TAVOLOZZA
appar nel piano interminato; solo un tempio romano, ove facella più di vestal da secoli non splende, e ai sacrifici l'augure non scende, innalza
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che sul misero guanciale rassegnati riposino i morenti, assopiti aspettando il funerale corona alle sciagure, e ai patimenti. Lasciateli coll'angelo
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; son come i fior che la rugiada imperla ai dì d'aprile. Versate, amici, il nettare divino! Bruna è la notte, e la face scintilla: spumeggi in cor
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rivedi i cavalletti che abbellano la tua stanza romita, e come lieto ai muri prediletti appendi la tua preda, al mar rapita! Poi come è dolce raccontar
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Quando muoiono i fiori ai davanzali, e quando i vetri la nebbia accarezza, e le rondini in mar battono l'ali, e del negro fanciul di val Vegezza il
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- Per la deserta strada, o viaggiatore, dove t'affretti ai raggi della luna? una madre lasciasti, il genitore e sposa e bimbi, per cercar fortuna? La
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al ciel! Quando il vecchio oceàno i vecchi amori lento alterna alla spiaggia, e stanco par: quasi amante assopito ai primi albori, e a cui men bella
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lattai dalle cascine, che la sera amoreggiano le fulve contadine, mentre ai bifolchi narrano, raccolti nelle stalle, l'ardor delle cavalle che trottano
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sempre uguale della scuola, che fin gli toglie il ricrearsi ai rai del sole agli ultimi anni. Indi guardando con occhio d'amore la stanza piena di
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divini, e i merli ai fiori e ai pampini frammisti sogno dei paesisti; così della tua luce, o Musa, un raggio, rapito al paesaggio, scenda sul viso alle
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gaia parola, e ripetendola in ritornelli scuciti e belli. Era una canzonetta che parlava d'amore, chiesto e richiesto ai petali d'un fiore: e un fior
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festa: avea candida la vesta e danzava in mezzo ai fior! Vidi al corso un cocchio splendido: son gli eredi di un marchese, che di qui, non corse un mese
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sbadato ai margini un mazzolin di fiori, e fa un pazzo miscuglio di forme e di colori: qui fuggendo i papaveri dei greci e dei latini, raccolsi del