Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

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Il Politecnico, Memorie, vol XXI, fascicolo II

474863
Filippo De Filippi 9 occorrenze
  • 1864
  • Editori del Politecnico
  • Milano
  • scienze naturali
  • UNIPIEMONTE
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Nella grande famiglia delle scimie tre si distinguono per la loro rassomiglianza all'uomo: le così dette scimie antropoidi; e sono l'orang-outang di Borneo, il chimpansé di Guinea, il gorilla del Gabon, tutte superiori alle altre scimie per le grandi dimensioni, per la mancanza della coda, delle borse alle guancie, delle callosità deretane e per l'incesso tra il verticale ed il carpone, nel quale non mettono a terra la palma delle mani, ma il dorso delle dita piegate. Ciascuno di questi tre nomi volgari corrisponde ad un'unica specie, secondo l'opinione generale dei naturalisti; ma Blyth vorrebbe distinguere quattro specie di orang-outang, Duvernoy due di chimpansé, Du Chaillou, autorità invero alquanto sospetta, altre due specie di questo stesso genere. Siffatta quistione si può risolvere nella possibilità di altrettante razze o specie dell'avvenire, figliate per elezione naturale da ognuna delle tre specie sistematiche comunemente accettate.

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Sono due caratteri combinati di degradazione, che si pronunciano però sempre più evidenti, e con grande costanza, scendendo nella serie dei mammali; ma incominciano già a palesarsi nella specie umana, nella razza nera. In questa la supremazia del braccio sull'antibraccio è già minore che nella razza caucasica, e la mano ha dita più lunghe, più scarne, colle eminenze tenare ed ipotenare, meno sporgenti; e le estremità anteriori distese sui fianchi arrivano qualche poco al di là della metà della coscia, ove si arrestano invece nell'europeo. E venendo ora alle scimie antropoidi, nell'ordine degli annunciati caratteri, il gorilla ed il chimpansé hanno un vantaggio deciso sull'orang-outang, nel quale la grande lunghezza delle estremità anteriori riflette particolarmente l'antibraccio e la mano, e le dita sono relativamente più sottili e più scarne.

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Galeno, astretto dai pregiudizi del suo tempo a studiar anatomia sulle scimie, li aveva già conosciuti, e Silvio, notandone la mancanza nella specie umana, incappava in una strana opinione che non viene mal a proposito oggi, allorquando diceva che l'uomo li avesse perduti per l'effeminato e pervertito suo modo di vivere. Sul finire del secolo scorso una scoperta, dovuta al genio di Goethe, dell'autore dell'Ifigenia e del Faust, segna un'epoca nella scienza, imprimendo una nuova spinta alla filosofia anatomica: la scoperta, voglio dire, degli ossicini intermascellari anche nell'uomo, ma nell'uomo nei primordi della sua vita, prima che veda la luce del sole, saldandosi questi ossicini prestissimo coi mascellari corrispondenti. E d'altra parte questi ossi intermascellari od incisivi si trovano nelle medesime precise condizioni di fugace esistenza nel chimpansé, nella scimia che pe' caratteri del cranio primeggia sulle altre. Nell'orang-outang e nel gorilla invece gli ossi intermascellari persistono distinti fin molto avanti nella vita e non si saldano co' mascellari se non nella tarda età, quando cioè si pronuncia la tendenza alla scomparsa di tutte le suture. In queste due specie la forma del cranio, col progredir dell'età, devia rapidamente dal tipo umano: coll'allungarsi delle mascelle deve crescere la potenza muscolare che move la mandibola, e l'accrescimento de' muscoli, specialmente dei temporali, determina una maggior estensione della loro base; questi due muscoli estendono il loro attacco fin quasi ad incontrarsi sul vertice, ed ivi determinano la formazione di una forte cresta lungitudinale; nel medesimo tempo la necessaria sempre crescente forza dell'aponeurosi occipito-cervicale che tiene il posto del legamento cervicale de' veri quadrupedi, determina la formazione di una grande cresta ossea trasversale sull'occipite, d'onde la enorme deformazione del cranio nell'orang-outang e nel gorilla adulti.

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Dobbiamo distinguere in essi la parte che sta alla base del cranio, da quella che si rivolge in alto e, nel caso di esuberanza, si porta indietro fino a coprire più o meno il cervelletto. La prima somministra essa pure fili nervosi ad organi sensori, come sono quelli dell'olfatto e della vista; la seconda è quella in cui propriamente si concentrano quelle nobili attribuzioni che nel linguaggio ordinario sono riconosciute agli emisferi cerebrali in complesso. È questa la parte dell'intera massa del cervello che presenterà nella serie animale le più grandi variazioni, conformi al vario sviluppo delle attività intellettuali; è questa che troviamo più sviluppata ne' mammali che negli uccelli, e ne' vari mammali più negli intelligenti che negli stupidi, più nelle scimie, per esempio, che ne' conigli.

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La vera legge è questa: che lo sviluppo degli emisferi è in ragion diretta del grado di intelligenza degli animali, ma non sempre questo sviluppo si esprime colla formazione delle circonvoluzioni, perché a questo concorre un altro fattore: la capacità del cranio, relativamente alle dimensioni dell'intiero corpo. Or bene questa relazione è tale che, diminuendo nella serie animale le dimensioni generali del corpo, non diminuisca in egual proporzione la capacità del cranio, ma in proporzione minore. Concepite facilmente che se negli animali di piccola corporatura la capacità del cranio è rimasta relativamente grande, gli emisferi cerebrali potranno svilupparsi, senza formare quelle ripiegature della loro sostanza, nelle quali propriamente consistono le circonvoluzioni. Ecco il perché troverete pieghe e solcature cerebrali negli stupidi montoni, cervello liscio invece ne' vispi, graziosi e maliziosetti ovistiti.

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Queste saccocce laterali che si gonfiano quando l'animale grida, e crescono allora la ributtante ferocia del suo aspetto, devono influire grandemente a dare altresì alla sua voce una rauca asprezza tutta particolare. Nel chimpansé sono piccole, grandi invece nell'orang-outang, maggiori ancora nel gorilla, nel quale comunicano inoltre con una terza enorme saccoccia mediana complicata da espansioni laterali. Spunta per un istante la speranza di trovar qui almeno, in questo organo nobilissimo, un qualche carattere deciso, non di sola quantità, per cui l'uomo si distingua dalle scimie: ma anche questa speranza si dilegua davanti alla circostanza che in un medesimo genere di scimie, in quelli per esempio dei macachi e dei babbuini, vi sono specie con saccocce laringee e specie che ne sono prive.

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Combinando questi fatti colla teoria di Darwin, siamo naturalmente condotti a far discendere fino ai marsupiali gli stipiti di diversi gruppi naturali di mammali placentari. La grande differenza che passa fra l'esistere ed il mancare di una placenta, scema d'importanza quando si riflette che in alcuni gruppi compatti di vertebrati, ne' quali l'assenza della placenta è legge, occorre l'anomalia costante di poche specie placentarie**.Ce ne danno esempio i Seps fra i sauri, secondo le belle osservazioni del professore Studiati di Pisa, ed il Mustelus laevis, fra i pesci, secondo le classiche ricerche di G. Müller. La vescichetta ombellicale che si protrae tanto avanti nella vita fetale de' marsupiali, si conserva pure fino al termine della gestazione negli ovistiti (Rudolphi). La particolarità tanto caratteristica della mancanza del corpo calloso nel cervello de' marsupiali si presenta pure qualche volta sporadica perfino nella specie umana***. Un esemplare di cervello umano senza corpo calloso si conserva nel gabinetto di Torino.

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Io mi ricordo con vero piacere della circostanza nella quale quest'idea sull'origine multilaterale delle razze umane venne a balenare nella mente di Vogt. Eravamo insieme lo scorso autunno, in un lieto convegno di amici, in una delle più pittoresche valli della Svizzera; ed il luogo, l'ora, la cordiale intimità degli interloquenti, spogliavano la disputa d'ogni rigore pedantesco, e la rendevano colorita e vivace quanto mai. Ecco ora quell'idea trasferita nella grande arena della scienza, con tutta la naturale sua gravità. Vogt è certamente lontano dal pretendere che essa passi indiscussa, e che altri non trovi tutta intiera la difficoltà di connettere l'uomo americano ad un tipo locale di scimie. Le belle ricerche di Gratiolet, così giustamente apprezzate da Vogt, mettono in piena evidenza la grande inferiorità del tipo delle scimie americane, e le considerazioni degli altri ordini di caratteri confermano pienamente questa conclusione.

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D'onde ciò, se non in qualche cosa per cui, anche senza volerlo, egli si sente astretto a fare all'uomo un posto distinto nella creazione.

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