Quell'estate al castello
Era una brutta faccia. Tirata, stravolta, peggio ancora di quel primo giorno quando lei si era tanto offesa che lo zio prendesse in giro il nostro
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successo niente. Però al trovatore e alla dama non abbiamo piú giocato, dopo quel primo giorno.
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detto, potevo persino capire che in un certo senso mi invidiasse. Poi finalmente si mise a leggere la sua lettera; e di quel giorno non c'è da raccontare
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, avran pensato che fosse piú prudente starsene quatti nei nascondigli della volta. Al chiaro del giorno ci siamo riviste in faccia. Eravamo uno
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tono della persona sicura di sé, che i pipistrelli di giorno dormono e bastava far piano per non svegliarli. La presi per mano e cominciai a tirarmela
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piú su delle nostre teste. Un giorno mi girò di difenderla, io e la Guasti ci pestammo nei gabinetti e fu cosí che diventammo amiche. Io e Ippolita
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- Remigio e Vittorina - e la cuoca, che si chiamava Adele ed era una grassona che le piaceva molto ridere. Li avevamo sentiti anche io e Ippolita il giorno
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che a me sarebbe dispiaciuto da matti, se la mia mamma da un giorno all'altro avesse sposato uno che non fosse mio papà. Non riuscivo nemmeno a
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sempre nei periodi di morte civile. Passarono, cosí al rallentatore, tre giorni. La mattina del quarto giorno, prima di colazione, andai in camera sua
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una cosa e l'altra. Ippolita adesso che il groppo si era sciolto non stava piú zitta come prima, anzi avrebbe parlato tutto il giorno. Fu allora che mi
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, qualsiasi cosa si facesse, passeggiata o altro, a una data ora non c'erano santi, doveva fare i compiti delle vacanze, una certa quota al giorno. Io mi
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portavano due volte al giorno anche in campagna). Lei era sempre nervosa, quando aspettava la posta. Bisognava capirla. Dalla sua mamma in tutti quei
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Mica che lo continuassimo subito, il discorso. Anzi. Prima ci fu il pranzo: una morte civile, quel giorno. Ippolita non alzava gli occhi dal piatto
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