E quando più supponeva d'essere amata e sua madre s'aspettava da un momento all'altro che egli le chiedessse di potersi dire fidanzato che è, che non è, la luce si fa, per lei prima che per gli altri; la sorella, quella maritata Marenzi.... Una brutta storia insomma! - Orribile.... - mormorai rabbrividendo. - Antonietta! - chiamò in quel momento la padrona di casa - permetti che faccia le presentazioni che ho dimenticate la contessa Elisa di*** che, sai, è figliuola della marchesa*** e sua cugina, donna Conny***. - Poi disse a noi. - La signora Gemmi, moglie del Senatore, una delle mie più buone amiche, una patronessa preziosa dei nostri Asili. - E sorrise respirando liberamente, ma non capì che non era arrivata a tempo. La signora Gemmi mi fissò co' suoi grandi occhi grigi, con un turbamento così visibile da accrescere il senso di malessere che quella triste storia mi aveva dato; poi a un tratto, non so come, fui colpita come un fulmine dalla percezione viva della verità, come se la cosa io l'avessi sempre sospettata, come se tutto fosse stato detto, come se un nome fosse stato pronunziato. Impallidii? non lo so: so che Elisa mi guardava con inquietudine. Dopo un minuto la Signora Gemmi si alzò e nel salutarmi mi strinse forte la mano guardandomi negli occhi; poi mi disse con una voce piena di bontà e quasi commossa: - Cara signorina, permetta che la baci. - E mi abbracciò stretta. Non ricordo come io sia uscita di là; so che mi trovai in carrozza cogli occhi sbarrati che non vedevano nulla. I polsi mi battevano, le orecchie mi sibillavano, un sudore freddo mi inumidiva il viso, e mi pareva che qualcosa si fosse spezzato in me. Una risatina di Elisa mi fece trasalire con uno spasimo. - Ah ah, se si dovesse credere a tutte le ciarle che si fanno in società! Tu non hai sentito Conny, quanti commenti e quante supposizioni buttate là con la sicurezza di fatti veri, a proposito del matrimonio di Paola Varenna! E tu, Conny, di che discorrevi con quella signora.... Oh Dio, ma come sei pallida, che cos'hai?... Era molto stupida quella signora.... come si chiama? non mi ricordo più. Dev' essere la moglie di un bottegaio arricchito, lo scommetterei! Un dolore intenso, improvviso ai cuore mi tolse il respiro e mi fece chiudere gli occhi. L'Elisa mi afferrò una mano spaventata. - Ma Conny, non capisco! si direbbe che ti sei turbata per la storia di quella Clara, come se.... Ah brava, mi avevi spaventata!... Senti dunque, cara: tu che ti dài le arie di donna forte, ti commovi di tutto. Mi fa ridere: scommetto che quella signora Gemma o Diamante, che sia, ti avrà raccontato che la Clara si fa monaca per una disillusione d'amore. Com' è poetico!... ma non è più di moda! Par il titolo di un romanzo di quarant'anni fa. L'ingenua tradita!... ah ah! Ma già, ha ragione mio fratello.... - Che cosa dice? - domandai colla voce dura. - Dice.... cioè diceva che le signorine come voi sono tante grullerelle, perché pigliate sul serio la cortesia più comune, e come una dichiarazione di amore una parola gentile. Vedete subito grande il doppio ogni cosa.... - Ah!... - In quel momento la carrozza si fermò: eravamo sui bastioni. - Che c' è?... - dimandò l' Elisa. - Il signor marchese - rispose il domestico. E allo sportello della carrozza apparve la figura elegante e bella di mio cugino. Il suo volto era raggiante di allegrezza. - Ah, ah! vi ci ho preso! Ma che cos'hai Conny? ti senti male!... Che cosa è accaduto? - disse spaventato, e tutta la sua fisonomia si rannuvolò. Mi pareva d'essere impietrita: immobile nel fondo della carrozza, con gli occhi fissi in quelli di lui, avrei voluto penetrare con lo sguardo fino in fondo alla sua anima. Egli passò dalla parte mia e mi prese le mani; io le ritirai con ispavento: - No! - dissi con voce rauca. - Ma che cos' hai? Conny! parla, oh parla! Mi vuoi far morire?! - il suo viso si era coperto di pallore. - Scendiamo, scendiamo! - disse con impazienza l' Elisa saltando a terra. - Egli ha qui il phaeton, non è vero? - dissi. - Potresti tornare a casa con lui. Conny.... scendi.... ti prego! - Perchè quella voce esercitava su me un fa- scino così irresistibile ? Perchè mi lasciai prendere le mani e scesi di carrozza e lasciai che mi guardasse negli occhi, e mi dicesse con quella sua voce sommessa e dolce che mi fa tremare: - Grazie! - Era una giornata fredda e nebbiosa dei primi di febbraio: sui bastioni non c' era anima viva. L' Elisa volle passare sul viale che guarda giù nella strada di circonvallazione per vedere il tranvai. lo camminavo come trasognata: Carletto mi prese la mano.... un brivido mi corse dalla testa ai piedi.... se la posò sul suo braccio. Egli rispondeva a tutte le domande curiose della sorella; e il suo braccio si stringeva sempre più al suo petto, come quella sera di Santo Stefano. Si arrivò sul ponte della barriera Principe Umberto: nessuno parlava; poco lontano scalpitavano i nostri cavalli: i tranvai e le vetture passavano rumorosamente sotto di noi, e nella stazione fischiavano e sbuffavano le locomotive. Tutto questo mi rimbombava nella testa dolorosamente. Carletto si appoggiò alla sbarra del ponte e mise una mano sulla mia perchè non la ritirassi; poi rivolse il viso verso di me, ch' ero rimasta ritta e immobile accanto a lui. Oh, no, no! non volevo guardarlo, non volevo essere guardata a quel modo! Mi parve di veder rizzarsi accanto a noi, cogli occhi neri e cupi la povera Clara e mi sfuggì un grido d'angoscia. - Non guardarmi così! ti odio! Conny! mia Conny! abbi pietà di me!... - E le sue labbra di fuoco si posarono sul polso gelato della mia mano. Non so che cosa sia accaduto. Mi ricordo solo, come in un sogno, che ero in carrozza e che mia cugina parlava, parlava, e io ascoltavo senza capire; due cavalli ci rasentarono come un fulmine ed io pensai: perché i miei cavalli non corrono? e mi prese un'ansietà, un' inquietudine affannosa, avrei voluto precipitarmi giù, per correre a casa a piedi, sola! Finalmente la carrozza entrò in casa; scesi e dissi al domestico: - Riconducete la signora Contessa a casa sua, - ed io salii lentamente la scala, entrai in casa, apersi l' uscio del mio salotto e trasalii. Egli era là, ritto davanti a me, pallido e serio. S' inchinò e mi stese tutt' e due le mani. lo m'appoggiai colle spalle al muro: non avevo più un filo di forza né di fiato. - Conny.... sono qui: dimmi perché mi odii. lo ti dirò poi, perché ti adoro. - Mi copersi il viso con le mani e singhiozzai senza piangere. - Oh, non posso, Carletto!... non posso! è una cosa così orribile!... Morirei se la dicessi! Va', va,! per amor di Dio!... Abbi pietà di te stesso se non vuoi averla di me.... Va'! ti risparmio una vergogna. - E rialzai la testa con disprezzo. L' uscio si aperse e entrò miss Jane che si fermò cogli occhi spalancati di spavento. lo le corsi incontro. Ella mi disse: - Don Emanuele è arrivato, lo sapete? m' ha fatto chiamare nello studio perché venissi a dirvi che desidera di par- larvi. - Mi volsi e dissi freddamente: - Addio Gian Carlo. - Egli s' inchinò ed uscì. *** Era uscito; era partito per sempre, lui! l' unico uomo che m'aveva parlato d'amore; quegli che mi adorava! Avevo io il diritto di condannare lui e me al dolore, senza una spiegazione, senza lasciargli modo di giustificarsi?... Dio! Dio! che cosa avevo fatto? In società si raccontano tante cose che non son vere: da cosa mi veniva la certezza che si trattasse di lui? Nessuno aveva pronunziato il suo nome. Oh no, non era possibile, non poteva esser vero! Mi lasciai cadere sul sofà, piangendo di disperazione. Chi mi salvava ora? Nessuno; nessuno avrebbe potuto restituirmi il suo amore, perchè io lo avevo insultato! e un uomo come lui non perdona un insulto! Lady Conny, che avete? - mi domandò miss Jane piangendo. - Nulla, sono una pazza, ecco cosa sono! - e mi alzai, mi asciugai gli occhi e mi guardai nello specchio. - Avete detto che è arrivato il babbo? - Sì, e vi cercava. - Ella corse a pigliare il fiocchetto della cipria: me lo passò sugli occhi e fece scomparire la traccia delle lacrime. - Ecco, milady: potete andare. - Entrai nello studio del babbo, ma mi fermai sulla soglia dell' uscio. Egli non era solo: ritto accanto a lui, davanti al camino, c' era il conte Rinaldi. Il babbo mi venne incontro: io gli buttai le braccia al collo e lo baciai con una commozione e una tenerezza tutta nuova: anch'egli m'accarezzò e mi baciò commosso, come se leggesse nella mia anima desolata. Ma poi il suo viso si illuminò di gioia. Mi prese per mano e mi disse con un sorriso: - È vero, Conny, che hai piacere che Rinaldi rimanga a pranzo da noi? Immagina ch'egli temeva di non essere nelle tue simpatie; gli riferii una certa conversazione del giorno di Natale. Conny disprezza i giovani ammodo, ma apprezza molto i giovani seri come Rinaldi. Non è forse vero? - Io lo ascoltavo trasognata, non trovando parole per rispondere. - Conny, il conte Rinaldi è venuto a prendermi a Roma: siamo ritornati un'ora fa insieme. - Credo che ne' miei occhi sia apparso come uno spavento, perché il babbo si chetò, guardandomi inquieto. Lui, il conte, ritto dietro una seggiola colle mani aggrappate alla spalliera, mi guardava col viso contratto d' emozione. Non sapevo bene perché, ma io fui presa da un tremito: non ancora rimessa dal profondo turbamento di pochi minuti prima, tentavo inutilmente di sorridere, di trovar la voce per parlare, di lottare contro un penoso presentimento che le parole del babbo e il contegno di Rinaldi mi avevano fatto sorgere nell' animo. - Conny, non ti senti bene? che cos'hai? - Ho preso freddo.... sui bastioni. Infatti non sto affatto bene, - e mi passai una mano sulla fronte, perché mi pareva che tutto girasse intorno a me. Rinaldi mi spinse una poltrona dietro. - Su, riscaldati un poco vicino al fuoco - Disse il babbo - vuoi che chiami miss Jane? - No, ti prego, sto bene qui. - Alzai il viso verso il Rinaldi ritto accanto a me, e ci guardammo. Lesse egli ne' miei occhi spauriti e supplichevoli? io lessi ne' suoi, pieni di un desolato dolore.... Restò a desinare con noi. Il babbo credette tutta la sera che io mi sentissi male, ma era assorto in una gran beatitudine, povero babbo, per le attenzioni affettuose di Rinaldi, che, senza mai guardarmi negli occhi, mai.... non si occupò di me, accorgendosi che non mangiavo, che ero presa da brividi: mi fece portare uno scialle, mi versò un bicchierino di bordeau insistendo perché lo bevessi, e poco dopo aver preso il caffè si alzò per andarsene, dicendo che io avevo bisogno di riposo. Si chinò sul sofà sul quale mi aveva fatto distendere: io gli ubbidivo colla docilità di una bambina: una bambina colpe-vole che ha molto da farsi perdonare. - Buona sera donna Conny, - mi disse forte; io gli stesi tutt' e due le mani, egli le prese, esitò, poi le baciò. - Mi perdoni, - mormorò pian piano con voce soffocata - il mio sogno era stato forse troppo ardito.... Non tèma: non ci tornerò più. - Io gli sfiorai colla punta delle dita i capelli, dicendo con filo di voce: - Che Dio la benedica! - Ed egli partì. *** Erano passati alcuni giorni: la zia e l' Elisa avevano chiesto di vedermi, ma io mi chiusi in camera, e miss Jane ebbe l'ordine di dire sempre a tutti che avevo un forte mal di capo e dormivo. Filippo non era mai venuto. Sapevo che la zia aveva avuto dei lunghi e vivaci colloqui col babbo, ma egli non mi diceva nulla, ed io, che il primo giorno gli avevo promesso di parlargli, ora non ne trovavo più il coraggio. Era una domenica, e uscii con lui per andare alla Messa. Sulla bottega della fruttaiola c' era il bambino: mi fermai a baciarlo. Era un pezzo che non lo salutavo più.... ora volevo tornare a tutte le abitudini di una volta. - Dove andiamo, babbo? non a San Francesco veh! c' è uno sfoggio di cappellini eleganti, e di libri da messa colle cifre.... non ci si prega bene. - Dove vuoi andare? - In cerca di qualche chiesina fuor di mano: dove non ci sia che qualche povera donnetta, e dove il prete abbia una pianeta scolorita da cui escano i fili d' oro! - Il babbo passò il mio braccio sotto il suo, e disse, incamminandosi a passo lesto verso il corso di Porta Venezia: - Brava la mia Conny, torna allegra come una volta: e intanto che siamo soli.... vuoi tu dirmi quel che mi avevi promesso? Vuoi tu spiegarmi.... - Si rannuvolò, e la sua voce divenne seria quando aggiunse: - È stato per me un gran dolore, non te lo posso nascondere, lo scoprire che il tuo cuore non aveva scelto Rinaldi, che mi pareva fatto per te; ma forse a ragione mia sorella: è un giovine troppo vecchio. Tu sei espansiva, allegra, ardente, e hai bisogno di un uomo che, non solo ti voglia bene, ma te lo dica.... Conny, non vuoi proprio confidarmi nulla? - Io respiravo a fatica: avevo un nodo alla gola, che m' impediva di parlare. Si camminò un poco in silenzio: il Corso era quasi deserto. Sperai che si entrasse nella chiesa di San Babila, ma invece si andò innanzi. - Conny, ieri sera sono andata da mia sorella: lo sai? - No, non me lo avevi detto. - Ho dovuto andar io.... perché c' era qualcuno che non voleva venir da me. - Mi sentii un colpo nel cuore. Perché il babbo me ne parlava? Non capiva che soffrivo? Egli continuò: - Qualcuno che non vuol rimettere il piede in casa nostra senza il permesso della signorina Conny: ma che ti prega, ti supplica, in nome di quello che hai di più caro, di dargli questo permesso: egli vuole una spiegazione.... di che? né io né sua madre siamo riusciti a saperlo. Dice che è un vostro segreto. Io mi fido di te, Conny... e di Carletto: per questo non ho insistito perchè tu parlassi. - Io mi ero accostato il manicotto sulla bocca per soffocare i singhiozzi. - Dio mio! perchè mi diceva tutte quelle cose, nella strada, in mezzo alla gente? Non sentiva che mi trascinavo a fatica, e che il respiro mi si faceva sempre più breve? - Conny: di' la verità: vi amate: di questo non ne dubito: vi siete bisticciati per qualche sciocchezza.... e a quest' ora tu sei pentita, povera la mia bambina!... Dunque appena ritornati a casa, gli scrivo che la signorina Conny permette al marchese Gian Carlo di venire a vederla. Che! piangi? - Sì, piangevo: piangevo perché avevo bisogno di sfogare tutto il dolore che mi aveva empito il cuore in quei giorni.... Che era accaduto? dunque una parola sola, la speranza del suo ritorno bastavano a fugare tutto il disprezzo ch' io avevo provato per lui? Come lo amavo! come lo amavo se mi avvilivo al punto da non credere a ciò che avevo sentito, e da esultare perch' egli mi amava. Sollevai la testa e sorrisi perché nel mio cuore non era rimasta che una gioia immensa che mi pareva un sogno. Eravamo arrivati quasi a Porta Venezia. - Ma dove si va, babbo? Qui non ci son più chiese! Se fossimo ai tempi dei Promessi Sposi direi che si va alla chiesa de' Cappuccini! Ma si svoltò in una via deserta, chiusa in fondo dal bastione, in via Borghetto. - Vedi quella porticina a destra?... - mi disse il babbo. Quella è una chiesina proprio come la vuoi tu: nuda e stretta. Vedrai che pulpito! par troppo piccolo per un uomo. - In quella, una voce allegra, ma che parlava un dialetto sguaiato, mi fece alzar la testa. Una ragazza elegante scendeva a salti dalla stradetta a zig-zag del bastione, e dietro a lei.... Sentii una imprecazione soffocata del babbo, e il suo braccio strinse il mio come per sostenermi. Tutti i miei nervi avevano sussultato con spasimo: ma fu un lampo: la testa mi si rizzò, e mi sembrò di essere diventata più alta e che tutta la mia anima si fosse ad un tratto mutata.... Dietro a lei scendeva, ridendo e chiacchierando, un bel giovane biondo, con un lungo cappotto chiaro. Ci vide, e il suo viso si coperse di pallore, poi diventò rosso come di fuoco: il mio sguardo tagliente come una lama gli deve essere penetrato fino in fondo al cuore. Il babbo spinse la porticina della chiesa: io lo seguii, ma prima di richiuderla mi voltai. La ragazza s' era appoggiata al braccio di lui, e mi passarono davanti: mio cugino si guardava la punta degli stivali. Ciao, Conny! - gridò ad un tratto la fanciulla. Mi sentii un tuffo nel sangue e la guardai cogli occhi scintillanti di sdegno e di ribrezzo. Era la Lisetta; quella mia compagna di scuola di cui mi aveva parlato la fruttaiuola. Mi parve che mio cugino trasalisse stupito, e certo respinse il braccio di lei. Ma ella vi s'aggrappò di nuovo dicendo forte: - Che stupida quella Conny! Siamo state compagne di scuola e finge di non conoscermi. - La porta si richiuse dietro di me e mi trovai in chiesa. M' inginocchiai: i miei occhi erano fissi a una candela che ardeva sull'altare, e quella fiammella agitandosi mi pareva che s'allargasse e formasse delle grandi stelle che m'abbagliavano: ma non pensai di guardar altrove. Una povera donna, inginocchiata vicino a me, diceva al suo bambino: - Di': Buon Dio, beneditemi, fatemi diventare un bravo giovane, sincero e onesto. - E nelle orecchie mi si ripeteva: " un bravo giovine sincero e onesto.... - E nella mente, fisso, questo pensiero: L'ho amato! l'ho amato! e mi chiusi il viso nelle mani con un senso doloroso di vergogna. *** Quando fui sulla soglia del mio salotto mi passai una mano sulla fronte. Non mi pareva vero d'esserci arrivata; mi pareva un gran pezzo ch'ero assente da casa mia, che non vivevo la mia vita tranquilla e felice. Filippo era seduto nella mia paltroncina rossa colla Revue fra le mani; si alzò spalancò serio e compassato, ma poi mi guardò, gli occhi e aperse le braccia. lo mi vi buttai singhiozzando. - Finalmente! - disse. - Ringrazia Iddio che ti sei svegliata in tempo.... domani sarebbe troppo tardi.... Povera figliuola! hai avuto il tuo momento di vertigine anche tu, forte e ragionevole. Era forse necessario: hai fatto la tua esperienza. - Io m'aggrappai stretta e convulsa al suo collo. - Non è stato a tempo Filippo; - disse il babbo con una voce soffocata dall'emozione - l' altro giorno ha rifiutato Rinaldi. Rinaldi! - esclamò Filippo con sorpresa, e le sue braccia mi strinsero, quasi con tremito. - Era il mio sogno - mormorò. - L' unico uomo che ti meritava. Emanuele, - disse poi con una voce ferma e forte, - ti giuro che io ho fatto di tutto per evitare alla tua figliuola questo dolore: ma non ho potuto! Nessuna donna sa resistere al fascino del suo sguardo; è lui stesso che lo ha detto una sera: l' ho sentito io, e so che ha fatto l'esperienza su parecchie signore della nostra società. Questa volta, è vero, aveva tutta l' intenzione di finire al municipio: il mese scorso ha perduto al gioco non so quanto, e aveva bisogno di rifarsi.... - Abbi pietà di questa povera creatura! - gridò risentito il babbo. - Oh! non conosci la tua figliuola; ella ha bisogno di veder chiaro in tutto, di non essere ingannata: non è vero Conny? Vedi, io mi ero detto: Conny è buona e seria. Conny conosce il mondo - e sorrise con amarezza. - Conny, che ha letto i filosofi e i metafisici, analizza, capisce tutto, e sa che cosa bisogna fare per resi- stere alle vanità e alle seduzioni di quella brutta bestiaccia che si chiama società. Conny ha vissuto finora in mezzo a libri sani e a vecchi onesti, ma sa istintivamente quante leggerezze, quante slealtà e quante colpe si trovano nella giovane società: e saprà capire, studiare e rimaner sempre in alto, sopra a tutti, la donnina forte! Questo mi ero detto, cara figliuola; e questo voleva dire: non c' è bisogno di metterla in guardia: non sa ancora che cosa sia l'amore, ma ella saprà distinguere il falso dal vero, il complimento dalla dichiarazione, la parola dal sentimento, la leggerezza dalla serietà. - Tacque. lo tenevo il viso nascosto contro il suo petto e piangevo in silenzio. A un tratto alzai la testa, mi guardai, attorno, e dissi: - Filippo, non ne parliamo più, la prego! - e gli stesi la mano: egli me la baciò ed uscì. - Babbo, staremo sempre insieme! mi condurrai a Roma con te, non è vero? - Sì, cara figliuola; mi asciugò gli occhi, poi mi baciò con tenerezza. - L' indomani mi svegliai pallida ma calma. C' era nel mio sguardo una luce nuova profonda, cupa, e un lampo pieno d'alterezza e qualche volta di sarcasmo, che credo mi durerà tutta la vita. FINE

L'uccellino azzurro

212632
Maeterlink, Maurice 1 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Ma tu, Fuoco, abbi cura di non avvicinarti a nessuno; e tu, Cane, non punzecchiare la Gatta e tu, Acqua, procura di star bene diritta e di non sgocciolare dappertutto.... (Si odono novamente dei colpi violenti alla porta di destra) TYLTYL (ascoltando) È il babbo, di nuovo.... Questa volta si è alzato davvero, lo sento camminare.... LA FATA Usciamo dalla finestra.... Verrete tutti a casa mia, e cercherò di vestire come si conviene gli animali e le cose.... (Al Pane) Tu, Pane, prendi la gabbia nella quale metteremo l'Uccellino Azzurro.... L'affido a te.... Presto, presto, non perdiamo tempo.... (La finestra si allunga a un tratto e si trasforma in una porta. Escono tutti, dopo di che la finestra riprende la sua forma primitiva, e si richiude come se nulla fosse. La stanza è ritornata buia, e i due lettini sono immersi nell'ombra. L'uscio a destra si schiude, e attraverso lo spiraglio fanno capolino Babbo Tyl e Mamma Tyl). IL BABBO Non era nulla, te lo dicevo.... è il grillo che canta.... LA MAMMA Li vedi?... IL BABBO Sì. Dòrmono quieti quieti.... LA MAMMA Li sento respirare.... (L'uscio si richiude). CALA LA TELA

Mitchell, Margaret

221295
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Abbi cura di lei, Prissy. Questo è per te - e le diede una banconota.... Cerca di non essere piú stupida di quello che sei. - Sí, signore. Grazie, signore. - Addio, Rossella. Si era voltato a guardarla, ma ella non parlò. L'odio l'aveva ammutolita. Udí il suo passo sui ciottoli della strada e per un attimo vide le sue larghe spalle disegnarsi nel buio. E dopo un momento, era scomparso. Udí allontanarsi il rumore dei passi, fino a cessare completamente. Allora tornò lentamente verso il carretto, con le ginocchia che le tremavano. Perché se n'era andato cosí, nel buio, a mescolarsi alla guerra, a una Causa che sapeva perduta, a un mondo impazzito? Perché era andato, Rhett che amava il piacere, le donne, i liquori, il buon vino e i letti comodi, i bei vestiti e le belle scarpe, che detestava gli Stati del Sud e derideva gl'imbecilli che combattevano per essi? Ora le sue scarpe verniciate lo portavano su una strada dolorosa, su cui la fame camminava con passo instancabile, e che le ferite, la debolezza, l'angoscia percorrevano come un branco di iene urlanti. E all'estremità di quella strada era la morte. Non doveva andare, lui che era ricco e tranquillo. Ed era andato, invece, lasciandola sola in una notte nera come la fuliggine, con l'esercito yankee fra lei e la sua casa. Ora si ricordò tutti gli insulti che avrebbe voluto lanciargli, ma era troppo tardi. Appoggiò il capo sul collo curvo del cavallo e pianse.

Pagina 396

Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222317
Misteri del chiostro napoletano 1 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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La portinaia, presami la mano, mi disse: "Abbi pazienza, cara mia.... per amore o per forza bisogna trangugiare questo calice...." "Di qual calice parli?" le chiesi spaventata, e col presentimento di qualche nuova sventura. "Ti dico che mia madre tarda a tornare, e vorrei conoscerne il perchè." "Inutilmente l'aspetti." "Perchè?" "Tua madre è già partita alla volta di Reggio." Se la portinaia non mi avesse sostenuta pel busto, sarei caduta in terra. Per lunga pezza restai pietrificata. Ben sapeva io che la madre doveva lasciarmi, ma perchè mai partiva l'indomani della mia chiusura? perchè partiva senza avvertirmene? I miei nervi, scossi già di troppo da tanti dispiaceri, non poterono resistere a quest'ultimo colpo. Fui assalita da convulsioni. Quand'ebbi ricuperati i sensi e riaperti gli occhi, mi vidi circondata da uno stuolo di monache, di converse, di educande, tutte straniere a me, tutte intente a pascere l'ozio, la curiosità, l'apatia, proprie alla loro condizione, nello spettacolo del mio abbattimento. Chi bisbigliava di qua, chi commentava di là, chi dell'altra parte componeva il viso al sarcasmo; non una sola di esse che mi volgesse un accento di sincera carità. Il medico Ronchi, che allora entrava nella porteria, essendo uno dei curanti della comunità, mi fece somministrare pronti rimedi. La febbre, che mi sopravvenne mi confinò in letto per più d'una settimana. Quando il destino è avverso, concatenate vengono le disgrazie. Di lì ad un mese incominciai a, persuadermi ch'era pur troppo reale anche l'abbandono di Domenico. Nutriva, sino allora in quel mio sepolcro la dolce speranza, non solamente di ricevere qualche sua lettera, ma, sì ancora di vederlo ritornato in Napoli, e farsi il mio liberatore. Se uguale al mio era l'affetto suo, se generosi sentimenti albergavano nel petto suo, se la voce dell'umanità gli favellava in cuore, se la reminiscenm della mia verace e costante devozione poteva nell'animo suo, più che il vile interesse, come avrebb'egli tollerato ch'io cadessi vittima, della giuratagli fedeltà? Quanta volte guardai dal coro della chiesa per vedere se vi era! Quanta volte dall'alto dei belvederi con febbrile ansietà slanciai lo sguardo in cerca di lui lungo le vie circonvicine! Spesso, delusa dalle sembianze, dall'andatura, dal vestiario di chi parevami che gli somigliasse, mi sentii in procinto di svenire, credendo che giunto fosse il momento del mio riscatto. Ma, ohimè! nè egli direttamente m'indirizzava due linee, nè mia madre nelle sue lettere mi faceva motto di lui. Vedeva di tratto in tratto Giuseppina, ma la presenza di questa diletta sorella, non faceva ogni volta che aumentare le cagioni del mio dolore. L'infiermità alla gamba, provocata, dalla caduta, erasi col cambiamento dello stato dichiarata incurabile, talchè, per muoversi, la misera era costretta di appuntellarsi alle gruccie. Veniva pur talvolta a porgermi pietoso conforto il generale Salluzzi, cui tributo figliale gratitudine. Gli altri parenti, l'amante, gli amici, non si rammentavano più dell'orfana. Sarebbesi detto che già un abisso mi separasse dal mondo intero, a dispetto de' concenti umani, che tuttora echeggiavano teneramente dentro l'animo mio. Se non che, nel mezzo di tanto abbandono, una consolazione sublime rattemprò le mie pene: l'elevazione dello spirito a quel Dio della carità, che volle nascere, vivere e morire, non già per i muti orrori del deserto, per l'inanimata solitudine, ma sibbene per la salute dell'umanità, in civile e vasto consorzio tenuta da una sola ed indivisibile legge di connessione. Una sera di febbraio mi trovai sola sul terrazzo. I raggi del sole morente non isplendevano più che sulla cima del Vesuvio e sulle vette di Castellammare, le cui nevi ripercuotevano un chiarore, che respingeva il progresso dell'oscurità. Regnava, intorno un insolito silenzio; lo schiamazzo del carnevale aveva attirate le genti ne' centri più frequentati della città, per modo che il quartiere di San Lorenzo, ove ergesi il monastero, restava del tutto spopolato. Non giungeva, all'udito mio che l'eco spirante delle popolari esultanze, siccome fragore di mare lontano. Una commozione novella m'invase: all'aria libera sotto l'immensa vôlta del firmamento mi sentii sola, è vero, come prima, ma non isolata. La voce del Signore m'appellava alla contemplazione della sua misericordia. Piegai il ginocchio a terra, giunsi le mani, sollevai al cielo le pupille bagnate di pianto, ed invocai l'aiuto dell'Onnipossente. "E che son io?" esclamai, rialzatami poscia e tergendo le lagrime; "che sono i miei patimenti in confronto a quelli della nazione cui appartengo? Se sotto il doppio giogo della temporale e della spirituale tirannide langue l'Italia intera, pretenderei io, atomo incalcolabile, io sola fra tanti milioni di oppressi, consumar la vita nei contenti e nella prosperità?"

Pagina 52

L'indomani

246130
Neera 2 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
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. - Abbi pazienza mamma. Già non si parla di noi, è una supposizione, nevvero? Lasciami dire. Se, entrando nella vita, quella ragazza non trova le due aspirazioni riunite, se vede che l'amore non è sempre il premio e il compagno dell'onestà, che, legati insieme barbaramente come gemelli mostruosi, non sempre vanno d'accordo, non sempre si intendono e viene il momento in cui uno dei due... La signora Oldofredi scandagliò l'abisso e non la lasciò terminare; ma trascinata dall'impeto che Marta frenava invano, ella pure si sentì donna, ella pure colle guancie arrossate, l'occhio ardente, le labbra che tremavano urtandosi al placido sorriso abituale, ella pure illuminata da una arcana bellezza, esclamò: - L'amore è una illusione! Credi tu che vi sarebbe tanta attività nel mondo, che l'arte produrrebbe i suoi capolavori, che la pietà innalzerebbe i suoi monumenti, che il patriottismo darebbe i suoi eroi e la religione i suoi martiri, se l'amore come lo intendi tu esistesse? Perchè si coltivano tanti fiori nei vasi e si tengono dei canerini in gabbia, perchè si riempiono le case di ricami e di lavori all'uncinetto, perchè leggiamo i romanzi e i giornali di mode, perchè andiamo ai concerti, perchè vi è si gran numero di istituzioni filantropiche dove le donne sono patronesse, ispettrici, visitatrici, se l'amore fosse una realtà, se l'amore potesse bastare almeno alla vita di una donna? - Eppure - ripetè Marta scuotendo il capo - è l'amore che ispira l'arte, è l'amore che riscalda la carità... - Sono i disinganni dell'amore, è l'impotenza, l'assoluta impossibilità di estrinsecare nell'amore, nel solo amore, quella tendenza al sublime che c'è in noi. Oh! ma tutto il mondo perirebbe, non vi sarebbe più posto per nulla, per nulla capisci, se il lampo dell'amore potesse durare? Marta fu colpita, dalla luce straordinaria che brillava negli occhi di sua madre, rivelandole un fondo di ardore che ella non avrebbe mai sospettato; come l'eco di battaglie lontane, di lotte, di pianti, di morti, su cui era passata la grande, la benefica ala del tempo; e sentì di amarla doppiamente; si sentì sua eguale, sua compagna. Forse l'amore non è per tutti, forse è il più gran dolore della vita, forse non dura, forse è un miraggio; ma ella aveva visto, aveva visto!.. e cogli occhi gonfi di lagrime, mormorò, quasi parlando a se stessa: - Esiste. Nel silenzio raccolto dell'alcova quest'unica parola cadde con un mormorio solenne di responso. - Senti - disse la signora Oldofredi prendendole le mani e abbassando la voce in ragione inversa dall'emozione crescente - facciamo un'altra supposizione. Mettiamo una donna, una giovane donna libera di sè, e mettiamo pure che ella incontri sulla sua via l'amore. - Dunque c'è. - Ma Dio! - gemette la signora Oldofredi con tutta l'anima negli occhi - c'è il desiderio, il sogno, l'illusione! C'è l'istante del delirio, c'è la febbre che fa dimenticare tutto, lo spasimo per cui il piacere rasenta il freddo della morte; ma poichè tutto ciò passa, poichè non resta nulla dei più sinceri trasporti, poichè gli amanti finiscono col diventare stranieri l'uno all'altro e incontrarsi senza che più nulla trasalisca del loro cuore nè dei loro sensi, bisogna rinnegare l'amore, bisogna dire l'amore non esiste! Credi a me... credi, credi. Colle mani strette nelle mani si guardarono in fondo all'anima, misurando le loro disperazioni; la madre violentata per non poter dire di più, la figlia temendo di indovinare troppo. - Allora - fece Marta, tergendosi la fronte quasi un sudore improvviso l'avesse bagnata - non c'è nulla. In quel momento si arrestò ascoltando. La stessa sensazione che l'aveva fatta trasalire il giorno prima nella casuccia dei due contadini, si rinnovava. Sentiva le sue viscere commoversi sotto un impulso di persona viva, colla strana rivelazione di un altro essere in se stessa. Sembrava una piccola mano che battesse contro il suo seno, una piccola mano che voleva dire: Aprimi, io sono l'amore e la verità. - Gli uomini - continuò la signora Oldofredi, presa nella foga vertiginosa delle proprie' parole - conoscono presto l'amore, lo valutano per quello che è e passano oltre, attratti dalla ambizione, dagli affari, della vita pubblica. Ma anche noi non possiamo vivere nella continua illusione dell'amore; per questo abbiamo la religione e la maternità. E ancora l'amore, ma l'amore che si trasforma; l'ideale risale al cielo, mentre la parte materiale di noi si anima e vive della nostra stessa carne... Marta non udiva, delle parole di sua madre, che il bisbiglio. Colle mani raccolte sul grembo, le palpebre socchiuse, il corpo abbandonato nei guanciali, aveva l'apparenza della più gran calma, ma un brivido la scuoteva internamente, un brivido e una puntura. Vedeva ancora quell'amplesso, quel bacio... come dubitarne, se tutto il suo essere ne era stato scosso, se all'improvvisa rivelazione aveva compreso, lei già donna, il mistero della virginità, quel mistero che è il segreto di Dio e che l'amore solo comunica agli uomini? Lievi lagrime brucianti sfuggivano dalle sue palpebre. - Marta! Marta! - Chiamava la mamma, curva su di lei, divinatrice amorosa della lotta che si combatteva nel di lei cuore. Marta, senza parlare, ripeteva fra sè: Sarà il raggio che sfolgora e muore, sarà l'illusione che passa, sarà il sogno, il delirio di un istante; pure esiste. Raggio che non scalda tutti i cuori, sogno che non rallegra tutte le notti... Ma intanto la piccola mano ripeteva con insistenza: Apri, io sono l'amore e la verità. E Marta rivedeva, in una specie di visione magnetica, la bella campagna estiva, gli alberi frondosi ramificanti sopra lo sfondo azzurro e un meschino insetto che tendeva i suoi fili d'argento. Spezzato un filo gettava l'altro, e un altro ancora e ancora, sempre avanti, la tela prendeva proporzioni gigantesche, i fili abbracciavano tutto il creato, salivano ad altezze vertiginose, toccavano il cielo. Era la vasta tela della vita umana, il lavoro ogni giorno rinnovato di chi soffre e combatte; il lavoro temerario che poggia nel vuoto guardando arditamente la luce; lo sforzo immane di milioni di esseri, intelligenze torturate, cuori spasimanti, schiavi in pena, tutti sorgenti dalle loro catene, tutti lanciando il loro filo d'argento al misterioso Ignoto. E i fili si spezzano, e la tela si strappa e la felicità dondola sempre sospesa all'impalpabile bava di un aracnide. Che importa? Tutto muore, tutto nasce, tutto cambia, tutto si rinnova, le tombe scoperchiate servono di culla, i cuori insanguinati e piangenti danno nuovo sangue e nuove lagrime alla vita. Avanti, coraggio! FINE.

Pagina 185

. - Abbi pazienza - disse ancora, tornando all'attacco con una tenacità tranquilla, ma decisa - vi sono proprio alcune cose che io non arrivo a capire. Dimmi almeno questo. Quelle donne, le amavi? - Ma che! È un assurdo solamente il pensarlo. - E allora... Si fermò cercando la parola inutilmente e ripetè arrossendo: - Allora... come potevi? - Che diavolo! - esclamò Alberto gettando via il tovagliuolo. - Fa bisogno di amare per questo? Marta rimase impietrita, nè per quel giorno disse altro, ingolfandosi sempre più nelle sue astrazioni, concentrando tutta sè stessa verso quell'ignoto che sempre le sfuggiva, chiedendosi angosciosamente: Ma che cos'è dunque l'amore? Dopo suo marito e la signora Merelli, il dottorone era quegli che offriva maggior pascolo alla sua smania di sapere. Egli veniva quasi tutti i giorni a trovarla, ora montato sul trespolo della poesia, ora diguazzando nella prosa grossolana, ma originale sempre nelle sue opinioni; misto curioso del suo carattere che trovava un perfetto riscontro nella faccia dai lineamenti volgari, sensuali, tagliata a mezzo da un naso carnoso, sul quale gli occhiali avevano lasciato il solco, e illuminata in alto da una fronte larga, dove gli occhi brillavano con tutto il fuoco dell'intelligenza. - Per le donne oneste - egli aveva detto una volta, prendendo vivamente il braccio di Marta sotto il suo - l'amore non può essere che un dovere o, un peccato; un contratto stipulato, firmato, reso sacramento, reso dovere civile, eguagliato all'estrema unzione ed alla vendita di un podere; oppure uno strappo alle convenienze, alle leggi, alla religione, all'onore... Nel primo caso l'uomo furbo lo idealizza. Egli dice alle sue vittime: «Siete la gioia del focolare domestico, le depositarie del nome e dell'avvenire nostro, le regine della nostra casa; siete la pace, siete la sicurezza.» Potrebbe soggiungere: Siete il minor male che noi scegliamo dopo d'aver conosciuti tutti gli altri, siete la panacea delle nostre infermità, il letto di riposo dopo il letto di campo, la sinecura dei nostri vecchi giorni. Per cambio della vostra gioventù, del vostro candore, dell'ideale di tutta la vostra vita, noi che non abbiamo più nè giovinezza, nè candore, nè ideali, vi offriamo una cosa così comune, così facile, una cosa che trovereste sul canto d'ogni via, se noi non ce ne fossimo fatto un esclusivo monopolio, crescendola di valore col negarvene la libertà, sostituendo il decoro, il pudore, la virtù umana alle divine leggi della natura. E fin da bambine, all'età degli zuccherini, vi si fa balenare davanti agli occhi quest'altro zuccherino, ammonendovi «se ve lo meriterete con la docilità, la modestia, la pazienza, l'abnegazione...» Marta rideva, ma quando il dottore era partito meditava le di lui sfuriate filosofiche e una lieve tristezza, che non era ancora scetticismo, ma che già scalzava la fede, si deponeva nell'animo suo. Tutta sbigottita udiva una voce interna che diceva: Costui l'hai tu scelto in mezzo alla folla, od è piuttosto quello che ti presentarono, il solo che hanno potuto pigliare e che tu, perchè buona e docile, perchè aspettavi da tanto tempo, ti persuadi essere veracemente colui che deve formare la tua felicità? Si disperava allora, correndo inquieta per la casa, urtando sempre nella freddezza dolce di Alberto che non comprendeva nulla di queste agitazioni, che le compativa però, suscitando così mille rimorsi nella coscienza di Marta; per cui ella si gettava di nuovo fra le braccia di suo marito singhiozzando.

Pagina 49

Una peccatrice

249586
Giovanni Verga 3 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
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. - Credo che tu abbi ragione in quanto alla risposta; e che tu dica una bestialità, ciò che fai spessissimo, in quanto a quello che mi vai cantando di accalappiamenti e di poverette... - Pietro... - Lasciami tranquillo, ti dico!... Ci credi sul serio dunque che a quest'ora Maddalena, la piccina, come la chiami, pianga e si disperi perchè non le scrivo più, perchè la sera, onde aspettarla sotto il verone, non rischio più di farmi gettare delle immondezze sul capo da qualche serva maligna, che finga di non vedermi, e perchè non do più lo spettacolo ai vicini, che si mettono ad origliare dietro le imposte, di quelle freddure che si ricantano sempre sullo stesso tuono: buona sera; come stai? mi ami sempre? non quanto me... ecc. ecc. poichè le varianti sono pochissime!! ln fede mia che ne ho abbastanza di tali amori da quindici anni!!.. se mi avesse permesso di salire un momento sulle scale... pazienza!... - Sì, Pazienza per altri otto giorni! la sarebbe finita come tutte le altre... Eppure ti assicuro che se tu l'avessi veduta piangere come io l'ho veduta; se ella ti avesse abbracciato i ginocchi come li ha abbracciati a me, per indurti ad andarla a vedere, a scriverle almeno... se tu avessi udito le parole ch'ella mi diceva!... - Parola d'onore! - esclamò sghignazzando Pietro, - che tu ne sei innamorato cotto. Va, Raimondo, amico mio, tu farai il tuo cammino, coi tuoi ventidue anni, i tuoi capelli biondi, e il tuo volto fresco e roseo. Il biondo prese quegli scherzi come li prendeva sempre, dalla parte che lasciano ad un uomo di spirito, ch'è quella di riderne pel primo, e riprese: - Se così fosse, confessa che mi saresti molto obbligato di averti sbarazzato di una noia, senza i ritornelli soliti di traditore, Iddio è giusto, ecc. Pietro ne rise esso pure, e strinse con effusione la mano del suo amico. - Sentimi, caro Raimondo; - diss'egli alquanto gravemente; - io non son di quelli che dicono: fo così perchè così fanno gli altri. Mi sento troppo superiore a questi altri per seguirne l'esempio. A diciott'anni è permesso credere ancora all'amore, alla fedeltà, alla donna tipo, eroina, come impastocchiano gli sfaccendati nei romanzi... A ventiquattro (è desolante quello che dico, ma non è men vero) si è scettico come lo scetticismo, quando cento volte si sono ascoltate le più appassionate proteste, fatte colle lagrime agli occhi, dalla donna che ha in saccoccia la lettera del rivale. - É curiosa! - interruppe Raimondo. - Che cosa? - Come ti hanno guastato i romanzi di Sue; tu, accannito avversario dell'esagerazione della scuola francese, e che ora mi copii sì bravamente l'Uomo stufo a ventun'anni, lo Scipione del Martino il Trovatello... - Non copio io! - disse Pietro quasi con asprezza; - ti dico soltanto quello che penso. Ti dico anche che darei qualche cosa del mio avvenire per possedere ancora le illusioni sì care de' miei diciassette anni... Tu conosci la mia vita, Raimondo!... Ti ricordi di una giovanetta che amai alla follia... Che fece quella giovanetta per la quale avevo pianto... ne ho vergogna anche a pensarci... pianto dinanzi a te... come un fanciullo... come un vile?! ... Ella m'ingannò per un mercante; poi; poi per un nobile, per un uomo ammogliato... E questa donna, che avea dato appuntamento per la sera al suo amico, che ascoltava tremando le ore che segnava l'orologio del salotto, poichè temeva ch'io m'incontrassi con lui, abbracciava i miei ginocchi, come ieri Maddalena abbracciava i tuoi; mi supplicava colle lagrime più ardenti, colle carezze più tenere, cogli accenti più deliranti di non lasciarla sì tosto, di non lasciarla in collera, poichè s'era accorta ch'io avevo sospetto di quello che dovevo vedere mezz'ora più tardi... Dopo amai una maritata; credei che una signora che rischia di romperla colla società, e colla sua felicità istessa, dovesse molto sentire quest'affetto, al quale sacrifica il suo decoro, la pace domestica, e, presso di noi, fors'anche la vita... Quindici giorni dopo, a caso, in una festa da ballo, seppi, da uno di quegli amici che s'incontrano dappertutto, che da tre giorni egli era in relazione con quella signora... e le espressioni appassionate di lei, che egli mi citò, erano le stesse di quelle che aveva impiegato per farmi credere al suo amore... In seguito amai una fanciulla... pura siccome un angiolo: come direbbe il il signor Darmont nella Traviata; ella aveva tutto ciò che può far credere alla purità del cuore: distinzione d'educazione, coltura d'ingegno, bontà di sentimenti... Io l'amai come un pazzo, quella fanciulla dal viso pallido e dagli occhi cerulei... Scesi persino alle puerilità del collegiale... passare sotto i suoi veroni, seguitarla al passeggio e in chiesa... Quella giovanetta rispose finalmente alle mie lettere, mi promise amore e fedeltà, nell'istesso tenore, suppongo, in cui l'aveva promesso sei mesi prima ad un giovane che sposò alcune settimane appresso... E dopo questo, dopo innumerevoli esempi, che ogni giorno cadono sott'occhio, credi che si possa più averi fede nell'amore propriamente detto, in quest'amore chiesto o giurato spesso col rituale alla mano, senza passare almeno per uno scolare di primo anno? - Ti rispondo colle tue parole: Credo che abbi ragione almeno per metà; ma confessa che per l'altra tu esageri un pochino, lasciandoti trasportare, al solito, dalla tua immaginazione. - Può essere anche questo; - rispose sorridendo il giovane; - del resto colla Maddalena l'ho rotta tranquillamente o diplomaticamente, come vuoi meglio. Infine vuoi una parabola per convincerti? - Fuori la parabola! - Ecco! - e Pietro trasse dal suo portasigari, che avea trasformato anche in portafogli e portamonete, un bigliettino in carta profumata ed involto in una sopracoperta piccolissima color rosa; colla stessa flemma ne prese un sigaro ed un fiammifero. Acceso il foglietto, cominciò accenderne tranquillamente il sigaro. Raimondo ebbe il tempo di leggere le ultime frasi assai tenere del bigliettino, scritto con quel carattere minuto ed uguale che sembra particolare alle signorine distinte, firmato in basso colle sole iniziali. - Hai veduto? - gli domandò Pietro trionfante, buffandogli in faccia il fumo azzurrognolo del sigaro. - Ho guardato ma non ho visto, come il cieco della Bibbia. - È semplicissimo: vi è un detto celebre: Fumo di gloria non val fumo di pipa: ciò che in parentesi dimostrerebbe che le mie più belle produzioni-erba non valgono il fumo delizioso di questo regalia; io ne faccio un altro: Amor di donna, e d'uomo, se si vuole, non dura piú di cenere di carta, o biglietto amoroso... o sigaro regalia. Spero di farmi nome almeno coi proverbi... giacchè non l'ho potuto con opere di maggior lena... Ma guarda laggiù, imbecille!... - Che c'è? - Cospetto!... la signora che incontrammo l'altra volta alla Villa! - È vero. - Che donna... Perdio!... - Non è poi quella maraviglia che mi vai cantando... - Non ho parlato di maraviglie. Ti dico semplicemente che a Catania, e in tutta Sicilia anche, son poche le donne che sappiano recare così bene il suo pardessus reine-blanche, e che sappiano appoggiarsi con tanta grazia al braccio di quel briccone in guanti paglia e pince-nez che ha la fortuna di premere quel polsino contro le sue costole. Essi passarono quasi rasente a quella donna, che questa volta non li vide, o fece le viste di non vederli, e che sorrideva del suo riso incantevole al suo cavaliere, mentre gli parlava. - Hai udito che bella voce! - esclamò Pietro, premendo il braccio del suo compagno; - all'accento mi parve torinese... lo adoro tutto il Piemonte in questo momento... - Eppure veduta dappresso non è bella... - È adorabile, se non è bella! Essa non ha la bellezza regolare, compassata, che direi statuaria, e che non invidio ai modelli dei pittori; ma ha occhio che affascina, e sorriso che seduce carezzando, quando questo fascino ci può fare atterrire coi suoi brividi troppo potenti. Questa donna alta e sottile, di cui le forme voluttuosamente eleganti sembrano ondeggiare lente e indecise sotto la scelta toletta che le riproduce con tutta l'attrattiva vaporosa delle mezze tinte, ha tutte le perfezioni per poter coprire ed anche far ammirare come pregi altre imperfezioni; questa donna che ha bisogno di tutta la delicatezza e la bellezza di contorno del suo collo da inglese per non far troppo spiccare la piccolezza della sua testa da bambina; di tutta la flessibilità della sua vita per far dimenticare l'estrema sottigliezza del suo corpo; di tutta l'abbagliante bianchezza dei suoi denti per fare una bellezza della sua bocca alquanto grande, con cui ella sorride sì dolce cha sarebbe a desiderarsi di vederla sempre sorridere; che si serve di tutte le ombre, di tutti i riflessi più lucidi, più belli, più azzurrognoli dei suo magnifici capelli neri per nascondere che la sua fronte è alquanto larga ed alta del soverchio di tutta la limpidità dello sguardo dei suoi occhi, infine, per farne ammirare la pupilla di un riflesso molto chiaro; questa donna mi colpisce mille volte dippiù coll'effetto direi strano, sorprendente, poichè rubato a Dio, della sua beltà... Io non potrei giammai esprimerti l'effetto che mi fa questa bellezza, che non è tale che quasi per un miracolo, poichè non ha nulla per esserlo, ed in cui tutto sembra formare un assieme di grazia e di incanto; questa bellezza che ha bisogno di tutte le risorse della toletta, di tutte le seduzioni dei modi e dell'accento, di tutto l'incanto dello sguardo e del sorriso, per circondarsi di questo vapore trasparente... illusorio, lo confesso, che la fa bella però, che la fa adorabile, poichè sembra non farla vedere che in nube, attraverso l'incenso e l'orpello; questa bellezza che vuol essere tale a dispetto della natura che l'avea fatta comune; questa figura plastica che non ha di bello che gli elementi, direi, per divenir tale, e lo spirito creatore che fa nascere tutte le grazie di cui si circonda; che si mette allo specchio donna per sortirne silfide... maga... sirena... - To... to... to!... Pietro, amico mio, ne saresti innamorato?... - lo! - rispose il giovane scrollando le spalle, come cadendo dalla sua esaltazione, - sei pazzo! - Eppure tutti i pregi di costei non valgono un solo di Maddalena. Venti ancor più belle di lei non farebbero un angioletto così bello e perfetto qual è la piccina, come mi piace chiamarla; che pure hai abbandonato senza un pensiero. Pietro fissò uno sguardo sull'amico, poi un altro sulla signora ch'era già molto lontana, e rispose semplicemente, abbassando il capo: - Maddalena non sa neanche annodarsi il nastro del cappellino come colei. - È graziosa! - esclamò Raimondo. - Dunque ameresti dippiù una donna che avesse bisogno, per essere amata, d'impiegare prima due ore allo specchio? - Sì, lo confesso... Chiamala anche civetteria, o ciò che vuoi; nella donna che dovrei amare io vorrei tutte queste cure minute, tutte queste precauzioni delicate, tutte le perfezioni dello spirito e le squisitezze dell'educazione, tutti questi dettagli dell'assieme, insomma, che servirebbero a formarmi l'aureola della donna che dovrei avvicinare colla riverenza e il delirio dei sensi, che tal prestigio dovrebbe recarmi, poichè a riverenza del cuore io non l'ho più. Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso... tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta.. tutto ciò che può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore m'inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest'essere non è come il mio, debole e creta... E allora io l'amerei... un giorno, un'ora, ma l'amerei... Quanto alle altre donne, le amerò allorchè scoprirò un cuore nella donna. Pietro, dopo questa scappata, rimase muto alcuni altri secondi, aspirando voluttuosamente, colle narici dilatate, il fumo del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua imaginazione. Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando: - Che ne dici della mia tirata, Pilade? - Non è cosa nuova in te. Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta. - Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi... - disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d'amarezza. - Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano... Io, povero sciocco, che m'ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque... eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più... fossero anche di cavoli. Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l'incolpabilità delle azioni umane rimarebbe sugli scritti dei penalisti: ecco che, almeno una volta, parlo da saggio... - Ed anche il merito delle azioni umane, in tal caso... E tu sei superstizioso in quest'idea? - Al fanatismo! - Ma se tu fossi destinato ad amare quella donna, che non hai veduto che due volte, in passando?... Pietro cominciò dallo scrollare le spalle, al solito; indi rimase alcuni minuti in silenzio, e disse tristamente, come se quell'idea gli facesse pena o paura: - Chi lo sa!?...

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Narcisa... lo non so quello che tu abbi stasera; ma se ciò può farti piacere quantunque io senta tutta l'inutilità di tale promessa... se ciò può servire a calmarti... ebbene!... io te la do. « - Oh! grazie, grazie! - esclamai baciandolo in fronte, con un doloroso trasporto; - grazie!... Io sarò più tranquilla!... potrò almeno godere senza sospetto questi giorni di felicità che puoi darmi... « - Narcisa!... per pietà!... « - Oh, no... Pietro! non vedi che son felice ora?!... «Egli rimase triste e pensieroso lungo tutta la strada. «Io provavo un inenarrabile godimento nell'appoggiarmi al suo braccio, nel sentire palpitare contro il mio polso quel cuore che ancora palpitava per me. Tre o quattro volte alzai gli occhi su quel volto maschio ed energico che adoravo, che divoravo dello sguardo, come se fossi avara del bene che possedevo ancora di saziarmene. « - Confessiamo: - disse Pietro nel salire le scale della casa ove andavamo, sorridendo ancora con una lieve tinta di mestizia, come per scacciare la penosa preoccupazione che ci aveva invaso ambedue; - confessiamo che siamo pure i gran fanciulli, e che i nostri discorsi sono stati ben singolari per due innamorati che vanno ad una festa da ballo. «Respirai più liberamente quando la carrozza ci trasportava rapidamente verso la nostra abitazione: mi parea d'essermi levato un gran peso dal cuore col togliermi quella maschera di convenienza che la società esige, e che, quella sera, in mezzo a quella splendida folla, mi era sembrata odiosa. «L'indomani Pietro si rimise a studiare di lena, come non l'avevo mai veduto lavorare. Io passavo i giorni nel suo gabinetto di studio, disegnando o sfogliando i fiori dei quali era sempre piena la giardiniera che contornava il suo tavolino e dei quali spargevo le foglie sulla carta in cui egli scriveva; o, quand'egli lo voleva, andavo al pianoforte e gli suonavo il pezzo che domandava. «Egli usciva sempre la sera per darsi un poco di distrazione, che le occupazioni assidue del giorno gli rendevano necessaria. Qualche volta l'accompagnavo. Una sera volli rimanere in casa per vedere ciò che avrebbe fatto: uscì solo. «Quattro mesi prima sarebbe stato più avaro del tempo che avrebbe potuto passarmi vicino. «Di tratto in tratto egli si mostrava preoccupato, quasi triste... sembrava staccarsi con isforzo alle sue penose meditazioni per prodigarmi ancora quelle sue ferventi carezze, che mi fanno obliare in un bacio tutti i terrori dell'avvenire. «Non potevo esser gelosa... Alla festa, ove l'accompagnai, avevo veduto le più eleganti e belle dame sorridergli con quella grazia che dà diritti a sperare, prodigargli le più obbliganti attenzioni, e l'avevo veduto rimaner freddo e cortese innanzi a quelle attrattive, cercando avidamente il mio sguardo e il mio sorriso. Egli è troppo generoso e nobile per potermi parlare come mi parla e guardarmi come egli lo fa se il rimorso di un altro affetto lo facesse arrossire. No! il mio Pietro è troppo elevato per scendere sino alla dissimulazione... egli avrebbe piuttosto la forza brutale di abbandonarmi. «Eppure questa certezza, che per molte sarebbe una consolazione, per me è il più crudele disinganno, perchè mi toglie persino la speranza dell'avvenire... Quello che scrivo mi scotta le mani, come mi brucia il cuore... Avrei sempre la speranza di riavere il cuore di Pietro che si allontanasse da me per un'altra donna, poichè egli dovrebbe, tosto o tardi, accorgersi che giammai, giammai donna potrà amarlo come lo amo io, giammai simile amore potrà suggerire alla donna tutti gli incanti più raffinati per fargli bella la vita, per fargli sentire tutte le infinite percezioni di questo amore colle pulsazioni violente delle sue arterie... ma Pietro stanco del mio affetto, di me... Pietro disilluso del prestigio che mi faceva bella ai suoi occhi... io non l'avrò più!... mai... mai più!!... «Dio! Dio mio!... la morte... piuttosto la morte!... «Alcune notti egli è rientrato assai tardi... Ho udito che raccomandava di non far rumore per non isvegliarmi... come se avessi potuto dormire, io!... mentre soffocavo i singhiozzi nascosta dietro la portiera dell'uscio. «Oh, egli ha potuto pensarlo ch'io dormissi... prima che egli fosse ritornato!... «È desolante, è spaventevole tutta questa insensibile gradazione che ogni giorno sempre più assopisce nel suo cuore tutte quelle sensazioni minime, delicate, squisite, che la passione suscita e sublima, e che muoiono con essa... «È dunque morto il suo cuore per me... Dio mio?!... «No! egli mi ha parlato ancora di quelle parole, tenendo la mia mano fra le sue, fissandomi sempre del suo sguardo, che avea tutta l'espressione d'allora... Ma ciò non è durato sempre!... sempre!... a dissetarmi di questo bisogno ardente che ne ho!... «Quand'io gli parlo della sua tristezza, della sua preoccupazione, della sua freddezza sin'anche, egli si mostra qualche volta come impaziente, e dissimula appena una lieve tinta del dispetto che prova di non saper meglio nascondere le sue impressioni. Io leggo chiaramente nel suo cuore: egli ha ancora la generosità d'imporsi per me un sentimento che non prova, di nascondermi quelle illusioni perdute che egli si rimprovera come una colpa sua, colpa che però non ha, di cui il pentimento gli dà la forza di stordirsi nelle mie carezze sino alla febbrile e quasi ebbra eccitazione che può scambiarsi coll'esaltazione della passione. «Un giorno era uscito prima ch'io fossi levata, e avea mandato a dirmi che, invitato da alcuni amici, avrebbe desinato fuori. La sera non era ancora venuto a vedermi; verso le 9 feci attaccare, impaziente d'attendere più oltre, e andai a cercarlo dove sapevo trovarsi ogni sera. «Feci fermare il legno dinanzi il Caffè di Sicilia e mandai il piccolo jokey a cercarlo; egli si alzò subito da un crocchio d'amici, fra i quali era seduto, e venne a mettersi in carrozza con me. « - Ti chiedo mille scuse, mia cara, della noiosa giornata che ti ho fatto passare; - mi diss'egli; però distinsi nel suo accento una sfumatura d'impazienza. Io gli strinsi la mano, poichè ero assai commossa, e non risposi. «La carrozza attraversò tutto il corso Vittorio Emanuele e prese la stada d'Ognina. Fuori l'abitato volli scendere e prendere il braccio di lui. Il calesse ci seguì ad una cinquantina di passi. «Entrambi sentivamo di avere un penoso discorso da intavolare, che non avevamo il coraggio di incominciare, e che perciò ci faceva rimanere in silenzio. «Provava il bisogno però di parlargli, di aprirgli il mio cuore; per averne la forza pensai alle sere istesse passate al fianco di lui... sere di cui le rimembranze erano ancora palpitanti di piacere, e a misura che il mio pensiero le vedeva più vive, che il mio cuore batteva più forte, che i miei occhi si velavano di lagrime, io mi stringevo al suo braccio come fuori di me, come se avessi voluto con quella stretta attaccarmi a quel passato che idolatravo; infine non potei più frenare i singhiozzi. «Pietro si fermò in mezzo alla strada, commosso profondamente, ma non sorpreso da quella scena che forse si aspettava. « - Che hai dunque Narcisa? - esclamò egli, prendendomi le mani. « - Oh, Pietro! - esclamai infine, - tu non sei lo stesso di prima! No! tu non mi ami come prima!... « - Narcisa, tu sei folle coi tuoi dubbi penosi... Se non ti amassi come prima, potrei fare la vita che faccio?... «Queste parole, che cercavano di esprimere un pensiero consolante, erano dure per me: esse parlavano di quella vita che avea fatto la nostra felicità come di un sagrifizio. « - È vero adunque, - proseguii, - questa vita ti è penosa?!... tu sei stanco di farla?!... « - Ascoltami, Narcisa! - interruppe egli, stringendomi le mani, quasi avesse voluto infondermi forza per ascoltare quello che avea a dirmi, e raddolcire quanto vi poteva essere di amaro; non si può sempre vivere di questa vita che noi abbiamo fatto, che è la mia più dolce memoria, senza avere delle ricchezze, che io non posseggo, e neanche tu, e le possedessi, io non potrei accettarle da te; bisogna che io mi faccia una posizione, che risponda alle aspettative che si son potute basare sul mio primo lavoro, che è bello del tuo riflesso soltanto. Per ciò fare bisogna piegarsi un poco a tutte quelle convenienze che la società esige rigorosamente. Io ho dimenticato tutto per te, sei intieri mesi: gli amici, il mio avvenire, gli impegni assunti; anche una madre che adoravo, la più buona, la più santa fra le madri, che aveva pur diritto all'amore del figlio suo, e che sei intieri mesi non ha avuto una parola da lui, non l'ha abbracciato una volta... Oh, credimi, Narcisa... è colla più viva commozione, colla più profonda riconoscenza anche, che io rammento questi sei mesi d'amore... Ma perchè quest'amore istesso duri con tutti i suoi incanti bisogna che esso sia assaporato lentamente: in fondo all'ebbrezza che stordisce si trova presto la disillusione che uccide l'amore... ed io voglio amarti sempre, mia Narcisa! «Soffocai i miei gemiti col fazzoletto, e rimasi muta, pietrificata dinanzi a lui che mi stringeva ancora le mani, e mi fissava quasi avesse voluto leggere nei miei occhi. «Dio mio! quello che soffersi in quel punto, credo che non potrò soffrirlo mai più... neanche al momento... «Quand'ebbi la forza di parlare gli dissi tristemente, divorando tutta l'estensione del mio dolore per nasconderglielo: « - Se mi amassi ancora, come dici, non avresti mai proferito ciò... « - Narcisa! - replicò egli, tradendo una viva impazienza, - non son uso a mentire... mi pare... « - Oh no! tu non mentisci... o piuttosto tu vuoi ingannare te stesso, perchè hai pietà di me... Grazie, Pietro! « - Io avrei dovuto parlarti da qualche tempo su questo proposito, - mi diss'egli; ho temuto sempre di farti dispiacere, ed ho indugiato. Tentai di lavorare per adempiere in parte agli obblighi impostimi, ma ti confesso che nulla mi è riuscito.... Mia madre mi ha scritto molte volte le più calde preghiere perchè io vada ad abbracciarla... «Egli aveva esitato a proferire l'ultima frase, e l'avea poscia pronunziata colla precipitazione di colui che prende una risoluzione decisiva. «Mi aggrappai al suo braccio, poichè sentivo le gambe piegarmisi sotto. « - È giusto, - mormorai quindi a metà soffocata: - tua madre ha ragione!... «Ebbi il coraggio supremo di non piangere. Egli rimase muto, facendo sforzi visibili per dominare la sua commozione. « - Mi accorderai almeno quindici giorni prima di partire? - gli diss'io, gettandogli le braccia al collo, piangendo in silenzio. « - Oh! amor mio! - esclamò Pietro quasi con le lagrime agli occhi: - non credevo di essermi meritate tali parole!... « - Ebbene!... fra quindici giorni tu partirai per vedere tua madre!... «Volle abbracciarmi, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ma mi allontanai di un passo, supplicandolo colle mani giunte di non farlo. «Temevo di perdere la forza della mia risoluzione in quell'abbraccio, al quale mi sentivo spinta violentemente da tutte le passioni, suscitate sino al parossismo, che tumultuavano in me. «Egli rimase colpito e sorpreso da quell'apparente freddezza, e m'accorsi ch'era anche indispettito. « - Grazie! - mi rispose freddamente. «E rimase muto... E non una parola di più... Come se avesse temuto ch'io mi pentissi di ciò che gli avevo accordato. «Ripresi il suo braccio per continuare a passeggiare, mentre non avevo la forza di strascinarmi. Lo guardavo: era freddo, pensieroso, quasi cupo. « - Oh,Pietro - gridai quindi singhiozzante, non sapendo più frenarmi, avvinchiandogli Ie braccia al collo; - mi ami?... mi ami come prima?!... Oh, Pietro!.... una volta mi promettesti, mi giurasti... che mi avresti confessato quando tu non mi avresti amato più... come prima... Pietro!... confessalo che non mi ami più!... « - Narcisa! te ne supplico... queste parole mi fanno male! - m'interruppe egli impallidendo. « - Oh, per pietà!... per pietà, Pietro! Me, l'hai promesso... me l'hai giurato!... Sii uomo!... dillo, dillo che non mi ami più! «Invece di volere questa conferma al mio doloroso sospetto, attendevo, con ansia smaniosa, una parola in contrario, che avesse potuto farmi gettare nella sue braccia, delirante di passione. Egli esitò... egli non l'ebbe;... e rimase muto, immobile... come combattuto da un'interna tempesta. « - Non ha dunque cuore quest'uomo! - gridai come una pazza, dopo avere invano atteso, in una terribile angoscia, col petto anelante, le mani giunte, le lagrime agli occhi, quella risposta. Non ha cuore per comprendere quello che si passa nel mio, per farmi felice anche con una menzogna! avevo detto in quelle parole. « Quelle parole però mi perdettero. « Pietro non capì il vero senso appassionato, addolorato, ansioso, che dava loro il mio cuore in quello stato, proferendole; egli capì soltanto tutte quello che vi è di duro, di sprezzante, d'insultante anche - sì, d'insultante - in queste parole prese alla lettera, che parevano dire: Siete un vile! mentre avevano detto: Non avete pietà di me? «Egli si levò pallido, coll'occhio, un momento innanzi umido di lagrime, asciutto e quasi fosco, coi lineamenti duri e severi; egli... quest'uomo! ebbe la forza di dirmi colla sua voce più calma ed incisiva: « - È meglio forse che ci separiamo, Narcisa. «Ebbi paura di lui. «Non potrei mai riprodurre tutto quello che vi era di lacerante in quelle fredde parole che soffocavano in lui il risentimento, che fa supporre pur sempre l'amore, per esprimere la calma ed inflessibile decisione della mente. «Mi sentivo morire, e caddi annichilata sul muricciolo accanto alla strada; Pietro mi diede il braccio, mi sollevò, e mi strascinò quasi sino alla carrozza. «Là, inginocchiata sul tappeto, col volto nascosto fra i cuscini, piansi lagrime ardenti, disperate. «Ora che ci penso a mente più serena, io non risento tutto il pentimento di quelle parole delle quali gli chiesi perdono a mani giunte, colle espressioni più umili, e che mi parvero aver deciso la mia condanna; se Pietro mi avesse amato ancora, egli non avrebbe dato la significazione letterale a quelle parole;... se il suo cuore non fosse stato morto per me, egli non avrebbe potuto prendere quella risoluzione. «Era finita dunque per me!... per sempre!... Ed io, folle!... folle!... gli chiedevo ancora quella franca confessione che mi avevo fatto promettere in un delirio d'amore, come se le parole avessero potuto illudermi, quando tutto parlava in lui chiaramente. «Passai una notte d'inferno, lacerando coi denti il merletto dei guanciali inzuppati di lagrime. «Quando il chiarore incerto che penetrava dalle tende del verone cominciò ad oscurare il globo d'alabastro della lampada da notte, mi alzai, ancora vestita degli abiti che indossavo la sera scorsa... Esitai un istante prima di tirare il cordone del campanello: volevo illudermi ancora su tutta l'estensione della mia sventura. « - È alzato il signore? - domandai alla cameriera che veniva a prendere i miei ordini. « - Anzi Giuseppe, il suo cameriere, crede che non sia nemmeno andato a letto; poichè l'ha udito passeggiare tutta la notte. «Fui commossa profondamente; dunque anch'egli aveva provato tutta la lotta di quella disperata passione! «Mi acconciai allo specchio, con triste civetteria; non volevo accrescere il suo dolore colle tracce del mio; volevo attaccarmi a lui con tutte le risorse di quell'eleganza che egli aveva tanto ammirato in me; e passai nelle sue stanze. «Lo trovai che scriveva, seduto al tavolino nella sua stanza da studio, con un lume ancora acceso dinanzi, sebbene morente. «Oh, signor Raimondo, mi perdoni questi dettagli, sui quali insisto con il doloroso piacere che si prova a ritornare sui particolari di dolci malinconiche rimembranze. «I fiori che ornavano ogni mattina la giardiniera, situata a semicerchio attorno al suo tavolino, quei fiori fra i quali egli s'immergeva, direi, quando si metteva a scrivere, e che avvolgevano i suoi sensi in un vapore di colori e di profumi, e suscitavano mille indefinite percezioni nella sua mente; quei fiori dei quali egli avea detto di aver bisogno come dell'aria per lavorare e per pensare a me, erano appassiti; le tende delle finestre chiuse, sicchè eravi quasi buio nella stanza; attraverso l'uscio aperto della sua camera da dormire vidi il letto scomposto, colle lenzuola lacerate e cadenti a terra, ed un cuscino sul tappeto accanto ad una poltrona rovesciata. «Pietro mi voltava le spalle, colla testa appoggiala fra le mani; aveva dinanzi un monte di quaderni e di fogli di carta, dei quali alcuni lacerati; sul foglio che gli stava sotto la mano era scritta l'intestazione di una lettera e tre o quattro versi cancellati. Egli non mi udì avvicinare, e si riscosse bruscamente quando mi vide vicino a lui. Poscia si alzò e venne a stringermi la mano, sorridendo tristamente. « - Volevo venire a farmi perdonare le mie cattiverie di ieri sera... però non potevo supporti alzata a quest'ora. « - Non ho dormito, Pietro... - gli risposi colle lagrime agli occhi. «Egli volse i suoi in giro per l'appartamento, quasi avesse voluto nascondermi il disordine; li abbassò, e rimase muto. «Non aveva voluto confessarmi che ancor esso avea sofferto: sentii stringermi il cuore dolorosamente. «Venni ad appoggiarmi alla sua spalla, come nei bei giorni in cui sentivo un brivido percorrerlo allo sfiorargli il volto coi miei capelli, e lo guardai in silenzio, spalancando gli occhi per dissimularne le lagrime. Vidi lo sforzo ch'egli faceva per contenersi, baciandomi sulle labbra; ma quel bacio commosso non aveva il febbrile trasporto di una volta, che gli avrebbe fatto stringere il mio corpo fra le sue braccia fino a soffocarmi... Fu solo.. quasi triste.. « - Tu scrivi? - gli diss'io con un coraggio di cui non mi sarei creduta mai capace. «Come colto in fallo egli abbassò gli occhi sulle carte che gli stavano ammonticchiate dinanzi alla rinfusa, e rispose con un cenno del capo, quasi avesse dubitato di avere la mia forza. « - Scrivi a tua madre, Pietro... Le hai detto che fra quindici giorni sarai da lei?... «Questa volta egli non rispose e si recò la mia mano alle labbra. «Mi portai l'altra al cuore, per comprimerne i battiti, dei quali il rumore mi spaventava. «Oh, signor Raimondo... un uomo di ferro avrebbe avuto pietà di quest'agonia straziante, che mi affascinava però colla forza stessa del dolore, che mi strascinava a misurare tutta l'estensione della mia disgrazia... Pietro!... egli!.. non ebbe pietà di quest'agonia, che pure avrebbe dovuto indovinare dalla calma disperata del mio accento, dal tremito convulso delle mie braccia, che si appoggiavano alla sua spalla, dalla terribile tensione del dolore che inaridiva le lagrime sulla mia orbita... Egli non ebbe una parola... una sola!... o piuttosto non ne ebbe la forza... Egli rimase colle labbra fredde e tremanti sulla mia mano, che recava quella percezione al cuore come una stilettata, cercandovi forse la forza di rispondermi. «Un impeto cieco, disperato mi spingeva. « - Son venuta a chiederti una grazia, Pietro, - gli dissi; - questi ultimi quindici giorni che hai avuto la bontà di concedermi... io... io vorrei passarli in Aci-Castello... su quella bella spiaggia che visitammo sì spesso nelle nostre passeggiate notturne... Siamo al 28 di Ottobre, il 13 di Novembre partirai. «Speravo ch'egli soffocandomi dei suoi baci, avesse annullata la sua risoluzione della sera... Non fu nulla di ciò... « - Oggi stesso manderò Giuseppe ad affittarvi un casino: - mi rispose stringendomi le mani e figgendomi gli occhi in volto come cercandovi la spiegazione di quel desiderio; - e domani partiremo. Vuoi che usciamo assieme oggi? «Quella domanda fu il mio colpo di grazia: quando egli mi amava come un pazzo mi avrebbe pregata di non uscire; in appresso non mi avrebbe fatto quella domanda poichè non si sarebbe potuto supporre che l'uno di noi potesse uscir solo... negli ultimi giorni mi amava ancora abbastanza per non propormi una passeggiata come un compenso, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ciò che equivaleva a dichiararmela una compiacenza, come avea fatto in quel momento. «Mi voltai a cogliere un fiore da un vaso di porcellana per recare il fazzoletto alla bocca... Mi sentivo soffocare... Ebbi appena la forza di mormorargli: « - No... no... grazie... Non uscirò tutta la giornata... «Io stessa non udii il suono di quelle parole... Forse neanche egli le avrà udite... Uscii barcollando, operando uno sforzo supremo per dominare il mio dolore immenso, aggrappandomi alle tende che incontravo per non cadere... Nel mio salotto caddi su di una duchesse, annichilata. «Pietro passò al mio fianco tutto il giorno. Mi faceva una pena orribile a vedere gli sforzi che faceva per contenere la sua commozione, per combattere la lotta che ferveva in lui, per mantenersi saldo nella risoluzione che parea essersi fissata, e che quei momenti avevano fatto ondeggiare in lui... Egli fu amoroso con me, come si può esserlo sino ai limiti della commozione, senza il trasporto però della passione, di quell'amore caldo, cieco, irresistibile, quale egli me l'avea fatto provare, quale ormai m'era necessario per vivere, quale avrebbemi fatto dimenticare, almeno, per un'ora, in un bacio, tutta l'estensione dell'immensa sventura che mi percuoteva. «Egli non ebbe una parola, non una sola parola che alludesse alla nostra separazione; ma neanche un'altra che la facesse mettere in dubbio. «Un momento mi parve cattivo e spietato quell'uomo che non mi amava più. «Poi gli baciai le mani, delirante, piangendo a calde lagrime; gli avvinchiai le braccia al collo e lo soffocai quasi fra le mie lagrime e i miei baci, come se avessi voluto farmi perdonare la triste impressione di quel momento. «Giammai! giammai io ho amato Pietro di quest'amore immenso, frenetico, divorante di cui l'ho amato in quel punto... «L'indomani partimmo per Aci-Castello. «No! se anche scrivessi questi versi col sangue che tale tortura ha stillato dal mio cuore, io non potrei arrivare a descrivere tutto lo strazio ineffabile di quest'agonia immensa che è durata 15 giorni; in cui ho dovuto divorare lo mie lagrime; soffocare gli urli disperati del mio cuore, perchè m'impedivano di vedere, di sentire come ogni ora di più il cuore di lui s'allontani dal mio; come quelle sensazioni impercettibili, che formavano l'amore sovrumano di cui quest'uomo mi adorava, vadano morendo in lui... lo non potrò esprimere quello che ho provato di orribile in tutta l'intensità del dolore, quando, con la terribile lucidità che mi dà la mia angoscia, ho letto chiaramente in quel cuore... troppo chiaramente, per mia sventura!... la sorpresa, la tristezza di lui, direi anche, il rimorso delle perdute illusioni del suo amore di un tempo che cerca invano... lo l'ho veduto quell'uomo, quel cuore, chiudere gli occhi, immergersi nel vortice delle più tempestose carezze, soffocarmi coi più febbrili trasporti... frenetico... furibondo quasi, cercando quelle illusioni che avea adorato in me... e nulla!!... nulla!!... e staccarsene pallido, annichilato... quasi piangendo come un fanciullo, guardandosi attorno come smemorato, come cercando ancora quelle sensazioni che non sa più trovare in me... e che io!!!... disgraziata!!... io non posso più dargli!!... «Oh, signore! nessuno!... no! nessuno potrà mai arrivare a comprendere la sublime agonia di quell'istante! «Dio!... Dio mio!... se impazzissi! «No! Dio non è giusto! No! Dio non ha pietà di questo dolore sovrumano! «Pietro è triste, malinconico ogni giorno di più, la pietà istessa che risento di me, di quest'amore di cui l'amo, ch'egli comprende, e del quale non può contraccambiarmi, malgrado tutti i suoi sforzi generosi, questa pietà lo distacca da me, lo fa fuggire, come se temesse di trovare un rimorso nei miei occhi, che, Dio sa con qual coraggio gli nascondono quello che si passa in me. Egli è sdegnato contro se stesso e dolente della simulazione che deve imporsi per compassione di me, delle menzogne che deve giurarmi col volto cosperso del rossore della vergogna. La notte lo sento passeggiare spesso sino all'alba, ora in cui parte per la caccia, e non ritorna che a sera, stanco, spossato, come se avesse voluto nella stanchezza dei sensi addormentare il rimorso del suo amore perduto, e trovarvi una pace che la tempesta delle sue passioni non gli accorda giammai. Eppure, dopo queste corse che hanno gonfiato i suoi piedi, che hanno logorato le suo forze sino alla prostrazione, egli non trova sonno nel letto... egli si stanca ancora a passeggiare per la sua camera... «Qualche volta ho trovato l'indomani il suo fazzoletto e i suoi guanciali umidi: al sapore acre ho conosciuto che erano lagrime... «Lui! questo carattere orgoglioso e forte, quest'uomo di ferro... ha pianto!... ha pianto di dolore, di rimorso, di rabbia, per quest'amore che gli sfugge, che vorrebbe imporsi. «No!.. tale martirio non può durare per entrambi... Io sarò forte!... sì, quest'amore istesso me ne darà la forza. «Morire, mio Dio! morire nelle sue braccia almeno... addormentata dalle sue carezze!... «Abbiamo passato 13 giorni su questa spiaggia che mi sembra deliziosa, malgrado le ore crudeli che vi ho provate. Si dice che il dolore rende fosche le tinte più brillanti del luogo ove si prova... Anch'io ho sentito ciò altravolta; ma quì, in questi ultimi giorni, questi luoghi io li ho amati nei loro minimi particolari; forse perchè mi è caro anche il dolore di quest'agonia che posso provare vicino a lui. «Nel momento in cui scrivo per parlare di lui, per illudermi con lui... sola, di notte, nella mia camera da letto... vedo, attraverso le tende della mia finestra aperta, sbattute dal vento tempestoso di questi ultimi giorni d'autunno che spoglia gli alberi delle foglie, la massa antica, imponente, severamente e grandemente poetica del vecchio e rovinoso castello che pende da una balza suI mare; coi suoi muri massicci e screpolati, sui quali stridono i gufi in mezzo alle ginestre che vi germogliano, che disegnano Ia loro massa bruna su questo cielo trasparente ove risplende la più bella luna del mondo; con questo mare immenso, lucido, che da questa lontananza sembra calmo e lievemente increspato e che muggisce colla sua voce potente fra i precipizii dell'abisso che circonda le fondamenta del castello. «L'altro giorno volli vedere questo castello a metà distrutto, su cui sembra talvolta vedere ancora passeggiare le scolte luccicanti di ferro fra i merli dei torrioni; che mi fa vivere in mezzo agli uomini di una volta che l'hanno abitato coi vivi ricordi che tramanda e che sembrano infondersi incancellabilmente alla sua vista. Pietro volle dissuadermene, dicendo che la strada per giungervi era molto pericolosa per una donna. « - Non sarai tu con me? - gli dissi, come se mi fosse stato impossibile un accidente vicino a lui, o come se quest'infortunio avessi dovuto amarlo, dividendolo con lui. «Egli... costui, cui l'amore avea dato squisite percezioni, cui avea fatto oprare un miracolo di genio e di sentimento nel suo dramma, capì appena tutto il senso di quelle parole. «Mi diede il braccio, come per nascondermi il suo imbarazzo, e mi accompagnò alla salita che precede l'ingresso della rocca. «I muri della torre principale che guardano il paesetto, sembrano di un'altezza smisurata, guardati dal basso, in quel punto, elevati come sono su di un immenso scoglio che dalla parte del mezzogiorno sospende le sue torri sul mare. Due tavoloni di querce sono gettati su di un arco in rovina per traversare l'abisso orribile che si stende al di sotto, in fondo al quale mormora il mare di un sordo rumore, e che fa venire le vertigini al solo guardarlo. «Pietro passò innanzi e mi porse la mano raccomandandomi di non guardare il precipizio per non avere la vertigine; all'incontro io provavo un'affascinante sensazione nel mirare quella gola oscura, a quasi duecento piedi sotto di noi, ove, fra le acute punte degli scogli, biancheggiava la spuma minuta delle onde rotte e imprigionate nella caverna, su cui l'assito che ci sosteneva si piegava sotto il peso dei nostri corpi scricchiolando. «Se cadessimo,qui, abbracciati! - esclamai io quasi involontariamente, stringendo la mano di Pietro che mi guidava. «Mi pareva più dolce quella morte; e preferibile alle torture che provavo, e che supponevo anche in lui. « - Quale pazzia! - mormorò egli stringendo il mio braccio, come per prevenire l'effetto di un capogiro, e accelerando il passo, che avea reso ardito e sicuro, quasi per garantire la mia vita ch'eragli sospesa. «Egli non ha detto: Che cara pazzia!... Ha detto semplicemente: Quale pazzia!... «Ho veduto dalla sommità di quelle torri questo mare azzurro che si confonde con il ceruleo dell'orizzonte, che si stende nella sua grande immobilità in lontananza e freme e spumeggia ai miei piedi; ho veduto quelle barche che sembravano giocatoli da quell'altezza, quel litorale sparso di ville e di paesetti, e Catania... Catania ove Pietro mi aveva tanto amato... «Vi fissai un lungo sguardo, non avvertendo le lagrime che bagnavano le mie guance. « - Che guardi? - mi domandò egli, come se mi avesse domandato: Perchè piangi? « - Catania! - risposi colla voce ancora tremante. «Egli sentì forse tutto quanto vi era di passione e di rimembranze in quella parola; e lo provò anch'egli fors'anche in quel momento, poichè soggiunse, come cedendo ad una generosa risoluzione: « - Vuoi che ritorniamo a Catania? «Non risposi e restai cogli occhi umidi e fissi sul golfo in fondo al quale biancheggiavano le cupole che indicavano la città, appoggiandomi al braccio di lui. Sentivo quanto vi era di nobile sacrifizio in quella proposta; ciò ch'escludeva l'amore, ch'era quello che mi bisognava. « - Dov'è Siracusa? - domandai poscia, come non accorgendomene, cedendo ad un intimo impulso. «Pietro mi additò un punto tra mezzogiorno e ponente, dietro il Capo Passaro che si vedeva distintamente, ove dovea essere il suo paese natale. « - Perchè non mi conduci a Siracusa piuttosto? - gli dissi gettandogli le braccia al collo, singhiozzando e fissando nei suoi i miei occhi brillanti di lagrime. Egli abbassò gli occhi, baciandomi le mani, e rispose, dopo avere esitato un istante: « - Se lo vuoi... « - No! Io non lo voglio... Ciò che io voglio è il tuo amore! il tuo amore sfrenato, ardente, quale lo sentivi per me, quale cerchi ancora come smanioso e non sai più trovare, quale io spero qualche volta illudendomi, e tento tutte le occasioni per travedere in te... e non m'accorgo, pazza, disgraziata ch'io sono, che tu non lo trovi... che tu hai la generosità, la nobiltà di fingerlo meco; ciò di cui senti rimorso;... e che tutto... tutto!... perfino le tue carezze, perfino i tuoi sacrifizii mi dimostrano che tu non senti più per me... « - Partiamo! - soggiunsi poco dopo strascinandolo pel braccio, soffocando l'emozione che sentivo prorompere nell'eccitazione della corsa, poichè mi sentivo morire. «L'ultimo raggio di sole rischiarava ancora i merli della più alta torre, e nell'abisso che dovevamo traversare era buio profondo; e gli echi ne erano mugghianti; e gli sprazzi di spuma biancheggiavano come giganteschi fantasmi. «Un momento mi sembrò che l'immenso fascino di quello spaventevole abisso attraesse l'abisso doloroso del mio cuore; che quei bianchi fantasmi mi stendessero le braccia come a prepararmi un letto eterno che dovesse accogliermi assieme all'uomo che adoravo tanto più freneticamente quanto più lo vedevo allontanarsi da me... Un momento il mio piede si stese sul precipizio e la mia mano strinse più forte la sua per allacciarlo in un modo che nulla sarebbe valso a rapirmelo mai più... « - No! no! gridò il mio cuore gemente: no!... ch'egli viva! ch'egli sia felice!... io non potrò mai essergli grata abbastanza dei giorni che mi ha dato, dei sacrifizi che ha avuto la bontà d'imporsi per me!... Ch'egli sia felice... anche con un'altra!... « Un'altra!... Ecco quell'idea terribile, sanguinosa, che mi ha attraversato il cuore come un ferro infuocato, e alla quale non avrei forse saputo resistere se ci avessi prima pensato... «Mi avvidi, quasi con gioia, come se fossi stata salvata da un immenso pericolo, che camminavamo sul selciato della strada. «Una o due volte, in quella notte agitata e febbrile passata al davanzale della mia finestra, ho avuto dei momenti di speranza, d'illusione, speranza tale che mi faceva mettere dei gridi di gioia, che mi faceva comprimere le tempia fra le mani, quasi le arterie che battevano di felicità, minacciassero di sconvolgermi la ragione... Egli mi avea proposto di accompagnarmi a Catania!... egli aveva avuto forse un istante d'amore per me!... dell'amore di una volta!... «Oh! Dio! Dio!... morire almeno in tal momento!... «Ieri volli uscire con lui; volli fare una passeggiata in barca. Egli prese i remi, ed entrambi, soli, ci cullammo nella piccola barchetta da pescatori su quelle onde azzurre come il cielo. «Quand'egli è solo, pensieroso, vicino a me... provo un momento di dubbio, d'incertezza... Mi pare di sperare, mi pare di averlo mio! tutto mio!... e che nulla abbia potenza di strapparlo all'amplesso frenetico delle mie braccia. «Appena fummo al largo egli lasciò i remi e venne a prendere la mia mano. «Lo guardai come non l'avevo mai guardato: sentivo che non potevo amarlo di più di quanto io l'amavo in quel momento; mi pareva impossibile ch'egli dovesse lasciarmi il dopodomani. «Egli baciava le mie mani, e sostava per guardarle in silenzio, come se avesse temuto di alzare gli occhi nei miei, e per tornare a baciarle... Le sentii umide delle sue lagrime. « - Pietro! - esclamai palpitante di una sublime emozione, mentre tutti i pori del mio cuore si dilatavano ad assorbire le inebbrianti emanazioni di una lusinghiera speranza; - ieri ti pregai di condurmi a Siracusa!... con te... «Egli non potè più frenare il pianto, e scosse la testa tristamente. « - Impossibile! - mormorò con un soffio appena intelligibile. « - Impossibile?... - ripetei radunando tutte le forze di cui mi sentivo capace; - e perchè, Pietro?!... « - Oh! grazia! grazia, Narcisa! - singhiozzò egli stringendomi fra le sue braccia, nascondendo la sua testa nel mio petto: - grazia!... io sono molto vile!!... «Era orribile a vedersi l'angoscia disperata di quel volto energico, l'annichilamento completo di quel carattere di bronzo. « - Sì, io son vile! io son colpevole! io sono infame!... - seguitò con voce delirante: - oh! grazia, Narcisa!... «L'amavo tanto che non sentii tutto lo spasimo sublime che quelle parole mi facevano provare: ebbi soltanto pietà di lui. «Lo abbracciai; piangendo anch'io; tremando convulsivamente del suo tremito; mischiando le mie labbra alle sue. « - Dillo! Pietro... dillo! - gridai con disperato sforzo di volontà, - tu non mi ami più!... tu non mi ami più come prima! «Egli rimase abbattuto, in silenzio, sulla panchetta della barca. «Quel silenzio durò cinque minuti. «Quando risollevò il volto fui atterrita dallo spaventevole pallore che copriva i suoi lineamenti solcati profondamente. « - Ascoltami, Narcisa! - cominciò egli con voce solenne, quasi calma: - io ho un sacro dovere di gratitudine verso di te... dovere che mi fanno care le reminiscenze che non potrò dimenticare giammai, e che formano ora il mio inferno... Eppure, te lo giurò sul mio onore, io non mi trovo colpevole... no!... che soltanto queste reminiscenze mi restino ora vicino a te... Tu hai il diritto di disporre di me, in tutto... Io sacrificherò al dovere quello che avrei sacrificato all'amore, e farò quanto è possibile all'uomo per renderti la tua felicità. Ho tanto provato di sì immenso nella voluttà del godimento, nel delirio dell'esser felice che forse all'uomo non è concesso di godere... e Dio mi punisce col soffiare su tutte quelle sensazioni che formavano il mio amore... che cerco invano da due mesi... e spegnerle per me. Nel tremito ardente dei tuoi labbri sul tiepore della tua pelle rosata, nelle nervose e convulse pressioni delle tue braccia, nel delirio fervente delle tue carezze; ho cercato invano un atomo, un atomo solo, di quello che provavo d'arcano, d'indefinibile, di più che terreno, quando, seduto sul lastrico della. strada, ti vedevo al verone, ciò che formava il delirio dei miei sogni; che nei primi trasporti del possederti, quando mi pareva di divenir folle per la felicità dell'amor tuo, io provai sino a quel parossismo del godimento che ci annienta, direi, nel godimento istesso, e che ci lascia sbalorditi della sua estensione. lo ho cercato invano questo profumo, questo vapore che ti circondava d'incenso come gli angeli, e in cui non osavo immergermi per timore di perdervi la ragione o di perdervi l'illusione... È duro, è crudele quello che dico... ma tu hai mente per apprezzarlo e cuore per perdonarmelo... come mi hai perdonato tutto quello che ti ho fatto soffrire da due mesi, che mi son rimproverato, e di cui il rimorso mi lacera... Quello che io piango, Narcisa, è l'amore che ho provato e che non posso più trovare... che cerco assetato per inebbriarmene, poichè la sete che ne ho è ardente, divoratrice, e che mi fugge sempre dinanzi come un fuoco fatuo... Io avrei paura, rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di quest'amore... e che tutto questo tesoro di diletti che trovasi in te, di cui m'abbeverai forse sino all'ebbrietà, non vada perduto dell'intutto per me! Oh! io ho paura di ciò, Narcisa!... poichè la speranza di riamarti un giorno come ti ho amato, m'impedisce che mi bruci le cervella, non avendo più nulla a godere sulla terra. Bisogna che io mi allontani da te per qualche tempo, ch'io torni a dubitare della felicità che ho goduto... ch'io dubiti della speranza fin anche di questa felicità, per esser pazzo di te come ero quando passavo le notti innanzi la tua casa senza sperare un'occhiata da te... bisogna che io ti vegga ancora lontana da me, in mezzo allo pompe del tuo lusso, all'incanto delle tue seduzioni, per cercarti ansioso, cieco, folle, come allora; e stendere le braccia, delirante, invocando un altro sorso di questa coppa fatata... a cui fui tanto stolto da bere troppo... «Egli non potè più proseguire, soffocato dalla violenza della sua commozione; tenendosi il petto colle mani increspate da una violenta contrazione; inginocchiato ai miei piedi; coll'occhio luccicante di una fosca luce sul pallore quasi tetro del suo volto; coi capelli irti sulla fronte madida di freddo sudore. «Quest'addio che quel cuore mi dava era grande, era sublime, come l'amore di cui m'aveva amato. «Lo sollevai fra le mie braccia; lo baciai in fronte, sentendomi ancor io fredda di sudore ghiacciato, provando una forte risoluzione che quelle parole infondevanmi, la quale correva al cuore, quasi con gli smarrimenti di una vertigine, insieme al sangue che da tutte le vene vi affluiva. « - Addio dunque! - gli dissi con una calma nella voce della quale io stessa ero atterrita: - Addio, Pietro!... «Egli cercò i miei labbri coi suoi freddi, tremanti d'angoscia e di voluttà. « - Addio!... gli mormorarono ancora i miei labbri palpitanti nei suoi. - E svenni fra le sue braccia.

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. - Ti fo riflettere che non ho ancor fatto colazione; abbi dunque la bontà di concedermi dieci minuti. I due amici entrarono dai fratelli Guerrera. Mezz'ora dopo erano alla Villa. Faceva molto caldo. Il Laberinto era delizioso colle sue ombre profumate di fior d'arancio, I due sedettero all'ombra, e quasi contemporaneamente alzarono gli occhi sui veroni della casa, sebbene alquanto distante, che Raimondo avea indicato come l'abitazione della Piemontese. Le tende di giunco erano abbassate sulle ringhiere, quantunque il sole non vi giungesse ancora, forse per dare alquanto più d'ombra agli appartamenti; e dietro una di quelle si vdeva una figura di donna, vestita di bianco, quasi coricata su di una poltroncina con tutto il languente e voluttuoso abbandono di una sultana; a quella vista il cuore di Pietro battè forte, come la sera innanzi. - È dessa! - disse Raimondo - vedi che non t'ingannavo!... Pietro non rispose, tenendo sempre fissi gli occhi sul verone. Ella si toglieva soltanto a lunghi intervalli da quella positura per recarsi agli occhi un binocolo che teneva sui ginocchi e col quale guardava nella strada o verso la Villa; ed indi, come stanca di quello sforzo, lasciava ricadere mollemente la testa sulla spalliera, e sembrava assorbirsi in quell'inerzia contemplativa che gli orientali cercano nell'oppio. Un uomo, seduto accanto a lei su di una seggiola assai bassa, le leggeva qualche cosa di un giornale che teneva fra le mani, e che ella udiva sbadatamente; e si interrompeva di tratto in tratto per prendere una mano di lei, che gliela abbandonava con la stessa languida indifferenza, e che lo ringraziava col suo sorriso seduttore e col suo sguardo che faceva scorrere un'onda di voluttà in quell'uomo, quand'egli si recava alle labbra la sua mano: Allor solamente, la sua leggiadra testolina, coronata da quei ricci magnifici, si volgeva lentamente verso di lui. Qualche volta, con un movimento tutto infantile, quella manina bianca ed affilata si appoggiava alla ringhiera, e sopra vi si appoggiava la fronte; quasi quel bellissimo collo fosse troppo debole per sostenere quella piccola testa. - Con questa donna ci sarebbe da impazzire! - esclamò Pietro reprimendo un fremito, dopo averla divorata a lungo dello sguardo. - Credi che siano marito e moglie? - domandò l'altro. - È il mistero che questa donna sa rendere impenetrabile colle sue mille indefinibili gradazioni di fisonomia, d'espressione, di gesto, che fanno spesso dimenticare la sirena nella vergine, e viceversa. Se lo sono è da poco tempo: a meno che costei non senta ancor ella sì a lungo come deve far sentire a tutti quelli che l'avvicinano. Parecchie volte, forse a caso, l'occhialetto dell'incognita si rivolse verso il banco di pietra sul quale erano seduti i due amici. - Ti guarda! disse Raimondo sorridendo. O guarda i passeri che saltellano fra le frondi. Credi sul serio ch'io ne sia innamorato? - Ne parli tanto!... - Diffida sempre di quegli amori di cui ti si parla a lungo e sì leggermente: è segno certo che si vuol ridere alle tue spalle... Io l'amo come un bel personaggio da dramma o da romanzo, come un bel fiore... come una bella donna prima venuta insomma... che sa recare con grazia il velo sul cappellino e sollevare con disinvoltura lo strascico della veste... e nient'altro... In fede di che, se vuoi, andiamocene; sono le due meno dieci minuti, - aggiunse dopo aver consultato l'orologio. - Sì, è troppo tardi; siamo qui da più di due ore; - rispose il biondo alzandosi. Egli sorprese lo sguardo del suo amico che ancora restava fissato sul verone. - Vuoi venire, o no? - Un momento... restiamo altri dieci minuti e partiremo alle due precise... - Non amo gli inglesi colla loro metodicità regolata sul quadrante di un orologio... Hai detto d'andarcene... - Hai ragione; - rispose Brusio ridendo - partiamo. Due o tre volte, prima di uscire dal giardino, si volse a guardare il verone, sul quale non poteva più vedere che la tenda abbassata. - Bella donna! - ripeteva egli di tempo in tempo, con un entusiasmo che era troppo allegro per non essere affettato, e troppo affettato per non nascondere una preoccupazione: quanto io t'amo!

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