Saggi di critica d'arte
Io son qui a parlarvi di un pittore secentista, ossia di uno di quelli intorno ai quali non s’industria in alcun modo l’acuità, per tanti rispetti
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bene la discordia tra gli artisti e la critica non può essere perpetua. Non lo credo finalmente, perchè noi viviamo in un periodo in cui era
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connazionale del Delaroche: Filippo de Champagne, che certo come scrive il Vitet, il Poussin e il Lesueur si stupiscono di non vedere in loro compagnia
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Sullo scorcio del secolo XVI era comparsa in Bologna un’esotica figura di uomo. Un pittore di paesaggi, partitosi da Anversa, sua città natale, avea
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, in grado superiore ai pittori suddetti, la mia risposta sarebbe francamente negativa. I secentisti sono più disinvolti, più destri, più dotti di lui
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, fu rivista appassionata ed assimilazione di quanto le arti italiane aveano prodotto di più fulgido; fu ritorno al buon senso ed alla vita in quel ch
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non inutile ricordare il suo primo maestro, perchè Guido non ne dimenticò si presto gl’insegnamenti. C’è in questa pinacoteca un suo quadro molto
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L'ammirazione per Guido crebbe molto quand’ebbe frescato nel claustro di S. Michele in Bosco una storia di S. Benedetto, della cui perdita ci resta
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degradazioni con cui essa si sparge sulle varie cose, non potea perseverare in quegli effetti violenti e a lungo andare stucchevoli, poichè non si
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quella di un cielo velato da lievi nuvole grige, in cui la intensità colorifica di tutti gli oggetti si smorza alquanto, e tutti i toni hanno qualcosa di
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pontefici: Sisto V, Gregorio XIII, Clemente VIII. Ma, suffragio più autorevole, Lippo fu tenuto in alta stima da Guido Reni, il quale dicea che non mai
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Difatti uno dei tipi femminili guideschi è desunto dall’antichità direttamente; l’artista sorvolò su tutti gli stati intermedi in cui era stato
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concepire più felice associazione della bellezza la più squisita colla virtù, un po’melliflua sì, qual piaceva in quel tempo bacchettone e galante, ma
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Guido era di quegli uomini in cui l’ammirazione si trasforma in elemento dell’operare; e certo non dovett’essergli inutile l’esempio di Lippo di
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una sala, e che, come gigante fortissimo, sembra tener in rispetto quanti altri capolavori gli stanno all’intorno. Sono come due quadri sovrapposti
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nella galleria vaticana è una strenua pittura in cui Guido ha muscoli e nervi titanici, e il rilievo che hanno il tronco e la testa del martire, posti
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due Crocifissi, uno a Roma nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina, l’altro nella galleria di Modena, i Crocifissi biancheggianti luttuosamente sul cielo
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dinanzi alla croce, commosso d’esser fatto degno di morire in tal guisa. Non decade chi ha potuto sentir nell’anima la poesia della pagana mitologia e
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da Ercole Roberti chiamato da Domenico Garganelli a frescare la cappella in S. Pietro che noi invano cerchiamo? Ei vide in trono vergini non leggiadre
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La critica storica presente tende a riconoscere in Lorenzo Costa il maestro del Francia. Se la cosa è vera, bisogna ricordare che il Lanzi prima di
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Vasari l’ebbe letta inesattamente, nè può essere il primo dipinto del Francia. La data, scritta in cifre romane, è il 1494. A questo punto non posso far a
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dei confini prestabiliti nell’idea, s’accorda colla fermezza dell’intenzione, la quale veramente è mirabile in questa figura di diacono genuflesso
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versò impetuosa un’onda di popolo, che in breve ebbe riempito il tempio, chiazzata pittorescamente da larghi brani or gialli, or azzurri, or violacei
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segnarla. Certe dissimulazioni e disperdimenti che fa il vero in una massa chiara o scura, non furono da essi avvertiti; descrissero tutto qual è, non quale
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sperimentalmente e si concretano i caratteri dello stile che ho accennati in modo sommario; ma ciò mi condurrebbe a discorso sì lungo, che devo astenermene
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nel modo il più appassionato la bellezza femminile in quel ch’essa ha di più sano, rispetto alla materia, in quel che ha di più squisitamente connesso
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da lui la volta della Sistina, e il Francia resta di nuovo in mezzo a gente che gli sorride. E intanto forse egli un bel giorno ha varcato
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occhiata comprensiva. Egli muore poco più di due anni prima di Raffaello, dopo aver appreso dalla S. Cecilia di essere in ritardo sul movimento generale
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affreschi, ne avremmo considerato la perdita come grande sventura, e ne avremmo mosso severa accusa all’ira improvvida di Giulio, che pur ebbe in arte fiuto
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Addestratosi al pennello in mezzo ad artisti, la cui abilità gli fece certamente pensare in sulle prime che non gli era facile schierarsi alla pari
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mancasse di mandar esemplari delle stampe nella sua città natale, voglioso di far vedere ai suoi concittadini che in Roma egli contava qualche cosa e
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Nel periodo dunque che segue al Francia il carattere della pittura bolognese, più o meno, è l’imitazione di Raffaello. E può dirsi che in nessuna
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Il raffaellismo.... (mi si perdoni questa parola, che è brutta, ma divenuta necessaria per esprimere in astratto l’arte nata dagli insegnamenti di
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fosse stata l’applicazione, libera in ogni individuo, di quel principio intimo ond’è animata l’arte di Raffaello; se questa insomma non si fosse
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tracciata dal maestro. Non s’avventurarono a percorrerne ogni spazio; ma non si chiusero, come gli altri, in tanta angustia di siepe. C’è una formola
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attribuisce, e il Cristo che in forma di ortolano appare alla Maddalena, in S. Giovanni in Monte (coperto di indiscreti restauri, clic tolgono
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Il bisogno di affrettarmi m’impedisce d’intrattenermi a ragionare dell’Assunzione in S. Martino, opera pregevolissima, di cui Corrado Ricci fa onore
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Giacomo Francia in tutta la vita non sembra aver avuto altra ambizione che di somigliare a suo padre. Ma non è mai avvenuto che chi parte da un
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Ad ogni modo, il primo periodo di Giacomo Francia è il più corretto. Protraendo la vita fino al 1557, egli passò noncurante, pigro, in mezzo ai
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Ma è tempo ch’io dica alcune parole dei raffaellisti, due dei quali specialmente occupano colle loro opere sì largo posto in quel periodo della
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loro. Ma era fatale che questo scrittore nel far giudizi critici inciampasse in stramberie anche volendo scemar la fama dei suoi bolognesi. Del resto
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la forza del colore avvalora; e sono pure colorite benissimo le figure dei committenti (la famiglia Parati) ivi introdotti in preghiera. Innocenzo ha l
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Abbiamo in Bologna un bel documento di quel ch’era Innocenzo prima di diventare raffaellesco. È una Risurrezione dipinta in affresco sopra la porta
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tardi, come narra il Vasari, andasse a Firenze alla scuola di Mariotto Albertinelli, le cui influenze, chi ben guarda, si mescolano in Innocenzo alle
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Altre opere d’Innocenzo restano a Bologna in S. Maria dei Servi, in S. Salvatore, in S. Giacomo. Sempre è lo stesso principio di imitazione che vi
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Pace in S. Petronio, ov’egli dipinse storie della vita di Cristo e della Madonna in concorrenza con Girolamo Marchesi, detto il Cotignola, con
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. Paolo e S. Benedetto nella pinacoteca, egli purtroppo fa l’effetto di un ingegno assiderato in una convenzione, la quale gli s’infiacchisce, gli degenera
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; lodatissimi furono quelli di Massimiliano Sforza e di Gastone di Foix. I suoi affreschi qui in S. Maria Maggiore sono stati abbattuti. Insieme a
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abili, si fece presto un fare consuetudinario, in cui è facile ravvisare l’uomo che non vuole stillarsi il cervello a studiare. Una tenerezza di
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campo in cui vi ho condotti, il ragionamento dovea per necessità esser monco. Chi potrebbe ormai, dopo tanto disperdimento di notizie, tener dietro ai
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