Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

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Astronomia

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J. Norman Lockyer 3 occorrenze

Colle osservazioni del 1896 e del 1898 fu possibile calcolare del pianeta un'orbita abbastanza precisa, e per mezzo delle posizioni di Eros da essa determinate ritrovare il pianeta in altre fotografie del cielo eseguite anteriormente a cominciare dal 1903. Dimostrano esse che nell'ottobre del 1893 il pianeta era di decima grandezza, che il suo splendore crebbe rapidamente fino a diventare di settima grandezza nel gennaio del 1894, che nel marzo successivo era già di nona soltanto, che poco dopo verso la fine dell'aprile, era tornato di decima. Permisero esse una ulteriore elaborazione dell'orbita del pianeta alla quale attese l’astronomo italiano E. Millosevich, che pose inoltre a base dei proprii calcoli le migliaia di osservazioni fatte in molte specole nel 1898, nel 1899, nel 1900 e nel 1901.

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Le statistiche meteorologiche delle nostre regioni, e di quelle che in generale hanno latitudini abbastanza boreali poco dimostrano, le perturbazioni locali fra noi tendendo fino ad un certo punto a mascherare gli effetti delle variazioni delle radiazioni solari. Pare ad esempio che nel clima nostro al crescere delle macchie solari corrisponda un aumento della temperatura dell'aria, ma i due aumenti non sono simultanei, il massimo relativo della temperatura seguendo di tre anni circa quello delle macchie. Pare che nell'occidente di Europa abbiansi in corrispondenza del minimo delle macchie estati più calde, inverni più freddi e che l’amplitudine annua della temperatura sia negli anni corrispondenti a un minimo di macchie più grande che nelle epoche di massimo delle macchie stesse. Pare in generale che i massimi di macchie sieno accompagnati da più copiose pioggie e da più intensi commovimenti della nostra atmosfera: che le stagioni nostre però seguano in qualche modo le vicende delle macchie solari non si può ancora afferrnare in modo assoluto ma solo con opportune riserve.

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Il numero delle macchie in un dato istante visibili sul Sole varia di anno in anno in modo regolare e periodico, prendendo nell'intervallo di undici anni circa un valore massimo ed uno minimo; v'è in altre parole nell'apparizione delle macchie solari un periodo undecennale è opinione di molti che le macchie del Sole abbiano un certo influsso sulla temperatura dell'atmosfera terrestre e sul nostro tempo, ma quale sia il carattere di questo influsso, quale ne sia la misura non si sa ancora, la relazione che corre fra, i due ordini di fatti essendo tutt'altro che semplice.Le statistiche meteorologiche delle nostre regioni, e di quelle che in generale hanno latitudini abbastanza boreali poco dimostrano, le perturbazioni locali fra noi tendendo fino ad un certo punto a mascherare gli effetti delle variazioni delle radiazioni solari. Pare ad esempio che nel clima nostro al crescere delle macchie solari corrisponda un aumento della temperatura dell'aria, ma i due aumenti non sono simultanei, il massimo relativo della temperatura seguendo di tre anni circa quello delle macchie. Pare che nell'occidente di Europa abbiansi in corrispondenza del minimo delle macchie estati più calde, inverni più freddi e che l’amplitudine annua della temperatura sia negli anni corrispondenti a un minimo di macchie più grande che nelle epoche di massimo delle macchie stesse. Pare in generale che i massimi di macchie sieno accompagnati da più copiose pioggie e da più intensi commovimenti della nostra atmosfera: che le stagioni nostre però seguano in qualche modo le vicende delle macchie solari non si può ancora afferrnare in modo assoluto ma solo con opportune riserve.Più probabile è la connessione del magnetismo terrestre colle macchie del Sole; una relazione certamente esiste fra, le macchie stesse e le variazioni diurne dei nostri magneti, ma anche qui trattasi di relazioni complesse delle quali solo la scienza avvenire finirà per conquistare la chiave che la contemporanea ancora non possiede..

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Natura ed arte

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Giovanni Virginio Schiaparelli 5 occorrenze

E con telescopi di Campani fece Bianchini in Verona nel 1719 i primi disegni alquanto accurati delle macchie di Marte, scoprendo in esse particolari abbastanza difficili, quale per esempio la sottile penisola che nella carta annessa porta il nome di Hesperia. Verso la fine del secolo scorso Herschel e Schroeter dallo studio delle candide macchie polari del pianeta dedussero l'obliquità del suo asse di rotazione rispetto al piano dell'orbita, quell'angolo, cioè, che per la Terra costituisce l'obliquità dell'eclittica, ed è poco diverso nell'uno e nell'altro pianeta.

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Alcune di tali vicende d'aspetto sono in diretta connessione collo stato meteorologico e termico, ed è possibile che vi si rendano in qualche modo visibili a noi i diversi stadi di un ciclo vegetativo, secondo un'ipotesi abbastanza probabile, studiata e propugnata principalmente dall'astronomo americano Lowell. Ma l'osservazione prolungata per molti anni ha fatto riconoscere un'altra classe di fenomeni che non sembrano dipendere dal periodo delle stagioni, e potrebbero anche essere irregolari. In certe località un dato aspetto di cose che sembrava permanente, viene a mutarsi d'un tratto per intervalli, dà luogo ad altre combinazioni, che scompajono alla loro volta, per dar luogo ad un rinnovamento più o meno esatto del primitivo stato di cose; tutto questo saltuariamente ed in modo che si potrebbe dire accidentale.

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Alcuna di esse è abbastanza facile a vedere, e più di tutte quella che è presso l'estremo limite sinistro delle nostre carte, designata col nome di Nilosyrtis: altre invece sono estremamente difficili, e rassomigliano a tenuissimi fili di ragno tesi attraverso al disco. Quindi molto varia è altresì la loro larghezza, che può raggiungere 200 od anche 300 chilometri per la Nilosirte, mentre per altre forse non arriva a 30 chilometri.

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La loro conservazione o la loro prosperità richiede ad ogni costo, che siano arrestate nella maggior quantità possibile, e trattenute per tutto il tempo necessario quelle acque, prima che vadano a perdersi nel mare australe; che se ne approfitti nel modo più efficace alla coltura di aree abbastanza vaste per assicurare durante un intero anno Marziale (23 mesi nostri) l'esistenza di tutto ciò che vive sul pianeta. Problema forse non tanto facile e non tanto semplice! perché la somma di acqua disponibile è al più quella che hanno formato le nevi boreali d'una sola invernata; quantità certamente assai grande, la quale però, ripartita sopra tutti i continenti, potrebbe presto diventare insufficiente, anche non tenendo conto delle perdite inevitabili per evaporazione, filtrazione, errori di distribuzione, ecc.

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L'ipotesi più plausibile è quella di considerarle come zone di vegetazione, estese a destra e a sinistra dei veri canali, i quali esistono sì lungo le medesime linee, ma non sono abbastanza larghi da poter esser veduti dalla TerraUna striscia oscura della superficie di Marte non può esser osservabile coi presenti nostri telescopi, se non ha almeno 30 o 40 chilometri di larghezza.. Queste zone di vegetazione facilmente si distaccano sulle circostanti regioni del pianeta per un colore più cupo, dovuto, com'è da credere, al fatto stesso dell'inaffiatura (si sa che il terreno bagnato è di color più oscuro che l'asciutto e disseccato dal sole) e anche in parte senza dubbio alla presenza stessa della vegetazione; mentre per le aree aride e condannate a perpetua sterilità rimane invariato il color giallo uniforme che predomina su tutti i continenti. Questo colore dobbiamo d'or innanzi considerare come rappresentante il deserto puro ed assoluto; e pur troppo si può far stima, che i nove decimi della superficie continentale di Marte ad esso appartengano.

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Le Stelle. Saggio di astronomia siderale

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Angelo Secchi 9 occorrenze
  • 1877
  • Fratelli Dumolard
  • Milano
  • astronomia
  • UNIPIEMONTE
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Si è cercata da Meldrum nella frequenza delle burrasche cicloniche dell’Equatore, ma essa pure non è abbastanza sicura. Essendo ben dimostrato che le periodicità delle macchie vanno d’accordo con quella del magnetismo terrestre, e questo parendo dipendente dalle vicende termiche del globo, è chiaro che anche il Sole nella sua luce e calore deve esser variabile. Talchè una variabilità qualsiasi è certa, ma il dimostrarla direttamente è difficile. Soltanto si può assicurare che il color gialliccio della zona perimetrale del Sole dovuto all’assorbimento della sua atmosfera, sembra maggiore nelle epoche di poche macchie. Ma anche su di ciò mancano misure precise. L’enorme intensità stessa della sua luce è un ostacolo alle misure e la superficie delle macchie non essendo che piccolissime in confronto del resto del disco essa può avere poca influenza. Ilsig. Langley crede che essa non possa esser più di 29 centesimi di un grado centigrado pel nostro globo. Quantità affatto impossibile a riconoscersi coi nostri mezzi attuali meteorologici.

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L’idea che ivi manchi la nebbia, perchè si sarebbe condensata in istelle, non è ancora abbastanza solida. Una stella molto viva, ecclissando la Nebulosa, la fa sparire: così accadeva alla Nebulosa di Argo quando la stella η (eta) era di prima grandezza; ora che è divenuta di quarta la nebulosità vi è marcatissima. Si è detto avere la Nebulosa d’Orione subíto cambiamenti, ma finora tutto essendo basato sulle osservazioni fatte cogli strumenti antichi, assai imperfetti, nulla è sicuro. I più forti rendono visibili diverse parti che sfuggono nei più deboli, e per tal modo può spiegarsi tutto. Anche ai tempi nostri i disegni pubblicati da Lord Rosse e da Struve, appena rassomigliano al nostro ed a quello di Herschel e di Bond; molto più poi ne differiscono quelli di Ugenio che la scoprì il primo, e di Devico. Tuttavia l’Holden crede reali alcuni cambiamenti.

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Benchè queste ricerche non siano finite, possiamo però assicurare di essere stati condotti alla conclusione, che molte di queste deviazioni possono essere vero difetto degli strumenti, e che per ora anche prescindendo dal dubbio che regna sul principio teorico Vedi la nota precedente , noi manchiamo di un mezzo pratico abbastanza sicuro per determinare tale elemento. Dopo queste nostre riflessioni ilsig. Christie a Greenwich ha ripetuto le osservazioni, e sarebbesi adesso trovato d’accordo colsig. Huggins. Il sig. Langley avrebbe trovato la conferma della teoria nella rotazione del sole, da noi pure già indicata. Ma malgrado tutti questi risultati tutti i dubbi non sono ancora dissipati trattandosi di quantità estremamente piccole. Inoltre è da avvertire che il risultato sperimentale non basterebbe a risolvere il dubbio teorico, giacchè le variazioni spettrali dipender potrebbero solo dal moto vero della terra che si allontanerebbe o accosterebbe alla stella, e non dalla stella che si moverebbe realmente nello spazio. Facciamo questa dichiarazione con tanto maggior franchezza, in quanto noi siamo stati i primi forse ad attirare l’attenzione dei dotti su questo soggetto. Vedasi il Bull. Meteorolog. dell’Osservatorio del Collegio Romano 1863, numeri 15, 16, 17, anche i Comptes Rendusde l’Accad. di Parigi. Marzo 1863. Tuttavia se queste difficoltà pratiche potranno superarsi, e se sarà messa fuor di dubbio la teoria, noi potremo per tal mezzo arrivare ad esplorare il moto proprio anche nella direzione del raggio visuale, e componendolo col moto laterale dato dalle osservazioni meridiane, si potrà determinare la risultante complessiva almeno per approssimazione. Ma per ora la piccolezza della deviazione, congiunta coi dubbi teorici, e colla difficoltà degli sperimenti, non inspira per questo metodo la medesima fiducia che pel comune.

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La supposizione di due osservatori sotto lo stesso meridiano Fig. 59 e che facciano le osservazioni contemporanee, non fu possibile ridursi ad effetto che nei tempi moderni, perciò negli antichi tempi fu supplita con un’altra combinazione abbastanza esatta. Supponiamo che l’osservatore in A fig. 59) osservi un astro L, distante dal suo Zenit, e posto a Levante nel primo suo verticale. Egli lo vedrà necessariamente abbassato in n, e la parallasse sarà m Ln ossia ALC: similmente ripetendo le osservazioni in simile posizione a Ponente avrà l’abbassamento q L' p = AL'C; sicchè la somma delle distanze zenitali che vedute dal centro sarebbero LCZ + ZCL, vedute alla superficie della Terra saranno L'AZ + ZAL' e perciò maggiori del vero della somma delle parallassi AL'C + ALC. Se dunque si conosca da un calcolo teorico preventivo quale dovrebbe esser l’angolo vero al centro tra le due osservazioni dell’astro in L e L' il suo confronto coll’angolo osservato farà conoscere le parallassi. Se l’astro L fosse immobile in cielo, l’angolo LCL' potrebbe facilmente dedursi dalla porzione della rotazione diurna fatta dalla Terra nell’intervallo delle osservazioni, se poi l’astro è mobile, bisognerà aggiungere a questo la quantità di cui esso si è spostato nell’intervallo. Se l’astro fosse fuori del primo verticale, si dovrà calcolare con apposite formole la componente della parallasse nell’angolo orario. È manifesto che può farsi il calcolo considerando l’angolo dipendente dalla parallasse da un solo lato, comep.es. ZAL come usarono per lo più gli antichi. Così un solo osservatore può bastare per trovare la parallasse di un astro, ma il metodo di due osservatori è molto più sicuro. Basti questo cenno per dare una idea delle operazioni da farsi per riuscire a trovare la distanza degli astri, ben inteso che abbiamo tralasciato molte minute particolarità, delle quali si deve tener conto nell’atto pratico del calcolo e della osservazione. Tale è sopratutto l’influenza delle refrazioni che alterano notabilmente e rovesciano anche l’effetto delle parallassi quando si voglia far uso delle distanze zenitali assolute. Cassini fu il primo che adoprò pei pianeti tal metodo. Avendo trovato le regole con cui correggere le refrazioni, lo applicò alle comete, e confermo che esse erano corpi assai più lontani che non si credeva, come già aveva indicato Ticone e altri astronomi anteriori. L’applicò pure al pianeta Marte come vedremo per cavarne la distanza del Sole.

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È ormai un vezzo di tutti i moderni scrittori di Astronomia in Francia il deplorare la chiamata di Cassini colà, come fosse una disgrazia per la scienza. Noi crediamo questo un insulto non meritato dall’illustre astronomo. Non erano come si pretende i suoi lavori soltanto superficiali da divertire la corte, ma serii e profondi. Le scoperte sue sui satelliti di Giove: le ricerche sull’orbita del Sole, la teorica delle comete, inesatta, è vero, ma primo tentativo geometrico del loro corso; la teorica delle refrazioni, la misura delle parallassi, ecc. erano titoli abbastanza serii. Se concesse qualche cosa alla corte, con ciò stesso fu benemerito della scienza positiva, e non deve rimproverarsi per ciò, poichè senza tali concessioni moltissime spese fatte per la scienza vera, non sarebbesi fatte. Ogni tempo ha il suo andazzo, e Keplero diceva che la figlia pazza (l’astrologia), manteneva la madre seria (l’astronomia). Cosa ben un poco più grave. È facile sputar sentenze dopo due secoli di progresso: ma allora!

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Fra i lavori più insigni che resero immortale il nome di Domenico Cassini È ormai un vezzo di tutti i moderni scrittori di Astronomia in Francia il deplorare la chiamata di Cassini colà, come fosse una disgrazia per la scienza. Noi crediamo questo un insulto non meritato dall’illustre astronomo. Non erano come si pretende i suoi lavori soltanto superficiali da divertire la corte, ma serii e profondi. Le scoperte sue sui satelliti di Giove: le ricerche sull’orbita del Sole, la teorica delle comete, inesatta, è vero, ma primo tentativo geometrico del loro corso; la teorica delle refrazioni, la misura delle parallassi, ecc. erano titoli abbastanza serii. Se concesse qualche cosa alla corte, con ciò stesso fu benemerito della scienza positiva, e non deve rimproverarsi per ciò, poichè senza tali concessioni moltissime spese fatte per la scienza vera, non sarebbesi fatte. Ogni tempo ha il suo andazzo, e Keplero diceva che la figlia pazza (l’astrologia), manteneva la madre seria (l’astronomia). Cosa ben un poco più grave. È facile sputar sentenze dopo due secoli di progresso: ma allora! , vi sono le tavole dei satelliti di Giove, da lui fatte prima di stabilirsi in Francia. Queste tavole erano le migliori che allora si possedessero, e per verificare la loro esattezza, egli fece e da sè e per mezzo dei suoi allievi in Francia moltissime osservazioni. Da queste risultò che le tavole erano esattissime quando la Terra stava nelle quadrature rapporto a Giove come in P e Q fig. 73) Fig. 73 ma che l’ecclisse accelerava se la terra stava in T tra il Sole e Giove, e ritardava se essa stava in R, cioè al di là del Sole rapporto a Giove; e la somma dei ritardi e delle accelerazioni arrivava a circa un quarto d’ora cioè 16m26s. Cassini, all’uso degli antichi astronomi, si contentò di aggiungerealle sue tavole una correzione empirica dipendente dalla posizione relativa della Terra con Giove.

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Nel polo propriamente non è veruna stella, e per i movimenti generali della sfera conosciuti sotto il nome di precessione, se vi fosse non vi resterebbe ferma Supponiamo il lettore abbastanza pratico delle nozioni di sfera e basti aver accennato qui queste cose. . Dal lato opposto al Carro ed a egual distanza dall’asse celeste si trova un altro gruppo non meno bello in forma di M allungato detto Cassiopea. In mezzo a queste la bella croce tracciata sul latteo chiarore del fondo del cielo invita a darle la denominazione del Cigno; altrove il gruppo delle Iadi rappresenta naturalmente la testa di un vigoroso animale, il Toro; un piccolo gruppo non lontano ricorda la Chioccetta col suo grazioso contorno, e un enorme e splendido ammasso ricorda un sublime gigante, Orione.

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Lo strumento da lui usato fu dapprima un teodolite con cannocchiale di sole 13 linee di apertura avanti al cui obiettivo era collocato un prisma di ottima qualità, e guardando con questo direttamente gli astri coll’aiuto della lente cilindrica, avea l’immagine abbastanza dilatata per distinguere anche qui le righe trasversali. Da esperienze fatte da noi con simile apparecchio risulta che il semplice prisma anche senza lente cilindrica dà già allo spettro una dilatazione sufficiente purchè il suo angolo refringente sia assai grande e vicino a 60°.

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Le tradizioni delle nazioni più remote nulla ci hanno conservato di queste origini, ma alcuni monumenti indicano abbastanza chiaro questi mutamenti. Così per esempio la grande piramide di Gizeh costruita ai tempi di Cheops circa 2170 anni avanti l’era volgare ha due canali o tubi che dalla camera centrale vanno alle pareti esterne dal lato del Sud e da quello del Nord. Il primo mira ad un punto del cielo ove ora non passa nessun astro importante, ma potevano passarvi le Pleiadi all’epoca della sua costruzione; l’altro non ha relazione con alcuna stella ai tempi presenti, ma per esso passar dovea la stella polare di quel tempo che era l’α (alfa) del Dragone. Ora questi canali sono ostruiti, ma erano ancora aperti nel XIII secolo come ce ne assicura Abdallatif, dotto medico arabo che visitò la piramide a quell’epoca. La direzione di queste visuali, racchiude indubitatamente un secreto astronomico, e questo non potrebbe esser altro che la suddetta posizione all’Equinozio presso le Pleiadi. V. Smyth La Grande Piramide, ecc. La divisione dello Zodiaco in 12 parti, si trova anche presso i Cinesi; ed essa è una cosa molto naturale per lo stretto rapporto che passa tra il giro del Sole, e quello della Luna, ma i nomi dati alle costellazioni sono affatto diversi nell’antica astronomia cinese, quale si avea prima dell’arrivo colà dei Missionari. I nomi cinesi moderni sono una mera traduzione dei nomi europei fatta dagli stessi Missionari Vedi John Williams, Observations of Comets in China 1871 pag. XXIII, e seg. ed anche Gaubil, et Biot Études d’Astronomie Indienne et Chinoise, Paris 1862..

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Osservazioni astronomiche e fisiche sulla grande cometa del 1862 con alcune riflessioni sulle forze che determinano la figura delle comete in generale

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Schiaparelli, Giovanni Virginio 1 occorrenze
  • 1873
  • Ulrico Hoepli
  • Milano-Napoli
  • astronomia
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A questa tardanza già non mi indusse il noto precetto d’Orazio, nonum prematur in annum, che male si applicherebbe a questo genere di pubblicazione; vi fui indotto od anzi costretto dalla difficoltà di trovare un modo di riprodurre esattamente e fedelmente i disegni abbastanza numerosi che io feci allora della Cometa. In ciò tuttavia fui più tardi in modo eccezionale ajutato dalla fortuna; perché essendo venuto sul principio del 1871 a nostro collaboratore nell’Osservatorio di Brera il signor Guglielmo Tempel, non meno diligente scrutatore del cielo, che valente disegnatore ed incisore, volle egli incaricarsi di interpretare sulla pietra litografica i miei disegni, valendosi delle spiegazioni verbali che ad ogni istante io gli poteva fornire. Così riuscii nel mio intento al di là di quello che io poteva aspettare; e di ciò mi riconosco debitore al signor Tempel. Alcune particolarità dei sopra detti disegni, che io non riuscii a spiegar bene nei miei schizzi e che quindi non poterono esser tradotte esattamente nelle tavole litografiche, saranno supplite con dichiarazioni nella descrizione che darò di ciascuna figura.

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Storia sentimentale dell'astronomia

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Piero Bianucci 7 occorrenze

Con immensa pazienza, lavorando per l’intera notte anche a 10 gradi sotto zero, conteggiò 50 mila stelle e giunse a stabilire che la Via Lattea doveva avere la forma di una “macina da mulino”, un grande disco appiattito, conclusione abbastanza vicina alla realtà. Sbagliò invece nel ritenere che il Sole fosse presso il centro di questo sistema stellare che rappresentava, per le conoscenze dell’epoca, l’intero universo. In ogni caso rimase insoddisfatto del proprio lavoro: nel 1784 pubblicò un catalogo di 434 nuove stelle doppie, e poiché molte erano di luminosità assai diversa pur trovandosi alla stessa distanza, aveva capito quanto fosse inaffidabile l’ipotesi alla base dei suoi scandagli celesti.

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Selezionò un gruppo di stelle delle quali Maskelyne aveva determinato abbastanza bene il moto proprio: Sirio, Arturo, Capella, Vega, Aldebaran, Rigel, Spica e Procione. Tracciato in un grafico il moto proprio di queste stelle e la direzione del loro moto apparente, risultò che Rigel e Spica si spostano lentamente in una certa direzione, mentre altre, come Procione e Sirio, si spostano nella direzione opposta. Ne dedusse che il Sole corre verso un punto della volta celeste che si trova approssimativamente nella costellazione di Ercole. La scoperta fu poi confermata da osservazioni basate su un’ampia statistica (più stelle si prendono in esame, maggiore è la precisione) e oggi sappiamo che il Sole orbita intorno al baricentro della Via Lattea alla velocità di 220 chilometri al secondo, percorrendo un giro completo in 250 milioni di anni. Ma l’importanza del lavoro di Hershel era soprattutto concettuale perché esso dimostrava come tutto nell’universo si muovesse. La visione copernicana faceva un altro passo: neppure il Sole godeva del privilegio dell’immobilità.

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Come poteva un effimero nucleo di berillio vivere abbastanza a lungo da assorbire un altro nucleo di elio per trasformarsi in carbonio? Hoyle trovò la soluzione nel 1953 mentre si trovava al California Institute of Technology. Il carbonio poteva formarsi a patto che il suo nucleo esistesse in un particolare stato eccitato, una “risonanza”, come dicono i fisici, esattamente all’energia di 7,65 milioni di elettronvolt (MeV) sopra il suo stato fondamentale. Nessuno fino ad allora aveva mai osservato questa risonanza. Hoyle chiese a Fowler di verificarne l’esistenza con un apposito esperimento. Benché scettico, Fowler lo accontentò, più che altro per convincerlo che stava sbagliando. Invece la risonanza c’era, esattamente all’energia prevista da Hoyle. Un berillio appena più stabile o appena un po’ meno stabile sarebbe esiziale per la vita delle stelle. Inoltre, se questa risonanza avesse una energia leggermente più alta, il poco carbonio prodotto si convertirebbe totalmente in ossigeno e non esisterebbe carbonio.

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Già così è una faccenda abbastanza strana. Ma questo è niente. In ogni istante della nostra vita, ogni centimetro quadrato del nostro corpo è attraversato da 60 miliardi di neutrini senza che possano neppure farci il solletico. Il tre per cento dell’energia del Sole, infatti, non viene emesso sotto forma di luce ma di neutrini, e poiché questi elusivi mattoncini dell’universo attraversano indisturbati la Terra, il Sole ci illumina di neutrini giorno e notte: l’unica differenza è che dal tramonto all’alba la luce di neutrini ci arriva dal sottosuolo anziché dal cielo.

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Otto lasciò Tyge al fratello perché la famiglia era già abbastanza numerosa: Beate gli diede cinque femmine e cinque maschi, tutti in buona salute. Sofia, nata dieci anni dopo Tyge, fu anche lei studiosa di scienza: diventò assistente del fratello astronomo, alchimista, produttrice di medicamenti. Rimasta vedova a 28 anni, la rovinò l’amore per un uomo ricco e colto, Erik Lange, lui pure cultore dell’alchimia ma scialacquone, che sposò nel 1502 dopo dodici anni di fidanzamento e cercò invano di riportare sulla retta via. Dopo la morte di Erik nel 1613, Sofia si interessò alla storia, alla genealogia e – nessuno è perfetto – alla lettura della mano o chiromanzia. La sua “linea della vita” doveva essere notevole: si spense nel 1643 all’età di 87 anni.

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Alla prova di osservazioni precise, il gioco di scatole cinesi fatto con i solidi platonici non funziona, ma ha il pregio di mettere i pianeti nell’ordine esatto rispetto al Sole e di rappresentarne abbastanza bene le distanze. L’idea più innovativa è che il Sole sia la causa del moto orbitale dei pianeti e che per questo la loro velocità diminuisce con il quadrato della distanza dalla stella, come succede per l’intensità luminosa. È il primo barlume di astronomia fisica, o astrofisica, scienza che non si accontenta di descrivere ciò che si vede in cielo ma vuole capirne le cause. Nel quadrato delle distanze c’è persino un sentore della legge di gravitazione universale di Newton. La ricerca di una causa del moto planetario era così importante per Keplero che quando poté osservare la rotazione del Sole resa percepibile dalle macchie, pare abbia esclamato un ”Evviva!”.

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E prima di tutto mi preparai un tubo di piombo, alle cui estremità applicai due lenti, ambedue piane da una parte, dall’altra invece una convessa e una concava; accostando poi l’occhio alla concava, scorsi gli oggetti abbastanza grandi e vicini, poiché apparivano tre volte più vicini e nove volte più grandi di quando si guardavano con la sola vista naturale. Dopo me ne preparai un altro più esatto, che rappresentava gli oggetti più di sessanta volte maggiori. Finalmente, non risparmiando fatica né spesa alcuna, sono giunto a tanto, da costruirmi uno strumento così eccellente che le cose vedute per mezzo di esso appariscano quasi mille volte più grandi e più di trenta volte più vicine che se si guardino con la sola facoltà naturale. Quanti e quali siano i vantaggi di questo strumento, così per terra come per mare, sarebbe del tutto superfluo enumerare. Ma io, lasciando le cose terrene, mi rivolsi alla speculazione delle celesti...”. Il “nobile Francese” che gli diede la conferma dell’invenzione del cannocchiale è il parigino Jacques Badouvère, vissuto tra il 1570 e il 1620 e residente a Venezia tra il 1607 e il 1609. Badouvère era stato suo allievo e intratteneva rapporti con padre Paolo Sarpi, il teologo, astronomo, anatomista e letterato veneziano (1552-1623) considerato eretico dal Vaticano. Di opinioni instabili, Badouvère aveva lasciato la fede cattolica per la protestante, salvo poi tornare al cattolicesimo sotto le pressioni dei gesuiti, dei quali pare sia poi diventato una spia.

Pagina 80

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