Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

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L'Opinione

541888
Quintino Sella 50 occorrenze
  • 1863
  • Tipografia dell'Opinione diretta da C. Carbone
  • Torino
  • alpinismo
  • UNIPIEMONTE
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Da questi paragoni si concluse che, onde riferire le nostre altezze barometriche a quelle dell'Accademia delle scienze di Torino, voglionsi aggiungere alle letture fatte sui barometri Gastaldi, S. Robert e Sella, millimetri 1,0; 0,1 e 0,4.

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., pag. 784) assegna a Verzuolo un'altezza di 432 metri determinata col barometro, ma io non credo di dover modificare il numero da noi ottenuto, perché questo si riferisce ad una stazione di posizione certa, ed è la media di parecchie osservazioni fatte in giorni diversi.

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Quanto al barometro aneroide, egli è chiaro che se le sue indicazioni fossero sicure, si potrebbe dire uno strumento veramente preziosissimo, come quello che si può trasportare (senza i pericoli e le noie molte, che trae seco il barometro a mercurio) nelle montagne alquanto difficili. Il barometro aneroide, che noi avevamo, non era gran fatto più grosso di un oriuolo da tasca!

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Le alluvioni che sono al fondo della valle presentano qualche volta altipiani che vennero profondamente intagliati dal torrente, e raccomando alle tue diligenti osservazioni certe roccie rotondate a mezza valle, che ci ricordavano le roccie montone e le traccie degli antichi ghiacciai.

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Come estraneo a questa scienza, soltanto ti dirò come la valle della Varaita sia una delle valli alpine che il viaggiatore percorre con maggior piacere. Infatti se il suo fondo venne recentemente depauperato dei noci colossali di cui andava altero, esso è tuttavia quasi ovunque verdeggiante di prati perennemente irrigati dalle acque della Varaita e dei torrenti laterali. La costa settentrionale è meno doviziosa di vegetazione, perché i cereali vi sono coltivati fino a grande altezza, ma il fianco meridionale è ricco di bellissime foreste di larici, le quali danno alla valle un aspetto verdeggiante fatto a bella posta per riposare l'occhio stanco dall'aridità, che oggi travaglia l'Italia settentrionale.

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Fra le particolarità, che per la loro frequenza e la loro mole attraevano la mia attenzione, citerò il Dypsacus fullonum e l'Onopordon acanthium, di che nei dintorni di Sampeyre era la strada fiancheggiata, come pure la Petasites vulgaris, le cui foglie misurano in larghezza fino a mezzo metro, e sono ivi adoperate per avvolgere il butirro.

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che sono in maggior numero ed in più grande favore i Santi a cavallo con tanto di lancia, di sciabola e di speroni.

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Sono rare le deformità, e, sia per quel poco che c'ebbi a fare io, come per le relazioni di altri viaggiatori, debbo inferirne, che questi valligiani sono e cortesi e discreti. Pur troppo non è cosi in tutte le valli alpine. Ricorderai certe gite pedestri da noi fatte in luoghi ove tutto il creato era all'apice del bello e del sublime: il solo bipes implumis orribile per la deformità, la sconcezza e la villania.

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., pag. 772) assegna a Sampeyre un'altezza di 979 metri, determinata anche col barometro.

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Casteldelfino sta a cavaliere di un triangolo in cui il torrente di Chianale confluisce colla Varaita. Il verde di questo triangolo doviziosissimamente irrigato dalle acque dei due torrenti, e dalle numerose fontane che sgorgano dalle alluvioni su cui è fabbricato il villaggio; i boschi di larice, che tutto ammantano il monte Peyrone, che sta dirimpetto a Casteldelfino; il giallo dorato dei campi di cereali, che coprono fino ad una certa altezza la pendice settentrionale della valle; la limpidezza ed il rumorio delle acque; le erte balze del Pelvo e di altre punte che torreggiano in alto; le sinuosità della valle Varaita, ed al fondo nuove balze e nuovi dirupi; la freschezza e vivacità dell'aria; quel non so che di alpestre, che, una volta gustato, non si ricorda più senza nostalgia, tutto ciò fa di Casteldelfino uno de' più bei siti per passarvi la estate.

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Questo troverai indicato sulla carta dello Stato Maggiore alla scala di 1:50000, e da una osservazione fatta col barometro aneroide io il giudico a forse 1560 metri sul mare.

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Casolari che in tanta parte dei monti italiani e svizzeri hanno nome di Alpi, e che in qualche luogo si dicono anche Muande, perché si passa dalle più basse alle più alte a misura che col procedere dell'estate si va liberando il terreno dai residui dell'inverno. Il conte di S. Robert ci comunicava a questo proposito una sua ingegnosa osservazione, cioè che in queste valli si adoperi anche il vocabolo meirè come verbo, e significhi allora tramutare, e come tanto il sostantivo meira (casolare alpino), quanto il verbo meirè derivino da analogo vocabolo ariaco, il quale significa per lo appunto mutare. Ma io non la finirei se volessi comunicarti tutte le pellegrine osservazioni del S. Robert, il quale tra lo studio della teorica delle armi da fuoco, la teoria del calore e la botanica trova modo di pensare alle analogie dei dialetti delle nostre valli col sanscritto e l'ariaco, e torno alla nostra gita.

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Noi eravamo inoltre al limite degli alberi di alto fusto, e qui non è inutile il rammentare come partendo da Casteldelfino noi ci trovassimo per un tratto notevole in mezzo a campi di cereali di ogni specie, cui sono spesso di siepe gruppi di uva spina, ma che più in su, dopo oltrepassati pochi aceri e sorbi, noi ci trovassimo in mezzo ai larici, i quali nella pendice meridionale della Varaita scendono al torrente fino a Sampeyre. Quindi ad un certo punto, che dopo una osservazione fatta col barometro aneroide io giudico prossimamente ad una altezza di 1780 metri sul mare, cominciammo a trovare dei pini cembri veramente magnifici, il cui colore scuro si maritava benissimo col verde chiaro dei larici. Codesti pini, detti elve nel dialetto del paese, diventano dominanti nelle altezze superiori di queste montagne, ma sono però fino al loro ultimo confine sempre accompagnati dal larice.

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È una vera crudeltà il venire a te, cui il dovere tenne incatenato sotto quest'afa canicolare in mezzo a carte aride e fastidiose come il polverio che infesta le strade, e parlarti delle impareggiabili soddisfazioni da noi godute appiè delle nevi, in mezzo alle inarrivabili sublimità degli orrori alpini. Ma non vorrei che mi tacciassi di mancator di parola, ed eccoti un breve cenno della nostra gita.

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Ci limitammo quindi a trovar modo di giungere alla vetta del Monviso.

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Indi è che debbesi trasportare il nome di rivo delle Giargiatte a quello che è detto Eisolao nella carta, ed il rivo che è detto delle Giargiatte nella carta, invece di andare nel Vallante, come ivi è indicato, si immette dopo breve corso nel rivo delle Forciolline.

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Ora abbiamo potuto accertare nella corsa da noi fatta a bella posta il 13 agosto, che dopo il vallone delle Forciolline esiste un altro brevissimo valloncello, le cui acque si immettono però nel torrente delle Forciolline al dissotto dei laghi. Salendo poscia un aspro contrafforte per una via che pare quella accennata nella carta dello Stato Maggiore, si perviene ad un vallone contenente due laghetti, terminante col passo di S. Chiaffredo, e chiamato nel paese Vallone delle Giargiatte.

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Ma se a grande distanza i contorni di queste costole sembrano abbastanza regolari, visti in qualche prossimità si mostrano interrotti da enormi spaccature, fra cui sorgono le più ardite e le più bizzarre guglie, che sia possibile immaginare.

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Le spaccature e le guglie, che frastagliano le tre costole del Monviso, sono di ostacolo a che per esse si giunga alla vetta. Gli intervalli fra queste tre costole o grandi puntelli del Monviso sono formati di una serie di solchi e di gradini a picco di grande elevazione e singolarmente bizzarri, in tutti i sensi rotti e frastagliati, a' cui piedi stanno cumuli enormi di rottami d'ogni dimensione dei varii strati che compongono la montagna. Questi cumuli di rottami (cassere nel dialetto del paese), continuamente rinfrescati da nuova roccia che si precipita dall'alto, hanno un pendio spesso eguale al maximum, che comporti l'attrito delle masse di cui si compongono. Indi è che talvolta basta una lieve spinta per far rotolare pietre grossissime, le quali nello scendere altre ne trascinano seco. Cosicché chi cammini poco pensatamente per queste macerie può, nuovo Orfeo, e senza bisogno di lira, tirarsi dietro quantità enormi di sassi. I fianchi stessi della montagna si stanno continuamente rovinando, e presentano dovunque massi talvolta grandissimi, cui par che basti poco più di un soffio per precipitarli al basso.

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Quindi è che nell'ingolfarsi tra queste orride gole spesso è poco sicuro il piede, che posa sopra rottami, che facilmente vi sfuggono sotto, e sovente non è ben salda la mano che si aggrappa a pareti, cui basta un lieve sforzo per staccarle dalla montagna.

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Però il Mathews ebbe giustamente a riflettere, che se v'era un lato per cui si potesse ascendere sul Monviso, egli era fra le due costole che volgono al mezzogiorno, e le cui proiezioni fanno angolo acuto di 54°. Ivi infatti il pendio medio non può non essere minore che sugli altri fianchi, ed i burroni ed i precipizii debbono esser meno formidabili.

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Vuolsi puramente che l'orrore pel vuoto che si prova quando si sta sopra un abisso, non giunga a segno di dare il capogiro.

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Ivi ci decidemmo a scendere alquanto per uno dei solchi, di cui ti parlavo, e dove pochissimo mancò che il Barracco non avesse sul capo un masso smosso da qualcuno che gli stava dietro, masso che avrebbe per lui posto termine ad ogni gita. Indi costeggiammo il bacino tagliando parecchie striscie di rottami, che scendevano dai dirupi superiori, e giunsimo al torrente delle Forciolline.

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Ivi è un pianoro nel quale aveva passata la notte a cielo scoperto la comitiva, che nella precedente settimana aveva tentato col Peyrotte la salita del Monviso, e che ad onore della gentile signora che ne faceva parte noi chiamammo Maita Boarelli; quivi piantammo le due tende che avevamo, onde pernottarvi.

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Non v'ha cacciatore alpino, o dilettante di cosifatte escursioni, il quale non siasi parecchie volte trovato a pericoli assai più grandi di quelli che occorre affrontare per vincere questa meravigliosa cima. Era riserbata alla costanza ed all'ardire di un inglese la gloria di essere il primo a salirla.

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Questo ghiacciaio avea da prima un lieve pendìo, che ci era agevole e piacevole il superare, ma pervenuti appiè di un'alta parete e ripiegatici a destra verso la costola sud-est, trovammo siffatta pendenza, che i nostri piedi non armati di grappe non ci potevano più reggere sulla neve, la cui superficie era affatto indurita e gelata. Forza fu adunque ricorrere all'accetta ed aprire in tal guisa molte centinaia di gradini. Lavoro che ci fece perdere un tempo grandissimo, imperocché la comitiva non poteva avanzare di un passo se non dopo che la prima guida aveva scavato un nuovo gradino nel ghiaccio. Ed avrai agevolmente idea del fastidio dell'operazione apprendendo, che tra i gradini scavati in questo ghiacciaio e quelli aperti nei lembi di neve, che incontrammo più in su, si giunse a farne poco meno di un migliaio.

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La mattina del 12 agosto eravamo tutti in piedi ai primi albori e tosto ci avviammo coi nostri bastoni alpini a punta di ferro in compagnia delle tre guide alle quali avevamo affidati barometri, martelli, cannocchiali, un'ascia per tagliare il ghiaccio, una lunga corda, qualche leggiero soprabito ed i viveri per una modesta colezione. Né scordammo il volume dei Peaks, Passes and Glaciers; in cui si trova la relazione della salita di Mathews, che fu la nostra vera guida.

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Ivi ebbimo a camminare alcun poco per nevi interrotte, come già ti dissi, da sporgenze di roccie in posto o di macerie di trasporto e giunsimo ad una piccola collinetta, che aveva i caratteri di una morena. Dietro questa sta un ghiacciaio avente una estensione di qualche chilometro, il quale mi pare essere permanente ed è d'altronde anche raffigurato nella tavola annessa alla relazione di Mathews.

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Quindi venivano parecchi lembi di neve così ghiacciata e rigida (il pendìo eccedeva talora 34°) e che terminavano in così fatti precipizi, che per fermo quegli cui fosse mancato un piede si sarebbe trovato a partito disperato. Io volli allora che ci legassimo l'uno all'altro con una corda comune, onde se qualcuno fosse caduto gli altri il potessero sostenere. Ma le guide non avevano mai vista in opera simile precauzione, che del resto in montagne così povere di ghiaccio come queste, rarissime volte occorre, e quindi elevavano obbiezioni. Parimenti a taluno di noi pareva che questo legarci gli uni agli altri non dovesse avere altro effetto, che quello di trarre tutti nel precipizio quando taluno fosse scivolato. Finalmente riuscii a togliere tutte le difficoltà e fu grande fortuna, perché nello scendere uno di questi ripidissimi lembi di neve, sdrucciolò un piede al sig. Giacinto di S. Robert.

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Ed in tal guisa ora aggrappandoci a roccie in posto, ora sopra frammenti sciolti, ora sul ghiaccio avanzavamo lentamente ma sicuramente. Di tratto in tratto si sostava per mandare innanzi il Gertoux. Questi da principio, o fosse la novità del mestiere, o fosse la preoccupazione di riescire nella salita, non badava gran fatto alla nostra sicurezza; ma dopo che l'ebbi avvertito finì per moltiplicarsi in guisa da assisterci in ogni cattivo passaggio e da indicarci ad ogni istante una via possibile per cui andare avanti.

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Gli è che infatti l'altezza a cui si era, cominciava ad essere ragguardevole.

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Né era facile persuaderlo; che il Gertoux è vero montanaro, cioè a dire testardo... quasi come un biellese.

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Noi eravamo sulla punta occidentale del Monviso ed a forse cento metri da noi appariva la punta orientale in buona parte coperta da neve.

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Prevedeva che la discesa di tutta la comitiva sarebbe stata assai lunga, né poteva pensare a togliere ai compagni il principalissimo sussidio del Gertoux. Dovetti quindi far di necessità virtù, e rinunciai per quel giorno alla punta orientale del Monviso.

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Il Gertoux vi tornò a riporre il tubo al suo posto, e ciò egli fece seguendo nell'andare la stessa via, e raggiungendoci poi di là per altra strada, ed assai più in basso, mentre scendevamo.

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Avremmo adunque trovato mediamente che il Monviso è a 3857 metri sul livello del mare. Le determinazioni di questo importante dato, che sono più recenti ovvero più di frequente citate nelle opere recenti, sono quelle del quadro seguente:

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Noi avevamo un livello a specchio, ma con questo null'altro vidi se non che la parte occidentale era alquanto più elevata della porzione della punta orientale, sgombra di neve, ed alquanto più depressa del cacume di neve ivi accumulata. Sicché la questione rimane tuttora indecisa.

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E infatti tu sai come quel che più importa a vedersi dalla cima di un alto monte non sian tanto lontane città, lontani fiumi che vi si stendono ai piedi come immense carte geografiche. Veramente bella e sublime è invece la vista delle montagne che si elevino ad altezza non minore di quella su cui siete.

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Ma tra l'aiuto dei piedi, delle mani, dei bastoni, delle corde e delle guide si giunse a notte fatta, ma perfettamente sani e salvi della persona, alla maita Boarelli.

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Era un vero oggetto di curiosità la pelle palmare dei nostri guanti, che le acute sporgenze a cui ci aggrappavamo avevan quasi per intiero annichilata. Il Barracco si rallegrava che non vi fossero signore alla maita Boarelli, tanto serie erano le avarie di una parte del suo vestire.

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Ci avviammo quindi verso Casteldelfino, ma per non rifare la stessa strada e per riconoscere quel benedetto errore della carta, di cui già ti parlai, ci recammo prima in un valloncello adiacente a quello delle Forciolline, e salito un colle, che ha nome di Bergia delle Sagnette, ci trovammo direttamente sopra la valle, che termina col passo di S. Chiaffredo, valle, cui si dà il nome di Giargiatte.

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Nulla ti dirò dei laghetti, delle roccie rotondate, delle morene da noi trovate nello scendere questa bella valletta più ampia delle Forciolline, i cui contrafforti presentano nella parte superiore gli stessi fenomeni di fissilità, imperocché mi tarda di venire a capo di questo insopportabile letterone. Solo noterò, che trovammo qui i larici ed i pini cembri aver comune origine ad una altezza, che da una osservazione coll'aneroide apparrebbe di circa 2390 metri invece dei 2374 metri trovati col barometro a mercurio nella fontana dei Gorghi.

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A Casteldelfino ebbimo le più vive congratulazioni; del resto la voce del nostro tentativo era andata in giro. La tua tenda e quella di S. Robert avevano fatto credere che fossimo inglesi, come se essi soli avessero da salire le nostre montagne.

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A Londra si è fatto un Club Alpino, cioè di persone che spendono qualche settimana dell'anno nel salire le Alpi, le nostre Alpi! Ivi si hanno tutti i libri e le memorie desiderabili; ivi strumenti tra di loro paragonati con cui si possono fare sulle nostre cime osservazioni comparabili; ivi si leggono le descrizioni di ogni salita; ivi si conviene per parlare della bellezza incomparabile dei nostri monti e per ragionare sulle osservazioni scientifiche che furono fatte o sono a farsi; ivi chi men sa di botanica, di geologia, di zoologia porta i fiori, le roccie o gl'insetti, che attrassero la sua attenzione e trova chi gliene dice i nomi e le proprietà; ivi si ha insomma potentissimo incentivo non solo al tentare nuove salite, al superare difficoltà non ancora vinte, ma all'osservare quei fatti di cui la scienza ancora difetti.

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Il Tuckett passò anzi la notte a pochi metri al dissotto della cima del Monviso sull'orlo di un precipizio orrendo.

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Oltre a ciò ogni estate cresce di molto l'affluenza delle persone agiate ai luoghi montuosi e tu vedi i nostri migliori appendicisti, il Bersezio, il Cimino, il Grimaldi intraprendere e descrivere le salite alpestri, e con bellissime parole levare a cielo le bellezze delle Alpi. Ei mi pare che non ci debba voler molto per indurre i nostri giovani, che seppero d'un tratto passare dalle mollezze del lusso alla vita del soldato, a dar di piglio al

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Roasenda apparirebbe però una certa discordanza fra il termometro Mathews e il termometro a maximum del Tuckett, imperocché al momento dell'osservazione la temperatura del primo sarebbe stata di 0° e quella del secondo di circa + 2°.

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bastone ferrato ed a procurarsi la maschia soddisfazione di solcare in varie direzioni e sino alle più alte cime queste meravigliose Alpi, che ogni popolo ci invidia. Col crescere di questo gusto crescerà pure l'amore per lo studio delle scienze naturali, e non ci occorrerà più di veder le cose nostre talvolta studiate più dagli stranieri, che non dagli italiani.

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Infatti si era cercato a guida nientemeno che il Peyrotte, il quale già era stato l'anno scorso sul Monviso assieme al Tuckett. Questa comitiva pervenne fino alla parte superiore del vallone delle Forciolline, ove pernottava alla bella stella sulle sponde di uno dei laghi, che gli antichi ghiacciai vi hanno formato. Si andò il giorno dopo alquanto innanzi; ma al Peyrotte venne talmente meno ogni specie di animo, che dopo molte difficoltà e tentennamenti finì per rifiutarsi affatto a condurre la comitiva sulla vetta del Monviso. Io non mi meraviglio troppo del poco entusiasmo del primo italiano che fu sul Monviso, perché dalle frasi della relazione del Tuckett che lo riguardano, arguisco come già allora molto rimpiangesse di essersi posto in cosifatta impresa, tanto che il Tuckett l'ebbe a motteggiare non poco. Ma tornando alla comitiva, essa non poteva non perder animo per l'avvilimento del Peyrotte, e quindi rinunciò all'impresa.

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Robert, al quale tu sai quanto stia a cuore il Monviso; che fece tradurre e stampare nella Gazzetta di Torino la relazione di Tuckett sulla salita; che aveva infiammato di entusiasmo noi e tanti altri; egli che fu insomma il vero iniziatore della impresa, non se lo fece dire due volte, e, dato mano alle tende, viveri, strumenti, e a non so quanti altri arnesi che egli aveva allestiti, in guisa, che non solo non ci mancasse nella nostra gita il necessario, ma neppure ci facesse difetto il superfluo, si pose senz'altro in carrozza con noi, e ci avviammo per la valle della Varaita. Ivi fummo più tardi raggiunti dal cav. Giacinto di St. Robert, il quale, malgrado che avesse fatto parte della comitiva cosi male guidata dal Peyrotte, si volle tuttavia a noi associare, quando seppe che eravamo decisi di tentare quanto per noi si potesse onde giungere alla vetta del Monviso.

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