le straordinarie avventure di Caterina
anni quando scrisse le storie del presente libro, e ne disegnò le figure. A quel tempo, essa non aveva nessun Editore. Aveva due gatti di diversa
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signore che lasciava capire di essere un milionario, giacché portava l'abito a coda e il cilindro; e Pic gli corse vicino. Quel signore, insieme a tutti
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stupida mai piú. Sei tanto brava, Bellissima mia! — E le due si abbracciarono. Era proprio una scena commovente. — E ora, quel povero mercante
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, ma pensava che quel viaggio l'aveva stancato, e quel bitorzolo sul naso gli faceva male. Pensava alla sua casa col terrazzo sul tetto, e a tante
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e salame. — Macché. Non indovini. — E dimmelo, allora. — Un gallettino vivo vivo. E infatti proprio in quel minuto si sentí fare: — Chicchirichí
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non era ancora Rosetta. Era Tit, questa volta, il quale viene sempre da lontano, e, vedendo quel lume, aveva bussato. Aveva preso molta pioggia; aveva
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era anche buona. Non parlava mai, e rimaneva sempre in quel cantuccio, senza chiedere mai da mangiare. — E cosí, se n'è andata... — No, non se n'è
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— Cavaliere, perché mandate via quel ragazzo? — Eccellenza, — disse il Gufo, — non ha soldi per pagare il biglietto —. E si soffiò il naso che era
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la sua pìú grande impresa... Tutto il bosco taceva, in ascolto, e anche Caterina sospese il respiro. Ella capì che si parlava del suo amico in quel
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superba. Caterí lo guardava, e osservò con meraviglia che in quel momento l'abito stracciato di Tit sembrava un bel vestito d'oro e i suoi occhi
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, per giocare a carte. Caterí si divertiva molto a giocare a carte in quel castello magnifico, e anche Tit. Egli era assai allegro, e, gettando tre carte
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Principessa delle Querce, — disse Tit a voce bassa. Caterí non aggiunse nulla. Aveva osservato che la voce di Tit tremava nel dire quel nome. Egli
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i piú ricchi possessi in quel palazzo. Pippo, per esempio, quello che ancora non sa soffiarsi bene il naso, e che ha l'incarico di lucidare le scarpe
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subito di tutto il suo dolore. — E mi concedete ospitalità fino a quel giorno? — supplicò. — La mia ansia è tale, che non potrei continuare a girare
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vede che invece quel tipo se n'era andato per i fatti suoi, e ora chi ne sa piú niente? - Mio padle e mia madie mi aspettano invano, — dichiarò
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ciuffo bianco in testa, il naso nero e gli occhietti azzurri. Negretti lo condusse subito a spasso, ma quel canino era indiavolato. Per far dispetto
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va quel Negretti? — il canino rispose subito: — Bene! Bene! Si figuri che mi chiama perfino Eccellenza! — e se ne andò a dormire, dondolando la coda
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niente, Eccellenza. — Per niente non si sospira, — rispose il canino. E riprese a saltellare con un'aria sempre pii furba. — Voglio andare in cima a quel
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una smorfia! Proprio in quel momento la trottola schizzò sul naso del povero Paolo Pietro. E Paolo Pietro disse: — Scusino, scusino, — e distribuí
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