Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandono

Numero di risultati: 176 in 4 pagine

  • Pagina 2 di 4

La fatica

169582
Mosso, Angelo 2 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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La pallidezza del volto, lo stato di abbandono delle membra, le palpebre socchiuse, la testa inclinata da un lato, e l'atteggiamento del corpo che cade all'innanzi, le mani cascanti e inanimate come quelle di una morta, dimostrano che s'è d'improvviso in lei oscurata la coscienza, e rallentato il battito del cuore mentre essa stava pregando in ginocchio. L'atto di dolore e di sorpresa che hanno le due compagne le quali giungono in tempo a sorreggere la Santa prima che cada, sono di una esattezza meravigliosa nei più minuti particolari del movimento e della emozione. La luce pallida e diffusa che scende dall'alto su quei due gruppi di figure, il candore verginale degli abiti bianchi, la bellezza che spira amore nella faccia di una di quelle monache, l'espressione mistica dell' affetto e dell'estasi nelle forme pure della realtà, producono un effetto così pieno di poesia che non è possibile dimenticarloBaldassare Peruzzi senese disse "che non aveva mai veduto niuno esprimere meglio gli affetti di persone tramortite e svenute nè più simili al vero di quello che aveva saputo fare Giovanni Antonio". (VASARI, Vita di Giovannantonio detto il Sodoma da Vercelli).

Pagina 195

Ma se in una settimana di vacanza, io mi abbandono alla foga del lavoro per dieci o dodici ore di seguito, dopo tre o quattro giorni devo fermarmi. La sera del terzo o quarto giorno soffro di mal di capo, e mi accorgo nel camminare di una leggera incertezza di movimenti delle gambe, benchè i muscoli si contraggano spediti come al solito. L'appetito mi si conserva buono. Ho caldo alla testa e in varie parti del corpo sento come un leggero formicolio e delle vampe fugaci di caldo e freddo appena riconoscibili. Provo una leggera stanchezza ai lombi. Alla sera, coricandomi, devo aspettare mezz'ora, ed anche un'ora talvolta, prima di addormentarmi, il che per me è moltissimo, e dormo male e mi sveglio sognando. Alla mattina, alzandomi, ho gli occhi rossi e cisposi: mi sento stanco, il riposo della notte non è bastato per rimettermi bene. I muscoli in varie parti del corpo sento un po' indolenziti, la mano si affatica facilmente nello scrivere ed ho sempre una tal quale pesantezza al capo. Chiudo i libri, metto da parte i miei scartafacci, e dopo ventiquattro ore di svago sono guarito.

Pagina 234

Fisiologia del piacere

170052
Mantegazza, Paolo 2 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
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Pagina 176

I piaceri che si provano nel riposo o nei momenti che precedono il sonno, sono espressi da un massimo languore, da un abbandono del corpo alle leggi fisiche. Se l'uomo è seduto, getta il tronco all'indietro, oppure piega il capo sulla spalla, o lasciandolo cadere sul petto; tiene le mani posate sulle coscie, distende i piedi o li accavalla. L'abbassamento delle palpebre è segno d'immensa stanchezza o di grande voluttà. L'uomo stanco che si corica cerca d'esercitare il minor numero possibile di muscoli, e quindi si getta perfettamente orizzontale, con le gambe e le braccia aperte, facendo una profonda espirazione. La mimica d'un pigro che al mattino sta godendo il passaggio dal sonno alla veglia e dalla veglia al sonno, è abbastanza espressiva per dimostrare che i piaceri che gode sono vari e numerosi. Egli comincia ad aprir gli occhi alla luce, e le immagini degli oggetti che lo circondano, confondendosi cogli ultimi fantasmi della notte, formano mille combinazioni fantasmagoriche; ma le palpebre ricadono lentamente per riaprirsi poco dopo, stando in questo modo ad indicare gli alterni passaggi dal mondo esterno al nulla, dove incerte ombre vagano sole a dinotare la vita latente d'una mente sonnacchiosa. Ma il respiro si fa più frequente e il sangue, scorrendo più caldo e più celere per tutti i tessuti, a poco a poco ridesta a vita la mente; e il beato mortale si agita lentamente, stira le membra ed effonde in un lungo sbadiglio la pienezza di voluttà che lo innonda. La mimica di un piacere che nasce dal movimento è affatto diversa da quella del riposo. La faccia è animata, e gli occhi brillano. Il riso, i gridi, i moti estesi delle membra sono altrettante espressioni di questi piaceri, che non si godono completamente che dopo il riposo; come questo non si gode in tutta la sua pienezza che dopo una lunga fatica. I piaceri negativi, che provengono dalla cessazione dei dolori, possono avere una fisonomia molto significativa, tanto più viva quanto più forte era il dolore. I lunghi e ripetuti sospiri, il riso, il canto, i gridi di gioia, la calma e il languore della fisonomia, sono altrettanti elementi, che si combinano fra loro in diverso modo, sì da dare alla fisonomia una mobilità tale da variarla secondo un'infinità di circostanze. Il piacere complesso che si gusta dopo un lento pasto può avere una mimica molto espressiva. Chi lo prova, sta seduto ed atteggiato ad un calmo riposo. La sua fisonomia è turgida e rossa, la bocca è semiaperta, e gli angoli, ritraendosi alquanto simulano il principio di un sorriso, e allargano le gote, gli occhi sono lucenti e, movendosi lentamente in un ristretto orizzonte, vedono senza guardare. Le mani sono per lo più incrociate sul ventre, quasi a sentire i voluttuosi fremiti del cibo che va elaborandosi in chimo. L'espressione generale è quella insomma di una sovrana beatitudine. L'esercizio di questi diversi piaceri influisce a perfezionare il senso tattile in generale, che giunge a modificare l'intero organismo e lo predispone a godere di tutti gli altri piaceri.

Pagina 24

Sull'Oceano

171114
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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V'era una sola donna lassù, una vecchia, seduta sopra una bitta, accanto a suo marito, pure vecchio; tutti e due con le braccia incrociate sulle ginocchia, e la fronte chinata sulle braccia, in modo che non si vedevano i visi, ma solo i capelli grigi e radi, e i due colli rugosi, che mostravan passata la settantina, allungati in un atteggiamento di abbandono e di stanchezza mortale. Che andavano a fare in America? A raggiunger dei figliuoli, forse. Nulla avevo ancor visto a bordo di più compassionevole di quelle due vecchiaie disfatte, e quasi già, afferrate dalla morte, che emigravano alla terra della lotta e dell'avvenire. Mi chinai a guardarli: dormivano. A pochi passi da loro, ritto contro il parapetto, incappucciato e solitario, c'era il frate che andava alla Terra del Fuoco; una faccia di cera, con due occhi vuoti, impassibile.

Pagina 90

Le belle maniere

180222
Francesca Fiorentina 1 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
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Pagina 253

Il tesoro

181809
Vanna Piccini 1 occorrenze
  • 1951
  • Cavallotti editori
  • Milano
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Nella danza la donna si astiene da ogni svenevole abbandono, ma serba quella compostezza di movenze, che comanda al suo cavaliere il dovuto rispetto. A questo rispetto l'uomo non verrà mai meno, comunque, e nel chiedere un ballo, nell'accompagnare la dama in sala dove si balla o al suo posto dopo la danza, manterrà uno stile sempre riguardoso. Si eviterà di ballare per parecchie volte di seguito con lo stesso cavaliere o con la stessa dama e durante la danza la donna non sarà nè troppo ciarliera nè troppo leziosa, se non vorrà attirare su di sè l'attenzione altrui. Vorremmo pure consigliare di astenersi dal ballo a quelle signore facili a riscaldarsi, a sudare, ad ansimare, a quegli uomini troppo massicci: lo spettacolo che essi danno dopo il movimentato esercizio della danza è proprio penoso. Crediamo però che questa raccomandazione sia inutile, giacchè ognuno saprà da sè regolarsi in proposito. Ripetiamo poi quando già si è detto nel capitolo « Al ballo », che una signora o una signorina non può rifiutare un invito di ballare, a meno che non sia già impegnata. Una signorina non si presenterà a una festa da ballo che accompagnata. Se non ha persona di famiglia che le stia vicino si metterà accanto a una sua conoscente. Il cavaliere la ricondurrà dopo la danza, allo stesso posto dove è andato a invitarla. Mentre restano immutabili le regole del ballo, in un tè danzante può variare l'abbigliamento. Questi tè avvengono di solito nel pomeriggio, e l'abito più adatto è precisamente quello che nel linguaggio della moda si è convenuto chiamare « abito da pomeriggio». Il ballo si svolge durante il tempo in cui si prende il tè, che in una casa privata viene offerto dalla padrona di casa, coadiuvata dalle sue più giovani amiche. In un albergo o in un Circolo privato il ballo avviene mentre gli intervenuti sono attorno ai tavolini a chiacchierare e a sorbire la loro tazza di tè. Gli uomini invitano le signore o le signorine che sono state loro presentate al momento o che già conoscono. La donna rifiuta gentilmente l'invito fattole da un uomo che le è sconosciuto. A questi tè danzanti la donna si reca generalmente in compagnia di amiche o di suoi familiari. Può recarvisi sola se si tratta di invito presso case private che è solita frequentare.

Pagina 544

L'angelo in famiglia

183083
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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La poveretta che sogna e fantastica si trova sempre al disotto d'ogni sua aspirazione, e per quanti sieno gli agi che la circondano, i baci, le carezze de' suoi cari, gli sforzi loro per vederla felice, ella è sempre mesta, cogitabonda, spira da tutto il suo individuo una cert'aria di abbandono e di degnazione, il suo riso è mesto e forzato, il suo sguardo languido con caricatura, e lunghi sospiri escono dal suo petto. Io credo che con questi simulacri di giovinette un solo rimedio sia eccellente ed efficace; sai tu quale? Un bel frustino che suoni nell'aria e ne batta vigorosamente le spalle. Ti parrà forse triviale ed antiquato il mio rimedio, e forse discorde dal mio sistema di medicina per le malattie giovanili; ma che vuoi? in questo caso non mi pare ce ne sia un altro capace a surrogarlo, e finchè tu non me lo additi, io insisto per questo. La mamma difficilmente si decide ad adoperare il frustino, ed allora il Signore, colle anime che vuol salvare dalla mattía dell'immaginazione, pensa Lui a mandare i gastighi o le sventure, affinchè dal campo aereo la fanciulla cada naturalmente in quello della realtà, non altrimenti della sonnambula che nella veglia si ricrede di quanto ha detto o fatto durante il sonnambulismo. Le giovinette non si contentano di crearsi nell'ardente fantasia cocchi, castelli e paggi; ma si creano altresì cavalieri; cavalieri che diventano erranti, che si perdono nell'ombra dell'avvenire, perchè corpo non hanno; che sono un'illusione, perchè in essi non v'ha nulla di reale; che sono un inganno, un doloroso inganno a chi in essi si pasce. Non mi regge l'animo di condannarla; ma mi fa un'immensa compassione quella sconsigliata, la quale si strugge in vani desiderj, in stolte immaginazioni, e di ogni giovane che le faccia di cappello, o la saluti con garbo, o le dica una parola graziosa, si fabbrica tosto colla fantasia uno sposo. Dal primo castello in aria altri ne sorgono e crescono a vista d'occhio, e già le pare di ricevere il dono della promessa, d'indossare la veste nuziale, di stringere in dito l'anello; di ricevere i doni, le poesie, gli evviva, di regnare sola nella propria casa, di fare ogni cosa a sua voglia, di vestire a suo capriccio i figliuoletti, e cento altre corbellerie che non hanno maggior corpo, nè meritano maggior importanza delle bolle di sapone, o delle parole di una ciarliera. Oh! tu, non t'abbassi cotanto, da credere non capace la tua condizione a fornirti pensieri e soddisfazioni sufficienti per cercarli nei sogni dell'immaginazione! Nel contentarsi di quanto si ha, io trovo la vera grandezza d'animo e la sodezza dei principj; orbene, questi sono il verdetto di condanna dei visionarj. Vedere uno sposo in ogni uomo azzimato, o ricco, o giovane, o procace? È troppo serio il pensiero di un collocamento per idearlo od accarezzarlo così all'impazzata senza probabilità veruna. Ho sempre visto che coloro i quali hanno vagheggiato lungamente un matrimonio sotto speciali auspicj, hanno fatto come coloro che allungata la mano ad un frutto lontano od immaginario, allorchè hanno creduto di afferrarlo, non vi hanno trovato che un pugno di mosche... Oh! i sognatori sono come i re di scena; re per un momento e sudditi par tutta la vita. Oh! il frustino, il frustino, quanto bene farebbe! Tu desideri, è vero, un onesto e vantaggioso collocamento, mia cara figliuola? E perchè a questa mia interrogazione ti salgono le fiamme al viso e chini il capo in atto di vergogna? Non c'è ombra di male in codesto, purchè il tuo desiderio sia regolato dal criterio e specialmente dalla virtù, ed anzichè rivolto a cercare nell'aria quello che non si trova che nella terra, o dirò meglio nel cielo, in un dolce abbandono tu lo cerchi a chi solo te lo può dare e conservare. Sì, quel che tu cerchi è nel cielo, perchè tu cerchi uno sposo col quale dividere le gioje, le pene e le fatiche dell'esistenza, ed un simile sposo deve avere il suo cuore nel cielo, sì nel cielo, dove si trova anche il tuo... La religione, la virtù non ti proibiscono un regolato desiderio di formarti tu pure uno stato, una famiglia, ed anzi t'insinuano, ti consigliano ad appoggiarlo colla preghiera. Una vecchia signora, che ora non è più, allorchè con inarrivabile soddisfazione mi raccontava come i cinquant' anni trascorsi insieme al suo consorte, erano stati cinquant'anni di pace e di affetto sempre crescente, mi andava ripetendo con viva compiacenza che il suo sposo lo aveva ricevuto da Dio, il quale aveva largamente esaudita la preghiera quotidiana ch'essa gli aveva indirizzata dai suoi quattordici ai ventiquattr' anni:Signore, se volete darmi uno sposo, datemelo, ma buono, proprio buono, poi tre Avemmaria alla cara Madonna. Le figlie nate da sì bene auspicato connubio provano una volta di più che da pianta sana escono frutti sani, e sono tuttora la benedizione delle famiglie dove sono entrate, e che hanno la fortuna di possederle. Per carità, guardati dal sognare, se non vuoi da un sogno fallace e lusinghiero essere balzata ad una triste realtà. Poi se anche tu raggiungessi ciò che hai ideato, non saresti ancora felice, perchè continueresti a vagare colla fantasia, a fare castelli in aria, ed il tuo stato ti sarebbe penoso. Una signorina, mia conoscente, sognava uno sposo nobile, ricco, amante; trovò infatti uno sposo nobile, ricco, amante, ed ognuno le invidiava la grande ventura, tanto più che un caro angioletto era venuto a rallegrare la sua casa. Senonchè ben lungi dall'essere felice quella casa invidiata, la giovane dama continuava i suoi sogni ed aveva finito col persuadersi come aveva fantasticato, che essa, benchè nata in condizione molto inferiore, meritava non solo quella fortuna, ma ben maggiori riguardi. Il marito allora incominciò a farle sentire il peso che andava unito al titolo che le aveva comunicato, a farle sentire la propria superiorità; e siccome essa si ribellava, egli la fece accorta, benchè troppo tardi, che i suoi sogni l'avevano ingannata, acerbamente ingannata, facendole credere che la gioja conjugale consistesse nell'opulenza, nel lusso, nel grado elevato, e non piuttosto nella parità di principj, di convinzioni, di bisogni, di condizione. Non andò molto ed essa, povera illusa, delusa troppo tardi, e quando era forza subirsi il triste effetto di un fatto compiuto, non ebbe forza di sostenerlo; tornò nella modesta e povera sua casa, rinunciando a tutto e non solo alle agiatezze, ai cocchi, alle gale; ma altresì al proprio bambino che le veniva negato, per trascinare una vita nascosta sì, ma senza umiliazioni. Poveretta! Per vivere è obbligata a lavorare, insegnare la musica... Poveretta! Se tu non sognavi cotanto, avresti ugualmente afferrata la fortuna di uno splendido connubio; ma vi avresti recato l'umiltà, la tolleranza, un criterio giusto, una virtù abbondante, e queste doti t'avrebbero salvata dal nuafragio, e ti avrebbero non solo reso sopportabile, ma leggiero e soave il giogo conjugale. O fanciulla, se Iddio te lo vuol dare uno sposo, e se tu lo cerchi a Lui con dolce insistenza e collo spirito retto e pio della mia povera vecchia amica, Egli te lo darà tale che ti sia di premio, non di gastigo; e se porrai freno alla tua fantasia la quale tenta di traviarti, avrai virtù bastevole a godere il bene che Iddio ti dà, a cementarlo, ad aumentarlo, a comunicarlo a chi ti circonda, a farti pregustare nella vita del tempo quella gioja, quella pace che raggiungeranno poi la massima loro perfezione in quell'avvenire che solo è certo, e nel quale soltanto possiamo figgere desioso e consolato lo sguardo, sicuri di non andare ingannati, poichè in esso risiede il suo regno eterno, beato, ed immutabile l'increata sapienza e l'increata bontà. Non sognare, non sognare: se sogni, pensa al frustino!

Pagina 643

Il codice della cortesia italiana

184209
Giuseppe Bortone 2 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
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E quando si è sicuri dei propri sentimenti e dei sentimenti dell'altro, che tenga dietro un sapiente abbandono: sapiente, perchè mi par bello, oltre che suggestivo, che ci sia sempre, nel cuore, un cantuccio recondito in cui l'altro s'industri di veder chiaramente. Imperdonabile leggerezza sarebbe, per i giovani, andare al matrimonio senza che ciascuno avesse, in precedenza, fissato a se stesso un programma di vita coniugale. So bene che il nuovo stato provvederà da sé a consigliare, caso per caso, a suggerire, ad imporre anche; ma è pur bene che una linea generale di condotta ci sia già nei propositi dei coniugi futuri. Punto di partenza, nel programma di vita coniugale, deve essere un grande spirito di tolleranza; senza di questo, non valgono separazioni e divorzi: la catena delle esperienze pietose sarà eterna!

Pagina 233

Pagina 65

Come devo comportarmi. Le buone usanze

185334
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
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Quanti giovani si son trovati in brutti impicci per qualche parola buttata là a caso su un pezzo di carta; quante signorine darebbero il loro sangue per riavere lettere scritte in un momento di abbandono! Il risentimento, l'ira, il dispetto sono tutte passioni da tenere in quarantena prima di sfogarle per iscritto. Tanto più poi non si deve mai trascendere in una lettera a offese o a parole che non si direbbero a voce. In quest'ultimo caso, oltre a violare le norme della buona educazione, potremmo anche andare incontro a gravi conseguenze. E non si creda, trattando con amici, di poter fare a confidenza: le amicizie fanno tanto presto a trasformarsi in inimicizie! Le lettere, quando siano di semplice corrispondenza e non debbano comunicare notizie dolorose, dovrebbero sempre essere apportatrici di gioia o almeno di pace. Se ciò non è sempre possibile, e se talvolta dovranno contenere rimproveri o lamenti, siano almeno scritte con tatto, con misura, con tutti quei riguardi che rivelano una buona educazione e un buon cuore. La così detta letteraccia è indegna d'ogni persona seria ed onesta.

Pagina 321

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189015
Pitigrilli (Dino Segre) 1 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Pagina 232

Nuovo galateo

189690
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Pagina 113

La gente per bene

191621
Marchesa Colombi 1 occorrenze
  • 2007
  • Interlinea
  • Novara
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E con quest'essere amante e caro, prendersi allegramente a braccetto, ed affrettarsi per le strade, unendo il passo e parlandosi con abbandono; e poter ripetere a se stessi: Abbiamo diritto d'amarci! Lo neghino pure i romanzieri, ma il diritto di amarsi alla luce del sole, senza menzogne, senza rossori, sarà sempre la poesia dell'amore. Ed a poco a poco si comprende che quelle ore di espansione e di delizia non sono più misurate dalla durata d' una visita; che si ripetono senza interrompersi, e si ripeteranno sempre, per un tempo lungo, infinito. L'ora del pranzo, l'ora del riposo non li separa più. Oh la dolce prosa della vita materiale! Sedere insieme ad una mensa d' albergo interrogandosi a vicenda sui propri gusti, confessando di aver appetito, mangiando allegramente - à la guerre comme à la guerre, - dandosi del tu presente una quantità di persone, pagando il conto colla borsa comune! Tutto il resto può parere un sogno poetico da menti innamorate; ma il primo pranzo all'albergo è pretta realtà. Dopo il primo pranzo soltanto gli sposi sentono che quella fecilità è vera, positiva, che le loro esistenze si sono congiunte per la vita vera, con tutto il suo corredo di spirito e di materia, di poesia e di prosa. E poi vi sono le ore in cui non sono soli: al teatro, al caffè. E nella piena libertà del viaggio da nozze rigustano il mistero d'una stretta al braccio, d'una mano presa furtivamente, del lungo sguardo appassionato che narra un'illiade di desideri, dello sguardo fuggevole e lampeggiante, che dà il fremito e l'ebbrezza d'un bacio. A traverso quel turbine di godimenti, in quel sogno di delizie, vedono azzurreggiare, in un prossimo avvenire la placida promessa d'una casetta tranquilla, dove saranno padroni e soli, e dove si vedranno sotto un aspetto nuovo, nell'uniformità della vita casalinga... È un'altra serie d'incanti, che promette loro quel dolce riposo dopo tanto movimento. I sentimentalisti che, pel culto delle memorie, hanno cominciato dalla fine e si sono isolati, hanno sacrificate tutte le immense dolcezze del viaggio e non le ritroveranno più tardi, perchè il viaggio di nozze è un frutto che fuori stagione non si gusta. È vero che non hanno disperse le memorie care negli alberghi, e le hanno gelosamente rinchiuse; ma son ben certi che, a lungo andare, non ci sia entrata la sazietà o la noia, a metterle in fuga come una nidiata di passeri? Per quell'affetto che m'ispirano le mie lettrici le consiglio, qualunque sia la loro età, il loro grado di agiatezza, non rinunzino al viaggio di nozze, anche a costo di qualche sacrifizio d'interesse, di qualche privazione. Tutte le felicità che potrà dar loro l'avvenire, non le compenseranno mai di quella immensa gioia perduta.

Pagina 119

Galateo morale

197514
Giacinto Gallenga 1 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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Pagina 387

Le buone maniere

202451
Caterina Pigorini-Beri 1 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
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  • UNICT
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Pagina 84

Eva Regina

203293
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 12 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Le creature che fanno della vita mondana l'esclusivo fine della loro esistenza e l'esclusivo alimento per la loro anima, atrofizzano i germi delle qualità più luminose e profonde che Dio aveva infuso in esse, acquistano una personalità artificiosa, superficiale, uniforme, che le rende stucchevoli a tutti coloro che vivono in diversa atmosfera, e, dopo una breve stagione di piaceri, prepara una lunga, deserta, tristissima età di disinganni, di contrasti, di desolato abbandono. All' inizio della sua vita mondana, una recente sposa dovrà dunque riflettere assai, armarsi di molta energia, di molta sagacia, di molta prudenza. La società brillante è un pericoloso ingranaggio : datele un dito, vi prenderà la mano e il braccio e la testa... Giacchè riesce assai difficile accettare un invito e sottrarsi ad un altro : limitarsi nelle conoscenze, negli impegni e nelle spese di conseguenza, che troppe volte mandarono famiglie agiate alla rovina. Dunque segregarsi no, ma neppure abbandonarsi intere alla corrente che vi esilia dal dolce nido, dalla quieta solitudine, dagli affetti fedeli. Abbia, la signora, il suo giorno di ricevimento, che le assicura libertà in casa propria per gli altri sei giorni della settimana; non manchi alle visite d'obbligo, d'augurio, di ringraziamento d'ossequio, se il marito ha qualche superiore ammogliato: ma riduca allo strettamente necessario il suo intervento quando ha la scelta tra andare e rimanere, e preferisca i salotti dove la società è più seria e più scelta. Se va ai balli, non vi rimanga sino alla fine, e se il marito le permette di ballare, non abusi della concessione. Ai teatri non faccia delle toilettes audaci in modo da farsi confondere con certe signore con le quali non deve avere nulla di comune. Non sia un'assidua delle passeggiate eleganti che sono in realtà gare di seduzione, di lusso e di civetteria : nei ritrovi sia amabile con tutti, ma si guardi dal dimostrare una preferenza, anche se determinata da sentimenti innocentissimi, verso questo o quel cavaliere. Non si apparti mai con uno di essi: mostri di ricercare più che altro la compagnia delle signore e sia affettuosa e gentile verso il proprio marito, non imitando certe donne, le quali, pur essendo buone e tenere mogli, affettano in società un contegno sdegnoso e leggermente beffardo di fronte al loro compagno, e per timore d'un ridicolo che non esiste se non nella loro mente fatua, cadono nella sconvenienza. Del resto, anche per ciò che riguarda la vita mondana, dovrà la giovine signora mettersi perfettamente d'accordo con lo sposo, secondare i suoi gusti e le sue abitudini. Nessun sacrificio le sembri di soverchio grave, pensando che l' amor vero è tale tesoro nell'esistenza che non si acquisterà mai a troppo caro prezzo.

Pagina 107

Pagina 133

Ed anche qui basterà mettere in opera un po' di solerzia, un po' di accortezza e molto cuore perchè nè l' uno nè l' altro soffra del nostro abbandono. Una giovine mamma può rinunziare alla società, ma non alla compagnia dello sposo se ricerca la sua, nè può negarsi a dedicargli tutto quel tempo in cui il suo bimbo non ha strettamente bisogno di lei. Così procurerà di mostrarsi sempre accurata ed elegante come una volta, anche nei suoi abiti più pratici, quali sono richiesti dalla sua maternità. Anzi una donna veramente innamorata e veramente intelligente, di questa maternità si comporrà un' aureola che le dia nuovo risalto e nuova seduzione agli occhi dell' uomo che la predilesse. Così la sua esistenza femminile sarà completa : così non si preparerà dei rimorsi per l' avvenire.

Pagina 162

Ed è appunto questa facilità d' abbandono che spesso è il motivo della nostra rovina. Quante donne hanno dovute amaramente pentirsi d' aver scritto lettere rivelatrici, lettere d' intimità e di passione a uomini che poi riconobbero indegnissimi della loro confidenza, della loro dedizione ! Eppure l' esperienza non basta, e le lettere d' amore continuano a sbocciare dall'anima come il suo fiore più bello, in una primavera incessantemente rinnovata, e si spediscono affidando al fragile involucro tutta l' anima nostra : e si ricevono e si leggono come dissetandoci da una fonte nuova di vita e di energia... Ma baciate o disdegnate, benedette o maledette, salve o viaggianti colombe, o affaticate pellegrine! o fiori del cuore, dell'ingegno, del bene e del male, Salve, piccole martiri, che, in compenso dell'ora divina che deste, spesso vi aspetta il rogo; e vi si lacera, e vi si distrugge, e vi si disperde! Ed anche a voi, altre lettere esistenti nei misteriosi ripostigli — vecchie lettere d' amore — lettere sepolte vive, scritte in vano, respirate in vano; tristi avanzi di naufragio che pur foste gioia, gloria, ricchezza di un' anima ; capolavori ignoti e squisiti composti per una creatura sola : essenza di passione, lettere che foste la vita e l' avvenire, che ora siete la morte e il passato : anche a voi, specialmente a voi, la malinconica carezza del pensiero, l' effusione del cuore consapevole....

Pagina 244

Infatti molti galantuomini ingannati seguono il consiglio di questo saggio, non fanno chiasso nè muovono lamento, si allontanano, ma condannano alla pena più giusta e qualche volta più amara, l' abbandono. Del resto mi pare che in certi casi d' infedeltà palese, di irrimediabile opposizione di carattere, di prepotenza violenta o di stravaganza; in qualunque caso, insomma, in cui la vita comune divenga tortura di tutte le ore, invece delle volgari continuate contese che degradano, inaspriscono e non rimediano a nulla, sia meglio assai e più dignitoso separarsi, temporaneamente o per sempre... È un passo arduo e crudele, lo so. È un anello che si spezza, è un passato che si rinnega, si seppellisce, si cancella. Quell' uomo col quale dichiariamo di non potere o di non volere più vivere, fu per poco o per molto, un ideale vagheggiato; fu colui che ci iniziò alla vita, che ci diede la gloria e la gioia della maternità. Ma poichè non si ebbe la forza di resistere alla tentazione, o non si ha la pazienza di sopportare, l' unico rimedio è quello di riprendersi,di riacquistare la propria indipendenza. La vita sarà spezzata ugualmente, sarà forse anche più difficile, giacchè la posizione d' una donna separata dal marito è quanto mai gelosa e scabrosa, ma si avrà almeno la pace, ma non si darà ai figliuoli il triste esempio della discordia, della violenza, non si diminuirà l' autorità paterna e materna ai loro occhi. Pertanto una donna che intenda separarsi dal marito non dovrà credere di ricuperare intera la propria libertà e prepararsi a ricominciare la vita con esultanza. La separazione non è che un rimedio, estremo, crudele, disperato, se si vuole, e come tale dovrà essere adottato e riguardato. Quindi il metodo d' esistenza di una signora separata dal marito deve essere più rigido e austero e riguardoso ancora che quello di una vedova. Le basti d'aver riconquistata la pace e procuri di profittarne per riabilitarsi, se ne ha bisogno, o per dimostrare, se fu vittima soltanto, che non desiderò la indipendenza per secondi fini. Se ha dei figliuoli, si dedichi interamente a loro; sarà un conforto e un nobile scopo alla vita. Se non ne ha, eviti di viver sola, rientri nella sua famiglia se può, o viva con qualche parente, con qualche amica di condotta irreprensibile. Si ritiri dalla società mondana, si faccia un ristretto circolo di amicizie fidate e devote che possano consigliarla, sorreggerla, difenderla in caso di bisogno. Forse, passati degli anni, quando l'autunno della vita avrà mitigato la effervescenza delle passioni, se il suo contegno fu incensurabile e se nel cuore non si spense del tutto l'amore della sua giovinezza e il ricordo delle prime gioie che n' ebbe, allora potrà forse riunirsi ancora al compagno d' un giorno, e dimenticando scambievolmente torti ed errori, potranno, nel porto sicuro, attendere insieme l'inverno dell'età, e combatterne insieme la tristezza col loro affetto rinnovellato dall'esperienza e purificato dalla solitudine. Il divorzio dà alla donna una posizione più netta e regolare della semplice separazione; le ridona la sua libertà piena ed intera, le permette anche di contrarre un nuovo matrimonio. Eppure in generale le signore non sono favorevoli al divorzio. Io temo però che la loro contrarietà dipenda più da un pregiudizio, da un'opinione superficiale intorno ad esso, che non da criterio esatto, da una riflessione meditata e profonda. Essere contrarie al divorzio, per massima, è come se si dicesse che si è contrarie all' atto dell' amputazione chirurgica. Lo so anch'io che non può piacere a nessuno, e che non ci si farebbe tagliare una gamba o un braccio per passatempo, per amor di novità, od anche per liberarsi da un reumatismo. Ma quando andasse di mezzo la vita e non ci fosse altro rimedio, sarebbe pazzo e peccherebbe per suicidio volontario colui che per rispettare l' integrità del suo corpo o per viltà ricusasse di sottoporsi al rimedio doloroso, radicale e supremo. Ne convenite, amiche mie ?

Pagina 264

Una madre di numerosa famiglia non può, convengo, lasciare in abbandono la propria casa per attendere a un lavoro estraneo che non le renderebbe quanto la sua poca sorveglianza detrae ai suoi ; ma se una donna che possa farsi aiutare da qualche parente nelle cure domestiche, o possa sbrigarle in breve, trova qualche ora libera, che male c' è se le impiega a dar lezione, a ricamare, a dipingere, a far fiori, a scrivere a macchina, dietro un compenso, piuttosto che uscir a zonzo a far dei vani desideri dinanzi alle vetrine o recarsi in qualche salotto a far della maldicenza? Conosco una signora in posizione modesta, la quale dando lezioni di pianoforte raccoglie in capo all'anno una sommetta che le permette di passare un mese al mare coi suoi bambini senza ricorrere al portafogli del marito. Ella dona ad essi salute e vigore, a sè un igienico riposo, fine che non potrebbe conseguire se non si adoperasse o che costerebbe al suo compagno un non lieve sacrifizio. Conosco un' altra signora che provvede le sue toilettes col ricavo d' un' industria ch' ella medesima ha iniziato e dirige attivamente. Una delle mie più care amiche seconda il marito nell'insegnamento, contribuendo e non per poca parte, al benessere della sua famigliuola. Inoltre questi guadagni conferiscono alla donna una libertà maggiore, mentre è sempre un po' umiliante per essa dover ricorrere per ogni più piccola spesa, al marito che tante volte fa pesare il beneficio. Il modo per aumentare le proprie rendite, non è però sempre in un accrescimento di guadagno. Consiste anzitutto nella regola, nel risparmio, nella previdenza ed anche... nel coraggio.

Pagina 326

L'amore nella sua verità, nella sua fusione d'anima e di sensi, nel suo completo abbandono, nelle sue conseguenze della maternità, nella sua aureola della famiglia, ripugna ad esse. Il limite estremo dell'amore è per loro un bacio sulla mano, come nell'Evo Medio, o sulla fronte prima d'un addio... Giudicano il matrimonio come una degradazione, una delusione: e uno sposo di buon appetito può costituire per la loro anima vaporosa il massimo dell' infelicità. I bambini sono l' umiliante conferma d'un fatto che le romantiche non ammettono in teoria, e che subiscono : quindi li guardano sospirando, ne sono molestate, e tengono lontani più che è possibile. In compenso le loro lettere sono poemi ricchi di imaginazione delicatissima, di descrizioni di paesaggio, di lirismo elegiaco, di profumi, di memorie, di incensi, di nostalgie...

Pagina 405

Anche Gesù ebbe a provare questo abbandono nell'orto degli Olivi. Tutta l' anima è piena d' amarezza e di ribellione. Non abbiamo che il sentimento d'una grande ingiustizia, non sentiamo che il nostro dolore, e la preghiera che non può più essere un inno o una supplica ardente, muore sulle nostre labbra.... Ebbene, in queste ore di buio, di annientamento, bisogna imporsi una coscienza vigile, una volontà indomabile. « Preghiamo, diceva il Manzoni, che il nostro capo possa sempre inchinarsi quando la mano di Dio sta per passarvi sopra. » Se abbiamo errato, accogliamo la dura prova come un' espiazione: se non abbiamo nulla a rimproverarci, sforziamo i nostri occhi mortali a vedere in essa più d' una causa comune di sofferenza, qualche cosa di prestabilito, d' utile per il bene del nostro spirito, per il nostro progresso morale. E se avremo la coscienza di sentirci puri, anche fra il martirio una pace arcana, malinconica ma benefica, non tarderà a scendere leggera e non sperata sui tumulti del cuore, sull' acerbità del dolore. Noi dobbiamo imparare inoltre a soffrire in silenzio senza far portare agli altri il peso della nostra croce: dobbiamo sorridere alle gioie degli altri senza funestarli coi fantasmi dei nostri disinganni, dei nostri rimpianti: dobbiamo valerci della nostra esperienza del dolore senza perdere la fede nell'esistenza della bontà e della giustizia, e consolarci consolando....

Pagina 456

Una fervorosa preghiera, un atto di abbandono alla Potenza che regge il nostro destino, aiuteranno a procurarci la calma pel nostro riposo se abbiamo l'anima afflitta o inquieta. Qualche buona ed energica risoluzione se l'anima è in lotta con sè medesima, se la coscienza ci fa qualche rimprovero, è pure, spesso, ciò che decide di un sonno ristoratore. Si eviti inoltre per quanto è possibile, alla sera, quanto può eccitare la nostra fantasia : spettacoli emozionanti, musica, letture di troppo interesse e di soggetto passionale. Gioverà molto, invece, prima di dormire, qualche lettura noiosetta; qualche preghiera formale ripetuta; contare sino a un numero alto; ripetersi adagio versi noti. Rimedi fisici contro l' insonnia, dei quali è provata l' efficacia, sono pure i seguenti : lavarsi la faccia prima di coricarsi; togliere il guanciale; cercare una posizione incomoda e dopo qualche tempo mutarla nella positura migliore, prendere un po' di latte caldo, ed evitare di coricarsi prima che la digestione dell'ultimo pasto fatto sia compiuta: badare di non aver freddo alle estremità, provocare anzi la discesa del sangue tenendo molto caldi i piedi. Anche la positura del corpo e la qualità del letto influiscono sul sonno. Le persone non use a spostarsi spesso, non possono dormire quando cambiano letto : altre use a un letto duro saranno molestate da un giaciglio troppo morbido. Se si arriva però, con una giusta attività e una vita regolata, ad ottenere il bene di un buon sonno, anche i mutamenti non lo impediranno più. Gli igienisti dicono che non si dovrebbe dormire supini, ma sul fianco destro, perchè quando il corpo è in questa posizione lo stomaco resta più libero e il fegato preme meno sui visceri. Dormendo così si eviteranno anche i brutti sogni.

Pagina 523

Quante volte una stretta di mano è l'unico abbandono, l'unico possesso ! E allora la sottile spoglia, conscia della dolcezza profonda e fuggitiva, diventa a chi ha amato e desiderato e sperato indarno, qualche cosa di privilegiato che non guardiamo senza tristezza profonda e senza un intimo amaro orgoglio.... Il guanto non fece la sua apparizione che all'epoca del Rinascimento e furono l' Italia e la Spagna a produrre i primi campioni. Nel Medio Evo i guanti erano ancora molto primitivi, giacchè consistevano in un paio di ruvidi sacchetti di cuoio in cui si chiudevano le mani nell' inverno. Più tardi Caterina de' Medici e la sua corte fecero uso di guanti elegantissimi ornati di ricami, pizzi, perle e pietre preziose. Il prezzo dei guanti di quell' epoca era addirittura favoloso. Ai tempi di Luigi XIII un paio di guanti semplicissimi costava settanta scudi ; ma nonostante il prezzo elevato il consumo era enorme. Un uso molto in voga alla Corte, allora, uso che si estese poi alle famiglie nobili, consisteva nel far girare attorno dopo le cene un bacile contenente varie paia di guanti profumati che le signore sceglievano, secondo il loro gusto. Nei secoli XVII e XVIII il portar guanti era considerata una assoluta mancanza d' eleganza e di riguardo. Gli aristocratici tenevano i guanti piegati nella mano che reggeva il cappello. Di quell'epoca ci rimangono però dei veri capolavori del genere. Pochi anni fa fu venduto a Londra un guanto della regina Anna ricamato in oro con merletti dell'epoca, per quattromila lire. E settemila fu pagato un guanto veneziano del secolo XVI adorno di risvolti dipinti a guazzo. Ricordate il sonetto del Petrarca per il guanto di Laura ? Un giorno la donna bella e schiva lasciò cadere uno dei suoi guanti di seta. Petrarca lo raccolse agognando serbarlo come una reliquia del suo amore ardente e infelice ; ma la donna non lo consentì ed egli dovette restituirlo.

Pagina 629

Oppure qualche offesa ricevuta che non si vuol perdonare, che si vuol punire con la separazione assoluta, con l' abbandono. Ad ogni modo il motivo deve essere d' una potenza straordinaria per costringere una donna alla risoluzione suprema d' abdicare al suo regno, di spezzare la catena dei suoi affetti, delle sue dolci consuetudini, di sacrificare forse i figliuoli, di rinunziare alla sua casa, alla sua città, alle sue amicizie, e fuggirsene sola verso l'ignoto, forse verso la catastrofe. E per quanto maturato questo partito che le pare il solo a cui le sia possibile oramai di appigliarsi, pure nel momento di mettere in atto la determinazione il cuore le si schianta, la testa le turbina, il senso della vita le vien meno come ad una moritura. È lei che lo vuole, sì ; essa non obbedisce che alla propria volontà, che al proprio istinto, forse : si sente arbitra sola del proprio destino ; ma questo appunto le dà un brivido di sgomento, uno spasimo d'angoscia. Eppure non voile ascoltare nessun consiglio, e non lo ascolterebbe neppure in quell' ora — ma la sua solitudine, la sua indipendenza stessa, le dànno le vertigini. Ed affretta, affretta i preparativi per togliersi al più presto di là, per mettere al più presto l' irreparabile fra l' avvenire e il passato : per togliersi ogni possibilità di pentimento, di riflessione, di transazione. « Ciò che deve avvenire avvenga ! » è il grido disperato dei suicidi ; ed essa lo ha sulle labbra in quell' istante in cui rinunzia per sempre al suo posto di battaglia che doveva occupare sino alla morte : al suo regno che mai doveva essere privo della propria regina.... Anna Robertson Brown giustamente scrisse: « Consideriamo bene la vita da tutti i lati, prima di gettarci a capofitto in un nuovo cammino dal quale non sarà poi sempre facile ritrarci. » Infatti quante volte queste donne impulsive, sconsiderate, insofferenti, credendo di raggiungere il meglio, precipitarono nella rovina !

Pagina 667

Pagina 669

Angiola Maria

207098
Carcano, Giulio 4 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Pagina 115

Tornato alla villa dopo il colloquio avuto con Maria, vi aveva trovato alcune lettere d' Inghilterra, fra le quali una di Elisa sua sorella, che dipingendogli il misero stato di salute del padre, il terrore o l' abbandono in cui essa e Vittorina vivevano, lo scongiurava a non perder nemmeno un' ora, a ritornar subito, a ricordarsi del nome che portava, e del dovere di figlio e d' Inglese, che lo richiamavano in patria. Questa lettera finì di persuadere Arnoldo. Bisognava dunque partire, senza rivedere Maria; tutto glielo comandava: e chi sa anche se avrebbe potuto ancora arrivare a tempo per ricevere la benedizione del padre suo? Egli dunque partì. Maria, che in tutta quella notte non aveva mai potuto chiuder occhio, s' era levata col sole, e se ne stava appoggiata al davanzale dell'aperta sua finestra, contemplar di lontano la villa *** dov' egli abitava. I balconi del terrazzo erano spalancati; quella parte della casa aveva l'aspetto d'un luogo abbandonato di recente. Quel pianerottolo deserto, quell'alto terrazzo, quelle vate finestre, le mettevano nell'anima un' involontaria tristezza. I suoi sguardi calarono lenti e distratti allungo della riva.... Nello stesso momento vide una barchetta staccarsi dal piccolo porto che si apriva al piede della villa. Un uomo, avvolto nel suo mantello, era nella barca, la quale ben presto pigliò il largo; il barcajuolo faceva forza di remi contro il vento che increspava tutta la superficie del lago. Un grido doloroso, invano trattenuto, le scoppiò dal più profondo del cuore.... Allora, quasi fosse stato scosso da quel grido, Arnoldo levò il capo, e di lontano la riconobbe. Si alzò, stese la mano verso di lei in atto d'un ultimo saluto; poi, quasi oppresso da forza prepotente, s'abbandonò di nuovo su la prora della barca: la quale fuggendo via via si dilungò rapidamente, finché non apparve più che come un punto nero, nell' iride dell' acque che riflettevano il sole nascente. Ma quand' ebbe perduta di vista quella barchetta, la povera Maria sentì mancarsi il cuore: uno schianto improvviso la soffocò; proruppe in lagrime d'amarissimo cordoglio, in quel piangere caldo e dirotto di chi non ha più speranza. Ella pensava che tutto era finito, che non l'avrebbe riveduto mai più. Angiola Maria visse ancora un anno, nella solitaria casetta, in compagnia della sua vecchia amica, che le era prodiga delle cure le più amorevoli, e che si ricordava così spesso di lui. Aveva raccolte sei o sette povere fanciulle del contado, tutte da quattro a cinque anni, belle creaturine dai capegli d'oro e dai visetti color di rosa, innocenti anime che l'amavano come madre. Insegnava loro a leggere, a dire quelle prime orazioni del fanciullo, che sono il più soave profumo che si innalzi ne' cieli; si deliziava di vederle folleggiare, quelle piccine, per le ajuole del suo cortile; e tutte le metteva a parte di quel poco ben di Dio che a lei era avanzato. Cosi si sentiva abbastanza felice, perchè persuasa e contenta d'aver compito il suo dovere. Innocente e sublime creatura! Essa aveva compito il suo sacrifizio. Al cominciar dell'altro inverno, que' fatali indizii d'una lenta consunzione, sopita per poco tempo ma non vinta, tornarono a spiegarsi; e il dottore, che di quando in quando capitava a visitarla, s' era subito accorto della funesta verità. Pure Maria trascinò i suoi giorni per tutta l' invernata. A poco a poco, ella si consumava, finiva, senza temere di nulla, senza patire. Dio è sempre pietoso, e volle risparmiarle l'ultima angoscia. Le fanciullette sue amiche venivano ancora quasi ogni dì a tenerle compagnia; qualche tolta, alcuna d'esse, la più grandicella, le domandava perchè fosse cosi pallida e dimagrita, e nel domandare pian- geva.... Ma ell'era rassegnata; nè fu udita mai pronunziare un solo lamento; chè anzi, assorta talora in dolce meditazione, le sue labbra s' aprivano a un tranquillo e celeste sorriso. Tornò la primavera, tornò il bel sole, tornarono i fiori; ma il cielo non fu più sereno, nè l'aria ebbe più balsamo per lei. Oramai, ella non sorgeva più dal suo letticciuolo. Al principio dell' aprile, in quel giorno stesso che, un anno prima, aveva veduto partire Arnoldo, ella restituì l'anima pura al Creatore. E le fanciulle da lei tanto accarezzate, e la Marta, alla quale lasciò la sua casetta, e quel buon galantuomo del signor Gaspero, che sempre le aveva voluto bene, furono i soli che l'accompagnarono l'ultima volta fin al luogo del suo riposo. Ella è sepolta presso a suo padre; e quelle due zolle sono protette da un' unica croce. Alcune settimane dopo la morte di Maria, il signor Gaspero stava leggendo agli amici le novità della gazzetta: sedevano a circolo su l' entrata della bottega di Samuele; poichè, al venir della state, l'aristocrazia del paese, come i capi delle tribù indiane, soleva tener consiglio a cielo sereno. Dunque, fra le altre novelle, sotto la data di Londra, egli lesse questa: « - Sir Arnoldo, figlio di lord Leslie, quello stesso la cui conversione alla religione cattolica menò gran rumore l'anno passato nel bel mondo, fu eletto membro del parlamento pel borgo di ***. Si pretende che l'onorevole baronetto deva condurre in isposa una sua cugina, la bella e ricca erede di lord S.... miss Elena Davison. » Il buon vecchiotto continuò a leggere; nè a lui, nè al dottore (il quale però conservava ancora, come reliquie, certe tre quadruple di Spagna lasciategli in dono dal giovine inglese), nè al curato, nè allo speziale, cadde in pensiero che quell'onorevole baronetto fosse appunto il bel forestiero da tutti loro già conosciuto. Non vi fu che il deputato politico, il signor Mauro, se pur vi ricordate di lui, il quale susurrò a mezza voce: « Quel nome non m' è nuovo.... Ma via, a noi cos' importa?... » Bisogna dire, peraltro, che di Maria non si dimenticarono. Il signor Gaspero raccontò più d'una volta la storia della povera fanciulla; e n' era sempre commosso, e conchiudeva seriamente: « Il mondo è una scala, e ciascuno deve starsene al suo scalino. La Provvidenza non ha creato per niente i signori e i poveri diavoli. Dunque rimani contento nella condizione in che essa t' ha collocato, nè voler sollevarti da quella per non perdere pace, libertà e salute.... » Ma, dopo un momento, scrollava il capo, e con un sogghigno di compiacenza, soggiungeva: « Questo è vero! Eppure io sono la prova del contrario. Se fossi sempre stato quel baggeo ch'io m' era da fanciullo, la mia fortuna a quest'ora sarebbe di menar la barca fino a Domaso e di pescare agoni laggiù sotto la riva; ma perchè, in que' bei tempi, non me ne stetti con le mani nel giubbone, da povero merciajuolo son diventato quello che sono, ho veduto quel che so io; almeno ho casa e tetto, e posso fare e disfare anch'io la mia parte; nè mi manca nulla, fuorchè la consolazione d' un' anima bella, come fu Angiola Maria. Ma! un' altra come lei non la troverò più, campassi anche gli anni di Noè. »

Pagina 321

Feci le viste di non accorgermi del terrore che, senza volerlo, gli avevo cacciato in corpo, nè di quell' impaccio con cui egli andavasi raccostando alla meglio lo sbottonato panciotto e la lunga sottana d'equivoco negro colore, che nell' abbandono del suo sonnecchiar vespertino aveva indietro arrovesciata, non senza mettere un poco in compromesso la sua gravità di prima. Lo ringraziai meglio che seppi della bontà colla quale m'avea lasciato frugare nel suo studio, e poi, per un certo prurito della coscienza, trassi di tasca il rotolo delle carte delle quali m' era fatto padrone, e gli chiesi il permesso di portarle meco per alcuni dì, affine di trarne le note che m' occorrevano. Egli allora, per darsi un cotale sussiego d' inquisitoria importanza, pigliò lo scartafaccio, senza badare che lo pigliava alla rovescia, e dato che v'ebbe un' occhiata me lo rese soggiungendo: « So cos' è, so cos' è.... Poh! tenetelo, tenetelo pur fin che v' aggrada, ch' io per me di coceste malinconie non ho mai voluto l' impaccio , e tanto meno adesso. E così, a dirla fra noi due, non mi fossi tirato addosso, per que' brutti anni, il fastidio di colui che le ha scarabocchiate tutte quelle pagine; non l'avrei pagata con perderci l'appetito per più d'un mese. Basta! ebbi il mio santo anch' io, e per buona sorte la è passata la trista burrasca. Ma v' accerto che, sebbene colui fosse una cima d'uomo, come dicono, per me fu il primo e l'ultimo prete che mi tenni vicino. Mi riuscì di accomodarla con monsignore; e d'allora in poi, io solo, povero vecchio qual mi vedete, ho tirata la barca della parrocchia, e spero continuare per un bel pezzo ancora.... » Essendo fatta l'ora tarda, mi congedai dal pievano, pensando fra me di mandargli, in segno d'animo grato per il donatomi manoscritto, un bel breviario nuovo che gli servisse in vece di quello tutto squadernato e bisunto da me veduto sul suo tavolo. E così poi feci, appena giunto a Milano. Tornai alla casuccia del mio buon alpigiano. E con lui, il seguente mattino, volli visitare quella ch' era stata la dimora dell' infelice don Carlo. Erano poche camerette, anguste, nude, disabitate, cadenti: e come appartenevano alla prebenda, nessuno le aveva più occupate dal giorno che il vicecurato s' era di là partito, per non tornarvi più. Mi si serrò d'angoscia il cuore. veggendo che servivano di ripostiglio alle vecchie e rotte suppellettili della chiesa, e che in fondo della stanza terrena eran riposti il cataletto dei poveri della parrocchia, alcuni rugginosi candelabri di ferro usati ne' funerali, due panche sgangherate, una barella; e nel canto, la zappa e la vanga del becchino. Nulla più v' era che serbasse ancora in quel cadente tugurio la più piccola traccia della memoria di un giusto. In sul meriggio, salutai la povera famiglia di Bernardo quelle buone e sincere creature ch' io aveva già preso ad amare, e che nella fede de' loro cuori benedicevano tuttora al nome del vicecurato. Allorchè m' arrestai un poco sul breve altipiano, donde si vedevano in gruppo le prime case di quell' ignota terricciuola, mi venne all'orecchio la limpida voce argentina della figlia del montanaro, che cantava così:

Pagina 376

Lo stralisco

208541
Piumini, Roberto 2 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Pagina 135

Pagina 90

La freccia d'argento

211998
Reding, Josef 1 occorrenze
  • 1956
  • Fabbri Editori
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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Il Plutarco femminile

217925
Pietro Fanfano 2 occorrenze
  • 1893
  • Paolo Carrara Editore
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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La Olimpia lo avrà fatto per avventura, per cagioni e ragioni non al tutto biasimevoli; ma bisogna pure che io noti qui, come i suoi pregi sarebbero stati più onorati e più belli, se non gli avesse oscurati con l'apostasia, la quale in fin de' conti è odiata da tutti, perchè i seguaci della religione che abbandoni ti voglion male o ti dispregiano per la tua tristizia; i seguaci della religione nuova ti disprezzano anch'essi per la viltà dell' abbandono; nè si fidano di te, reputandoti sempre pronto a ripudiare la nuova, come ripudiasti la vecchia.

Pagina 106

Pagina 192

C'era una volta...

218632
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1910
  • R. Bemporad e figli
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Pagina 81

Mitchell, Margaret

221992
Via col vento 2 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Pagina 264

Pagina 986

Parassiti. Commedia in tre atti

231997
Antona-Traversi, Camillo 1 occorrenze
  • 1900
  • Remo Sandron editore
  • Milano, Napoli, Palermo
  • teatro - commedia
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Pagina 299

Passa l'amore. Novelle

241479
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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Intanto vi abbandono tutti alla maledizione di Dio!.... Giacchè io credo in Dio più di voi, signora baronessa che vi confessate due volte al mese e date questo bell'esempio ai figli vostri! Figli?... Figlie?... Io non ho più nessuno!... Nè moglie!... Nessuno!... Esco di qui coi soli vestiti che ho indosso.... Non voglio altro!... E il giorno che mi porteranno la notizia: - Il vostro palazzo è crollato; Dio Io ha scosso dalle fondamenta e vi ha seppellito tutti - quel giorno farò cantare un Te Deum!... Non metterò il lutto!... - Barone, per carità! - tornò a supplicare la baronessa. - Voscenza scusi; non si ragiona in tal modo!... Feliciano aveva pronunciato queste parole con tono dimesso ma così ironico, che il barone fece atto di slanciarglisi contro per schiaffeggiarlo come un ragazzo. Mariangela dètte uno strillo, la baronessa si mise a gridare, quasi la minacciata fosse lei; Rosaria si piantò davanti al fratello per fargli scudo col corpo, alzando la bruna testa dai lineamenti duri, aggrottando le sopracciglia, stringendo le labbra carnose. E fu il segnale della gran rivolta! Parlavano, strillavano, urlavano assieme, aggirandosi per la stanza, senza sapere quel che volessero, nè quel che facessero, mentre il barone in mezzo a loro continuava a ripetere frasi scomposte, con le braccia in alto, sventolando il foglio della citazione come segnale di minaccia e di gastigo; e la baronessa in piedi su la predella del seggiolone di noce, piangente, sperduta, urlava: - Barone! Figli miei!... Figli miei! Tutta la pazzia dei Zingàli parve si fosse scatenata improvvisamente, rompendo la lunga compressione, sconvolgendo quei cervelli squarciando quelle gole con orride grida, agitando quei corpi in una terribile convulsione di atteggiamenti, di mosse, di gesti furibondi, che avrebbero fatto scappare le persone fermatesi nella via ad ascoltare maravigliate, se fossero salite su, spinte dalla curiosità o dal desiderio di dar soccorso, giacchè si capiva che lassù accadeva qualcosa d'insolito e di triste. Poco dopo, le grida cessarono, la gente si disperse; e gli scarsi rimasti videro uscire il barone don Pietro-Paolo, vestito di nero, con l'abito abbottonato e un gran mazzo di carte sotto braccio. Nessuno osò domandargli che cosa era stato. Si scoprirono rispettosamente, e il barone rispose al saluto con la consueta sua affabilità.

Pagina 110

Cosima

243798
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
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Pagina 83

Documenti umani

244476
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
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Pagina 156

Il marito dell'amica

245018
Neera 2 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
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Abbandono gli studi che «mi furono tanto graditi, i miei classici mi «vengono a noia; ch'io vegli o ch'io dorma «non penso che a voi.» Felice di avergli strappato uno slancio di vero amore, Maria trovava la forza di ragionare a sua volta; ed era lei che parlava di doveri, di pura e di semplice amicizia. In queste alternative egli fu leggermente indisposto; aveva delle fatiche straordinarie di professione, delle noie, delle seccature infinite; il suo scetticismo tornava a galla; imprecava alla vita. E Maria a consolarlo con tutte le tenerezze della donna innamorata. Ma quell'amore non bastava ad Emanuele perchè egli non credeva all'amore. I suoi sogni giovanili si erano dileguati davanti a un convincimento, sempre crescente, che l'amore non è altro che illusione. Tolta la necessità materiale di unirsi ad una donna, il giovane scettico non vedeva, non sentiva altro. L'affetto appassionato di Maria se, qualche volta, riusciva a scuoterlo e a commuoverlo, gli lasciava però sempre lo sgomento di una grande aberrazione. Nei momenti più dolci, quando la fanciulla gli dava l'anima negli sguardi e sembrava implorarne la pietà, presso a cedere, una voce inesorabile gli mormorava all'orecchio: Anche questo non è altro che illusione. - E, si rifaceva freddo, non volendo essere trascinato in quel tumulto di palpiti e di desideri, non volendo soffrire, non volendo amare - amando tuttavia, debolmente, per impulso di lei e per la viltà del cuore che si faceva, a sua insaputa, alleato dei sensi. Una volta, la lettera che Maria trovò in fondo al vecchio vaso terminava con queste parole, che la gettarono in un turbamento indicibile: «un vostro bacio sarebbe il miracolo che muta l'inferno in paradiso.» Nelle sue lunghe ore solitarie, Maria doveva averlo provato il desiderio di un bacio, del primo bacio d'amore, che non sapeva, ma supponeva differente da tutti; mille volte questo desiderio doveva esserle salito dalle labbra allo sguardo; e nei colloqui della sera, sotto la blanda luce della lucernetta, un'attrazione invincibile doveva trascinarla verso la bocca di Emanuele, il disegno della quale, puro e gentile, spiccava con un fresco incarnato sulla barba bionda. È certo che non esitò. La stessa sera, quando Emanuele venne a congedarsi, ella gli fece un piccolo cenno, puntando l'indice nella direzione di una scaletta che egli doveva salire per recarsi in camera: poi si salutarono, freddi in volto, comprimendo i battiti del cuore. Trascorsero alcuni minuti durante i quali Maria tendeva l'orecchio al suono smorzato dei passi che si allontanavano; e intanto accomodava i guanciali sulla poltrona del padre, con un tremito nelle gambe, colle mani fatte di ghiaccio. Ascoltò ancora - nessun rumore. Egli era là. La scaletta si rizzava, ripida, parcamente illuminata nei gradini inferiori; buia in alto. Maria attese un richiamo, cercando cogli occhi nella semi oscurità, sperando di vederlo subito. Nulla. Guardò allora angosciosamente in alto dove i gradini si perdevano nelle tenebre fitte, Non un cenno, non un bisbiglio; ma nel silenzio di quell'ombra c'era una vertigine che l'attirava. Fece ancora qualche passo, smarrita, finchè un respiro affannoso le venne incontro e due braccia possenti la presero attraverso le reni. Il corpo di Maria si piegò come un giunco, abbandonandosi, provando l'impressione di una ferita acutissima. Sotto la dolcezza dell'amante ella sentiva fremere, repressa, una brutalità ignota. Eppure mentre tremava in quella violenta rivelazione, mentre un senso nuovo, quasi doloroso, si destava in lei dal bacio di Emanuele, una tenerezza struggitrice, un bisogno di darsi, di sacrificarsi le faceva mormorare: «ti amo, ti amo!» Al che egli non rispondeva altro che stringendola maggiormente, con un rantolo nelle fauci. Ed ora, coricata su quel letto straniero, cogli occhi aperti nella oscurità di una camera ignota, Maria rivedeva quella scaletta, risentiva quel primo bacio al quale molti altri erano seguiti di poi senza cancellarne la profonda impressione. Sostò per poco, ondeggiando col pensiero in un periodo di deliziosi incanti, durante il quale i giorni volavano in una continua ricerca di furberie e di astuzie per stringersi in un amplesso rapido, per ripetersi che si amavano. Nelle lettere, Emanuele diceva ancora che bisognava combattere una passione insensata, le chiedeva scusa per aver turbato co' suoi ardori la casta tranquillità di lei; le prometteva di frenarsi, di soffrire, di non chiederle più nulla. Un solo istante però distruggeva tutte queste saggie teorie. Così nel cuore di Maria ardeva sempre la fede, alimentata dai giovanili entusiasmi e dall'immenso amore. Ad onta delle sue letture, ella, dotata di molto idealismo, era rimasta ignorante sulle verità materiali dell'esistenza; come un cieco che abbia studiato a perfezione il meccanismo della vista, ma che non vede. Istintivamente sentiva che nell'amore di Emanuele per lei c'era qualche cosa che non poteva capire, differente dalle sensazioni sue proprie; ma che cosa fosse preciso non cercava. Non era curiosa, non era maliziosa. Quando la bocca di Emanuele così piccola, così gentile, le dava nel buio quei baci virili che la sorprendevano e la turbavano, ella rimaneva per poco sotto l'assillo di una curiosità indeterminata, che svaniva poi nei tranquilli colloqui intorno alla lucerna, allora che il giovane professore, calmo, colla sua voce monotona, rispondeva alle controversie del padre; e l'impressione violenta svaniva per lasciar posto a una idealità piena di dolcezza. Maria non pensava neppure che vi potesse essere un pericolo per lei in quell'amore. Era cresciuta con un principio di morale, non bigottamente ristretta, ma di una conclusione rigida e inflessibile. A' suoi occhi, l'abbandono completo di una donna, quando non fosse reso legittimo, metteva capo a una vergogna incancellabile. Certe parole grosse, brutte, ch'ella aveva udite per caso, le sembravano applicabili a tutte le donne che cedono; e nei momenti di maggior debolezza, il ricordo di quelle parole le faceva salire alla fronte una fiamma di vergogna. L'uomo ha un altro, diverso e vasto campo in cui esercitare la virtù; egli ha le virtù cittadine, politiche, patriottiche e guerriere; ha l'onestà della carica che occupa e dei commerci che intraprende. La donna non ha che questa povera, modesta virtù del resistere, che cresce nell'ombra, spoglia di gloria, quasi sempre inapprezzata. Non importa; Maria aveva fede in essa; sperava che Emanuele avrebbe superati gli ostacoli che li dividevano e si sarebbero alfine sposati. Si voltò dolorosamente nel letto; la successione delle idee che le presentava in quadri spiccati le scene principali nella sua vita, l'aveva condotta ad una scena ch'ella non poteva ricordare senza sentirsi dare un tuffo nel sangue. Sempre la tetra casa, l'abbandono, la miseria e suo padre morto - questa la cornice. Nel mezzo, lei, disperata, folle, abbracciata come un naufrago ai ginocchi di Emanuele... A questo punto, con tutte e due le mani, prese il guanciale e se lo pose sul volto, premendo, non trovandosi abbastanza nascosta nelle tenebre, desiderando nascondersi a sè stessa in un bisogno di annientamento; ma anche soffocata dal guanciale vedeva gli occhi di Emanuele senza lagrime intanto che la sua voce misurata le diceva: Non posso farti mia. E l'amava, sì, l'amava; ma non aveva la fede che ispira, non aveva il coraggio che spinge alla lotta, non si sentiva la forza di darle la sola prova d'amore che un uomo possa dare ad una donna onesta: soffrire con lei, lavorare per lei... E dopo tanti anni, lì, in quella camera che apparteneva a lui, su quel guanciale dove egli aveva forse appoggiata la testa sognando di un'altra, i singhiozzi della povera donna scoppiarono alti, irrefrenati.

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Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245415
Grazia Deledda 2 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
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Poi mi prese un senso di rabbia contro la mia incertezza: mi avanzo, sento l'acqua penetrarmi nelle orecchie, negli occhi, nelle narici; mi abbandono e apro la bocca e bevo come se bevessi del veleno. L'istinto mi portava su; sentivo le mie membra agitarsi tutte, e bevevo e gemevo; finchè mi sembrò che tutto l'interno del mio corpo si riempisse di un liquido nero e amaro, e un'ombra mostruosa mi travolse.

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Il drago. Novelle, raccontini ed altri scritti per fanciulli

246664
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1895
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
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Pagina 126

Nel sogno

248199
Matilde Serao 1 occorrenze

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