Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbassando

Numero di risultati: 57 in 2 pagine

  • Pagina 2 di 2

D'Ambra, Lucio

220524
Il Re, le Torri, gli Alfieri 1 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Mi sia quindi permesso di sorvolare, abbassando un pudico velo, su la cena con Manon Manette e su le tenere manifestazioni che la seguirono. Ma non posso tacere che la mia riconoscenza verso Sua Altezza fu letteralmente raddoppiata, tanto che vedendo il pendentif che Manon Manette aveva ancora intorno al collo sentii che non era possibile lasciarvelo più oltre. Spiegai a Manon Manette i miei sentimenti e i miei scrupoli e tentai ancora una volta di muoverla a pietà verso Sua Altezza. Presi allora il mio coraggio a due mani, e non solo il mio coraggio ma anche il pendentif, che slacciai dal collo palpitante della graziosa attrice. E, poichè Manon manifestava la sua meraviglia nel vedermi riprendere ciò che ella poche ore prima si era spontaneamente regalato, dovetti spiegarle che quel pendentif non aveva per una donna come lei altro valore che quello d'un attestato di riconoscenza e d'un affettuoso ricordo e che era perciò assai strano, per non dir peggio, che io manifestassi tutti questi nobili sentimenti con un gioiello che non era mio. Anch'ella doveva del resto trovare assai strano d'aver al collo un attestato di riconoscenza di Sua Altezza che non le doveva nulla e un ricordo di Sua Altezza con cui ella non aveva ancora scambiato una parola. La rituazione era complicata e delicata; ma assicurai Manon Manette che avrei saputo risolverla l'indomani. Si trattava semplicemente d'annodare intorno al suo collo un gioiello che fosse veramente un attestato della mia personale riconoscenza e un ricordo del piacevole modo in cui avevamo occupato le ore di una siesta dopo colazione e d'una siesta dopo cena. Superata così ogni difficoltà ero sul punto di riporre nella tasca posteriore della mia marsina il gioiello di Sua Altezza quando l'imminente scomparsa del pendentif ebbe un effetto immediato e imprevedibile sul quale avevo avuto l'ingenuità di non contare. E, riprendendo con dolce violenza dalle mie mani il gioiello di Sua Altezza, Manon Manette dichiarò che avrebbe accettato assai volentieri il ricordo che avevo avuto la cortesia di offrirle, ma che era assai più corretto, a suo parere, che il pendentif fosse stato restituito a Sua Altezza, l'indomani, da lei in persona. Così fu stabilito. E l'indomani, a palazzo, quando ricevetti Manon Manette e la introdussi nel salotto privato di Sua Altezza, potei sùbito osservare che Manon Manette aveva addosso tutti e due i gioielli, quello di Sua Altezza ed il mio. Ero adesso meno ingenuo della sera prima, tanto è vero che nella mattinata, mandandole al Suprême Hôtel il promesso ricordo, avevo scelto invece del pendentif un braccialetto. Era perfettamente stupido e superfluo attestare nello stesso modo la riconoscenza anticipata di Sua Altezza e la mia riconoscenza posticipata. Appena fatte le presentazioni di Manon Manette a Sua Altezza e di Sua Altezza a Manon Manette mi ritrassi immediatamente, col pudore riguardoso d'un cameriere di albergo che ha accompagnato nella stanza a loro destinata due giovani sposi appena arrivati e impazienti di mormorare alla loro volta il leggendario: Enfin seuls! Ebbi appena il tempo di ammirare, richiudendo la porta, il profondo inchino con cui la bella atirice repubblicana dimostrava a Sua Altezza che per un'autentica repubblicana il figliuolo di Sua Maestà il Re di Fantasia rappresenterà sempre qualche cosa di più suggestivo del figliuolo, mettiamo, del signor Poincaré. Ed ebbi appena il tempo di vedere dal volto e dagli occhi di Sua Altezza che il privilegiato rampollo d'una vecchia monarchia come quella di Fantasia ha le idee cosi larghe da non temere il berretto frigio, sopra tutto quando questo gli appare sul capo della piu deliziosa donnina che mai si possa immaginare. E su questo, ahimè, avrebbe dovuto calare il sipario. Ma fortunatamente il mio regale amico, eroe di commedia modernissima, aveva in comune coi più illustri eroi delle tragedie classiche l'irresistibile bisogno di un confidente. Non dovetti quindi che aspettare l'ora del pranzo per ricostruire attraverso il dire e il non dire di Sua Altezza la scena cui non m'era per decenza stato concesso d'assistere e per ricostruirla così come adesso la consegno alle pagine di questi annali veridici e modesti. Sorvolo su le prime formalità che non hanno alcun interesse. Compiute queste, Sua Altezza, che aveva offerto a Manon Manette l'esposizione dei suoi medaglieri e una tazza di tè, riservò il tè per più tardi e diede sùbito mano alle manovre d'approccio per cui le pesanti custodie che racchiudevano le preziose medaglie offrivano una meravigliosa piattaforma. Le custodie erano già pronto in bell'ordine su una grande tavola e, aprendole l'una dopo l'altra, Sua Altezza cominciò sùbito un nutritissimo corso di numismatica. Solo quando la sua testa poteva, senza aver l'aria di nulla, avvicinarsi a quella di Manon Manette inchinata e intenta ad ammirare qualche medaglia di maggior pregio, Sua Altezza osava arrischiare i primi tentativi per passare ad altro discorso. Ma questi tentativi non erano affatto incoraggiati dall'attrice che, impassibile, continuava ad esaminar le medaglie, ad una ad una, quasi che non fosse venuta che per questo. Sua Altezza, intimidita, non osò quindi bruciare i suoi vascelli che all'ultimo momento, quando cioè aprì la custodia che racchiudeva i più incliti esemplari, i famosi Pisanello oramai cosi popolari fra le signore dell'alta società pulquerrimese. Manon Manette che, prima di rappresentarlo, aveva letto Bourget, non sapeva bene chi fosse quell'incisore, ma sapeva che era di quelli da considerare, per far buona figura, coi segni del maggiore rispetto. Terminate quindi le più svariate esclamazioni del suo vocabolario, prese in mano una medaglia e cominciò a guardarla con quello sguardo attento e indifferente delle persone che sanno di dover ammirare un oggetto che non desta in loro nessuna ammirazione. E siccome non v'ha ammirazione calorosa che non sia prolungala Manon Manette tenne così a lungo nella sua mano sinistra il Pisanello depostovi da Sua Altezza che il principe ebbe il tempo di vincere la sua timidezza e di prendere la mano della bella attrice per portarla alle sue labbra e baciarla. Ma la bella attrice si ritrasse immediatamente, con gli occhi bassi, il volto acceso, e mormorando a guisa di protesta un «Oh, Altesse!» che, secondo l'impressione der mio regale amico, valeva un Perù. Sua Altezza attribuiva evidentemente tanto valore a quella dignitosa ritirata solo perchè il Perù non era roba sua, ma è certo che l'atteggiamento dell'attrice indusse Sua Altezza a una prudente riserva che si prolungò durante altri dieci minuti occupati da una fittisima conversazione su autori francesi e commedie parigine. Un romanziere non si farebbe sfuggire l'occasione di descrivere in tutti i suoi particolari la lunga scena durante la quale Sua Altezza cercò le vie per ottenere quello che Manon Manette sembrava non avere alcuna intenzione d'accordare. Come i più prudenti guerrieri, Sua Altezza temporeggiava. Io mi sono imposto di non sviluppare tutto quello che mi basta indicare e perciò devo omettere il racconto di tutti questi temporeggiamenti che fecero perdere a Sua Altezza e a Manon Manette molto tempo, tutt'il tempo necessario per far giungere, inaspettata, la visita della duchessa di Frondosa. L'annunzio della visita era stato, a bassa voce, comunicato a Sua Alteza, la quale, immediatamente, trovandosi in una situazione difficile, fece chiamare me per sbrogliarla. Quando entrai nel salotto, trovai il principe con gli occhi fuori della testa e Manon Manette che ci guardava un po' spaurita senza capire bene se si trattava di un attentato anarchico preparato contro Sua Altezza o se Sua Altezza era stata improvvisamente colpita da un furioso attacco di mal di denti.... Traendomi in disparte, il mio regale amico mi mise sùbito al corrente di quanto avveniva. Era proprio nato, poverino, sotto una cattiva stella e il destino avverso si divertiva a giuocare con lui: dopo essersi fatta attendere per tanto tempo invano, la duchessa di Frondosa, vinta finalmente dal fuoco dell'inestinguibile amore di lui, si decideva a venire e ad arrendersi. Ma quando? Proprio quando Sua Altezza si trovava su le braccia un'altra donna che non poteva tenere nè poteva mandar via, così, su due piedi, quando appena una parte dei programma era stata espletata. Con decisione fulminea spiegai al principe ch'egli non poteva fare altro che o rinunziare alla duchessa di Frondosa o mettere Marion Manette di là, con me, nella biblioteca, col pretesto di un'udienza di somma importanza che Sua Altezza doveva immediatamente concedere, costretto a interrompere una così piacevole conversazione, la quale sarebbe stata, appena libero il principe, ripresa. Fu attribuita a Sua Altezza Reale il Principe Leopoldo, zio di Sua Altezza, e che in quel momento tagliava certamente il suo banco pomeridiano di baccarat in un club parigino, la parte antipatica d'arrivare nel momento più inopportuno che si possa immaginare. Con molte scuse Manon Manette fu affidata momentaneamente alle mie cure, e l'eccellente figliuola invitò Sua Altezza a discutere con calma gli affari di Stato che reclamavano la sua attenzione poichè ella non aveva fretta ed avrebbe passato piacevolmente il tempo con me che ero un suo vecchissimo amico di ventiquattro ore. Inutile dire che il principe era fuori di sè dall'ansia e dalla gioia e che fremeva nella impazienza di vederci uscire dalla porta di destra per potere aprire sùbito quella di sinistra accogliere finalmente la tanto bramata preda che veniva a gettarglisi, viva, fra le braccia. Almeno cosi credeva. Gli avvenimenti non tardarono a deluderlo. Non ascoltai dietro la porta per tre ragioni: perchè ascoltare alle porte non è nelle mie abitudini; perchè questo è un sistema troppo comodo di cui si abusa solo nelle commedie; e particolarmente poi perchè le porte massicce del gabinetto del principe erano ovattate e non permettevano il passaggio di nessun rumore. E c'era anche questo: ero persuaso fermamente che la virtù della duchessa non correva nessun pericolo e che se ella, accogliendo, per non aver l'aria d'aver paura, l'insistente preghiera di Sua Altezza, s'era decisa a venire ad ammirare i Pisanello, doveva essere incrollabilmente risoluta a non interessarsi assolutamente di altro. La duchessa di Frondosa è come suo marito: non cambia le sue idee. S'è affezionata anche lei all'idea di essere una donna per bene. Prima ancora che questa mia persuasione mi fosse confermata, la sera, dalle confidenze di Sua Altezza, ebbi la prova che una volta di più non mi ero ingannato quando, venti minuti dopo, la mia conversazione con Manette fu interrotta da una porta che s'apriva e dalla voce nervosa di Sua Altezza che invitava f'attrice a raggiungerlo. Decisamente, anche se un giorno la virtù della duchessa di Frondosa avesse dovuto arrendersi, la difficile resa non sarebbe avvenuta in venti minuti. Quando uno è abituato a difendersi, si difende fino all'ultimo anche quando sa di dover perdere. Le buoni abitudini non sono, meno delle cattive, difficili a sradicarsi. La sera, l'ho detto, Sua Altezza mi raccontò quanto era avvenuto. Tutte le speranze erano di nuovo sfiorite. La visita della duchessa di Frandosa non era stata che una sfida, una spavalderia, e, per dir tutto, una maledetta presa in giro. E, quel che è peggio, la duchessa era stata più che mai prodiga di civetterie. Se fino a quel giorno il suo contegno si era contentato d'aprire uno spiraglio alla speranza, quel giorno l'indiavolata civetteria della duchessa aveva addirittura spalancato le finestre. E quando Sua Altezza s'era creduta autorizzata ad affacciarsi, le finestre gli erano state chiuse violentemente sul muso. Ne aveva ancora naso ed orgoglio ammaccati. E, su mia richiesta, Sua Altezza narrò succintamente anche la scena finale dopo l'uscita brusca della duchessa Isabella e il brusco richiamo di Manon Manette: — Si figuri! Si figuri il mio stato! — mi disse Sua Altezza. — Avevo tanto bisogno di sfogarmi.... Dopo avermi permesso tante speranze la duchessa m'aveva così inaspettatamente lasciato a mani vuote ch'era una vera fortuna trovar lì Manette a portata di mano. Ma lei, caro d'Aprè, le aveva fatto troppo bene la lezione. Aveva ricominciato come nella prima parte della sua visita a far la ritrosa, a sfuggirmi, a farsi pregare.... Oh, ma, le ho parlato chiaro, amico mio.... Non era più quello momento da sospiri..... «Cara mia, le ho detto, intendiamoci, ora basta, non resistete più oltre. So che lo fate per farmi piacere. Ma non insistete, vi prego.» — E Manette? — Ha gridato Vive le Roi e ha mandato per aria il berretto frigio. E, col berretto frigio, tutto il resto.... È andata avanti senza suggeritore. Se lei sapesse: recita a meraviglia.... Lo sapevo.

Mitchell, Margaret

221904
Via col vento 5 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Ma automaticamente le salirono alle labbra le parole che Elena le aveva insegnato a dire in simili circostanze, e abbassando pudicamente gli occhi, per forza di abitudine, mormorò: - Mr. Hamilton, sono molto sensibile all'onore che mi fate chiedendomi di diventar vostra moglie; ma la cosa è per me talmente inattesa che non so che cosa dirvi. Era un modo grazioso di accarezzare la vanità di un uomo e di tenerlo sulla corda; e Carlo abboccò a quell'amo come se fosse nuovo ed egli fosse il primo a inghiottirlo. - Aspetterò quanto vorrete! Voglio che siate sicura di voi... Ditemi che posso sperare, miss O'Hara! - Hm - fece Rossella, i cui occhi di lince osservavano in quel momento Ashley, il quale non si era alzato per prender parte alla discussione degli uomini sulla guerra e stava sorridendo a Melania. Se questo stupido che stava cercando di ottenere la sua mano tacesse un minuto, forse le riuscirebbe di udire ciò che quei due stavano dicendo. Doveva udirlo. Che cosa diceva Melania per destare negli occhi di lui quell'espressione di interessamento? Le parole di Carlo soverchiavano le voci che ella anelava di udire. - Oh, ssst! - gli bisbigliò pizzicandogli una mano senza neanche guardarlo. Spaventato e vergognoso, Carlo arrossí al rabbuffo; poi, vedendo gli occhi di lei fissi su sua sorella, sorrise. Rossella temeva che qualcuno potesse udire le sue parole. Naturalmente era imbarazzata e timida, e l'idea che altri potessero udire la sgomentava. Carlo si sentí invadere da un'onda di mascolinità che non aveva mai provata, perché questa era la prima volta in vita sua che egli turbava una ragazza. L'emozione fu inebriante. Diede al suo volto quella che credeva essere un'espressione indifferente e prudentemente ricambiò il pizzicotto di Rossella per mostrarle che era uomo di mondo e che comprendeva e accettava il suo rimprovero. Ella non sentí neppure il pizzicotto, perché in quel momento udiva la dolce voce che costituiva il fascino principale di Melania: - Non sono d'accordo con te su Thackeray. È un cinico. E credo che non sia un signore come Dickens. «Che stupidi discorsi da fare a un uomo» pensò Rossella, pronta a ridere di sollievo. «Non è che una bas bleu, e tutti sanno che cosa pensano gli uomini delle bas bleu!» Per interessare un uomo e conservar vivo il suo interesse, bisognava parlargli di lui e poi gradatamente condurre la conversazione su se stessa... e mantenervela. Rossella si sarebbe allarmata se Melania avesse detto: «Sei straordinario!» oppure: «Come fai a pensare queste cose? Il mio cervellino scoppierebbe, se cercassi anch'io di pensarle!» Ed eccola lí, con un uomo ai suoi piedi, a parlare seriamente come se fosse in chiesa. La prospettiva apparve a Rossella piú brillante; tanto brillante che rivolse a Carlo degli occhi radiosi e un sorriso giocondo. Entusiasmato per questa prova di affetto, egli afferrò il suo ventaglio e lo richiuse con tanto ardore che ella si sentí drizzare i capelli. - Non ci avete favorito la vostra opinione, Ashley - disse Giacomo Tarleton volgendosi dal gruppo maschile vociferante; Ashley si scusò e si alzò. Nessuno era bello come lui - pensò Rossella osservando la grazia del suo atteggiamento negligente e i capelli e i baffi che il sole faceva scintillare. Anche gli uomini anziani si interruppero per ascoltare le sue parole. - Ebbene, signori miei, se la Georgia combatterà, andrò anch'io. Altrimenti perché fare parte dello Squadrone? - furono le sue parole. I suoi occhi grigi erano spalancati e la loro sonnolenza era scomparsa dando luogo a una vivezza che Rossella non aveva mai vista prima. - Ma, come il babbo, spero che gli yankees ci lasceranno in pace e che la guerra non si farà... - Alzò la mano con un sorriso, perché dai ragazzi Tarleton e dai Fontaine giungeva una babele di voci. - Sí sí, so che ci hanno insultati e che ci hanno mentito... ma se noi fossimo stati nei loro panni, come avremmo agito? Probabilmente nello stesso modo. «Eccolo, al solito» pensò Rossella. «Sempre la smania di mettersi nei panni degli altri.» Per lei, in ogni argomento non vi era che un solo lato. A volte non era punto d'accordo con Ashley. - Non ci scaldiamo troppo la testa e non cerchiamo la guerra. La maggior parte delle miserie del mondo è stata cagionata dalle guerre. E quando le guerre erano finite, nessuno sapeva piú la ragione che le aveva suscitate. Rosella arricciò il naso. Meno male che Ashley aveva una inattaccabile reputazione di coraggio; altrimenti le cose si sarebbero guastate. Mentre ella pensava questo, attorno ad Ashley si levò un clamore di voci dissenzienti e indignate. Sotto l'albero, il vecchio sordo percosse lievemente il ginocchio di Lydia. - Che c'è? - chiese. - Che stanno dicendo? - Guerra! - gli gridò Lydia nell'orecchio facendosi cornetto con la mano. - Vogliono far la guerra agli yankees! - La guerra? - gridò a sua volta il sordo cercando il suo bastone e alzandosi con maggiore energia di quanta ne avesse mostrata da anni. - Gliene parlerò io, della guerra. Vi sono stato. - Non capitava spesso a Mr. McRae l'occasione di poter parlare della guerra, perché le sue donne gli imponevano sempre il silenzio. Raggiunse rapidamente il gruppo, agitando il bastone e gridando e, siccome non udiva le voci degli altri, in breve fu padrone indisturbato del campo. - Ascoltatemi, giovani mangiatori di fuoco. Voi non potete volere la guerra. Io l'ho fatta e lo so. Quella contro i Seminoli; e fui tanto pazzo da fare anche la guerra messicana. Voialtri non sapete che cos'è la guerra. Credete che si tratti soltanto di cavalcare un bel cavallo, con le ragazze che vi gettano fiori chiamandovi eroe. Non è cosí, signori miei! Si tratta di soffrir la fame e di buscarsi polmoniti e malattie della pelle dormendo nell'umidità. E se non sono quelle, sono gli intestini che non vanno. Sí, signori; non potete immaginare che cos'è la guerra per gl'intestini degli uomini: dissenteria e cose del genere e... Le signore erano diventate rosse. Mr. McRae stava ricordando i momenti piú volgari della vita, come la nonna Fontaine con le sue sconcie flatulenze: momenti che ognuno preferiva dimenticare. - Corri a chiamare il nonno - sussurrò una delle figlie del vecchio gentiluomo a una bimba che le era accanto. - Vi assicuro - mormorò poi alle signore attorno - che va peggiorando ogni giorno. Credereste che stamattina ha detto a Maria (la quale ha solo sedici anni): «Ora, figliuola...» - e il resto della frase si perse in un sussurro, mentre la nipotina correva a cercar di indurre il nonno a tornare a sedere all'ombra. Nei gruppi che si affollavano intorno agli alberi, fanciulle che sorridevano e uomini che parlavano appassionatamente, una sola persona sembrava aver conservato la calma. Gli occhi di Rossella si volsero verso Rhett Butler che stava appoggiato a un albero con le mani sprofondate nelle tasche dei calzoni. Da quando John Wilkes si era allontanato, egli era rimasto solo e non aveva pronunciato parola mentre la conversazione si riscaldava. Le labbra rosse sotto i baffetti si increspavano e negli occhi neri passavano lampi di disprezzo divertito; come se ascoltasse delle chiacchiere infantili. «Un sorriso sgradevole» pensò Rossella. Egli continuò ad ascoltare tranquillamente, finché Stuart Tarleton, coi rossi capelli arruffati e gli occhi scintillanti, gridò: - Ce li leveremo dai piedi in un mese! I gentiluomini combattono sempre meglio della plebe. Un mese... macché, una battaglia... - Signori - interruppe senza muoversi dal suo posto Rhett Butler, con un accento strascicato che rivelava la sua nascita (Charleston) e senza togliersi le mani di tasca - posso dire una parola? Il gruppo si volse verso di lui e gli prestò ascolto con la cortesia dovuta a uno straniero. - Ha mai pensato, nessuno di voi, che non vi è una fabbrica di cannoni a sud della linea Mason-Dixon? E alle poche fonderie che vi sono nel Sud? E industrie per la lana o per il cotone o concerie? Avete mai pensato che non abbiamo una sola nave da guerra e che gli yankees possono imbottigliare i nostri porti in una settimana, sicché non potremmo piú vendere il nostro cotone all'estero? Ma... certamente avete pensato a queste cose. «Questo significa che i ragazzi sono una massa di stupidi!» pensò Rossella indignata; e il sangue le salí al volto. Evidentemente non era la sola ad aver quest'idea, perché parecchi giovinotti cominciavano a drizzar la cresta. John Wilkes lasciò il suo posto in maniera indifferente, ma avanzandosi rapidamente verso colui che aveva parlato, come per ricordare ai presenti che quell'uomo era suo ospite e che, inoltre, vi erano delle signore presenti. - Il torto di molti di noi meridionali - proseguí Rhett - è che non viaggiamo abbastanza e non approfittiamo abbastanza dei nostri viaggi. Tutti voi, certamente, avete viaggiato. Ma che cosa avete visto? L'Europa, Nuova York, Filadefia; e le signore, senza dubbio, sono state a Saratoga. - Si inchinò lievemente verso il gruppo sotto gli alberi. - Avete visto i musei, gli alberghi, i balli e le case da giuoco. E siete tornati a casa convinti che non vi fosse un altro luogo come il Sud. Quanto a me, sono nato a Charleston, ma ho passato questi ultimi anni nel Nord. - Un sorriso dei suoi denti candidi fece comprendere che egli era sicuro che tutti quanti sapevano perché egli non dimorava piú a Charleston, e non gl'importava nulla che lo sapessero. - Ho visto molte cose che voialtri non avete vedute. Migliaia di emigranti che sarebbero ben contenti di combattere per gli yankees avendone in cambio vitto e un po' di denaro; le fabbriche, le fonderie, i cantieri, le miniere di carbone e di ferro... tutte cose che noi non abbiamo. Quello che noi abbiamo è cotone, schiavi... e arroganza... In un mese ci batterebbero completamente. Un minuto di tensione silenziosa. Rhett Butler trasse dalla tasca della giubba un bel fazzoletto di lino e si spolverò distrattamente una manica. Quindi dalla folla sorse un mormorio minaccioso e da sotto gli alberi giunse un ronzio simile a quello di un'arnia disturbata. Benché Rossella sentisse ancora sulle guance il rosso calore della collera, pure qualche cosa nel suo spirito pratico le fece comprendere che quell'uomo aveva ragione e parlava con buonsenso. Infatti, ella non aveva mai visto una fabbrica né conosciuto nessuno che ne possedesse una. Ma anche se tutto ciò era vero, un gentiluomo non doveva fare queste dichiarazioni... soprattutto durante un ricevimento dove tutti si stavano divertendo. Stuart Tarleton si avanzò, con la fronte aggrottata, insieme con Brent. Senza dubbio, i gemelli erano dei ragazzi educati e non avrebbero fatto una scenata durante una riunione mondana, pur essendo provocati. Malgrado ciò, le signore erano piacevolmente eccitate, perché era ben raro, per loro, assistere a una scenata o a una lite. Di solito ne sentivano parlare di terza mano. - Che intendete dire, signore? - disse Stuart lentamente. Rhett lo guardò con occhio gentile ma beffardo. - Intendo dire che Napoleone... forse ne avete sentito parlare? dichiarò una volta «Dio è dalla parte del battaglione piú forte». - Quindi si volse a John Wilkes, con una gentilezza che non era finta: - Mi avevate promesso di mostrarmi la vostra biblioteca. Posso chiedervi il favore di mostrarmela adesso? Debbo tornare a Jonesboro piuttosto presto nel pomeriggio, a causa di un affare. Si volse fronteggiando la folla, batté i tacchi e si inchinò come un maestro di danza; un inchino grazioso in un uomo cosí forte, e insolente come un ceffone. Quindi attraversò il prato con John Wilkes, col nero capo eretto; e il suono della sua risata scoraggiante pervenne al gruppo che era rimasto presso le tavole. Vi fu un attimo di silenzio allarmato; quindi il ronzio ricominciò. Lydia si levò stancamente dalla sua sedia sotto l'albero e si avvicinò all'incollerito Stuart Tarleton. Rossella non udí le sue parole, ma l'espressione dei suoi occhi mentre ella lo fissava in volto diede una specie di rimorso alla sua coscienza. Era la stessa espressione di dedizione che aveva Melania quando guardava Ashley; ma Stuart non la vide. Dunque, Lydia lo amava. Rossella pensò che se lei non avesse civettato cosí sfacciatamente con Stuart l'anno scorso, a quella riunione politica, forse a quest'ora egli avrebbe sposato Lydia. Ma il rimorso si dileguò subito, col pensiero che dopo tutto non era colpa sua se le altre ragazze non sapevano trattenere gli uomini accanto a loro. Finalmente Stuart sorrise a Lydia, un sorriso involontario, e accennò di sí. Probabilmente Lydia lo aveva pregato di non seguire Mr. Butler e di non fare questioni. Un tumulto gentile si levò sotto agli alberi quando gli invitati si alzarono, scrollandosi dal grembo le briciole. Le signore maritate chiamarono le bambinaie e i bambini piccoli riunendo le loro covate per la partenza; gruppi di giovinette si misero in moto verso la casa, ridendo e chiacchierando, per recarsi nelle stanze da letto al piano di sopra a scambiar pettegolezzi e a fare un po' di siesta. Tutte le signore, eccetto la signora Tarleton, lasciarono l'ombra delle querce; Beatrice era trattenuta da Geraldo, da Calvert e da altri, che insistevano per aver da lei la risposta concernente i cavalli per lo Squadrone. Ashley si avviò lentamente verso il luogo ove sedevano Rossella e Carlo, con un sorriso curioso e divertito. - Un bell'arrogante, non è vero? - fece seguendo Butler con lo sguardo. - Sembra un Borgia. Rossella rifletté rapidamente, ma non ricordò nessuno della Contea o di Atlanta o di Savannah che si chiamasse cosí. - Non li conosco. È un loro parente? Chi sono? Una strana espressione si dipinse sul volto di Carlo, in cui incredulità e vergogna si trovarono a lottare con l'amore. Ma questo trionfò; egli si disse che per una ragazza bastava esser carina, dolce, e bella, anche se la sua istruzione era scarsa, e si affrettò a rispondere: - I Borgia erano italiani. - Ah, - fece Rossella disinteressandosi. - Stranieri. Rivolse ad Ashley il suo piú bel sorriso, ma egli non la guardava in quel momento. Guardava Carlo e sul volto era comprensione e un po' di compassione.

Pagina 115

. - Siete detestabile - disse ella smarrita, abbassando gli occhi. Egli si appoggiò sul banco chinandosi finché la sua bocca fu accanto al suo orecchio e bisbigliò, in un'ottima imitazione del tiranno che si vedeva a volte sulle scene: - Non temete, bella signora! Il vostro colpevole segreto è chiuso nel mio cuore. - Oh, - mormorò Rossella febbrilmente - come potete dire una cosa simile? - L'ho fatto per tranquillizzarvi. Che cosa volete che vi dica? «Siate mia, o bella, altrimenti rivelerò ogni cosa?» Ella incontrò involontariamente i suoi occhi e vide che erano canzonatori come quelli di un bambino. E allora rise. Dopo tutto la situazione era buffa. Anch'egli rise, e cosí forte che alcune delle signore che erano nell'angolo si voltarono a guardare. Vedendo che la vedova di Carlo Hamilton si divertiva, o sembrava divertirsi con 'un estraneo, avvicinarono le teste, disapprovando.

Pagina 180

Egli la guardò profondamente, abbassando la testa per veder bene il suo volto, ora fiammeggiante. - Lasciamoli tutti! Sono stanca di lavorare per gli altri! Qualcuno se ne occuperà. Fuggiamo, Ashley, voi ed io. Possiamo andare nel Messico... nell'esercito messicano vi è bisogno di ufficiali; e potremo essere felici. Lavorerò per voi, Ashley. Voi non amate Melania... Egli fece per parlare; il suo volto aveva un'espressione dolorosa. Ma Rossella non glie ne diede il tempo. - Mi diceste che mi amavate piú di lei... ricordatevi quel giorno! E so che non siete mutato! E avete detto or ora che essa non è che un sogno... Oh, Ashley, andiamo via! Io posso rendervi felice. E poi - aggiunse velenosamente - Melania non può... il dottor Fontaine ha detto che non potrebbe avere altri bambini, mentre io potrei darvi... Egli le afferrò le spalle stringendole cosí forte che le fece male; Rossella s'interruppe ansando. - Dovevamo dimenticarlo quel giorno alle Dodici Querce! - E credete che io lo avrei potuto? Voi lo avete dimenticato? Potete dire onestamente che non mi amate? - No, non vi amo. - È una menzogna. - Anche se fosse una menzogna - la voce di Ashley era mortalmente tranquilla - è una cosa su cui non si può discutere. - Vorreste dire che... - E credete che io potrei andarmene lasciando Melania e il bambino, anche se li odiassi? Spezzare il cuore di Melania? Abbandonarli alla carità degli amici? Ma siete pazza, Rossella? Non esiste in voi nessun senso di dignità? Voi non potete lasciare vostro padre e le ragazze. Ne avete la responsabilità come io ho quella di Melania e di Beau; e siate stanca o no, voi non potete lasciarli. - Sono pronta a lasciarli... sono stanca di loro... non ne posso piú... Egli si curvò verso di lei e per un attimo Rossella sentí che il cuore cessava i suoi battiti perché credette che egli l'avrebbe presa fra le braccia. Ma invece egli le accarezzò un braccio e le parlò come a un bambino che si vuol confortare. - Lo so che siete stanca. Perciò parlate in questo modo. Avete portato un peso che sarebbe grave per tre uomini. Ma io vi aiuterò... Non sarò sempre cosí inetto... - Vi è un solo modo per voi di aiutarmi - mormorò Rossella ostinata. - Ed è portarmi via da qui, per ricominciare altrove a vivere, con la possibilità di essere felici. Non vi è nulla che ci trattenga qui. - Nulla... eccetto l'onore. Ella lo guardò sbalordita, e vide, come se fosse la prima volta, come il suo capo si drizzava fieramente sul suo collo nudo, e come l'espressione della razza e della dignità persisteva nel suo corpo sottile eretto malgrado i suoi cenci grotteschi. I loro occhi s'incontrarono: quelli di lei supplichevoli, quelli di lui remoti come laghetti montani sotto il cielo grigio. E Rossella vide in essi il naufragio dei suoi pazzi sogni e dei suoi desideri. Crepacuore e stanchezza la sopraffecero; lasciò cadere il capo fra le mani e pianse. Ashley non l'aveva mai vista piangere. Non aveva mai creduto che donne forti come lei avessero lagrime; un'onda di tenerezza e di rimorso l'invase. Le si avvicinò rapidamente e la prese fra le braccia, cullandola, premendo il suo capo bruno al suo cuore, sussurrando: - Cara! mia piccola coraggiosa! No, non dovete piangere! Al suo contatto, egli la sentí trasformarsi; il corpicino che egli stringeva sussultò come toccato da una bacchetta magica, e gli occhi verdi lo fissarono splendenti di dolce ardore. A un tratto non fu piú inverno. Per Ashley tornò la primavera dimenticata, fragrante di verde, frusciante di mormorii, una primavera fatta di serenità e di indolenza, di giorni oziosi, quando tutti i desideri della giovinezza gli bruciavano il sangue. Gli anni amari scomparvero ed egli vide che le labbra volte verso le sue erano rosse e tremanti; e le baciò. A Rossella parve d'udire il suono lontano del mare, come se avesse appoggiato alle orecchie due conchiglie, e attraverso quel rombo udí i tonfi del suo cuore. Fu come se il suo corpo si fondesse con quello di lui e per un tempo incalcolabile le loro labbra rimasero unite, come se non potessero piú staccarsi. Quando egli improvvisamente la lasciò, Rossella fu costretta ad afferrarsi alla palizzata per reggersi in piedi. Sollevò sopra di lui gli occhi fulgidi d'amore e di trionfo. - Mi amate! Mi amate! Ditelo... ditelo... Egli le teneva ancora le mani sulle spalle, e Rossella lo sentí tremare; e questo suo tremito le piacque. Si riaccostò ardentemente, ma egli la tenne lontano, fissandola con occhi, dai quali era scomparsa ogni indifferenza; occhi tormentati dalla disperazione. - No! - esclamò. - No, altrimenti non rispondo di me. Ella sorrise di un sorriso luminoso, dimenticando il tempo e il luogo e tutto, meno il ricordo della sua bocca. E ad un tratto egli la scrollò, la scrollò finché gli scuri capelli le si sparsero sulle spalle; la scrollò come in un'ira folle contro di lei... e contro se stesso. - Non dobbiamo far questo! Non dobbiamo. Ella ebbe la sensazione che la testa potesse staccarsi dal collo se egli la scrollava ancora. Era accecata dai capelli e sbalordita da quel gesto. Si svincolò e lo guardò. Sulla fronte di lui erano stille di sudore e i suoi pugni erano stretti in atto di sofferenza. La fissò con gli occhi grigi e penetranti. - È colpa mia... non vostra; e non accadrà mai piú, perché prenderò Melania e il bambino e me ne andrò. - Andarvene? - gridò ella angosciata. - Oh, no! - Sí, per Dio! Come potrei rimanere? Questo potrebbe accadere di nuovo... - Ma non potete andare, Ashley! Perché voi mi amate... - Volete proprio che ve lo dica? E va bene, lo dirò. Vi amo. Si chinò su lei con un impeto che la fece indietreggiare verso la palizzata. - Vi amo; amo il vostro coraggio, la vostra caparbietà, il vostro fuoco, la vostra irrequietezza. Quanto vi amo? Tanto, che un momento fa avrei oltraggiato l'ospitalità della casa che ha ricoverato me e la mia famiglia, avrei dimenticato la migliore delle mogli... Vi amo tanto che sarei stato capace di prendervi qui nel fango, come un... Ella lottò contro un caos di pensieri e sentí nel cuore un dolore freddo, come se fosse stata punta da un ghiacciolo. Disse esitando: - Se sentite cosí... e se non mi avete presa... vuoi dire che non mi amate. - Non riuscirò mai a farvi capire. Tacquero e si guardarono. A un tratto Rossella rabbrividí e, come se tornasse da un lungo viaggio, si accorse che era inverno, che i campi erano nudi e induriti dal gelo, e che lei aveva freddo. Vide anche che l'antico volto malinconico di Ashley, quello che lei conosceva cosí bene, era tornato, irrigidito dal dolore e dal rimorso. Desiderò tornare a rifugiarsi in casa, per nascondersi, lasciandolo solo; ma era troppo stanca per muoversi. Anche parlare era una fatica per lei. - Non vi è piú nulla - disse finalmente. - Nulla per me. Non mi è rimasto nulla da amare. Nulla per cui combattere. Voi non ci siete piú e fra poco non vi sarà piú neanche Tara. Egli la fissò a lungo e poi, chinandosi, raccolse una piccola zolla di terra rossa. - Sí, vi è ancora qualche cosa - e un barlume dell'antico sorriso, quello col quale egli prendeva in giro se stesso e lei, apparve sulle sue labbra. - Qualche cosa che voi amate piú di me, pur non sapendolo. Avete ancora Tara. Le prese la mano, vi mise dentro la terra e le chiuse il pugno. Non vi era piú febbre nelle loro mani. Ella guardò un attimo la terra rossa, senza trovarvi alcun significato. Indi fissò Ashley e comprese vagamente che in lui era un'integrità di spirito che non poteva essere distrutta dalle sue mani appassionate, né dalle mani di chiunque altro. Dovesse morirne, non lascerebbe mai Melania. Per quanto ardesse d'amore per Rossella, lotterebbe sempre per tenerla a distanza. Ella non riuscirebbe mai a spezzare quell'armatura. Le parole ospitalità, lealtà, onore, avevano per lui piú importanza di quanta ne avesse lei. L'argilla era fredda nella sua mano, ed essa la guardò nuovamente. - Sí - disse. - Ho ancora questo. Dapprima furono parole senza significato, ma spontaneamente il pensiero del rosso mare di argilla che circondava Tara le ritornò; ricordò che le era caro e che aveva lottato aspramente per conservarlo... e pensò che dovrebbe ancora lottare aspramente per non lasciarselo strappare. Guardò ancora Ashley chiedendosi come mai il sentimento di poco prima fosse scomparso. In lei non era piú alcuna emozione. - Non dovete andar via - disse chiaramente. - Non voglio che tutti voi dobbiate morir di fame, soltanto perché io vi ho costretti a ciò che non volevate. Questo non accadrà mai piú. Si volse e si avviò verso la casa attraverso i campi, torcendo i suoi capelli in un nodo sulla nuca. Ashley la guardò allontanarsi e vide che nel camminare irrigidiva le spalle sottili. E quel gesto gli giunse al cuore piú di tutte le parole che ella aveva proferito.

Pagina 527

Abbassando gli occhi, si accorse che sul cuscino era una macchia scura e umida, grande come una mano. Stupita, la toccò e vide con orrore che il suo palmo era bagnato di rosso. - Lydia - mormorò. - Lydia! Ashley è... ferito. - Stupida! Avevi creduto davvero che fosse ubriaco? Lydia chiuse l'ultima imposta e corse in punta di piedi verso la camera da letto, seguita da Rossella che aveva il cuore in gola. Il corpo di Rhett sbarrava la porta; ma Rossella scorse Ashley, pallido e immobile, sdraiato sul letto. Melania, stranamente attiva per una persona appena rinvenuta da uno svenimento, gli stava rapidamente tagliando la camicia imbevuta di sangue con le forbicine da ricamo. Baldo sorreggeva la lampada in modo da darle luce e teneva un dito nodoso sul polso di Ashley. - È morto? - gridarono le due ragazze insieme. - No - rispose Rhett - è soltanto svenuto perché ha perduto molto sangue. È ferito alla spalla. - Perché lo avete portato qui, pazzo che siete? - gridò Lydia. - Lasciatemi passare! Voglio andargli vicino... Perché lo avete portato qui per farlo arrestare? - Era troppo debole per poter viaggiare. Non vi era nessun altro luogo dove portarlo. D'altronde... volete che vada in esilio come Toni Fontaine? Volete che una dozzina dei vostri amici siano costretti ad andarsene nel Texas sotto nomi falsi e vi rimangano tutta la vita? Vi è invece la possibilità di trarli d'impaccio se Bella... - Lasciatemi passare! - No, signorina Wilkes. C'è dell'altro da fare per voi. Dovete andare a chiamare un dottore... non il dottor Meade. È implicato anche lui nella faccenda e probabilmente in questo momento si starà giustificando con gli yankees. Cercate un altro medico. Avete paura di andar sola di notte? - No - rispose Lydia; e i suoi occhi chiari brillarono. - Non ho paura. - Prese il mantello di Melania che era appeso a un attaccapanni nel vestibolo. - Vado a chiamare il vecchio dottor Dean. - La sua voce ora era tranquilla; con uno sforzo prodigioso si era calmata. - Vi chiedo scusa di avervi dato della spia e del pazzo. Non avevo capito. Vi sono profondamente grata di ciò che avete fatto per Ashley... ma vi disprezzo ugualmente. - Apprezzo la sincerità... e vi ringrazio, - Rhett si inchinò e le sue labbra si piegarono a un sorriso divertito. - Ora sbrigatevi, prendendo le strade traverse; e non rientrate in casa se vedete dei soldati in giro. Lydia lanciò ancora uno sguardo angosciato verso Ashley e, avvolgendosi nel mantello, corse leggermente attraverso il vestibolo uscendo dalla porta posteriore, e dileguò nella notte. Rossella, sforzandosi a guardare al disotto del braccio di Rhett, si sentí battere il cuore vedendo che Ashley aveva aperto gli occhi. Melania afferrò un asciugamano piegato dal reggicatinella e lo premette sulla spalla grondante sangue; Ashley sorrise debolmente rassicurandola. Rossella sentí gli occhi duri e penetranti di Rhett posarsi sopra di lei e comprese che il suo volto rivelava ciò che aveva in cuore; ma non se ne curò. Ashley perdeva sangue, forse stava morendo, e lei che lo amava aveva cagionato quella ferita. Avrebbe voluto precipitarsi accanto al letto, piombare in ginocchio e stringere a sé quel corpo disteso; ma tremava talmente che non poté neppure entrare nella stanza. Con la mano sulla bocca, osservò Melania che aveva posto sulla spalla del marito un altro asciugamano, premendo con tutte le sue forze, come se avesse voluto respingere entro il corpo il sangue che tentava di uscirne. Ma l'asciugamani diventava rosso come per incanto. Come si poteva perdere tanto sangue e continuare a vivere? Ma, grazie a Dio, non vi erano bollicine di schiuma sanguigna sulle sue labbra... quelle tremende bollicine precorritrici di morte che ella conosceva cosí bene per aver visto tanti feriti morire con quella spuma rossa sulle labbra nel giardino di zia Pitty, il giorno della battaglia della Conca dell'Albero di Pesco. - Nervi a posto - disse Rhett; e nella sua voce era un vago barlume di canzonatura. - Ora andate voi a tenere la lampada alla signora Wilkes. Ho bisogno di mandare Baldo per delle commissioni. Baldo guardò Rhett attraverso la lampada. - Non accetto ordini da voi - disse brevemente passando nel cavo dell'altra guancia la sua cicca. - Voi farete ciò che egli vi dirà - impose Melania con severità. - E senza indugio. Tutto ciò che vi dirà il capitano Butler. Rossella, vieni a reggere la lampada. Rossella si avanzò e prese il lume tenendolo con due mani per tema che le cadesse. Gli occhi di Ashley si erano chiusi di nuovo. Il suo petto nudo si alzava lentamente e si riabbassava subito, e il flusso rosso continuava fra le dita disperate di Melania. Ella udí vagamente Baldo attraversare la stanza e sentí Rhett parlare rapidamente con voce sommessa. Era cosí intenta ad Ashley che delle prime parole mormorate da Rhett traudí soltanto: - Prendete il mio cavallo... legato fuori... Andate come il vento. Baldo borbottò qualche domanda e Rossella udí la risposta di Rhett: - La vecchia piantagione di Sullivan. Troverete le vesti nel comignolo piú alto. Bruciatele. - Hum... - brontolò Baldo. - E vi sono due... uomini nella cantina. Caricateli sul cavallo alla meglio e portateli in quel terreno deserto che è dietro alla dimora di Bella.. quello tra la sua casa e i binari della ferrovia. State attento. Se qualcuno vi vede, sarete impiccato come tutti noi. Deponeteli in quel luogo e collocate per bene le pistole nelle loro mani. Qui... prendete le mie. Rossella vide Rhett frugare sotto le falde del suo abito e trarne due pistole che porse a Baldo il quale le fece sparire nella fascia della cintura. - Sparate un colpo di ognuna. Deve sembrare una volgare rissa. Capito? Baldo annuí come se avesse perfettamente compreso e nel suo occhio freddo apparve un'involontaria espressione di rispetto. Ma Rossella era ben lungi dal comprendere. Quell'ultima mezz'ora era stata per lei come un incubo; sicché le pareva che nulla sarebbe mai piú stato chiaro e semplice. Però, Rhett sembrava dominare senza esitazione quella strana situazione; e questo la confortava alquanto. Baldo si volse per andare; ma si voltò nuovamente e il suo occhio guardò Rhett interrogativamente. - Lui? - Sí. Baldo grugní e sputò sul pavimento. - Bel compenso! - borbottò mentre attraversava zoppicando il vestibolo andando verso la porta posteriore. In quell'ultimo scambio di parole vi fu qualche cosa che destò il sospetto di Rossella: era come una bolla che ad ogni secondo si andava gonfiando e... se la bolla fosse scoppiata... - Dov'è Franco? Rhett si avvicinò rapidamente al letto; il suo corpo possente si muoveva leggero e senza strepito come quello di un gatto. - Tutto a suo tempo - disse e sorrise brevemente. - Tenete dritta quella lampada, Rossella. Non vorrete bruciare il signor Wilkes o miss Melly... Melania levò il capo come un bravo soldatino che attenda ordini; e la tensione era tale, che ella non si accorse neppure che Rhett l'aveva per la prima volta chiamata per nome, col nomignolo usato soltanto dalla famiglia e dagl'intimi. - Scusate... volevo dire la signora Wilkes... - Non chiedete scusa, capitano Butler! Sarei molto onorata se mi chiamaste «Melly» senza neanche «miss»! Mi pare che siate un fratello o... un cugino. Come siete buono e intelligente! Potrò mai ringraziarvi abbastanza? - Sono io che vi ringrazio - e per un attimo Rhett sembrò quasi imbarazzato. - Non mi permetterei mai una cosa simile; ma, miss Melly... - e la sua voce aveva un accento di scusa - mi dispiace di aver dovuto dire che il signor Wilkes è stato nella casa di Bella Wading. Mi duole di aver dovuto trascinare lui e gli altri in un simile... Ma ho dovuto pensare cosí in fretta quando sono andato via di qua... e non mi è venuto in mente nessun altro luogo. Sapevo che la mia parola sarebbe stata accettata, perché ho tanti amici fra gli ufficiali yankee. Mi fanno il dubbio onore di credermi quasi uno dei loro perché conoscono la mia... vogliamo dire «impopolarità»?... fra gli abitanti della città. Nelle prime ore della sera sono stato a giocare a poker nel «bar» di Bella. Vi era una dozzina di soldati yankee che possono affermarlo. Bella e le sue ragazze saranno liete di mentire spudoratamente affermando che il signor Wilkes e gli altri erano... disopra, con loro. Gli yankees crederanno. Non immaginano che donne di quella... professione sono capaci di profonda fedeltà e patriottismo. Essi non accetterebbero la parola di una sola dama di Atlanta per quanto concerne gli uomini che stasera dovevano essere a una riunione; ma accetteranno come vangelo le parole di... un pugno di ragazze allegre. E credo che fra la parola d'onore di un rinnegato e quella di una dozzina di donne di malaffare, avremo la possibilità di togliere d'impiccio questi uomini. A queste ultime parole sul suo viso apparve un ghigno sardonico che si dileguò subito quando Melania volse verso di lui il volto raggiante di gratitudine. - Capitano Butler, come siete pungente! Che cosa volete che m'importi, se aveste anche detto che erano stati all'inferno, poiché si trattava di salvarli! So benissimo, come sanno tutti quanti, che mio marito non è mai stato in un luogo orribile come quello! - Ma... - riprese Rhett impacciato - se devo dire la verità, stasera è stato veramente da Bella. Melania si drizzò freddamente. - Non crederò mai una simile menzogna! - Scusate, miss Melly! Lasciate che vi spieghi! Quando sono arrivato all'antica piantagione di Sullivan, ho trovato vostro marito ferito e con lui erano Ugo Elsing, il dottor Meade e il vecchio signor Merriwether... - Non il nonno, credo! - esclamò Rossella. - Gli uomini non sono mai troppo vecchi per essere pazzi. E vostro zio Enrico... - Per carità! - gemette Pitty. - Gli altri si erano dispersi dopo il tafferuglio con la truppa e quelli che erano rimasti si erano recati in quel luogo per nascondere le vesti nel camino e vedere se il signor Wilkes era ferito gravemente. Se non fosse stato ferito, a quest'ora sarebbe sulla via del Texas... lui e tutti quanti... ma non era possibile metterlo in cammino e gli altri non volevano lasciarlo. Era dunque necessario provare che erano stati in un luogo diverso da quello dov'erano stati; e cosí per strade poco frequentate li ho condotti da Bella Watling. - Ah... capisco. Scusate la mia scortesia, capitano. Capisco che è stato necessario condurli lí, ma... Oh, capitano, qualcuno vi avrà visti entrare! - Nessuno. Siamo passati da una porticina posteriore che apre sul terrapieno della ferrovia e che è sempre chiusa e buia. - E come...? - Ho la chiave - rispose Rhett laconicamente; e i suoi occhi incontrarono quelli di Melania con indifferenza. Dopo un istante, rendendosi finalmente conto di ciò che implicavano le ultime parole di Rhett, Melania si sentí tanto imbarazzata che cominciò a cincischiare l'asciugamano in modo da lasciare la ferita allo scoperto. - Non volevo essere indiscreta... - disse poi con voce soffocata e arrossendo mentre rimetteva a posto l'asciugamano. - Mi spiace di aver dovuto dire una cosa simile a una signora. «Allora è vero!» pensò Rossella con una strana puntura al cuore. «Allora egli abita con quell'orribile creatura! È padrone della sua casa!» - Ho visto Bella e le ho spiegato ogni cosa - riprese Rhett. - Le abbiamo dato una lista degli uomini che stasera erano fuori, e lei e le sue ragazze deporranno che tutti erano stasera in casa sua. Quindi, per rendere piú rumorosa la nostra uscita, ha chiamato i due «desperados» che hanno l'incarico di mantenere l'ordine in casa sua e ci ha fatti trascinare giú per le scale, e attraverso il «bar», scacciandoci tra vive proteste come ubriachi disturbatori. Sogghignò ricordando. - Il dottor Meade non era un ubriaco molto convincente. Si sentiva ferito nella sua dignità per il solo fatto di trovarsi in quel luogo. Ma vostro zio Enrico e il vecchio Merriwether sono stati bravissimi. La scena ha perduto in loro due grandi attori. Sembrava che si divertissero. Temo che vostro zio Enrico abbia un livido sotto gli occhi per il troppo zelo spiegato dal vecchio Merriwether nel recitare la sua parte... La porta si spalancò per lasciare entrare Lydia seguita dal vecchio dottor Dean, coi suoi lunghi capelli bianchi arruffati e la borsa di cuoio visibile sotto al mantello. Egli fece un cenno di saluto a tutti i presenti, senza una parola, e si affrettò a sollevare l'asciugamano dalla spalla di Ashley. - Troppo in alto per aver toccato il polmone - disse subito. - Se non gli ha fratturato la clavicola, non vi è nulla di serio. Datemi molti pannolini, signore, e dell'ovatta, se ne avete; e un po' di acquavite. Rhett tolse il lume dalle mani di Rossella e lo posò sulla tavola mentre Melania e Lydia si precipitavano per obbedire agli ordini del dottore. - Voi non siete piú di nessuna utilità qui. Venite in salotto accanto al fuoco. - Le prese un braccio e la spinse fuori della camera. Vi era nel suo gesto e nella sua voce una dolcezza insolita. - Avete avuto una giornata tremenda, non è vero? Ella si lasciò accompagnare nella stanza dov'erano prima; e benché fosse adesso dinanzi al fuoco, cominciò a tremare. La bolla del sospetto nel suo cuore cresceva di minuto in minuto. Era piú che un dubbio, adesso. Era quasi certezza, tremenda certezza. Guardò il volto immobile di Rhett e per un attimo non poté spiccicar parola. Poi: - Anche Franco è venuto... da Bella Watling? - No. La voce di Rhett era incolore. - Baldo lo sta trasportando nel terreno vuoto dietro alla casa di Bella. È morto. Una pallottola in testa.

Pagina 784

- E abbassando la voce soggiunse: - Melly mi ha mandato qui per trattenerlo in modo che essa possa terminare di preparare ogni cosa per il ricevimento. Ugo sorrise, poiché anch'egli era a parte del complotto. Rossella pagò lui e i carrettieri e, lasciandoli bruscamente, andò verso l'ufficio mostrando chiaramente che non desiderava essere accompagnata. Ashley venne ad incontrarla sulla soglia e rimase nel sole pomeridiano coi suoi capelli dorati e sulle labbra un sorriso che era quasi una smorfia. - Come mai, Rossella, siete in città a quest'ora? Perché non siete a casa mia ad aiutare Melly nei preparativi per il ricevimento di stasera? - Oh, Ashley! - esclamò ella indignata. - Ma voi non dovete saperne nulla! Melly sarà molto delusa se voi non sarete sorpreso. - Ma io sarò l'uomo piú sorpreso di Atlanta - rispose Ashley con gli occhi ridenti. - E chi ha avuto la cattiva idea di informarvi? - Praticamente tutti gli uomini che sono invitati da Melania. Il primo è stato il generale Gordon. Mi ha raccontato che sa per esperienza che quando le donne preparano delle sorprese di questo genere, scelgono di solito le serate in cui gli uomini hanno deciso di pulire tutte le armi che sono in casa. Poi sono stato avvertito dal nonno Merriwether; mi ha raccontato che una volta sua nuora organizzò una riunione per lui senza dirglielo; e fu lei la piú sorpresa di tutti, perché il nonno aveva pensato bene di curare i suoi reumatismi con un'abbondante razione di whisky, ed era troppo ubriaco per partecipare al ricevimento... Insomma, tutti gli uomini per i quali è stato dato un ricevimento a sorpresa, mi hanno prevenuto. - Che infamia! - esclamò Rossella senza poter trattenere un sorriso. Quando egli sorrideva in quel modo le ricordava il vecchio Ashley delle Dodici Querce. Ma sorrideva cosí di rado! A un tratto ella si sentí come se avesse sedici anni: un po' ansimante ed eccitata. Provò un folle impulso di togliersi il cappello e gettarlo in aria gridando «Urrà». Ma pensò che Ashley sarebbe stato molto stupito e si mise a ridere; e rise fino alle lagrime. Anche Ashley rise gettando indietro la testa, credendo che la gaiezza di lei provenisse dall'amichevole tradimento degli uomini che avevano rivelato il segreto di Melly. - Entrate, Rossella. Sto riguardando i conti. Ella passò nella piccola stanza piena di sole e sedette sulla sedia dinanzi alla scrivania a coperchio scorrevole. Ashley la seguí e sedette sull'angolo della tavola lasciando ciondolare le gambe. - Oh, lasciamo perdere i conti oggi! Non voglio seccature. Quando porto un cappello nuovo, mi pare che tutte le cifre mi sfuggano dalla testa. - E quando il cappello è cosí grazioso immagino che le cifre sfuggano di gran corsa! Diventate ogni giorno piú carina, Rossella. Scivolò giú dalla tavola e, ridendo, le prese le mani e allargò le braccia per poter ammirare il vestito. - Come siete graziosa! Credo che non invecchierete mai! Al suo contatto ella si rese conto di avere sperato proprio quello, pur senza averne coscienza. Durante quel pomeriggio cosí felice, ella aveva anelato al calore delle sue mani, alla tenerezza dei suoi occhi, a una parola affettuosa detta da lui. Questa era la prima volta che essi si trovavano veramente soli dal giorno del frutteto; la prima volta che le loro mani s'incontravano in un gesto non soltanto formale; e durante quei lunghi mesi ella aveva desiderato quel contatto. Ma ora... Strano che il tocco delle sue mani non la eccitasse! Una volta la sola vicinanza l'avrebbe fatta tremare. Ora provava solo un senso di cordialità e di contentezza. Nessuna febbre si trasmetteva dalle mani di lui alle sue; e il cuore non accelerava i suoi battiti. Questo la sconcertava alquanto. Eppure era sempre il suo Ashley, che ella amava piú della vita. E allora perché...? Ma respinse questo pensiero. Le bastava essere con lui e che egli tenesse le sue mani sorridendo cordialmente, senza agitazione e senza febbre. Le sembrava un miracolo se pensava a tutte le cose inespresse che erano fra loro. Gli occhi di lui la fissarono chiari e brillanti, sorridenti come un tempo, e come se fra lei ed Ashley non vi fosse mai stato altro che felicità. Pareva che nessuna barriera piú li separasse. Rossella rise. - Oh, Ashley! Divento vecchia e decrepita. - No, Rossella; anche a sessant'anni sarete sempre la stessa. Vi ricorderò sempre come eravate nel giorno dell'ultimo banchetto, seduta sotto una quercia, con una dozzina di giovinotti attorno a voi. Potrei anche dirvi come eravate vestita: un abito bianco stampato a fiori verde scuro ed uno scialle di pizzo bianco sulle spalle. Portavate degli scarpini verdi con allacciature nere e un enorme cappello di paglia di Firenze con lunghi nastri verdi pendenti sulle spalle. Ricordo quest'abito perché quando ero in prigione e sentivo che le mie condizioni peggioravano, cercavo di raccogliere tutti i miei ricordi e sfogliarli come delle immagini, rivedendo ogni particolare... S'interruppe bruscamente e il suo volto si oscurò. Lasciò cadere dolcemente le sue mani ed ella rimase in attesa di altre parole. - Abbiamo fatto molta strada da quel giorno tutti e due, non è vero, Rossella? Abbiamo percorso sentieri che non credevamo di dover percorrere. Voi siete arrivata in fretta, direttamente; io con lentezza e riluttanza. Sedette nuovamente sulla tavola e la guardò; sul suo volto apparve ancora una volta un piccolo sorriso. Ma non era il sorriso che l'aveva resa cosí felice pochi minuti prima: era un sorriso pallido e triste. - Sí, siete giunta rapidamente, trascinandomi dietro a voi. A volte mi chiedo che cosa sarebbe accaduto di me senza il vostro aiuto. Rossella si affrettò a difenderlo contro se stesso con tanta maggior vivacità in quanto le tornarono in mente le parole di Rhett su questo argomento. - Ma io non ho mai fatto nulla per voi, Ashley. Vi sareste messo a posto ugualmente senza di me. Un giorno o l'altro sareste diventato ricco, come certamente state per diventare. - No, Rossella: il germe della grandezza non è mai stato in me. Credo che se non ci foste stata voi, io sarei stato annientato, come la povera Catina Calvert, e tante altre persone che una volta avevano dei grandi nomi. - Non parlate cosí, Ashley. Mi sembrate triste. - No, non sono triste. Non piú. Una volta... una volta lo ero. Adesso sono soltanto... S'interruppe ed improvvisamente Rossella comprese ciò che egli stava pensando. Per la prima volta si rese conto di ciò che Ashley pensava quando i suoi occhi guardavano lontano, assenti, chiari come cristallo. Finché la passione le aveva colmato il cuore, lo spirito di lui le era rimasto precluso. Ora, nella tranquilla cordialità che era tra loro, Rossella cominciava a comprenderlo. Ashley non era piú triste. Era stato triste dopo la resa, triste quando ella lo aveva pregato di venire ad Atlanta. Adesso era soltanto rassegnato. - Non voglio sentirvi parlare cosí, Ashley - esclamò con veemenza. - Parlate come Rhett. Anche lui non fa che ripetere cose di questo genere, e parla di ciò che chiama la sopravvivenza... non so di che e m'infastidisce tanto che mi metterei a urlare. Ashley sorrise. - Avete mai pensato che Rhett ed io siamo fondamentalmente simili? - Oh, no! Voi siete fine, onesto, mentre lui... - s'interruppe confusa. - Eppure lo siamo. Proveniamo da gente della stessa razza, siamo stati educati alla stessa maniera, abituati allo stesso genere di pensieri. Ma, abbiamo preso vie diverse. Pensiamo ancora nello stesso modo, ma le nostre reazioni sono differenti. Per esempio, nessuno di noi credeva alla guerra, ma io mi arruolai per combattere ed egli ne rimase fuori quasi sino alla fine. Tutti e due sapevamo che la guerra era un errore. Tutti e due sapevamo che si sarebbe perduta. Ma io ho voluto combattere in questa lotta inutile, e lui no. A volte penso che aveva ragione lui; e allora... - Ma quando smetterete di guardare i due lati di ogni questione? - Il tono di Rossella non era impaziente come sarebbe stato in altri tempi. - Non si arriva mai a nulla in questo modo. - È vero, ma... dove volete arrivare? Me lo sono chiesto molte volte. Io, per conto mio, non ho mai desiderato di giungere in nessun luogo. Ho solo desiderato di essere me stesso. A che cosa voleva arrivare? Era una domanda stupida. Voleva denaro e sicurezza. Eppure... Il denaro lo aveva; e anche tanta sicurezza quanta era possibile averne in un mondo cosí incerto. Ma ora che ci pensava, questo non le bastava. Tutto ciò non l'aveva resa felice benché l'avesse liberata dall'angoscia dell'indomani. «Se avessi avuto questo, e te per soprappiú» pensò guardandolo «allora sarei giunta all'apice dei miei desideri.» Ma non parlò temendo di sciupare l'atmosfera che si era creata fra loro. - Desiderate soltanto essere voi stesso? -. rise compassionevole. - Invece io ho sempre cercato di non essere me stessa. E quanto a ciò che voglio raggiungere, credo di esservi arrivata. Volevo essere ricca e sicura e... - Ma non avete mai pensato, Rossella, che a me non importa affatto di essere ricco? No; non aveva mai pensato che qualcuno potesse non desiderare la ricchezza. - E allora, che cosa desiderate? - Ora non lo so. Una volta lo sapevo, ma l'ho quasi dimenticato. Piú di tutto desidero essere lasciato solo, non essere tormentato da gente che non mi piace, trascinato a fare cose che non vorrei fare. Forse... desidero il ritorno degli antichi tempi che non torneranno mai, e sono ossessionato dal loro ricordo e dal ricordo di un mondo finito, scomparso. Il tono della sua voce richiamò alla memoria di Rossella i bei giorni di Tara, facendole dolere il cuore. Ma dopo quell'epoca era venuto il giorno in cui ella si era coricata triste e desolata sul terreno delle Dodici Querce e si era detta: «Non voglio piú guardarmi indietro»; e si era drizzata contro il passato. - Preferisco i tempi attuali - disse. Ma non lo guardò. - Accade sempre qualche cosa di eccitante, oggi, di brillante, di divertente. Gli antichi tempi erano scialbi e uggiosi. - (Oh, giornate serene e pigre, calmi crepuscoli sulla campagna! Risate gioconde e acute che provenivano dal quartiere dei negri! Vita piena di calore, piena del conforto di sapere che cosa porterà l'indomani, come posso rinnegarti?) - Preferisco l'epoca attuale - ripeté; ma la sua voce era tremante. Egli scivolò dalla tavola, ridendo dolcemente, incredulo. Mettendole la mano sotto il mento, volse il viso di lei verso il suo. - Come mentite male, Rossella! Sí, la vita è brillante adesso... E questo è il male. Gli antichi tempi non erano eccitanti, ma in essi c'era un fascino, una bellezza, uno splendore lento e tranquillo. Rossella abbassò gli occhi. Il tono della voce di lui, il contatto della sua mano riaprivano dolcemente delle porte che ella aveva chiuse per sempre. Dietro a quelle porte era la bellezza degli antichi giorni; ed ella sentí nascere in sé una struggente nostalgia. Ma qualunque fosse quella bellezza, bisognava lasciarla dov'era. Non si poteva procedere nel proprio cammino portando seco un fardello di ricordi dolorosi. Egli abbassò la mano che le carezzava il mento, prese una mano di Rossella, la trattenne fra le sue. - Vi ricordate... - cominciò; e nello spirito di lei un campanello ammonitore suonò: «Non guardare indietro! Non guardare indietro!» Ma lo trascurò, sentendosi trascinare in un gorgo di felicità. Finalmente lo comprendeva, finalmente i loro spiriti si incontravano. Era un momento troppo prezioso per perderlo, qualunque fosse il dolore che poteva venire dopo. - Ricordate... - e sotto l'incanto della sua voce le pareti nude del piccolo ufficio scomparvero, gli anni tornarono indietro ed ella si trovò insieme con lui, cavalcando in un viale di campagna, in primavera. Egli parlava stringendole lievemente la mano, e nella sua voce era il fascino triste di vecchie canzoni a metà dimenticate. Udiva il gaio tintinnare dei finimenti mentre essi cavalcavano sotto agli alberi di corniolo nella proprietà dei Tarleton; udiva il proprio riso spensierato, vedeva il sole che faceva brillare i capelli chiari di lui, osservava la grazia altera con la quale egli stava in sella. Nella sua voce era la musica dei violini e dei banjos al cui suono essi avevano danzato nella casa bianca che non esisteva piú. Vi era il lontano squittire dei cani da caccia nella palude, sotto la luna fredda e pura delle notti d'autunno, e il profumo di zabaglione servito nelle grandi ciotole ornate di agrifoglio nelle sere di Natale, fra i sorrisi dei volti neri e bianchi. E vecchi amici tornavano in massa ridendo come se non fossero morti da tanti anni: Stuart e Brent con le loro lunghe gambe e i capelli rossi, scherzosi e rumorosi, Tom e Boyd impetuosi come puledri, Joe Fontaine coi suoi occhi neri e ardenti, e Cade e Raifort Calvert che si muovevano con languida grazia. Vi era anche John Wilkes; e Geraldo, rosso per la grappa bevuta; e un sussurro e una fragranza che era Elena. Su tutto questo era un senso di sicurezza, la certezza che domani porterebbe la stessa felicità goduta oggi. La voce di lui tacque; per un istante essi si fissarono negli occhi; e fra loro giacque la gioventú piena di sole che avevano spensieratamente condiviso e che ora non era piú. «Ora so perché non può esser felice» pensò Rossella con tristezza. «Non lo avevo mai compreso prima, come non avevo mai compreso perché neanch'io potevo essere felice. Ma... Dio mio, parliamo come parlano i vecchi!» disse fra sé con dolorosa sorpresa. «I vecchi guardano indietro. E noi non siamo vecchi. Ma sono accadute tante cose e tutto è cosí mutato che sembra siano passati cinquant'anni. Ma non siamo vecchi!» Guardò Ashley; ma egli non era piú giovine e brillante. La sua testa era curva ed egli guardava distrattamente la mano che teneva ancora fra le sue; Rossella vide che i suoi capelli erano grigi, di un grigio argenteo come il chiaro di luna su un'acqua tranquilla. La bellezza del pomeriggio d'aprile era scomparsa anche dal suo cuore e la triste dolcezza dei ricordi era amara come il fiele. «Non avrei dovuto acconsentire a guardare indietro» pensò disperata. «Avevo ragione nel dire che non volevo mai piú voltarmi verso il passato. Fa troppo male e scava nel cuore profondamente finché non si può piú fare altro che rimpiangere. Questo è il male per Ashley. Egli è incapace di guardare in avanti. Non vede il presente; ha timore dell'avvenire e perciò guarda il passato. Non lo avevo mai compreso. Oh Ashley, amor mio, non dovete guardare indietro! A che scopo? Non avrei dovuto lasciarmi tentare da voi a parlare degli antichi giorni. Ecco che cosa succede quando si ricorda l'antica felicità: si prova dolore, crepacuore, scontentezza.» Si alzò in piedi, lasciando ancora la mano in quella di lui. Doveva andare. Non poteva piú rimanere e pensare al tempo di una volta vedendo il suo volto stanco, triste e malinconico. - Abbiamo percorso molta strada da quel tempo, Ashley - disse cercando di parlare con voce ferma. - Avevamo delle belle idee allora, eh? - E poi, con impeto: - Oh Ashley, nulla è accaduto secondo i nostri desideri! - È sempre cosí. La vita non è obbligata a darci quello che desideriamo. Dobbiamo prendere quello che ci càpita e ringraziare che non sia peggio. Ella si sentí improvvisamente il cuore pieno di stanchezza e di pena al pensiero della lunga strada percorsa. Rivide la graziosa Rossella O'Hara che amava i corteggiatori e i bei vestiti e che aveva l'intenzione di diventare, un giorno, quando ne avesse tempo, una gran dama come Elena. Improvvisamente, gli occhi le si riempirono di lagrime che le scorsero lentamente giú per le guance, mentre ella lo guardava muta, come una bimba stupita e addolorata. Egli non disse nulla, ma la prese dolcemente fra le braccia, le fece posare il capo sulla sua spalla e premette la sua guancia contro quella di lei. Ella si abbandonò e gli circondò il corpo con le braccia. La dolcezza di quella stretta le fece asciugare le lagrime. Com'era bello abbandonarsi senza passione, senz'ansia, come nelle braccia di un amico diletto. Solo Ashley che condivideva i suoi ricordi e la sua giovinezza, che conosceva il suo passato e il suo presente, poteva comprenderlo. Udí rumore di passi fuori, ma non vi badò, credendo che fossero i carrettieri che andavano a casa. Rimase un istante ad ascoltare il lento battito del cuore di Ashley. Improvvisamente egli si sciolse da lei ed ella fu sorpresa dalla sua violenza. Alzò gli occhi stupita, ma egli non la guardava; al disopra della sua spalla, Ashley fissava la porta. Si volse: sulla soglia erano Lydia, pallida, coi suoi chiari occhi fiammeggianti, e Baldo, malevolo come un pappagallo guercio. Dietro a loro era la signora Elsing.

Pagina 915

Una peccatrice

249586
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Pietro fissò uno sguardo sull'amico, poi un altro sulla signora ch'era già molto lontana, e rispose semplicemente, abbassando il capo: - Maddalena non sa neanche annodarsi il nastro del cappellino come colei. - È graziosa! - esclamò Raimondo. - Dunque ameresti dippiù una donna che avesse bisogno, per essere amata, d'impiegare prima due ore allo specchio? - Sì, lo confesso... Chiamala anche civetteria, o ciò che vuoi; nella donna che dovrei amare io vorrei tutte queste cure minute, tutte queste precauzioni delicate, tutte le perfezioni dello spirito e le squisitezze dell'educazione, tutti questi dettagli dell'assieme, insomma, che servirebbero a formarmi l'aureola della donna che dovrei avvicinare colla riverenza e il delirio dei sensi, che tal prestigio dovrebbe recarmi, poichè a riverenza del cuore io non l'ho più. Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso... tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta.. tutto ciò che può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore m'inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest'essere non è come il mio, debole e creta... E allora io l'amerei... un giorno, un'ora, ma l'amerei... Quanto alle altre donne, le amerò allorchè scoprirò un cuore nella donna. Pietro, dopo questa scappata, rimase muto alcuni altri secondi, aspirando voluttuosamente, colle narici dilatate, il fumo del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua imaginazione. Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando: - Che ne dici della mia tirata, Pilade? - Non è cosa nuova in te. Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta. - Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi... - disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d'amarezza. - Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano... Io, povero sciocco, che m'ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque... eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più... fossero anche di cavoli. Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l'incolpabilità delle azioni umane rimarebbe sugli scritti dei penalisti: ecco che, almeno una volta, parlo da saggio... - Ed anche il merito delle azioni umane, in tal caso... E tu sei superstizioso in quest'idea? - Al fanatismo! - Ma se tu fossi destinato ad amare quella donna, che non hai veduto che due volte, in passando?... Pietro cominciò dallo scrollare le spalle, al solito; indi rimase alcuni minuti in silenzio, e disse tristamente, come se quell'idea gli facesse pena o paura: - Chi lo sa!?...

Pagina 13